Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L’anello mancante
L’anello mancante
L’anello mancante
E-book321 pagine4 ore

L’anello mancante

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

65.000 anni fa, l’Europa, già alle prese con una grande glaciazione, si ritrova a fronteggiare un’enorme nube nera, causata dalla catastrofe di Toba. Il cielo è scomparso, ma sulla terra si muovono ancora piccoli gruppi di Neanderthal. Tra questi, DM e la sua famiglia. 
Un giorno DM si allontana dalla caverna in cui dimora e si ritrova intrappolato su un albero, ai cui piedi c’è uno smilodonte che attende di divorarlo. Quando arriva la notte, il ragazzo, col terrore nel cuore, inizia a implorare il sole di sorgere al più presto: è la prima volta che prega, ma non smetterà mai più. Da questo momento, pur attraversando mille e più traversie, DM diventerà il punto di riferimento della sua gente e capostipite del Popolo del Sole e sarà ricordato come Adamo. 

Stefano Maria Rainero, nato ad Asti nel 1968, è un audioprotesista. Gli studi lo hanno portato da Roma a Bergamo, passando per Padova, dove nel 2006 si laurea in Tecniche Audioprotesiche. Sviluppa già alle elementari la passione irrefrenabile per la lettura, grazie a una maestra illuminata.
Dopo il diploma, nel marzo del 1990, inizia la sua carriera di audioprotesista alle dipendenze della Magicson srl. Licenziatosi nel 2002 apre, nello stesso campo, un’attività in proprio, che svolge con reale passione.
Ha una ex moglie, da cui è separato dal 2015, che ha sposato nel luglio del 2000 e che gli ha dato una figlia nel 2003, e con la quale ha aperto due ristoranti tra il dicembre 1999 e il maggio 2007.
Nel 2017 prende vita il progetto del suo primo libro, L’anello mancante, frutto di vent’anni di letture eterogenee che comprendono antropologia, teologia e storia.
I viaggi compiuti, specialmente in Africa e Sud America, ne hanno allargato gli orizzonti.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2022
ISBN9788830675308
L’anello mancante

Correlato a L’anello mancante

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su L’anello mancante

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L’anello mancante - Stefano Rainero

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di Lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Prefazione dell’Autore

    Insoddisfatto della versione ufficiale relativa alla comparsa sulla terra dell’Homo Sapiens ho provato a immaginare uno scenario alternativo.

    Fondamento del libro sono le condizioni meteorologiche: la glaciazione in atto aveva abbassato il livello dei mari e circa 75.000 anni fa l’esplosione di un vulcano subacqueo provocò una nube di ceneri che oscurò il cielo dell’Europa, inasprendo il freddo e aumentando ancora le dimensioni della calotta polare con il conseguente ritirarsi del mare Mediterraneo. Cosa, questa, che consentì ad un nutrito gruppo di Neanderthal di sfuggire alla morsa del gelo che oramai attanagliava anche l’Europa del Sud.

    Io immagino un protagonista, il cui nome è dm – cioè Adamo, come potrebbe pronunciarlo un uomo primitivo –, che, in seguito ad un trauma infantile, ha un’esperienza mistica di preghiera.

    Scacciato da una fiorente comunità sita in una idilliaca vallata a causa di un’infrazione commessa dalla sua donna ea (Eva), si trova a vivere, in compagnia di un’orda di disperati, l’approssimarsi del buio causato dalla nube nel punto più a sud della Spagna.

    Nel momento topico di massimo parossismo lui, grazie alla calma che riesce a ricavare dalla preghiera, si impone come un leader e guida l’eterogenea comunità oltre lo stretto di Gibilterra in Africa.

    Le regole di vita imposte da dm danno un vantaggio al gruppo, che prospera anche e soprattutto grazie all’incontro con una colonia di ominidi, i quali si asserviscono alla tribù. Altrettanto critica risulta la diffusione di un virus i cui effetti modificano la struttura fisica dei Neanderthal, permettendo loro di progredire più rapidamente.

