Clemencia
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Gracile e dall’aspetto malaticcio, Fernando Valle è il comandante d’uno squadrone di cavalleria dell’esercito Repubblicano che si oppone all’invasione francese. Sulla sua vita incombe l’ombra di una tragedia, o forse di un destino avverso. Ripudiato dalla famiglia, egli si getta in battaglia con coraggio e un certo senso di fatalità, di sfida alla morte. Mai nessuna donna è riuscita a farsi amare da lui: troppo preso dalla vita militare, dalla voglia di distinguersi e di ottenere la gloria sul campo, a discapito della sua vita, mettendola a rischio ogni giorno. Finché il suo reggimento non arriva a Guadalajara e Valle conosce sua cugina Isabel. Da quel momento tutto cambia. Assieme al suo amico, il comandante Enrique Flores, uomo affascinante e abile, frequentatore dell’alta società e delle più belle donne di Città del Messico, Valle va a trovare sua cugina nella dimora di lei, e qui la giovane presenta a entrambi la sua cara amica Clemencia. Se Isabel è remissiva, timida e devota, Clemencia – un po’ come Flores – è esuberante, passionale ed energica. Ben presto l’interesse delle due giovani sembra propendere verso l’aitante Enrique Flores, mentre il misterioso e oscuro passato di Valle genera il sospetto di tutti. Ma la guerra incalza, e l’esercito nemico s’avvicina obbligando i quattro giovani a prendere delle difficili decisioni.
BIOGRAFIA AUTORE: Ignacio Manuel Altamirano nacque a Tixtla, in Messico, da una famiglia di indios. Scrittore, giornalista, politico, insegnante e letterato. Combatté contro il santanismo e fu soldato nella cosiddetta Guerra della Riforma. Fu contrario all’invasione straniera del suo paese e promotore, anni più tardi, di leggi a favore dell’istruzione primaria gratuita e obbligatoria. È stato anche procuratore generale della repubblica, presidente della corte suprema e magistrato. Svolse attività diplomatiche a Barcellona e a Parigi come console, e fu iniziato nel 1870 all’ordine della massoneria. Morì a Sanremo, in Italia, nel 1893. In suo onore è stata istituita una medaglia per tutti gli insegnanti dopo 50 anni di carriera nell’insegnamento.
BIOGRAFIA TRADUTTORE: Claudio Piras Moreno è nato a Lanusei nel 1976, è attore teatrale, traduttore, poeta e scrittore. Ha svolto i lavori più disparati. Scrive per vari blog e periodici online. Il primo romanzo che ha scritto è stato Il crepuscolo dei gargoyle (fantasy pubblicato nel 2012), seguito da Il Signore dei sogni (romanzo filosofico pubblicato nel 2011), poi da Mare di ombre (poesie del 2013) e da L’icore umano (racconti, 2012). Il racconto che dà il titolo a quest’ultima raccolta ha vinto il secondo premio nel concorso “Lettere in aria” (2011). Nel 2012 è stato rappresentato da uno degli agenti letterari più importanti in Italia, grazie al suo romanzo: Macerie (pubblicato nel 2014). Macerie è stato tradotto da Raphael Hernández Aguilar e da Marina Riva López nel 2019 con il titolo El hombre sin memoria; Nel 2018 l'autore ha pubblicato In fondo al mare la luna (romanzo di letteratura del mare), e nel 2019 la traduzione dei romanzi di Ignacio Manuel Altamirano, considerato il padre della letteratura messicana, Zarco (2019) e Clemencia (2020).
L’autore ha inoltre ricevuto menzioni speciali ed è stato pubblicato in antologie di poeti contemporanei. Nutre un forte interesse per la letteratura, la filosofia e l’economia. Per anni ha praticato karate e trekking. Assieme alla giornalista Martha Bernal ha tradotto per conto dell’autore il romanzo El País de la canela di William Ospina, con il titolo Il Paese della cannella.
