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Racconti d'inverno: con incluso Natale sui monti
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Racconti d'inverno: con incluso Natale sui monti
E-book324 pagine4 ore

Racconti d'inverno: con incluso Natale sui monti

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Info su questo ebook

Racconti d'inverno è una raccolta di racconti storici a sfondo romantico ambientati nel Messico dell'ottocento. Incluso nella raccolta c'è il romanzo breve Natale sui monti.

BIOGRAFIA AUTORE: Ignacio Manuel Altamirano nacque a Tixtla, in Messico, da una famiglia di indios. Scrittore, giornalista, politico, insegnante e letterato. Combatté contro il santanismo e fu soldato nella cosiddetta Guerra della Riforma. Fu contrario all’invasione straniera del suo paese e promotore, anni più tardi, di leggi a favore dell’istruzione primaria gratuita e obbligatoria. È stato anche procuratore generale della repubblica, presidente della corte suprema e magistrato. Svolse attività diplomatiche a Barcellona e a Parigi come console, e fu iniziato nel 1870 all’ordine della massoneria. Morì a Sanremo, in Italia, nel 1893. In suo onore è stata istituita una medaglia per tutti gli insegnanti dopo 50 anni di carriera nell’insegnamento.

BIOGRAFIA TRADUTTORE: Claudio Piras Moreno è nato a Lanusei nel 1976, è attore teatrale, traduttore, poeta e scrittore. Scrive per vari blog e periodici online. Il suo primo romanzo è stato Il crepuscolo dei gargoyle (fantasy, pubblicato nel 2012), seguito da Il Signore dei sogni (romanzo filosofico pubblicato nel 2011), poi da Mare di ombre (raccolta di poesie del 2013) e da L’icore umano (racconti, 2012). Il racconto che dà il titolo a quest’ultima raccolta ha vinto il secondo premio nel concorso “Lettere in aria” (2011).
Nel 2012 è stato rappresentato da uno degli agenti letterari più importanti in Italia, grazie al suo romanzo di realismo magico: Macerie (scritto nel 2011 e pubblicato nel 2014 con un editore). Macerie è stato tradotto da Raphael Hernández Aguilar e da Marina Riva López nel 2019 con il titolo El hombre sin memoria; Nel 2018 l'autore ha pubblicato In fondo al mare la luna (romanzo di letteratura del mare), e nel 2019 la traduzione di Zarco, romanzo di Ignacio Manuel Altamirano, considerato il padre della letteratura messicana. A questa traduzione hanno fatto seguito Clemencia e Racconti d'inverno, sempre di Altamirano. Infine ha tradotto in italiano Las memorias de Mamá Blanca di Teresa de la Parra.
Claudio Piras Moreno ha inoltre ricevuto menzioni speciali ed è stato pubblicato in antologie di poeti contemporanei. Nutre un forte interesse per la letteratura, la filosofia e l’economia. Per anni ha praticato karate e trekking. Assieme alla giornalista Martha Bernal ha tradotto per conto dell’autore il romanzo El País de la canela di William Ospina, con il titolo Il Paese della cannella.
LinguaItaliano
Data di uscita29 set 2021
ISBN9791220849739
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    Racconti d'inverno - Ignacio Manuel Altamirano

    Ignacio Manuel Altamirano

    RACCONTI D’INVERNO

    con incluso Natale sui monti

    Traduzione di Claudio Piras Moreno

    Copertina: httpspixabay.comitphotoscatrina-cranio-giorno-dei-morti-5060422

    © Tutti i diritti di questa traduzione sono riservati al traduttore

    Nessuna parte di questa versione del libro può essere riprodotta senza

    il preventivo assenso del traduttore in questione.

    Copertina:

    © Tutti i diritti di questa traduzione sono riservati al traduttore

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    il preventivo assenso del traduttore in questione.