    Per dare colore al romanzo caratterizzo i coprotagonisti utilizzandoli nelle scene d’azione o di discussione.

    Per ricostruire le etnie coinvolte nell’esodo mi sono basato su un parallelo con l’Africa.

    Come spiegherò nel prologo se, parlando di Africani, vi chiedessi della tribù dei giganti o dei nani, voi non avreste dubbi sulla mia sanità mentale, mentre se lo facessi parlando di Europei sarebbe differente.

    Io immagino che sia stata la catastrofe che si sta per abbattere ad aver decimato a tal punto la popolazione da costringere i sopravvissuti, ormai forzati conviventi nelle poche zone abitabili, a mescolare le etnie uniformando e cancellando così quel che altrove è ancora presente.

    Chiaramente la fuga dal buio non è avvenuta soltanto attraverso lo stretto di Gibilterra prosciugato dalle acque ma anche e soprattutto attraverso la Turchia, la Georgia e l’Azerbaijan con ovvio sfogo nella valle dell’Eufrate.

    Questa chiave di lettura permette una visione della Genesi e dell’Esodo presenti nella Bibbia e nella Torah ebraica assolutamente diversa e più comprensibile per certi aspetti.

    Il lettore più attento avrà certo notato un’incongruenza rispetto al testo della Bibbia che colloca il giardino dell’Eden in Oriente e di conseguenza tutta la dinastia di Adamo fino a Noè.

    Utilizzo questo espediente letterario, immaginando un biblico inganno da parte degli antichi estensori, senza particolari prove a mio carico se non un logico ragionamento: in Mesopotamia non erano monoteisti, il culto di adorazione del sole che ha fatto nascere il monoteismo ha avuto origine in Nord Africa nella civiltà pre-egizia che ha costruito le piramidi.

    Il libro, nella mia intenzione, si sviluppa come un romanzo, che ho cercato di mantenere intenso e che dovrebbe condurre il lettore al termine senza che l’argomento desueto lo annoi o ne renda difficile l’interpretazione.

    Prologo

    Sono arrabbiato.

    Le risposte che ricevo a riguardo di un argomento che mi sta molto a cuore non mi soddisfano.

    Sto parlando della teoria secondo la quale l’Homo Sapiens ha soppiantato ogni altra forma di vita precedente…

    Con un ragionamento astruso mi si vuol far credere che un popolo di uomini appena nato, quindi di una unica etnia (aspetti morfologici come statura, caratteri somatici, con un corredo cromosomico limitato), di cacciatori raccoglitori, con un intero continente a loro completa disposizione, in un numero che non saprei ipotizzare, 10.000-20.000 individui direi, abbia intrapreso una migrazione in tutto il mondo sterminando le altre razze e soppiantandole, senza neanche un caso di ibridazione.

    E se vi sembra improbabile che una colonna così esigua abbia potuto raggiungere ogni altra creatura umana vivente fin nei più remoti angoli delle montagne di ogni continente, senza lasciare una sacca anche minima di resistenza, pensate che per raggiungere l’Australia i nostri intrepidi e le loro famiglie si sarebbero dovuti imbarcare su delle canoe e partire per un viaggio di 700-800 miglia marine (quanto dista l’Australia dall’Indonesia) in pieno oceano Pacifico, senza nemmeno sapere se c’era terra. 

    Immagino il primo ufficiale di questa armata che chiede al suo carismatico leader: – Senti, scusa, ma di preciso dov’è che vuoi andare? Abbiamo sterminato tutta la popolazione mondiale, stiamo scolorendo, aumentando e abbassandoci di statura, assumendo tutta la meravigliosa varianza genetica dell’India (non dimentichiamo che sono una singola etnia), poi tutta la meravigliosa varianza genetica della Cina (dove è stata dura scovarli tutti tutti senza farsene scappare nemmeno uno, ma ci siamo riusciti).

