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Il sogno di Helen e l'eredità norrena. Parte I
Il sogno di Helen e l'eredità norrena. Parte I
Il sogno di Helen e l'eredità norrena. Parte I
E-book350 pagine5 ore

Il sogno di Helen e l'eredità norrena. Parte I

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Info su questo ebook

Helen e Tania, con il drago Rotar dovranno affrontare una nuova vita in mezzo agli essere dalle orecchie a punta e dalla conoscenza infinita... Gli elfi. Esseri enigmatici e molto riservati, non troppo felici di avere nel loro territorio degli umani. Helen, tra mille difficoltà e problemi, nella sua solitudine, troverà conforto in una guida inaspettata, nel dio norreno Loki.
Dall'altro lato Karel, insieme alla dragonessa Aira, nelle mani di Crono, si troverà a dover decidere del proprio destino e affrontarlo insieme a vecchi e nuovi amici.
L'avventura dei nostri amici continua mentre gli dei e i titani posizionano le loro pedina sulla scacchiera preparandosi per il futuro.
LinguaItaliano
Data di uscita7 apr 2020
ISBN9788835803195
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    Anteprima del libro

    Il sogno di Helen e l'eredità norrena. Parte I - Karel Glaukopis

    1. Il risveglio.

    Quando Helen aprì gli occhi era in un’ampia stanza che profumava di rose e accanto a lei, sul comodino c’erano tre belle e soprattutto profumate rose rosse e una gialla.

    Era su morbido letto, sprofondata di alcuni centimetri nel morbido materasso tra calde lenzuola bianche, anche esse profumate di rosa e accanto a lei sentiva il respiro lento e profondo di Tania, sana e soprattutto salva.

    A fatica alzò la testa, molti muscoli si lamentarono, specialmente quelli delle braccia e dell’addome e questi cedettero al suo peso. Però ebbe il tempo di vedere dinanzi a sé la stanza luminosa e bianca, semplice e calda. Un’ampia finestra socchiusa era sulla parete destra, attorniata da tende azzurre, mostrava uno splendido cielo più chiaro di un lago cristallino ma con qualche nuvola bianca, da essa entrava aria tiepida e piacevolmente profumata (quindi era così il paradiso…).

    Faticando, la ragazza sveglia, riprovò ad alzarsi ma il braccio sinistro cedette all’improvviso e si ritrovò a sprofondare nel caldo letto con un dolore lancinante non solo in quel braccio, ma in tutto il corpo.

    Per alcuni secondi le mancò l’aria, le sembrò di sentire il cuore fermarsi mentre tutto divenne nero come la notte più oscura con una miriade di lucine bianche come stelle e un grande freddo le attanagliò il cuore. Poi una grande paura s’impossessò del suo corpo mentre il cuore iniziò a tamburellare senza sosta nel suo petto.

    Quando ritornò nella realtà, sudando freddo, riuscì a mettersi in modo da poter vedere il braccio dolorante e che non riusciva più a muovere, quello che si ritrovò davanti, la preoccupò non poco.

    Vide una fasciatura che le copriva avambraccio e parte del braccio, c’era anche un ampio livido nero come il carbone che s’intravedeva tra le fasce sporche di sangue, ma nella sua testa non ricordava di come si era fatta male.

    Riprovò per la terza volta ad alzarsi concentrando questa volta il peso sul braccio sano, alla fine riuscì a mettersi seduta anche se questo le costò grandi energie e la schiena sarebbe voluta tornare comodamente sopra il materasso.

    Quando fu fuori dalle coperte, un’aria ghiacciata avvolse il suo corpo, notò immediatamente di essere senza vestiti. Qualcuno aveva provveduto a tutto, anche a procurargli degli abiti di cui alcuni erano molto eleganti, e che erano stati appoggiati su una sedia a neanche un metro da lei, poté prenderli senza doversi alzare dal letto!

    Prese il primo vestito senza badare alla misura e al colore e lo indossò. Era morbido, di una stoffa strana ma soffice e leggera, teneva molto caldo e le stava anche bene. Il vestito era poco più lungo della sua altezza, toccava terra nonostante la misura della vita fosse la sua, probabilmente era stato tagliato male.

    L’abito era azzurro come il cielo, con sfumature che sugli orli davano sul blu intenso, mentre due fili d’orati (non poteva credere che erano di vero oro!), avvicinandosi e allontanandosi, formavano una cintura immaginaria a livello della vita.