    NATALE SUI MONTI

    Capitolo I

    Il sole si stava già nascondendo. Come un gigantesco gregge le nebbie salivano dal seno profondo delle valli trattenendosi un attimo tra gli oscuri boschi e le gole nere della cordigliera; poi avanzavano con rapidità verso le vette; si staccavano maestose dalle cime aguzze degli abeti e in ultimo andavano ad avvolgere la superba facciata delle rocce, titaniche guardiane della montagna che da migliaia di secoli sfidavano le tempeste del cielo e le scosse del terreno.

    Gli ultimi raggi del sole morente creavano frange d’oro e di porpora sugli enormi turbanti di nebbia; sembravano incendiare le nubi raggruppate all’orizzonte, e nel ritirarsi dalle pianure invase dall’ombra i loro evanescenti riflessi tremolavano tra le acque tranquille del lago lontano e infine sparivano dopo aver illuminato con una carezza l’oscura cresta di quel mare di porfido.

    Ovunque, gli ultimi rumori del giorno annunciavano l’approssimarsi della quiete. Nelle valli distanti, sulle pendici delle colline, sulle rive dei fiumi, si vedevano riposare mandrie calme e silenziose; i cervi passavano come ombre tra gli alberi, in cerca di rifugi nascosti; gli uccelli, accoccolati in letti di rami, intonavano i loro inni alla sera; nei campi appena sarchiati si accendevano allegri falò di pino, mentre il vento glaciale dell’inverno cominciava ad agitarsi tra le foglie.

    Capitolo II

    La notte si avvicinava serena e seducente: era il 24 di dicembre, e presto il Natale avrebbe percorso il nostro emisfero animando le località cristiane con la sua aura sacra e le sue intime armonie. Chi non sente, essendo cristiano, e avendo udito rinnovare ogni anno dell’infanzia la poetica leggenda della nascita di Gesù, ravvivarsi in codesta notte i più teneri ricordi giovanili?

    Povero me, quel giorno mi trovavo immerso nel silenzio di boschi maestosi, in presenza di un imponente spettacolo. Si rivelava alla mia vista invadendomi i sensi. Rapito dall’ammirazione causata da una simile perfezione della natura non potei far altro che interrompere il mio doloroso meditare e chiudermi in religioso raccoglimento invocando i più dolci e lieti ricordi di gioventù. Essi si risvegliarono allegri come uno sciame di api chiassose e mi trasportarono verso altri tempi, altri luoghi; prima in seno alla mia umile e devota famiglia, poi al centro di città affollate, dove in un delizioso concerto, l’amore, l’amicizia e il piacere avevano reso più gradita al mio cuore quella notte benedetta.

    Ricordavo il mio paese, il mio amato paese, i cui abitanti con aria di sfida celebravano ballando, cantando e con modesti banchetti la Natività. Mi sembrava di rivedere le povere case abbellite dai presepi e animate dall’allegria familiare; ricordavo la piccola chiesa illuminata, dal cui portico si intravedeva il magnifico presepe, curiosamente allestito nell’altare maggiore; mi sembrava di udire gli armoniosi rintocchi risuonanti dal campanile mezzo distrutto che richiamavano i fedeli alla messa di mezzanotte, e ancora con il cuore palpitante ascoltavo la dolce voce del mio povero e onesto padre che spronava i miei fratelli e me a prepararci in fretta per andare in chiesa, onde arrivare in tempo; e ancora sentivo la mano della mia buona e santa madre prendermi per accompagnarmi alla funzione.

    In seguito, mi sembrava d’arrivare, di penetrare la folla che si precipitava nell’umile navata, avanzare fino ai piedi del presbiterio, e di inginocchiarmi lì, ammirando la bellezza delle immagini, il portale risplendente di brina, l’espressione sorridente dei pastori, il lusso abbagliante dei Re Magi e la splendida illuminazione dell’altare. Inspiravo deliziato la fresca e saporita fragranza dei rami di pino e del fieno attorcigliatovi sopra che ricopriva la ringhiera del presbiterio e nascondeva la base dei candelieri. Quindi vedevo apparire il sacerdote abbigliato d’un camice ricamato, con la casula di broccato, seguito dai chierichetti vestiti di rosso e con delle cotte bianchissime.