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Anteprima del libro
Clemencia - Ignacio Manuel Altamirano
Clemencia
Ignacio Manuel Altamirano
Traduzione di: Claudio Piras Moreno
Copertina: Jozsef Borsos (1821-1883) — Girl with Flowers, 1856
Elaborazione grafica copertina: Luciano Piras
© Tutti i diritti di questa traduzione sono riservati al traduttore
Nessuna parte di questa versione del libro può essere riprodotta senza
il preventivo assenso del traduttore in questione.
Sommario
Clemencia
Ignacio Manuel Altamirano
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Epilogo
I libri di Altamirano tradotti da me:
Libri di Teresa de la Parra
Libri di Claudio Piras Moreno
1
Due citazioni dal racconto di Hoffman
Una notte di dicembre, mentre per strada il vento penetrante dell’inverno, accompagnato da una pioggia fine e gelida, metteva in fuga i passanti, io e vari altri amici del dottor L. prendevamo il tè comodamente sistemati in una zona confortevole della sua bella e modesta casa. Quando ci alzammo da tavola, il dottore, dopo essersi affacciato a una delle finestre, che si affrettò a chiudere, venne a dirci:
––Signori, continua a piovere, e credo stia scendendo pure della neve; se anche ora desideraste partire, sarebbe un’imprudenza uscire con questo tempo indemoniato. Credo facciate meglio a trattenervi ancora per un po’; trascorreremo il tempo allietandoci con dei racconti, giacché a questo servono le notti d’inverno. Venite nel mio studio, che funge anche da salone, così potrete ammirare dei buoni libri e alcune interessanti opere d’arte.
Accettammo di buon grado e seguimmo il dottore nel suo studio. Ovvero in una sala ampia ed elegante dove pensavamo di trovare uno o due di quegli scheletri spaventosi che di solito rappresentano il più ricco ornamento negli studi dei medici; ma con sommo piacere notammo l’assenza di un così lugubre ospite, sostituito da preziosi scaffali di legno di roseto, di una forma moderna e semplice, ricolmi di libri riccamente rilegati, che tappezzavano, per dirla così, le pareti.
Sopra gli scaffali, che appena misuravano due vare¹ d’altezza, e nei buchi lasciati vuoti, c’erano appese delle bellissime e rare incisioni, così come ritratti di famiglia. Sul tavolo si vedevano alcuni libri, ancor più mirabili per la loro edizione e la loro rilegatura.
Il dottore L., che è un bel giovane scapolo di trent’anni, ha servito nel Corpo Medico militare e ha acquisito un certo credito nella sua professione; ma i suoi studi specialistici non l’hanno distolto dalla sua appassionata propensione alla bella letteratura. È un letterato istruito e amabile, un uomo di mondo, un pelino disincantato dalla vita, ma pieno di sentimenti e di idee elevate e nobili.
Non scrive, ma incoraggia i suoi amici, li consiglia ed essendo ricco fa loro da potente Mecenate, conscio che la gioventù s’affida volentieri a un aiuto, come gli sventurati con un sacerdote, e nello stesso identico modo il dottore persegue la sua santa missione di filantropo. Questo più di tutto ci ha portati ad amarlo e ad apprezzare la sua amicizia come fosse un tesoro inestimabile.
Ma, lasciando da parte l’enumerazione delle sue qualità che, lo confessiamo, non contano un granché per far capire la natura di quest’umile leggenda, e che facciamo qui solo come un giusto elogio di un così eccellente soggetto, continuiamo la narrazione di quanto avvenuto quella sera.
Il dottore chiese al suo domestico un recipiente e il necessario per prepararci un punch davvero opportuno in una notte simile, e mentre lui era intento a mischiare il kirchwasser² con il tè e lo sciroppo, e a rimuovere i pezzi di limone tra fiamme azzurrognole, noi esaminavamo, ora un quadro, ora un libro, o ripassavamo i mille ritratti collezionati in una mezza dozzina di album di diversa forma e dimensione.
Noi, con una lampada in mano, passavamo in rassegna le incisioni appese alle pareti, quando d’improvviso scoprimmo in un piccolo quadro, con una cornice nera finemente intarsiata, un foglio a mo’ di lettera. Era in effetti, un foglio bianco con alcune righe che tentammo di decifrare. La scrittura era piccola, elegante e sembrava di donna. Con l’aiuto della luce vedemmo che queste righe dicevano:
Nessun essere può amarmi, perché non c’è niente in me di simpatico o di dolce.