    Helen si guardò nello specchio che c’era nell’anta dell’armadio posto di fronte al letto. Era sempre molto magra ma i muscoli c’erano ancora, se possibile ne aveva anche di più di quando faceva nuoto, ma non le dispiaceva. I suoi occhi erano gli stessi, azzurri come il mare che risaltavano tantissimo in confronto alla pelle pallida e ai capelli biondi come l’oro.

    Continuando a fissarsi un'infinità di domande, come un fiume che sfonda una diga e si riversa nel suo letto ormai vuoto da anni facendo danni, riempirono la sua mente lasciandola parecchio stordita. Non si spiegava il perché era in quel posto, che cosa era successo, perché Tania stava dormendo con lei e tante altre che le fecero venire un gran mal di testa.

    Pensiero dopo pensiero, lentamente tutto incominciò a essere chiaro e la testa tornò a ragionare di nuovo rapida e alle domande incominciarono a venir fuori delle ipotesi e delle immagini che, confuse, ricreavano il passato.

    La ferita al braccio, quell’immagine era stata la prima a tornare e, più intensa delle altre, aveva preso il sopravvento portandole dolore e paura. Era successo una sera, forse quella precedente, forse quell’ancora prima o forse quella di un mese prima, aveva perso il conto del tempo. L’immagine di quel mostro dagli occhi rossi come il fuoco, le zanne color avorio affilate che formavano uno spaventoso ghigno e quella cattiveria… Le fecero di nuovo venire la pelle d’oca, quel maledetto che li aveva attaccati ferendola al braccio, quel pugnale che si era trasformato in serpente, quella forza che l’aveva spinta nel nulla…

    Quello che non si spiegava era l’ecchimosi. Probabilmente durante l’interminabile caduta nel fiume si era creata quel il livido o forse mentre era nel fiume, aveva sbattuto contro qualche pietra. Ma mancava ancora qualcosa, mancava qualcosa d’importante.

    Aveva un vuoto che si riempì con un lampo nella notte, un’immagine nitida e chiara, nella sua mente apparve la faccia di un ragazzo orgoglioso e che nel combattimento impugnava una spada, quello era suo fratello, quel ragazzo era Karel.

    Ricordò della loro fuga insieme, chilometri e chilometri percorsi con il fratello e l’amica Tania alla quale si era aggiunto Cal. Quella fuga iniziata il giorno in cui aveva accettato delle uova di drago e nella quale erano stati guidati da suo padre Arzio, poi ucciso dallo stesso mostro che le aveva inferto quella ferita.

    Quanto era stato lungo quel viaggio, quante ne avevano passate insieme di belle e di brutte, come la perdita di quel meraviglioso e misterioso ragazzo di nome Cal che si era sacrificato per dargli ancora tempo. Ma mancava ancora qualcosa, qualcosa di molto importante, come se fosse una parte del suo corpo. Poi nell’ombra, insieme al fratello c’era anche un animale bianco, un drago bianco, quella era Aira, la sorella del drago nero. La sorella di Rotar.

    Rotar, il drago che aveva tentato di salvarla gettandosi dal precipizio non riusciva a percepirlo, con le gambe che tremavano e la mente che ideava le peggiori ipotesi, chiamò delicatamente Tania.

    «Cosa c’è?» chiese ancora con gli occhi chiusi la ragazza dai capelli neri come la pece.

    «Svegliati, dai, alzati che ho bisogno di te» disse Helen scuotendo delicatamente con il braccio sano l’amica.

    Tania era una ragazza mora, i capelli quando non erano curati (raramente) erano leggermente rossi, gli occhi invece erano di un marrone scuro. Era il cavaliere di Rotar, lei era un cavaliere di drago, era stata scelta al posto suo ma questo non intaccò la loro storica amicizia.

    «Non vedi che ancora dormo, giochiamo dopo con le spade» borbottò lei.

    «Non voglio giocare» rispose Helen continuando a scuoterla.

    «All’ora ci vediamo dopo a scuola, se ci vengo…» disse sempre l’amica che si girò di lato dandole le spalle.

    «Non capisci, dai alzati, dobbiamo cercare Rotar».

    Appena Helen disse Rotar, l’amica si alzò subito guardando a destra e a sinistra, in alto e in basso cercando disperatamente il suo drago sia con lo sguardo ma anche con la mente.