    E poi, la voce del celebrante che si elevava sonora tra i devoti mormorii degli astanti quando cominciavano a innalzarsi le prime colonne d’incenso, dell’incenso raccolto dai meravigliosi alberi dei miei boschi nativi: con il suo aroma mi portava i profumi dell’infanzia; risuonavano ancora nelle mie orecchie i gioiosi suoni popolari con i quali i suonatori d’arpa, di mandolino e di flauto, salutavano la nascita del Salvatore. Il Gloria in excelsis, quel cantico che la religione cristiana poeticamente suppone intonato dagli angeli, accompagnato da allegri rintocchi, dal chiasso dei petardi e dalla fresca voce dei bambini del coro; sembrava trasportarmi con un’illusione incantatrice al fianco di mia madre che piangeva d’emozione; dei miei fratelli che ridevano, e di mio padre, la cui espressione triste e severa, sembrava illuminata dalla pietà religiosa.

    Capitolo III

    E solo un attimo dopo, in cui votavo la mia anima al culto assoluto dei miei ricordi infantili, con una transizione lenta e penosa mi trasferivo in Messico, il luogo depositario delle mie tante impressioni di bambino.

    Quello era un quadro diverso. Non più di famiglia; mi trovavo tra estranei; ma estranei amici: la bella giovane per la quale sentii per la prima volta palpitare il mio cuore innamorato, e la famiglia dolce e buona che con il suo affetto tentò di attenuare l’assenza della mia.

    Vi erano le locande dagli innocenti piaceri e con la loro mondana e chiassosa devozione; la cena di Natale con cibi tradizionali e gustose ghiottonerie; insomma, era il Messico con la sua gente canterina ed entusiasta che a Natale brulica per le strade inseguendo l’alba; con la Piazza d’armi piena di bancarelle di dolci; con i portali risplendenti; la pasticceria francese in mostra nei buffet illuminati a gas; un mondo di giochi e di fantastiche confetture; e c’erano i sontuosi palazzi riversanti torrenti di luce e di armonia dalle finestre. Tutta una festa, che ancora mi causava una sensazione di vertigine.

    Capitolo IV

    Ma tornando dal mondo dei ricordi alla realtà che mi circondava, si impossessò di me un sentimento di tristezza. Ahi, avevo ripassato nella mente i bei quadri dell’infanzia e della giovinezza; ma essi si allontanavano da me a passi veloci, e il tempo trascorso dal loro poetico addio, rendeva più amara la mia attuale situazione.

    Dove mi trovavo? Che giorno era? Dove stavo andando? Un sospiro di angoscia rispondeva a ogni nuova domanda. Nel mentre, lasciavo le redini al mio cavallo, che continuava a camminare lento.

    Mi ero perso in mezzo a quell’oceano di montagne solitarie e selvagge; ero un proscritto, vittima delle mie passioni politiche, e forse andavo in cerca di quella stessa morte che così facilmente le fazioni partecipanti a una guerra civile decretano contro i loro nemici.

    Quel giorno attraversavo un sentiero stretto e impervio, fiancheggiato da profondi crepacci e da boschi colossali la cui ombra intercettava la già debole luce crepuscolare. Mi era stato detto che avrei terminato la giornata in un paesello di montanari poveri e ospitali che vivevano dei prodotti della terra, e che godevano di un benessere relativo grazie alla distanza dai grandi centri popolati, e alla bontà delle loro consuetudini patriarcali.

    Dopo un estenuante giorno di marcia immaginavo ormai di trovarmi vicino al luogo tanto desiderato; il sentiero diventava più praticabile, sembrava scendere soavemente in fondo a una delle gole della sierra. A giudicare dai posti che cominciavo a distinguere, essa aveva l’aspetto di una valle gaudente: coi ruscelli che l’attraversavano; le capanne di pastori e di vaccari che spuntavano a ogni passo a un lato del sentiero; e, infine, quell’aspetto singolare che ogni viaggiatore sa apprezzare persino attraverso le ombre della notte.