Hoffmann, Il cuore di Agata.
Ora che per noi è troppo tardi tornare indietro, chiediamo a Dio la pazienza e il riposo…
Hoffmann, La catena dei predestinati
––Dottore ––gli dissi–– possiamo essere indiscreti e chiederle cosa significhi questo foglio con le citazioni dei racconti di Hoffmann?
––Ah, amico mio, ha già scoperto quel foglio?
––L’ho appena finito di leggere, e mi incuriosisce.
––Ebbene, non c’è indiscrezione nella domanda. Ma per me è doloroso rispondere, anche se non impossibile né imprudente. Quel foglio nasconde una storia d’amore e di disgrazia, e se ne avrete il piacere, ve la riferirò mentre assaporerete il mio famoso punch. Ecco qui, signori, il mio famoso punch di girsch, che rende immuni, non solo al miserabile freddo del Messico, ma persino a quello russo. Ora, ditemi, volete anche la storia assieme al punch?
––Sì, dottore, la storia; vogliamo anche quella.
Il dottore servì a ognuno una rispettabile dose della calda e gustosa mistura, assaporò con voluttuosità i primi sorsi dalla sua tazza e, vedendoci attenti e impazienti, cominciò la sua narrazione.
2
Il mese di dicembre del 1863
Ci trovavamo a fine 1863, anno disgraziato nel quale, come voi ricorderete, l’esercito francese occupò il Messico e iniziò a estendersi poco a poco, allargando il campo dei suoi domini. Cominciò per gli stati centrali della Repubblica, che occupò senza sprecare una sola cartuccia, perché la nostra tattica consisteva nel ritirarci e prendere posizioni negli Stati lontani per preparare in essi la difesa. I nostri generali non pensavano ad altro, e forse avevano ragione loro. Ci trovavamo in tempi nefasti, la disgrazia ci perseguitava, e ogni battaglia che avessimo affrontato in un’epoca simile, sarebbe finita per noi in un nuovo disastro.
Cosicché, ci ritiravamo, e le legioni francesi, accompagnate dai loro alleati messicani, avanzavano sulle popolazioni inermi che spinte dalla paura si vedevano spesso costrette a riceverle con archi trionfanti; e si può dire che i nostri nemici marciassero guidati dalle colonne di polvere del nostro esercito che ripiegava davanti a loro. Perciò, le tre divisioni dell’esercito franco-messicano, comandate da Douay, Berthier e Mejía, e partite nei mesi di ottobre e di novembre dal Messico da differenti direzioni, al fine di circondare l’esercito nazionale e impadronirsi delle migliori postazioni dell’interno, occuparono Toluca, Querétaro, Morelia, Guanajuato e San Luis Potosí.
Siccome il generale Comfort era stato assassinato a Chamacuero dai Troncosos³ appena dopo esser stato messo a capo dell’esercito nazionale, il suo secondo, il generale Draga, divenne il comandante in capo delle nostre truppe.
Draga decise di evacuare le postazioni che occupava, sicuramente con il proposito di piombare in seguito su alcune di quelle che avrebbe preso il nemico. Partì da Querétaro con il grosso dell’esercito, ordinando al generale Berriozábal, governatore di Michoacán, d’abbandonare Morelia e ritirarsi a Druapan per riunirglisi successivamente.
I francesi, allora, s’impadronirono di Querétaro e Morelia. Il grosso del nostro esercito, con Draga in testa, si diresse a La Piedad, nello Stato di Michoacán. Pochi giorni dopo, Doblado evacuò Guanajuato e partì per Lagos e Zacatecas. Il governo nazionale si ritirò da San Luis Potosí, occupato poi da Mejía, e si diresse a Saltillo dopo la disfatta subita dalla divisione di Negrete nel suo tentativo d’assaltare quella postazione.