    «Dov’è, lui dov’è?» chiese la ragazza con un filo di preoccupazione nella voce e che si era svegliata del tutto.

    «Non lo so, calmati adesso e vestiti» disse Helen dandole gli altri vestiti che si trovavano sulla sedia.

    «Sei stata tu a svestirmi? Dove siamo, Helen cosa succede».

    «Calmati, io mi sono svegliata pochi minuti fa, non so niente, ti ho svegliata perché se siamo in due, è meglio che essere sola se ci dovessero essere dei nemici, dai adesso andiamo a vedere dove siamo e da chi siamo stati presi» disse Helen cercando di apparire calma, in realtà era molto nervosa e agitata.

    Le due ragazze, camminando in punta di piedi, uscirono dalla stanza aprendo delicatamente la porta di legno bianco alle loro spalle, comunicavano a gesti. Fuori dalla stanza era buio, le due ragazze non vollero rallentare il passo che diventò quasi una corsa in cerca del loro amico e compagno.

    «Lui è qui, ma è molto distante o sta molto male» disse Tania con le braccia tese in avanti tastando ed evitando il muro che c’era di fronte, svoltò a destra e riprese a correre seguita da Helen.

    Il loro istinto non fu sufficiente a evitare una tremenda caduta, infatti, davanti a loro un ostacolo improvviso che le braccia non toccarono intralciò il loro passo e una dopo l’altra precipitarono dalle scale.

    Quando ripresero il senso dell’orientamento Helen chiese «Tania come stai?»

    «Benone» disse l’amica che tentò di rialzarsi e ci riuscì dopo aver emesso un gemito, doveva raggiungere Rotar.

    Anche Helen era parecchio dolorante, aveva sbattuto malamente la tibia e il ginocchio della gamba destra, il braccio e l’avambraccio sinistro le continuavano a fare molto male e l’ulteriore botta che aveva preso sul radio non miglioravano la situazione.

    «Helen come stai?» chiese questa volta Tania già in piedi vedendo l’amica sofferente e che non riusciva a muoversi.

    «Non ho niente, tutto bene, mi aiuti ad alzarmi?» domandò Helen porgendogli la mano destra, la ragazza con l’aiuto dell’amica fu in un attimo in piedi.

    Mentre la vista si abituava di nuovo alla luce che all’inizio fu accecante, una donna occupò il loro campo visivo.

    «Come voi state?» chiese la donna con voce dolce e melodiosa, flebile e appena udibile.

    «Penso bene. Ma il mio drago, lui dov’è? Come sta?» chiese Tania tanto confusa quanto spaventata.

    «Lui bene sta, ma voi a letto adesso dovreste essere. Ancora non la condizione per muovervi avete. Deboli, stanche e ferite siete, dai che vi aiuto, un bell’aspetto non avete, soprattutto tu bionda» disse la donna porgendogli la mano e sorridendo amichevolmente.

    «Voglio andare dal mio drago, poi andrò a letto», insistette la ragazza dai capelli neri come la pece.

    «Portata da lui sarai ma prima riposare devi se peggiorare le cose non vuoi. Non testarda devi essere, la tua condizione non permette ciò» provò ancora a convincerle la donna.

    «No, portami da lui subito», terminò Tania secca e ineducata.

    Era troppo importante per loro rivedere Rotar, solo per quello, Helen non rimproverò l’amica. Sapevano di essere state maleducate ma la donna era stata troppo insistente e poi non stavano così male!

    «Umani» disse la donna con un gesto di disprezzo con la mano e poi con una forza straordinaria le sollevò, come se Helen e Tania non pesassero nulla, una a destra e l’altra a sinistra. Come due sacchi di patate iniziò a camminare senza che le ragazze dovessero appoggiare i piedi.

    «Guarda che io riesco a camminare» protestò Helen scomoda e con le costole che le facevano male.

    «Tu forse a camminare riesci ma la tua amica no, il piede destro ferito ha».

    «Se non vuole più fare fatica io posso seguirvi, è il braccio che mi fa male non il piede» disse Helen che non riusciva a respirare.

    «Va bene, camminare tu vuoi, allora cammina» disse la donna lasciando Helen che precipitò a terra bruscamente.

    Tania fu portata fuori dalla casa di peso mentre Helen era dietro di loro intenta a mantenere il passo, era impegnata a vedere dove appoggiava i piedi per non perdere terreno dalla donnona e non andarle contro.