    Qualcosa mi annunciava che presto mi sarei ritrovato dolcemente avvolto sotto il tetto di una capanna ospitale, dove avrei potuto riscaldare le mie membra intirizzite dall’aria montana; all’amore di una luce benefica, e festeggiato da quella gente rude, ma semplice e buona alla cui virtù io dovevo, da parecchio tempo, indimenticabili servigi.

    Durante il giorno, il mio domestico, un vecchio soldato abituato alle lunghe marce e al fastidio della solitudine, aveva cercato di distrarmi: ora cacciando al passo, ora cantando, e non poche volte parlando da solo, come se stesse evocando i fantasmi dei commilitoni del reggimento.

    Da diversi minuti si era allontanato per esplorare il terreno e, soprattutto, per lasciarmi alle mie tristi meditazioni.

    A un certo punto lo vidi tornare al galoppo, come se portasse una notizia straordinaria.

    ––Cosa succede, González? ––gli chiesi.

    ––Nulla, mio capitano. Ma, ho visto delle persone a cavallo davanti a noi e mi sono avvicinato per capire chi fossero e prendere delle informazioni. Ho scoperto che sono il prete del paese in cui stiamo andando e il suo garzone. Stanno tornando da una confessione e vanno a celebrare il Natale. Appena gli ho detto che il mio capitano stava nelle retrovie, il signor curato mi ha chiesto di venire a offrirle da parte sua un alloggio, e si è fermato per aspettarci.

    ––E lo hai ringraziato?

    ––Certo, mio capitano. Gli ho anche detto che in effetti abbiamo bisogno d’aiuto, perché siamo stanchi e non abbiamo trovato in tutto il giorno un misero ranch in cui mangiare e riposare.

    ––E cosa ne dici? Sembra un buon soggetto il prete?

    ––È spagnolo, mio capitano, e credo sia un uomo d’un pezzo.

    ––Spagnolo! ––dissi io–– questo sì che mi preoccupa; non ho mai conosciuto chierici spagnoli che non fossero gesuiti o carlisti, ed erano tutti malvagi. Tuttavia, per non incorrere in incidenti diplomatici, meglio evitare qualsiasi contrarietà. Almeno passeremo una notte gradevole. Andiamo, González, raggiungiamo il prete.

    Dicendo questo, lanciai al galoppo il mio cavallo, e un minuto dopo arrivammo dove ci attendevano l’ecclesiastico e il suo garzone.

    Avvicinandosi lui per primo con finezza squisita, e togliendosi il copricapo di tela mi salutò cortesemente.

    ––Signor capitano ––mi disse–– ho sempre piacere a offrire la mia umile ospitalità ai pellegrini che suole portare la rara casualità su queste montagne; ma stanotte il mio compito è doppio, perché è una notte sacra per i cuori cristiani, e il proprio dovere bisogna compierlo con entusiasmo: è Natale, signore.

    Ringraziai il buon sacerdote per la gentilezza, e accettai di buon grado una tale promettente offerta.

    ––Ho una casa curiale molto modesta ––aggiunse–– in quanto è la casa di un curato di paese, e di un paese poverissimo. I miei parrocchiani vivono del prodotto di un lavoro duro e non sempre generoso. Sono contadini e pastori, e a volte il loro raccolto e il loro bestiame bastano a malapena per sostentarli. Così mantenere un curato è un peso troppo grande per loro; e nonostante io cerchi di alleggerirlo quanto più possibile, non riescono a darmi quanto vorrebbero, anche se da parte mia ho tutto quello di cui ho bisogno e persino d’avanzo. Devo anticiparle questo, signor capitano, perché perdoni la mia scarsità, in ogni caso non sarà tanta da non poterle offrire una buona luce, un letto confortevole e oggi persino una cena molto saporita, grazie alla festa.