Cosicché, in due mesi scarsi, l’invasore si estese nel cuore del Messico, senza trovare alcuna resistenza. Gli mancavano da occupare Zacatecas e Guadalajara. Questo fu fatto poco più tardi, e le zone conquistate furono liberate soltanto quando Draga, dopo esser stato respinto dalla piazza di Morelia difesa da Marquéz, si vide obbligato a dirigersi al sud di Jalisco, dove pensava di rinforzarsi nelle Barrancas e di resistere da lì. Quando Draga prese questa direzione, il generale Arteaga evacuò anche Guadalajara dalle truppe ivi stanziate e si ritirò a Sayula, incorporandosi poi a Draga. Bazaine, generale in capo dell’esercito francese, occupò quindi la capitale di Jalisco.
Ora devo tornare un po’ indietro, al mese di novembre, ai giorni in cui il nostro esercito si dirigeva a La Piedad, per dirvi che io, alquanto malato e senza incarichi nel Corpo Medico Militare, ottenni licenza dal quartier generale per dirigermi a Guadalajara, e approfittai della partenza di un piccolo reparto di cavalleria che il generale inviò ad Arteaga, per incorporarmi a lui. Questo reparto scortava un convoglio di vestiari e armamenti che si giudicò conveniente mandare a Guadalajara, dove il generale Arteaga avrebbe potuto utilizzarli.
Ebbene, io e i soldati di quel reparto marciavamo notevolmente contrariati per non poter partecipare alle schermaglie che si sarebbero verificate entro pochi giorni.
3
Il comandante Enrique Flores
Debbo interrompere qui il fastidioso resoconto storico che mi son visto obbligato a intavolare, primo per quella inclinazione che abbiamo noi dell’esercito di parlare di operazioni militari, manovre e campagne, e inoltre per stabilire i fatti, fissare i luoghi e inquadrare l’epoca precisa degli accadimenti.
Adesso inizio il mio racconto, che certo non sarà un romanzo militare, ossia un libro sulla guerra con combattimenti, bensì sarà una storia di sentimento, una storia intima, né potrei fare altrimenti, poiché sono carente di immaginazione per ordire trame e per preparare colpi di scena. Quel che riferirò è tutto vero; se non fosse così non sarebbe un ricordo tanto vivido, disgraziatamente, nel libro fedele della mia memoria.
Il colonello di cui ho appena parlato era un bellissimo ufficiale: chiamiamolo X… I nomi non fanno testo e preferisco cambiarli, perché dovrei nominare persone ancora viventi, il che per me sarebbe, perlomeno mortificante.
Un altro ufficiale, il comandante Enrique Flores, comandava uno degli squadroni; giovane e appartenente a una famiglia di ottima posizione sociale, gagliardo, bravo ragazzo, dai modi raffinati, alle caratteristiche che ho appena enunciato ne sommava una non meno importante: era un uomo estremamente simpatico. Uno di quegli uomini i cui occhi sembrano esercitare sulle persone su cui si fissano un dominio irresistibile e gradito.
Forse è proprio per tale ragione che il comandante Flores era idolatrato dai suoi soldati, molto amato dai compagni ed era il favorito del suo superiore, infatti il colonello non aveva altra volontà di quella di Enrique. Tant’è che Flores fungeva da portavoce del suo reparto, e i generali ai cui ordini era stato, conoscendo l’influenza che esercitava sul suo superiore e il suo prestigio tra le truppe, non perdevano occasione per osannarlo, per colmarlo di attenzioni e per fargli intravedere una imminente e onorata promozione.
Siccome erano i tempi in cui, con più facilità che mai, si risalivano gli scalini dei più alti impieghi, si sussurrava che il colonello sarebbe stato promosso a generale, e che a quel punto Flores gli sarebbe succeduto al comando del reggimento, forse con lo stesso ruolo che egli aveva.
In più, e questo è da supporsi, Flores era pericoloso per le donne, perché irresistibile, e difatti nell’esercito circolavano di bocca in bocca mille racconti di avventure galanti che lo vedevano protagonista e che rivelavano la sua incredibile fortuna in questioni d’amore.