    Intravide la casa che era di legno in mezzo al verde, era talmente curata che quel materiale sembrava addirittura vivo ma non ci fece troppa attenzione, era impegnata a seguire, faticando, i lunghi passi della donna.

    Attraversarono un piccolo sentiero nell’erba alta cinque dita (forse erano finite in Inghilterra, suo padre le diceva sempre quanto i loro prati fossero perfetti…), raggiunsero un enorme capannone, vi entrarono e con grande sorpresa, Helen e Tania videro il drago che dormiva tra il fieno e altri animali tranquilli.

    «Dorme» disse la donna in un sussurro.

    «Grazie per averci accompagnato e mi scuso per il comportamento di prima… Sono solo molto preoccupata. Ti devo chiedere l’ultimo favore, potrei restare sola con lui, o almeno potrei restare con lui?» chiese infine Tania timidamente.

    «Come vuoi, intanto vedo che se una cosa decidi irremovibile diventi».

    «Anch’io vorrei restare qui» disse invece Helen, che aggiunse «E anch’io mi scuso per prima!».

    «Non problemi ci sono, dopo tornare io» concluse la donna uscendo.

    Tania constatò che il suo drago stava solo dormendo, si accoccolò accanto pensando a quanto dovesse essere provato quel piccolo animale, da quando l’aveva conosciuto non l’aveva mai visto dormire in quel modo.

    «Hai visto che forza? E poi com’era alta e aveva anche le orecchie a punta… E poi come parlava!» esclamò Helen all’amica che non rispose, stanca e dolente si era già addormentata e serena.

    ‘Ben tornata?’ disse il drago alla ragazza dai capelli neri ‘Ormai è da molto che dormi, non resistevo più a rimanere fermo.’

    La ragazzina si stiracchiò e si sedette mentre anche il drago faceva scricchiolare le articolazioni poi domandò «Come stai? Io benone, solo un po’ ammaccata. Hai capito cos’è successo, o almeno dove siamo...»

    Il drago si stava alzando barcollante, allungava le ali e sbadigliando sbiascicò ‘Ho le idee confuse ma prima con Helen abbiamo tentato di ricostruire ciò che potrebbe essere successo.’

    «Dov’è Helen?»

    Bisogni personali, penso che tra poco sarà qui, comunque dopo essere precipitati nel fiume in qualche modo siamo giunti nelle terre elfiche.’

    «Elfi!» esclamò Tania sbalordita.

    Sì, elfi, non hai notato le loro facce?

    Vedendo la faccia dubbiosa dell’amica disse «Le facce allungate, i nasi affilati, gli occhi a mandorla, le loro orecchie appuntite, la loro statura e la loro forza?» chiese Helen all’amica entrando nella stanza.

    La ragazza mora pensò, stupita e confusa allo stesso momento esclamò contenta «Ho visto gli elfi! Wow, appena lo racconterò agli altri nessuno ci crederà, Helen ti rendi conto abbiamo visto gli elfi!»

    Helen annuì, Tania si rivolse al drago «Rotar ho visto gli elfi, lo racconterò a tutti, nessuno ci crederà, lo racconterò anche a Karel…»

    Si fermò un attimo poi domandò «Ma dov'è? Cosa gli è successo?»

    Non lo so, purtroppo da quando sono sveglio non sono riuscito più a raggiungerli con la mente. Sono tanto confuso quanto voi. Comunque penso che sopravvivranno, sono forti e soprattutto furbi’ disse il drago.

    «Se non ci fossimo catapultati per salvarti sarebbe ancora con noi…» disse la ragazza mora guardando Helen malamente.

    «Nessuno vi ha obbligati» disse sulla difensiva la bionda, «E poi cosa avresti potuto fare, erano nettamente superiori a noi, ci avrebbero catturati tutti».

    «Ma avremmo potu…»

    Adesso basta, guardante’ le bloccò il drago indicando verso l’ingresso del capannone mentre entrava un elfo.

    «Svegliati vedo che adesso siete, quindi buongiorno. Se seguirmi voi volete. Scusate per non presentato essermi, io sono Savim, guardiano delle porte» disse l’elfo, con capelli più luminosi e gialli del sole dai quali fuoriuscivano le punte delle orecchie appuntite più lunghe del normale. Occhi trasparenti e azzurri come l’acqua, naso più affilato di una spada e molto più alto di un comune uomo.