    ––Io sono un militare, signor curato, e abituato come sono alle intemperie e alle privazioni, apprezzerò di certo quanto lei mi offrirà. Lei conosce la durezza della professione d’armi e per questo, ometto un discorso che già don Donchisciotte fece con uno stile che mi sarebbe impossibile imitare.

    Nell’udire tale allusione all’immortale libro, che sempre rimarrà caro agli spagnoli e ai loro discendenti, il prete sorrise. Così, continuammo insieme il nostro cammino, conversando amabilmente e di buon accordo.

    Appena la nostra conversazione divenne più confidenziale, gli dissi che mi sarebbe piaciuto sapere, se non c’erano inconvenienti nel dirmelo, come fosse venuto in Messico, e perché lui, uno spagnolo apparentemente educato in modo impeccabile, si fosse rassegnato a vivere in quella desolazione, lavorando con tale sacrificio, e non ricevendo per premio se non una condizione rasente la miseria.

    Mi rispose che avrebbe soddisfatto la mia curiosità con molto piacere, poiché non aveva nulla da nascondere; e che, al contrario, giusto per cancellare dal mio animo il pregiudizio sfavorevole che poteva avermi generato il fatto di essere un prete spagnolo – ebbene sì, conosceva a sufficienza le preoccupazioni che giravano al riguardo, molto giuste in certi casi – si rallegrava di potermi riferire qualcosa della sua vita fin da subito, mentre arrivavamo al paesello, già alquanto vicino.

    Capitolo V

    ––Venni nel suo paese ––mi disse–– molto giovane e destinato al commercio, come molti dei miei compatrioti. Avevo uno zio alquanto benestante in Messico, mi sistemò in un negozio d’abbigliamento; ma alcuni mesi dopo il mio arrivo, capendo che quell’occupazione mi ripugnava oltre ogni dire, e che mi dedicavo con molto più piacere alla lettura, sacrificando a quest’inclinazione anche le ore di riposo, un giorno mi chiese se non mi sentissi più adatto per gli studi. Gli risposi che, in effetti, la carriera delle lettere mi attraeva di più; ché da piccolo sognavo di diventare sacerdote, e che in Spagna se non avessi avuto la disgrazia di rimanere orfano di padre e di madre, forse, avrei ottenuto i mezzi per realizzare tali desideri. Devo confessarle che io sono un oriundo della provincia di Álava, una delle tre province basche. I miei genitori furono degli onoratissimi contadini; morirono quando io avevo solo pochi anni d’età, ragion per cui una zia che mi ebbe in carico si affrettò a spedirmi in Messico, dove sapeva che il suddetto zio, grazie al suo lavoro, aveva accumulato una cospicua fortuna. Questo generoso zio ascoltò con attenzione le mie esternazioni e si prodigò a inserirmi in conformità alle mie inclinazioni. Entrai in un collegio, dove a sue spese e con profitto feci i miei primi studi. In seguito, avendo un’alta opinione della vita monacale, che fino ad allora conoscevo soltanto dagli elogi interessati che di essa si facevano e dalla poetica descrizione letta nei miei prediletti testi religiosi, mi misi a pensare seriamente alla scelta che stavo per compiere; all’Ordine nel quale mi sarei dovuto consacrare alle lettere apostoliche, che coincideva col sogno accarezzato nella mia gioventù; e dopo un meticoloso esame mi decisi a entrare nell’Ordine dei Carmelitani scalzi. Comunicai il progetto a mio zio, che lo approvò e mi aiutò a fare i passi necessari per ottenere l’ammissione al suddetto Ordine. Pochi mesi dopo, io ero già frate; e previo il noviziato di rigore, professai e ricevetti gli ordini sacerdotali, prendendo il nome di frate José di San Gregorio; nome che feci stimare, signor capitano, dai miei prelati e da tutti i miei fratelli negli anni rimasti nell’Ordine, i quali furono pochi.