Flores, d’altronde, non perdeva mai l’opportunità di approfittare delle sue preziose prede; e nonostante l’esercito, a quel tempo, non facesse altro che marciare in opposte direzioni e attraversare rapidamente le varie città, il comandante, senza disattendere i suoi doveri, trovava gli opportuni spazi di tempo per corteggiare le più belle giovani dei luoghi toccati, non essendo per niente difficile per lui concludere una conquista in pochi giorni e, talvolta, in poche ore.
Praticamente non ripartiva mai da una città, senza portare via con sé dolci e grati ricordi di essa; né mancavano di versare lacrime per lui gli occhi più affascinanti dell’abitato.
Tutto ciò era già noto; non appena risuonava l’adunata per la partenza, non appena si udiva l’eco dei passi di marcia, mentre la maggior parte di noi attraversava i paesi e le città con indifferenza, preoccupandosi soltanto di fare le valigie e comprare provviste, Enrique, dopo aver dato gli ordini dovuti ai suoi capitani, ogni volta si appartava per un po’ dalla colonna per galoppare su uno dei suoi superbi cavalli in direzione della casa della sua amata del giorno, per stringerle la mano e ricevere, in cambio di teneri sguardi, un fazzoletto umido di lacrime, un ricciolo di capelli, un ritratto o un anello. Che uomo fortunato!
No, non proprio: perché devo confessarvi che in realtà Flores era un seduttore; la sua fisionomia era virile quanto bella; aveva grandi occhi azzurri, grandi baffi biondi, fisico erculeo, ben proporzionato, e aveva fama di essere coraggioso. Suonava il pianoforte con abilità e buon gusto, era elegante per istinto, tutto quel che indossava gli stava a meraviglia, perciò, era il dandy per eccellenza dell’esercito.
Spendaccione, raffinato, allegro, burlone, altezzoso e un pizzico vanitoso, possedeva tutte le qualità giuste e i difetti che amano le donne, e che sono efficaci per attrarle.
Per questo le ragazze più belle di Querétaro, prima, e di Guadalajara poi, smaniavano per ballare con lui, amavano appoggiarsi al suo braccio e si deliziavano delle sue conversazioni sprizzanti grazia e ingegnose sottigliezze e, soprattutto, amavano la sua galanteria.
Enrique era il tipo completo del leone parigino nella sua elegante espressione, ed emanava da lui, se mi è permessa questa figura, questo delicato aroma di distinzione che caratterizza la gente perbene.
Inoltre, Flores era un giocatore e, per mera eccezione della famosa regola, guadagnava molto. Pareva che un nume tutelare vegliasse su questo giovane aprendogli sempre sorridente le porte del santuario dell’amore, del piacere e della fortuna. Di certo, quando noi ci trovavamo in perdita, Flores aveva nel suo borsello alcune centinaia di once d’oro e ricchi gioielli che a quei tempi valevano un tesoro.
Flores non mancava mai l’occasione di rendere un servigio, e i suoi amici lo adoravano per la sua generosità.
Mi sono intrattenuto nella descrizione del carattere del primo dei miei personaggi, perché su questo ho le mie idee: desidero che voi lo conosciate perfettamente per comprendere da voi la ragione di vari accadimenti che debbo ancora narrarvi.
Tale era il comandante Enrique Flores.
4
Il comandante Fernando Valle
In quello stesso reggimento c’era pure un giovane comandante che si chiamava Fernando Valle e che comandava il secondo squadrone. Costui era l’esatto contrario, l’alter ego, dell’uomo dal simpatico e amabile carattere che ho appena terminato di tratteggiare a lunghe pennellate, ossia di Flores.
Valle era un ragazzo di venticinque anni come Flores, ma dal corpo rachitico e gracile; moro, ma non del colorito abbronzato e gradevole degli spagnoli, né di quel moro scuro tipico dei mulatti, bensì di quel colore pallido e infermo che rivela o una malattia cronica o abitudini disordinate.
Aveva occhi castani e regolari, naso leggermente aquilino, baffi piccoli e neri, capelli lisci, scuri e corti, mani fini e tremolanti.