    L’elfo camminava di fronte alle ragazze e al drago silenzioso e leggero, la lunga tunica ondeggiava morbida e fluttuava nell’aria seguendo i lineamenti del suo corpo snello ma muscoloso, sembrava stesse fluttuando tanto era delicato nei movimenti.

    «Scusaci» disse la ragazza per rallentare il passo dell’elfo «Io sono Tania, cavaliere di Rotar. Veniamo in pace e chiediamo asilo e la vostra protezione».

    «Mentre io sono Helen e la accompagno, chiedo anch’io la vostra protezione» disse cordialmente la ragazza bionda con un inchino che quasi toccava con la testa il terreno.

    «Se ad attraversare illesi la barriera magica riusciti siete, cattive intenzioni significa non avete. Quindi i benvenuti siete, da parte mia però, garantirvi non posso la protezione nostra. Presto un’autorità arriverà e la vostra sorte deciderà. Adesso, se venire con me volete, al caldo saremo, su poltrone comode riposerete, intorno ad un tavolo pranzeremo, penso fame voi abbiate», e riprese silenzioso e rapido il cammino, le ragazze e il drago lo seguirono immediatamente faticando.

    L’elfo camminava d’innanzi a loro veloce tra gli alberi secolari, non lasciava impronte, al contrario le ragazze lasciavano il segno dei piedi sul tappeto verde vivo. Tania continuava a zoppicare pesantemente sull’erba soffice, era quella che lasciava più impronte e anche se Helen cercava di essere il più leggera possibile, non aveva successo.

    Avreste dovuto mettervi almeno le scarpe’ disse Rotar.

    Non ci ho pensato, e poi l’erba e così soffice’ disse con la mente la ragazza claudicante.

    Non stai male con quel vestito.’

    Grazie…’ iniziò la ragazza mora.

    Che bella casetta!’ esclamò Rotar quando si trovarono dinanzi alla casa degli elfi interrompendo la ragazza.

    Era una casa su due piani, costruita con legno, era di un marrone scuro, simile a quello degli alberi che li circondavano, no come quello delle case costruite degli umani dove il legno sembrava secco e morto. Alcune finestre rettangolari poste sul pianterreno, altre rotonde poste nel secondo piano riempivano la facciata a loro visibile, probabilmente era lo stesso negli altri lati dell’abitazione.

    La casa era sovrastata da un tetto sempre in legno ed era triangolare, delle piante fiorite, gialle e rosse pendevano dalla grondaia, del fumo fuoriusciva dal piccolo camino che si trovava sul tetto.

    L’elfo che li condusse dinanzi l’abitazione e dove era stata preparata una colazione abbondante, disse quando entrarono «Accomodatevi e mangiate».

    Penso che devo aspettarli, però ho una fame!’ esclamò la ragazza dai capelli biondi sedendosi sulla comoda sedie in legno in quella che doveva essere la cucina. Era grande quanto il salotto della loro casa…

    C’era un grosso tavolo rotondo al centro della stanza, anch’esso come la maggior parte delle strutture in quella casa era di legno, su di esso un grosso vaso con dentro una pianta dai fiori viola e le foglie triangolari colorate di diverse tonalità di verde, poi c’erano dei piatti con frutta, delle uova sode, del pane tostato e dei succhi di frutta.

    Sulle pareti erano stati appesi dei paesaggi naturali talmente accurati che sembravano delle finestre, erba verde come quella che avevano visto fuori che sembrava muoversi con il vento, neve bianca e luminosa come quella vera ma anche alberi che sembravano muoversi al vento come le bianche nuvole che riempivano il cielo sembravano che stessero fluttuando e gli uccelli era come se volassero. Sembrava che dentro quei piccoli quadri ci fosse la vita.

    C’erano anche delle mensole con dei piatti colorati, dei piccoli vasi in vetro e rame lavorati, finalmente una cosa che anche gli umani riuscivano a fare. In un angolo c’era un piccolo lavandino in rame affiancato da un grosso mobile dove c’erano pentole, piatti, posate e bicchieri puliti. Il pavimento era stato coperto da un tappeto di un tessuto morbido più di qualsiasi superficie dove Helen avesse messo piede.

    Io ho una fame! Ma non c’è niente che mi attiri, è tutto a base di frutta e quelle uova sono troppo piccole per i miei gusti, l’odore del sangue non si sente a miglia di distanza!’ si lamentò il drago acciambellato sulle gambe della ragazza con il muso sul tavolo che annusava.