    In Asia è stata una faticaccia perché a parità di condizioni climatiche, a seconda di dove eri dovevi diventare un cinese, un mongolo o una bella ragazza bionda. 

    Adesso facciamo una pausa!

    Ma lui imperterrito: – No! Dobbiamo imbarcarci tutti e partire verso l’ignoto, sai mai che ci siano rimaste delle razze da distruggere. Io, come mio padre e come farà sicuramente mio figlio, non mi darò pace, finché non avremo sterminato e soppiantato anche l’ultima creatura umana.

    Fortunatamente, a parte la famiglia di quel pazzo sterminatore, gli altri Africani sono brava gente, più mite. Infatti non hanno più avuto di questi exploit.

    E, pur essendo talmente potenti da aver colonizzato le terre emerse in toto, hanno preferito non sviluppare civiltà ma aspettare che gli altri si piazzassero per iniziare tutti insieme.

    Per altro, immaginando uno spettatore che assistesse come in tv a questa scena, se si fosse alzato per 10-20.000 anni per andare a farsi un panino, tornando non si sarebbe accorto di niente: tutto era esattamente come l’aveva lasciato.

    Cioè, tutte le popolazioni umanoidi precedentemente esistenti sulla terra, ed erano molte, erano state fotocopiate riproducendo esattamente le caratteristiche fisiche originarie, tranne che per i segni distintivi della dimensione del cranio.

    Non sono esagerazioni, questo è esattamente quello che la scienza vuol farci credere.

    Non c’è nessuna spiegazione alternativa!

    Questa affermazione mi ha sempre indisposto, fin da piccolo.

    Quando davanti ai miei perché, mi sentivo rispondere: – perché è così e basta! – la frustrazione spesso mi faceva piangere.

    Che cosa mi fa rabbia della risposta che ricevo dagli scienziati?

    il disconoscimento.

    Io non so chi sono.

    Io nasco come uomo insieme a tutti gli altri circa 65.000 anni fa.

    E da lì in poi si differenziano le razze in base alle condizioni climatiche, mah…?

    Questa spiegazione non mi convince, non mi spiega niente.

    Anzi, l’unica cosa che fa è confondermi le idee.

    Visto che non sono convinto, provo ad indagare.

    Non so nulla o quasi, le principali informazioni che ho sull’uomo primordiale, le ho dai libri antichi che parlano di questo argomento ed è leggendo che ho iniziato a farmi un’idea.

    Dall’estinzione dei dinosauri all’avvento dell’uomo, innumerevoli glaciazioni alterarono l’aspetto del pianeta…

    Circa 75.000 anni, la Terra, alle prese come già detto con una glaciazione, era popolata di animali oggi estinti quali:

    il rinoceronte peloso

    la tigre dai denti a scimitarra

    iene

    leoni delle caverne

    orsi

    ma il dominatore incontrastato era l’uomo di Neanderthal.

    Difficile capire se si meriti o meno l’appellativo di uomo, in quanto in 300.000 anni non ha compiuto alcun vero passo avanti nell’evoluzione, si è limitato ad adattarsi molto bene a questo ambiente spesso inospitale.

    I Neanderthal hanno tratti comuni tra di loro:

    pelle bianca

    barba sul viso

    peluria più o meno folta sul corpo.

    Erano individui duri e violenti, vivevano organizzati in famiglie, o clan, o tribù.

    Noi Europei, purtroppo, non abbiamo il senso di cosa voglia dire etnia.

    Mi spiego meglio, se io, parlando degli Africani, vi dico: 

    la tribù dei giganti

    la tribù dei nani,

    voi cosa pensate?

    Chiunque abbia una scolastica – o anche solo musicale – conoscenza risponderà:

    Parla dei Watussi e dei Pigmei.