    »Risiedetti in vari conventi e con gran piacere ricordo gli incantevoli giorni di solitudine trascorsi nel pittoresco Deserto di Tenancingo, dove l’unica cosa capace di inquietarmi era l’amarezza di vedere consumata inutilmente la mia vita nell’ozio, quando invece avevo sempre sperato di consacrare il mio vigore giovanile nella propaganda evangelica.

    »Compresi allora, come lei immaginerà, quanto realmente valevano gli ordini religiosi in Messico; capii, con dolore, che erano ormai terminati i bei tempi nei quali il convento era il vivaio di eroici missionari che, a rischio della propria vita, partivano per regioni remote a portare la parola cristiana e con essa la luce della civilizzazione; e nel quale i frati erano, non dei sacerdote oziosi che trascorrevano allegramente i loro giorni tra le comodità di una vita sedentaria e agiata, bensì gli apostoli laboriosi in missione in terre lontane per ridurre al cristianesimo le popolazioni selvagge e cingersi il capo con la corona delle vittorie evangeliche, o con quella del martirio, in compimento dei precetti di Gesù.

    »Varie volte pregai i miei superiori di permettermi di immolarmi in questa giusta impresa, e spesso ottenni risposte negative e anche stupore, perché i miei entusiastici propositi sembravano opposti alle regole dell’obbedienza. Stanco di inutili suppliche, e consigliato da pii amici, mi recai a Roma chiedendo la mia esclaustrazione, e dopo un po’ di tempo il Papa me la concesse in un Breve pontificio, che mi farebbe piacere mostrarle. Finalmente riuscii a realizzare la mia ossessione giovanile; sarei diventato un missionario e martire della civilizzazione cristiana. Ma, ahimè, quando arrivò il Breve, io ero stato colto da una malattia che mi impediva di fare lunghi viaggi, e che mi lasciò soltanto con la speranza di differire la mia impresa fino a quando fossi stato di nuovo in salute.

    »Questo tre anni fa. Era opinione dei medici che, senza correre pericoli immediati,  potessi dedicarmi a missioni lontane ma nel frattempo, mi consigliarono di dedicarmi a lavori meno faticosi, come la cura delle anime in un piccolo paese dal clima fresco, onde scongiurare il rischio di una morte prossima.

    »Per questo il mio nuovo superiore mi inviò qui, dove iniziai a lavorare non appena mi fu possibile, consolandomi per non poter ancora realizzare i miei progetti, e con l’idea di fare il missionario pure in queste montagne, benché gli abitanti del posto prima che io arrivassi vivessero in uno stato molto simile all’idolatria e alla barbarie. Adesso, io qui faccio da sacerdote e da maestro di scuola, medico e consigliere municipale. Essendoci povera gente dedita soltanto all’agricoltura e alla pastorizia, qui non conoscevano altro che i principi trasmessi da una routine ignorante, insufficienti a sottrarre dall’indigenza nella quale erano costretti a vivere, perché la terra qui, per via del clima e della posizione lontano dai grandi mercati, è ingrata e non produce quanto sarebbe desiderabile. Io ho dato nuove idee, che si sono attuate con grande profitto, e il paese sta uscendo poco a poco dal suo antico stato di prostrazione. Le loro abitudini, di fatto innocenti, sono migliorate: abbiamo fondato scuole assenti prima, per bambini e per adulti; si è introdotto l’uso di alcune arti meccaniche, e posso assicurarle che senza la guerra che ha devastato tutta la regione, e che ancora la minaccia, se il cielo si impietosisce di noi, il mio umile paesello arriverà a godere di un benessere prima ritenuto impossibile.

    »In quanto a me, signore, vivo felice quanto può esserlo un uomo in mezzo a gente che lo ama come un fratello; con tanto affetto mi ritengo pienamente compensato dai miei umili lavori, e ho la coscienza di non gravar troppo su queste persone, perché vivo del mio lavoro, non quello di sacerdote, bensì quello di contadino e artigiano; ho ben poche necessità e Dio provvede a esse con quanto riescono a produrre i miei affanni. Tuttavia, sarei un ingrato se non riconoscessi il favore che mi fanno i miei parrocchiani aiutandomi con donazioni di sementi e altri beni che, ovviamente, mi impegno affinché non siano frequenti né costose, per non causar loro un gravame che ho già voluto evitare sopprimendo le offerte, usate di norma.»

