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Sull'isola col dottore: Harmony Bianca
Sull'isola col dottore: Harmony Bianca
Sull'isola col dottore: Harmony Bianca
E-book156 pagine2 ore

Sull'isola col dottore: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

A diciannove anni Leo Aretino aveva lasciato Tovahna, l'isola in cui era cresciuto, per andare a laurearsi in medicina a Londra. La sua gente, che viveva in condizioni di povertà, aveva disperatamente bisogno di un dottore e lui rappresentava la loro unica possibilità. Durante gli studi, aveva conosciuto Anna Raymond, studentessa brillante, anche lei originaria dell'isola. Ma dopo aver scoperto che era imparentata con la crudele famiglia regnante di Tovahna, Leo aveva capito che per loro non c'era futuro. Aveva concluso i suoi studi ed era rientrato a casa a fare il suo dovere.

Adesso, dopo aver ricevuto un'inaspettata eredità, Anna è tornata sull'isola, per dare nuova vita e nuovo slancio a Tovahna grazie alla somma di cui è entrata in possesso. E, dal primo istante in cui posa gli occhi su di lei, Leo capisce che i suoi sentimenti non sono cambiati .
LinguaItaliano
Data di uscita21 set 2020
ISBN9788830518919
Sull'isola col dottore: Harmony Bianca
Autore

Marion Lennox

Marion Lennox is a country girl, born on an Australian dairy farm. She moved on, because the cows just weren't interested in her stories! Married to a `very special doctor', she has also written under the name Trisha David. She’s now stepped back from her `other’ career teaching statistics. Finally, she’s figured what's important and discovered the joys of baths, romance and chocolate. Preferably all at the same time! Marion is an international award winning author.

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    Anteprima del libro

    Sull'isola col dottore - Marion Lennox

    successivo.

    1

    «Le ferite alla testa sembrano sempre peggiori di quello che sono. Se mi accompagni a un lavandino non ti farò sprecare altro tempo. Non ho più le vertigini. Davvero.»

    La voce di donna che proveniva dalla Medicheria era cordiale, roca e un po' tremante. Parlava nella lingua di Tovahna, con un velato accento inglese.

    Il dottor Leo Aretino conosceva bene quella voce. Nelle ultime settimane si aspettava il suo arrivo sull'isola, ma sperava di poterla evitare.

    Non pensava però di trovarla proprio lì, nel suo territorio.

    La lingua in cui lei stava parlando era la lingua madre di Leo. La prima volta che gliela aveva sentita usare era stato oltre dieci anni prima. Lei era in piedi davanti a un microscopio e cercava di mettere a fuoco. Il microscopio era complicato da maneggiare, ma Anna era stata paziente. Aveva iniziato a mormorare un motivetto, poi a canticchiare piano. In tovahniano.

    Era una melodia che la madre di Leo gli aveva insegnato da bambino.

    Leo dubitava che qualcuno nella sua prestigiosa facoltà inglese di medicina avesse mai persino sentito nominare il luogo in cui era nato, l'isola di Tovahna, figuriamoci sapere parlare la sua lingua. Aveva interrotto la canzone, incredulo. «Dove l'hai imparata?»

    «Da mia madre» rispose lei. Aveva messo il vetrino a fuoco in quel momento e guardava intensamente lo sgradevole agente patogeno che il docente voleva che esaminassero.

    «Tua madre è di Tovahna?»

    «Sì. O meglio, lo era. Ha lasciato Tovahna prima che io nascessi.» Anna aveva controllato di nuovo il vetrino. «Ma è a questo che siamo interessati. Vuoi dare un'occhiata?»

    C'era la fila. Doveva guardare il virus.

    Ma la sua attenzione era altrove.

    Tovahna era un'isola del Mediterraneo, scarsamente popolata, contesa per secoli finché i suoi ambiziosi vicini non avevano deciso che non valeva il disturbo. Adesso era per lo più ignorata dal mondo esterno. Pochi stranieri facevano lo sforzo di vistarla, ancora meno quello di imparare la sua lingua. Le donne di Tovahna in genere avevano la carnagione olivastra e i capelli scuri. Anna aveva i capelli rossi e le lentiggini. Era davvero molto strano.

    «Tua madre ti ha insegnato le canzoni di Tovahna?»

    «Mi ha insegnato la lingua.» Anna si spostò dal microscopio, permettendo l'accesso allo studente dopo Leo. «Credo la usasse per lenire la nostalgia. Ma tu hai perso il tuo turno» gli disse, passando senza fatica a parlare in tovahniano. Aveva sorriso, un sorriso felice che lo aveva fatto sentire persino più sbalordito. «Non dirmi che sei...»