    Se facessi quest’affermazione nei confronti della popolazione europea, voi pensereste che sono pazzo o che sto parlando di Fantasy, un genere di successo.¹

    Immaginando di trovarmi, come un narratore, nell’Europa alle prese con un’epoca glaciale e in procinto di essere investita dagli effetti della nube provocati dalla catastrofe di Toba, che causò una drastica diminuzione del numero dei Neanderthal supporrò che allora ci fossero ancora le etnie e parlerò di:

    Giganti = Watussi (immagino fossero cm 185)

    i nani = Pigmei (cm 100)

    gli orchi = Mandingo (cm 175)

    gli elfi = Ottentotti (cm 120)

    normali = Bantù (cm 140)

    Nel dare il nome ai protagonisti ho pensato che erano primitivi ed incapaci di articolare fonemi complessi, così ho immaginato che nomi potessero uscire fuori ringhiando, il resto è stato facile. Se ne siete infastiditi durante la lettura provate ad aggiungere delle vocali e vedrete che migliorerà.

    PARTE PRIMA

    1 Ma perché ha successo il Fantasy? Come mai non opponiamo resistenza mentale all’idea di orchi ed elfi?

    CAPITOLO I

    Sorse il sole, a dare il via ad una normale giornata di 65.000 anni fa. I primi raggi illuminarono un panorama spettrale dominato dal ghiaccio e dal buio in una terra che corrisponde pressappoco all’attuale Spagna del Sud.

    Il paesaggio libero dai ghiacci era brullo, la vegetazione aveva risentito fortemente del buio che aveva avvolto l’Europa del Centro-Nord da ormai tre anni e che minacciava sempre più da vicino anche il Sud.

    Fuori era caldo e dm uscì volentieri dalla grotta che occupava con la sua famiglia, composta dal padre br, dalla madre mrr e dalla sorellina che per ora si chiamava solo aaa. 

    La presenza acre del fumo all’interno della caverna lo aveva oppresso per tutta la notte e adesso non vedeva l’ora di respirare un po’ di aria pulita.

    dm era un bambino di circa cinque anni, normalmente alto e non particolarmente robusto per essere un Neanderthal, aveva un bel naso importante e una cascata di ricci scuri ad incorniciare un volto affilato sul quale spiccavano due occhi neri e vivi.

    Nonostante fosse primavera inoltrata, il sole era sorto tardi e per lui questo era causa di tristezza. Amava il calore e la luce che l’astro gli donava ogni giorno, aveva il terrore della notte e del buio.

    Non indossava nulla, proprio come la sorella e la madre. Solo il padre portava una larga striscia di pelle a tracolla, che copriva una spalla e si allargava un poco sulla schiena e sul petto, legata in vita da una liana passata più volte a mo’ di cintura.

    Erano fermi ormai da un mese in quel posto, la madre aveva dato alla luce una femmina… puah, non avrebbe potuto lottare con lei come facevano cn e sl, i figli del gigante con i quali avevano condiviso un lungo tratto di strada, la bambina poteva solo stare in braccio e frignare come ea, la sorella di cn e sl

    Scappavano verso sud dal freddo e dal buio che attanagliavano il centro dell’Europa e lui e famiglia si erano uniti in carovana con altri disperati come loro per proteggersi dai pericoli del viaggio, anche se poi i pericoli maggiori derivavano dalla forzata convivenza di tanti uomini brutali.

    Alcuni, particolarmente primitivi e violenti, venivano comunemente chiamati orchi, e se possibile erano tenuti a distanza. I giganti torreggiavano su tutti per la loro altezza, e dominavano grazie alla forza fisica ed al coraggio; rispetto agli orchi, però, mostravano un maggior controllo sui propri istinti più bassi. Tutti si assoggettavano alle loro decisioni, o ne pativano le conseguenze. Ai margini della comunità, gli individui più minuti e gracili, spesso definiti nani, cercavano di sopravvivere senza attirare troppo l’attenzione, e lo stesso facevano gli elfi, che si distinguevano per i sensi acuti e la natura schiva e prudente.