    ––Quindi, signor curato ––gli chiesi–– lei non riceve denaro per i battesimi, i matrimoni, le messe e i funerali?

    ––No, signore; non ricevo nulla, come verrà a sapere per bocca degli stessi abitanti. Io ho le mie idee, che di certo non sono generali, ma le pratico religiosamente. Credo nel mio intimo ci sia qualcosa di simoniaco in simili esigenze pecuniarie, e sebbene comprenda che un sacerdote dedito alla cura delle anime debba vivere di qualcosa, considero anche che possa farlo senza esigere nulla, e accontentandosi d’aspettare che la generosità dei fedeli vada in aiuto delle sue necessità. Così credo lo volle Gesù Cristo, e così visse lui. Perché, allora, i suoi apostoli non dovrebbero accontentarsi d’imitare il loro Maestro, soddisfatti di poter dire di essere ricchi quanto lo era lui?

    Io non potei contenermi nel sentire questo; fermai il cavallo, mi tolsi il sombrero, e senza mascherare la mia emozione, che arrivò fino alle lacrime, porsi la mano al buon curato e gli dissi:

    ––Mi dia la mano, signore; lei non è un frate, ma un apostolo di Gesù… Lei mi ha colmato il cuore; mi ha commosso. Non credevo esistesse un solo sacerdote così in tutto il Messico; mai ho sentito parlare un uomo in sottana o in abito talare, come ha appena fatto lei. Signore, le dirò francamente e con la mia rudezza militare e repubblicana: io fin dalla mia gioventù ho detestato i frati e i chierici; e ho fatto loro guerra; la sto facendo ancora in favore della Riforma, perché credevo fossero una peste; ma se tutti fossero stati come lei, signore, chi sarebbe stato così insensato da osare, non dico a estrarre la spada contro di loro, ma anche solo a smettere di adorarli? Oh, signore, io sono colui che il clero chiama un empio eretico, un sans culotte; ma qui le dico, in presenza di Dio, che rispetto le vere virtù cristiane, come giammai le ha rispettate il più fanatico e reazionario confratello. Così, venero la religione di Gesù Cristo come lei la pratica, ossia, come Lui la insegnò, e non come ovunque la praticano. Benedetto Natale che mi riservava la più grande gioia della vita, ossia l’aver incontrato un discepolo del sublime Messia, la cui venuta al mondo si celebra oggi! E io che venivo qui tutto triste, perso nei ricordi della mia infanzia e della mia gioventù, sentendomi disgraziato nel vedermi solo in queste montagne, con simili ricordi. Che cosa valgono i ricordi delle feste di quando ero bambino, a cui sono grato soltanto per la tradizionale allegria e la presenza della famiglia? Che cosa vale tutto ciò in confronto all’immensa gioia d’aver incontrato la virtù cristiana, buona, santa, modesta, pratica e dai benefici fecondi? Signor curato, mi permetta di smontare da cavallo e di abbracciarla. Voglio manifestarle il mio amore per il suo cristianesimo così puro come nei primi e meravigliosi giorni del Vangelo.

    Il curato scese anch’egli dalla sua povera cavalcatura, e mi abbracciò piangendo, sorpreso dal mio slancio di franca sincerità. Non poteva parlare per l’emozione e a malapena poté mormorare nello stringermi contro il cuore:

    ––Ma, signor capitano… io non merito… io credo di compiere… Questo è del tutto normale; io non sono niente… E chi dovrei essere! Gesù Cristo!

    Capitolo VI

    Dopo questo abbraccio rimontammo a cavallo e proseguimmo il nostro cammino in silenzio, perché l’emozione aveva rapito le nostre voci.

    L’oscurità si era fatta più densa, ma io

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