    «Tovahniano.» E all'improvviso lui fu sul punto di piangere.

    Tovahna era un'isola piccola, impoverita, i suoi beni venivano erosi da generazioni dai membri di un'unica dinastia. La maggior parte della sua popolazione era intrappolata in un circolo vizioso di povertà, ma Leo era stato così in gamba a scuola che la comunità aveva unito le forze per mandarlo in Inghilterra.

    «Prenditi una laurea in medicina e poi torna a casa ad aiutarci» gli avevano detto, e così se n'era andato, all'età di quindici anni.

    A diciannove anni stava procedendo in maniera brillante. Il suo inglese era perfetto. Si era integrato con i colleghi. Si divertiva, persino, senza soffrire per nulla di nostalgia. Non c'era nessun motivo, quindi, per cui dovesse guardare quella collega con i capelli rossi e con le lentiggini che parlava la sua lingua e sentire... la voglia di stringerla tra le braccia.

    Ovviamente, non lo aveva fatto. Non in quel momento. Erano passati due interi giorni prima che la baciasse.

    Non era solo il fatto che parlavano la stessa lingua. Anna era speciale.

    Ma quella era acqua passata, si disse mentre ascoltava la sua voce che proveniva dalla stanza accanto. Quello che c'era stato tra di loro era stato tanto tempo prima.

    Leo adesso era un medico e doveva occuparsi di chiunque avesse bisogno di cure. Doveva mantenere un contegno e andare a vedere quale fosse il problema.

    Il problema medico.

    Wow, le faceva male la testa.

    La botta contro la pietra era stata stupida e del tutto prevedibile. Quando aveva insistito che voleva vedere tutto ? adesso possedeva un castello e chi non avrebbe voluto vederlo tutto? ? il mandatario del suo defunto cugino le aveva dato una torcia.

    «Attenta alla testa» le aveva detto lui mentre la conduceva nei meandri del castello di Tovahna.

    Quello che aveva visto era stato un labirinto di gallerie, alcune costruite quasi un migliaio di anni prima. Passaggi segreti conducevano dentro e fuori le mura del castello, destinati a essere usati in tempi di assedio. C'erano zone giorno nascoste, cunicoli di ventilazione, spazi per il deposito di armi, cibo e acqua, tutti bui e polverosi e così incantevoli che non c'era da meravigliarsi se alla fine si era dimenticata di stare attenta alla testa.

    La botta era stata forte e le conseguenze immediate. Tutt'intorno aveva iniziato a girare e poi il buio. Si era alzata scoprendo che le colava sangue dalla fronte. Victoir, il mandatario, era stato inutile, combattuto tra il volere aiutare e il non volere macchiare di sangue il suo completo. Alla fine, Anna si era tolta la giacca a vento e aveva iniziato a fare pressione da sola sulla ferita, poi si era fatta aiutare a ritornare in superficie.

    «Non voglio che i paramedici vengano qui» gli aveva detto lei. «Non è niente. Sembra peggiore di quello che è.»

    Tuttavia, ritornando alla luce del sole, Victoir aveva riacquistato la sua autorità. «Lo avevo detto che quei passaggi erano pericolosi. Dovrebbero essere chiusi, riempiti, prima che qualcuno rimanga ucciso. Vi entrano i bambini e non li possiamo fermare.»

    Una vecchia ambulanza era arrivata strombazzando per la strada acciottolata fino al piazzale del castello e Anna era stata spinta dentro in tutta fretta prima che potesse sollevare obiezioni.

    Così si era sdraiata di nuovo e aveva lasciato che i paramedici le facessero una flebo. Aveva sentito tutti i sobbalzi della strada acciottolata mentre la conducevano chissà dove, finché alla fine fu portata in quello che sembrava l'ingresso di un efficiente Pronto Soccorso.

    «Il dottore sta arrivando» le comunicò un'infermiera di mezza età. Non cercò di rimuovere la giacca a vento che Anna stava ancora tenendo a mo' di tampone. «Non preoccuparti. È di servizio il nostro dottor Leo ed è il migliore che abbiamo.»

    E la sua brutta giornata all'improvviso peggiorò.

    Dottor Leo. No! Per favore...

    Ma in quel momento la porta si spalancò e un tipo con un camice bianco si avvicinò alla sua barella. «Maria, cosa abbiamo qui?»

    E le peggiori paure di Anna divennero realtà.

    Leo Aretino. Il suo primo amore.

    Il suo più grande amore.

    Come si faceva a essere davvero innamorate a diciannove anni? Non era possibile, pensò. Quello che avevano avuto era stato un flirt da adolescenti.