    Il poco cibo a disposizione veniva conteso con feroci risse che spesso degeneravano in brutali omicidi e fu proprio dopo uno di questi che il gigante prese la leadership e ordinò che tra i partecipanti fossero stabilite delle regole: che non si potesse uccidere né rubare, e nemmeno approfittare delle donne degli altri; chi avesse trasgredito sarebbe stato allontanato dalla carovana e costretto a morire di stenti da solo.

    Il gigante diceva di chiamarsi dn e di venire da est, dove, al protrarsi delle condizioni proibitive, il suo clan, composto da lui e i suoi due fratelli e le loro famiglie, aveva deciso di dividersi per aumentare le possibilità di sopravvivenza e anche per dissapori interni. tr era andato verso nord, lk era andato a ovest. Verso sud, naturalmente, non si erano avventurati perché le montagne costituivano un baluardo insormontabile.

    dm ammirava moltissimo quell’uomo, aveva un corpo splendido e muscoloso, era alto e forte e portava una pelliccia di orso che, si diceva, aveva ucciso da solo con la lancia. Le cicatrici che ne devastavano la schiena testimoniavano quella storia, senza bisogno di sentirla tutte le sere attorno al focolare.

    Il carisma e le dimensioni enormi di dn avevano dissuaso anche i più bellicosi dal provare a obbiettare.

    Il padre di dm era tra i meno aggressivi, ma il gigante lo stimava molto e il ragazzo li sentiva spesso parlare tra loro. Quando avevano incontrato uno scheletro di animale gigantesco che giaceva in fondo ad una rupe dalla notte dei tempi, il padre con una scheggia d’osso durissimo aveva fabbricato un coltello. Giorno dopo giorno lo aveva levigato, producendo un’arma micidiale che non necessitava di essere affilata dopo ogni uso come quelle di pietra. Questo suscitò in tutti una certa ammirazione, ma non in dm, che vedeva in suo padre un vigliacco e avrebbe voluto essere come il gigante.

    dm aveva il compito di andare a prendere l’acqua al fiume, che distava un chilometro: le due zucche che utilizzava come borraccia gli pendevano sulla pancia, la salita del ritorno sarebbe stata faticosa. 

    Prima che suo fratello fosse preso dal leone delle caverne, in una notte in cui si era spento il fuoco, svolgeva i suoi compiti insieme a lui.

    Suo padre aveva scacciato il leone, ma non abbastanza in fretta; aveva avuto paura, dm glielo aveva letto negli occhi, ed aveva esitato per un tempo che a lui era sembrato eterno, ma sufficiente al leone per afferrare bl.

    Lui, promise a se stesso dm, non avrebbe mai avuto paura.

    Un olezzo di escrementi lo colpì come una manata, ma non ebbe paura, riconobbe l’odore dell’erba lavorata dagli intestini e poi li vide: erano tre enormi pachidermi con due lunghissimi corni sul naso, quello anteriore era sicuramente più alto di lui. Erano rivestiti di una peluria bruna su tutta il corpo che in prossimità del dorso veniva a farsi via via più fitta e lunga. Ruminavano placidamente l’alta erba della riva.

    Pensò che andare più a monte sarebbe stato meglio, non aveva paura ma era rispettoso, scese con un balzo dal sentiero e in quel momento sentì un urlo: dmmm!.

    In un lampo fu raggiunto dal padre, che lo colpì e lo scaraventò in terra.

    Non andare in quella direzione, non voglio perdere anche te, disse al figlio dolorante, mentre lo riaccompagnava alla grotta. Oggi verrai con me a prendere la legna.

