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Il sogno di Helen e l'eredità egiziana. Parte I
Il sogno di Helen e l'eredità egiziana. Parte I
Il sogno di Helen e l'eredità egiziana. Parte I
E-book335 pagine4 ore

Il sogno di Helen e l'eredità egiziana. Parte I

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Info su questo ebook

Helen fugge dalla guerra e dalla sofferenza che questa causa. La figlia di Atena trova un'importante alleata durante la sua fuga, un'amica dal sangue misto, mezza umana e mezza elfa. Il suo nome è Efim.
Le due scappano dagli elfi, dirette verso l'Egitto, il luogo dove la civiltà è nata e dove la figlia di Atena incontrerà Horus. Qui Helen scoprirà una nuova e nascosta parte di sé, potente e antica e un nuovo mezzo per affrontare i nemici, l'occhio di Horus.
Tra amici e nemici, tra umani ed elfi, con un cavaliere di drago vinto e uno vincitore. Questa avventura porterà Helen verso una nuova consapevolezza di sé e la riporterà a casa con nuovi amici e alleati.
LinguaItaliano
Data di uscita30 mag 2020
ISBN9788835837992
Il sogno di Helen e l'eredità egiziana. Parte I

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    Anteprima del libro

    Il sogno di Helen e l'eredità egiziana. Parte I - Karel Glaukopis

    1. La fuga.

    Una bionda e una rossa correvano all’impazzata in mezzo a verdi foreste voltandosi in continuazione alle spalle, stavano fuggendo da coloro che prima avevano visto come ancora di salvezza, ma che adesso era diventato un loro avversario.

    Le due fuggitive correvano a perdifiato, non sapevano se stavano andando nella direzione corretta, pensavano solo di evitare le radici che sporgevano dal terreno e a non scivolare nel viscido fango.

    Erano in una foresta molto fitta, gli alberi alti centinaia di piedi coprivano il cielo, ma non evitavano alla pioggia di cadere che rendeva tutto molto più difficile. Nonostante il cielo fosse oscurato dalle foglie, le due amiche ipotizzarono che il sole era tramontato visto che non riuscivano più a vedere oltre a un palmo dal loro naso, questo significava che stavano correndo ormai da diverse ore.

    Helen Bianchi, la ragazza dai capelli biondi come l’oro e gli occhi azzurri e limpidi come un lago illuminato dal sole fu la prima a fermarsi, esausta per la lunga ed estenuante corsa.

    Il muscoloso petto forgiato con anni di allenamenti e combattimenti si alzava e abbassava rapidamente, nonostante cercasse di inspirare a pieni polmoni, le mancava comunque l’aria, sembrava che quella intorno non le bastasse.

    Gli stivali di pelle che prima erano neri e lustri adesso erano ricoperti da uno spesso strato di fango, ciò li rendeva piuttosto pesanti… Anche le lunghe gambe erano ricoperte da terra bagnata, delle gocce le ricoprivano anche il mantello che le copriva la schiena da nuotatrice.

    «Helen non possiamo fermarci, presto ci raggiungeranno e non abbiamo le capacità per affrontarli, ci annienterebbero» disse Efim che si fermò poco più avanti dell’amica.

    Lei era la figlia di un elfo e un’umana quindi era una mezz’umana o una mezz’elfa, dipende dai punti di vista… Nei lineamenti era un misto tra le due razze anche se aveva dei lineamenti orientali.

    Era più bassa di una spanna piena rispetto alla bionda ragazza, con alcuni chili in più e meno muscolosa, ma comunque molto agile. Lunghi capelli rosso fuoco cadevano sulle spalle della ragazza-elfa coprendo parzialmente le orecchie più lunghe rispetto quelle degli umani, ma più corte in confronto agli elfi.

    Gli occhi erano a mandorla ed erano di un marrone che dava sul rossiccio a seconda della luce e dell’umore, ed erano sempre vigili e in cerca del pericolo.

    «Efim, ho le gambe che mi fanno male, il fango sin dentro i polmoni, e poi questa schifosa armatura mi ha distrutto ogni muscolo» si lamentò l’umana con gli occhi rossi e lucidi, non riusciva a smettere di piangere.

    Quella fuga era stata possibile solo grazie alla persona che più aveva odiato e amato in quel periodo tra gli elfi e quell’uomo aveva sacrificato la sua vita per consentirgli di fuggire.

    Quella fuga con l’abbandono di una persona vicina, le ricordava troppo la perdita del padre, anche lui, qualche anno prima, si era sacrificato per permettere a lei, la sua amica Tania e il fratello Karel, gli ultimi due cavalieri di drago, di fuggire.

    Quello che non le andava giù era che il sacrificio del padre, alla fine era risultato inutile. Suo fratello era comunque finito nelle mani di Crono, il loro nemico, la sua amica si era montata la testa talmente tanto da diventare un burattino nelle mani degli elfi e lei, adesso, si ritrovava a fuggire verso gli umani per non fare la fine del cavaliere di drago.

    L’unica nota positiva era l’aver trovato Efim, una persona che aveva conosciuto nelle celle elfiche e che ancora non sapeva se poteva definire amica, comunque era l’unica che la stava accompagnando in quella folle fuga… Bella vita!