    Tania, seduta, con davanti tutta quella buona roba resistette alcuni minuti, poi la fame comandò e allungando la mano afferrò la prima cosa che le fu a portata e furtiva iniziò a mangiare la mela rossa.

    Helen era troppo attenta nell’osservare l’ambiente che la circondava che il cibo e la fame, che attanagliava il suo stomaco sino poco prima che fossero portati all’interno di quella stanza, divennero di secondo piano ma sicuramente non avrebbe retto per molto.

    Quando sarebbero arrivati gli altri? Chi erano? Che cosa avrebbero deciso? E soprattutto, che futuro avrebbero avuto?

    Presto qualcuno avrebbe risposto a quelle domande.

    2. Un elfo importante.

    Non passò molto tempo ed entrarono dalla porta principale l’elfo che conoscevano, seguito dall'elfa che avevano già conosciuto al loro risveglio (e avevano trattato male), un altro di quella razza dai capelli stranamente corti che davano sul marrone e infine quello che doveva essere il più giovane. Nonostante quest’ultimo era identico al primo elfo dall’espressione del viso, mostrava tantissimi anni in meno.

    «Scusate» disse Tania alzandosi e posando la mela morsicata nel piatto di legno finemente lavorato. Poi aggiunse con un inchino «Ma avevo troppa fame, sono giorni che non mangio un buon pasto, anzi… Che mangio qualcosa».

    «Credo a ciò, solo da noi due giorni dormito avete, comunque preoccupare non dovete, mangiare potete e quanto volete».

    Helen guardò con la coda dell’occhio l’amica e ammirò quanto impassibile riuscisse a rimanere. Lei invece era costretta a fissare il piatto e a concentrarsi per non scoppiare a ridere ogni volta che parlavano.

    Quello continuò a parlare, se l’aveva notata non lo diede a vedere e disse «Il nostro re Ekim presento a voi, Signore delle Terre del Nord, pensavo non che lui in persona venisse» disse l’elfo emozionato indicando l’altro elfo.

    Era poco più alto dei presenti, per il resto era davvero identico agli altri elfi, occhi più azzurri dell’acqua cristallina, naso affilato e labbra appena visibili ma in quei lineamenti c’era qualcosa in più, erano stranamente più dolci.

    Il proprietario della casa continuando a parlare aggiunse «Mentre lei mia moglie è, il suo nome Avim e conosciuta penso l’abbiate, e lui mio figlio Kleim, pochi più anni di voi lui ha».

    Tania chinandosi porse la mano destra, come le aveva insegnato il drago salutò prima il re e poi gli altri ripetendo la solita frase «Per me è un onore fare la vostra conoscenza».

    Helen fece lo stesso genere d’inchino con i presenti ma senza stringere la mano, non era sua abitudine e il contatto con le persone preferiva spesso evitarlo, c’erano spesso spiacevoli scambi di elettricità.

    Come sua abitudine quando agitata, la bionda balbettò «P-piac-cere d-di c-conoscerv-vi».

    I presenti non sembrarono notare quella mancanza di rispetto che invece Tania sottolineò con un’occhiataccia, anzi loro non fecero niente e questo non poteva che significare che per loro andava bene comunque.

    «Il piacere è solo mio» rispose l’elfo che doveva essere il re di qualcosa e di qualche territorio, accennando un sorriso abbastanza tirato e con un impercettibile inchino della testa. Nonostante ciò, in quel normale sorriso vi era qualcosa di maestoso, elegante e molto dolce, le ragazze senza volerlo risposero a quel gesto.

    Poi la ragazza dai capelli neri si rivolse anche all’elfa «Spero mi perdoni per quello che ho fatto prima, per la mia mancanza di rispetto e per il mio comportamento sgarbato, ma ero troppo in ansia per Rotar».

    «Chiarito è stato tutto, capito io ti ho» disse l’alta elfa anch’essa dagli occhi azzurri ma di un colore meno intenso rispetto quello di Helen, i capelli come l’oro quasi bianchi e il viso dai lineamenti molto duri e severi.