    La giornata procedette noiosa. dm piagnucolò e blandì a lungo il genitore perché gli desse qualcosa da mangiare: era dal mattino precedente che non metteva nulla sotto i denti.

    br fece un ampio giro per controllare le trappole, composte da una pietra piatta tenuta sollevata ad una estremità da un bastoncino, precariamente appoggiato in terra e collegato ad un’esca. Le prime due erano scattate a vuoto, strappando appena un ciuffo di peli alla preda, la terza aveva sotto un topolino minuscolo schiacciato. Il padre lo addentò senza spellarlo e ne divorò gli organi interni e la testa, e solo dopo aver finito cedette alle lagnosissime suppliche del figlio consegnandogli i resti del corpicino smembrato del roditore. Il ragazzo lo ingoiò con avidità senza quasi masticare e pentendosene immediatamente: il boccone gli rimase in gola e lo fece tossire e vomitare.

    Inginocchiato e lacrimante, non capì subito il motivo di quell’ombra che era passata sulle loro teste e il grido del padre lo colse di sorpresa: Al riparo! disse br, e nel contempo lo scaraventò accanto ad un masso poco distante, sotto al quale si ripararono in tempo per vedere scendere una bestia spaventosa: il drg aveva enormi ali membranose, come quelle dei pipistrelli, dotate di potenti uncini sulle articolazioni. 

    Il corpo era rivestito di squame di un color verde opaco, le zampe, dotate di artigli come quelli di un’aquila, sembravano smisurate viste dalla prospettiva della preda, ma erano nulla in confronto alla testa, di dimensioni poco inferiori alla lunghezza dell’intera figura. Il cranio presentava un lungo rostro osseo che conferiva alla nuca un inquietante aspetto aerodinamico; l’ovale del capo era ridotto al minimo per assecondare il lunghissimo muso irto di denti, simile a quello di un coccodrillo.

    L’animale planò sopra alle loro teste ed emise uno stridio di una potenza tale che fece rizzare il pelo sulla schiena ad entrambi.

    L’attacco andò a vuoto ed il drg, dopo aver volteggiato un poco su di loro, si allontanò.

    Lo seguirono con lo sguardo fin quando furono abbastanza sicuri, ma riarmare le trappole toccò a dm: il padre non volle staccare gli occhi dal cielo.

    Si dedicarono poi a quelle residue, trovando un altro topolino e nel cammino verso l’ultima, il padre, fiutando l’aria, lo arrestò. Adesso sentiva anche lui un odore selvatico, sgradevole, sconosciuto.

    br gli intimò con un gesto di rifugiarsi in un boschetto di arbusti poco distante, e da lì dm lo vide raccogliere dell’erba secca, intrecciarla intorno al bastone e proseguire verso la sommità del monte che nascondeva alla vista la sorgente dell’odore.

    dm si inerpicò come una scimmia su un albero dai bassi rami frondosi, e lo scalò in un baleno fino alla cima. Da lì poté vedere suo padre che, sbattendo due pietre tra loro, aveva incendiato la paglia sul manico della lancia, e la stava sventolando sul muso di una iena che cercava di mangiare l’ospite della sua trappola.

    La bestia era enorme, ma aveva paura del fuoco, ringhiando furiosamente si allontanò dal pasto quanto bastava a br per prendere i resti della preda.

    dm, contento, si mise a scendere e, in quel momento, vide un frutto sui rami dell’albero, rosso e appetitoso. Senza pensare lo colse e lo addentò… mmh, era buonissimo.

    Girando gli occhi ne vide altri, più o meno rossi, e sfruttando la propria agilità li colse tutti in pochi secondi, poi scese, desideroso di mostrarli al padre.

    L’orgoglio di sfamare la famiglia lo avrebbe provato anche lui quella sera, era raggiante. Il padre, invece, appena vide i frutti si infuriò e lo picchiò duramente senza neanche dire una parola.

    Umiliato e sanguinante, il ragazzo fece ritorno alla caverna dove, mentre gli altri mangiavano gli abbondanti resti del coniglio sottratto alla iena, a lui il padre diede tre dei frutti che aveva colto. dm notò che aveva scelto quelli meno rossi.

    Beh, pensò, sono deliziosi, almeno mangerò!

    Appena addentò il primo si accorse dello sbaglio:

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1