    Lui le aveva spezzato il cuore, ma i cuori degli adolescenti erano fatti per essere spezzati. Se l'era ripetuto tante e tante volte negli anni. Aveva incontrato altri uomini. Aveva persino creduto di essersi innamorata di loro, ma il pensiero di Leo non l'aveva mai abbandonata. Alto, moro, forte, parlava la lingua di sua madre, la faceva ridere, studiava con lei, faceva fremere il suo corpo...

    E poi se n'era andato...

    Chiuse gli occhi. Si sentì come se le stesse per esplodere la testa e non era solo a causa del dolore per la botta.

    Aveva pensato che avrebbe potuto vederlo una volta arrivata lì, ma incontrarlo adesso, così...

    «È Anna Raymond.» La voce dell'infermiera faceva trapelare un'emozione repressa. «Anna Castlavara, la figlia di Katrina. Victoir le stava mostrando le gallerie sotto il castello.»

    «Certo.» La voce di Leo era monocorde, calma, come se quel nome non significasse nulla per lui. Aveva saputo che si trovava lì? Doveva averlo saputo, pensò lei. Per Tovahna quella doveva essere stata una grande notizia.

    Per lei lo era stata. La morte di suo cugino. Un'eredità così grande che a stento riusciva a rendersene conto...

    Leo.

    «Io e Anna ci conosciamo da prima.» Leo sembrava ancora calmo. Professionale. Come se fosse una paziente che vedeva ogni giorno. Era una collega di università con cui aveva avuto un superficiale flirt dieci anni prima. Niente di più.

    Una collega che aveva ereditato la maggior parte del suo paese?

    «Anna.» La voce di Leo si fece più gentile e parlò in inglese. «Sei con noi?»

    «Certo.» Anna non riuscì a evitare che dieci anni di risentimento emergessero nella sua voce. «Per mia sfortuna.»

    «Riesci ad aprire gli occhi?»

    «Ci riesco, ma non voglio.»

    «Perché ti dà fastidio la luce?»

    «Perché non voglio vederti.»

    E quell'uomo ebbe il coraggio di ridere.

    «Ancora la testa calda che ricordavo, allora, Anna? Okay, tieni gli occhi chiusi, io controllo il resto.»

    La mano di Leo si posò sopra il suo polso e quel contatto la fece... cosa? Anna avrebbe dovuto provare l'impulso di ritrarsi.

    Ma non fece neanche questo.

    Leo le stava facendo una visita generale, pensò lei, controllando il catetere venoso, la pressione sanguigna, le note del paramedico. Si stava facendo un quadro completo della situazione.

    Era un ottimo dottore. Si ricordava quel commento alla loro cerimonia di laurea. Leo non c'era. Non appena aveva sostenuto l'ultimo esame, se n'era andato per fare un corso che accelerasse la sua carriera in chirurgia prima di tornare a casa. A Tovahna. Ma alla cerimonia di laurea il suo nome era stato letto con orgoglio dal preside della facoltà di medicina.

    Così Anna era in buone mani. Nelle mani di Leo.

    Provò dolore.

    «Ti fa male solo la testa?» Quella voce gentile che lei si ricordava così bene le fece quasi affiorare le lacrime agli occhi. «Anna, ti sei fatta male da qualche altra parte?»

    «Solo alla... alla testa» riuscì a dire lei, e si vergognò che le sue parole venissero fuori come un sussurro balbettante.

    «Ti ricordi cosa è successo?»

    «C'era una grotta con antiche urne di ceramica. Mi sono piegata per guardarle e poi mi sono alzata. Victoir aveva detto che era pericoloso e io non l'ho ascoltato.»

    «Le note dicono che hai perso conoscenza.»

    «Victoir ha detto che è successo per qualche secondo, ma tutto quello che riesco a ricordare è bum e poi che ho avuto le vertigini.»

    Leo doveva pensare a un'emorragia interna, immaginò Anna. Avevano le attrezzature per curare lì una cosa del genere?

    Di tanto in tanto aveva letto informazioni su Tovahna nel corso degli anni... Certo che lo aveva fatto.

    Ancora quasi un'economia feudale, con una famiglia che controlla la maggior parte delle risorse. La stragrande maggioranza della popolazione paga l'affitto alla famiglia Castlavara, e poco è investito nelle infrastrutture. Scuole, ospedali, servizi pubblici sono ridotti al minimo, a dir poco.

    Si avvertono i viaggiatori di portare un'assicurazione medica extra per coprire il trasporto a un paese vicino in caso di difficoltà. I servizi medici sono minimi. Situazioni mediche complesse spesso significano un trasferimento o un risultato meno che soddisfacente.

    Un risultato meno che soddisfacente. Come la morte?

    «Se ho perso

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