    Infine le ragazze rivolsero il saluto al giovane elfo, aveva lo sguardo freddo e accusatore. Helen sentì il viso farsi caldo, si stava vergognando per qualcosa, quell’essere incuteva timore e soggezione e la ragazza timidamente preferì non incrociare i suoi occhi. Ciò che consolò la bionda ragazza fu vedere anche Tania, solitamente a suo agio con chiunque, arrossire dopo il contatto con il giovane elfo e anche lei intenta a fissare il pavimento sottraendosi allo sguardo profondo del loro interlocutore.

    Il ragazzo rispose ripetendo di nuovo il suo nome troppo difficile perché venisse ricordato dalle due amiche, era qualcosa che finiva con im e suonava come la nota marca di vestiario… Rimanendo gelido e dallo sguardo impassibile, sembrò addirittura irritato al contatto con le ragazze umane.

    «Lui quindi è Rotar, è un cucciolo!» esclamò il re guardando il giovane drago, le sue parole furono pronunciate perfettamente nel linguaggio degli umani e non vi era nessun cadenza o divertente costruzione della frase.

    Sarò piccolo ma non sono un cucciolo e soprattutto debole’ disse il drago irritato con la mente.

    Il re alzò le mani divertito ed esclamò con la mente ‘Ne sono certo! Non ho mai messo in dubbio la tua forza ma non puoi negare di essere un cucciolo di drago. Un anno della tua lunga vita è niente! Poi non era per criticarti, ma questo è un vantaggio, avremo più tempo per allenarti.’

    Tu mi hai sentito!’ esclamò l’animale incredulo.

    Noi elfi sentiamo tutto almeno che tu non voglia il contrario… D’ora in poi dovrai concentrarti maggiormente se non vorrai essere sentito da tutti, non sei più tra gli umani… Qui sarà tutto differente’ disse il re sempre sorridendo ma con un avvertimento nello sguardo.

    Lo terrò presente’ rispose il drago ancor più irritato di essere stato richiamato da un bipede dopo essere stato spiato.

    «In ogni caso perché adesso non ci sediamo, anche a me è venuta una certa fame di fronte a tutto questo» disse il re sempre sorridendo.

    Si sedettero intorno al tavolo con Rotar che dopo aver salutato tutti si risistemò sulle gambe di Tania, il muso ancora appoggiato sul tavolo ma con la fantasia che viaggiava tra cervi e maiali e lo stomaco che brontolava rumorosamente.

    «Non per essere indiscreto, ma voi avete detto di arrivare dalle terre umane».

    «Esattamente» rispose Tania al re, con la bocca piena di pane e marmellata.

    «Purtroppo i rapporti tra noi e i vostri capi non sono per niente buoni e ditemi, senza mentire, poiché noi lo capiamo, non è per caso che siete stati mandati a spiarci o ad attaccarci dall’interno? Come ho detto, vi conviene dire solo la verità poiché scopriremo ugualmente chi siete e perché siete qui» disse deciso re Ekim ma che però mantenne sempre un sorriso rilassato, sicuramente non li vedeva come dei nemici.

    «Tutto è accaduto per caso, siamo stati raggiunti da una dragonessa, lei ci affidò le uova, erano due, da allora che siamo costretti a scappare. Eravamo inseguiti da alcuni uomini…»

    «S-Se c-co-così di p-possono chiamare» balbettò Helen.

    «C'era anche un mostro…»

    «Un’Em-empusa. M-mostruosa».

    Tania annuì, poi riprese «Fummo costretti a lasciare casa e famiglia, durante la fuga suo padre è stato ucciso, lui voleva difenderci, voleva lasciarci più tempo per scappare».

    «Un uomo molto coraggioso» commentò il re.

    Con gli occhi lucidi riprese «Della mia famiglia non ho idea su cosa gli sia stato fatto e soprattutto se sono ancora vivi».

    «Riposati un attimo, racconta la tua amica se non riesci a continuare» le disse il re con un sorriso.

    «No, continuo io, va tutto bene» rispose Tania con decisione.

    Con un respiro profondo riprese il racconto «Abbiamo percorso chilometri, superato città e affrontato banditi, ma quando eravamo ormai lungo il fiume fummo raggiunti dagli inseguitori. Siamo stati attaccati, erano più di noi, Helen è stata ferita ed è anche», disse guardandola malamente come se fosse stata tutta colpa sua «stata buttata nel fiume ed io con Rotar ci siamo lanciati per salvarla. Aira sua sorella e Karel suo fratello sono scomparsi. Non sappiamo se sono stati catturati o uccisi…»

    «Noi cadendo…».

    «N-noi pre-precipitando»

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