    «Mi è venuta un’idea, togliamoci l’armatura» disse Efim, poi fischiò in un modo talmente acuto che Helen dovette tapparsi le orecchie per salvarsi i timpani.

    Dopo alcuni minuti arrivò un cervo, alto e maestoso fissava le due ragazze con superiorità, a quell’animale sarebbe bastata un’incornata decisa per annientare le due amiche.

    La mezz’umana prese le armature, ogni volta che le spostava il rumore metallico risuonava forte nella foresta, non sarebbe stato difficile per gli elfi dotati di un udito fine a individuarle, ma non poteva dirle niente, stava facendo il possibile per evitare suoni inutili, anche se in modo vano.

    Sistemò in modo accurato i vari pezzi delle armature sulle ramificate corna dell'animale, accarezzando la testa del cervo bisbigliò delle parole che Helen non sentì, poi ripresero a camminare.

    Passeggiarono seguiti dall’animale sino quando non raggiunsero uno dei tanti ruscelli creati dalla copiosa pioggia, Efim fissò il cervo per alcuni istanti, stava comunicando con l’animale con la mente poi il maestoso cervo riprese a correre facendo molto rumore.

    La ragazza/elfa dai capelli rossi mise per terra i due pettorali, i pezzi dell’armatura più pesanti e che non aveva dato al cervo, poi disse «Si confonderanno, adesso avranno due piste da seguire, la nostra e quella del cervo… Saranno anche degli ottimi segugi, come i cani sentono gli odori e i rumori, ma qui si dovranno dividere».

    «Ben fatto!» esclamò Helen cercando di apparire tranquilla.

    Efim fece finta di niente, sapeva benissimo che sarebbe stato inutile infierire ricordandole quello che era successo o cercando di consolarla con parole inutili sul destino del suo maestro, quindi per distrarla disse «Non correremo, però non possiamo fermarci e non dobbiamo lasciare tracce, camminiamo lungo il ruscello, dirigendoci verso la parte opposta rispetto il cervo, in questo modo avremo un piccolo vantaggio».

    Helen abbozzando un sorriso disse «Ottimo piano, ma il cervo non rischia di venire ucciso?»

    «Ho pensato anche a questo, infatti, gli ho detto che ogni tanti metri deve lasciare un pezzo lungo il suo cammino, quando li finirà, scapperà. Non dovrebbero riuscire a prenderlo. Non è giusto che un amico perda la vita aiutandoci».

    Helen non era troppo convinta, non riusciva a immaginarsi un cervo che si toglieva pezzi di armatura dalle corna, ma si fidò comunque dell’amica. Alla fin fine era tra esseri magici e ci si poteva aspettare di tutto da loro.

    Efim fu piuttosto decisa e senza farsi troppi problemi in un attimo era già dentro l’acqua ghiacciata, per la bionda ragazza il discorso fu diverso, l’idea di entrare dentro il ruscello non le piaceva proprio assolutamente.

    «Non perdere tempo, mollacciona!»

    Helen la guardò malamente, poi prendendo un po’ più di coraggio entrò anche lei, all’inizio fu tremendo, poi riuscì a sopportarlo meglio, o almeno i piedi persero sensibilità così non sentì più il freddo.

    Percorsero il ruscello con decisione, erano contro corrente ed era leggermente in salita, il fondo era inoltre ricoperto di alghe, scivolarono più volte, a un certo punto si ritrovarono immerse nell’acqua ghiacciata sino la cintura, fu più fastidioso anche di quando entrò nell’acqua!

    Quando decisero di uscire dal ruscello tremavano per il freddo e gli abiti erano così zuppi da pesare due volte tanto, non dovettero discutere per decidere di fermarsi, erano esauste, fradice sino le ossa e congelate.

    Tirarono fuori i sacchi a pelo e si sistemarono tra le radici di un gigantesco albero, quindi Efim creò degli incantesimi che le avrebbero protette dalla pioggia, dal terreno bagnato, dal freddo, dagli animali e da eventuali sguardi indesiderati.

    «Penso che tu sia meglio di una tenda» esclamò Helen quando fu sotto le calde piume del sacco a pelo con i denti che sbattevano ancora facendo rumore.

    «La cosa bella è che non è troppo faticoso da mantenere!» esclamò l’amica, anche lei dentro il suo sacco a pelo e anche lei tremante, finalmente erano al caldo e all’asciutto.

    «Comunque domani mi dici come fai, così la prossima volta lo creerò io».

    «Poi vediamo» rispose la mezz’elfa che esausta si addormentò, un attimo dopo anche Helen iniziò a ronfare.

    Quando all’alba Efim svegliò la ragazza dai capelli come l’oro, quest’ultima, prima si lamentò, poi ricordando la situazione, a fatica indossò gli abiti fradici del giorno precedente e si alzò. Quando Helen mise le scarpe sentì lo splash, l’acqua fredda che le avvolgeva i piedi e le vennero i brividi.

    «Helen non possiamo fermarci troppo a lungo, vuoi scappare oppure vuoi nuovamente essere torturata e rinchiusa in quell’orribile cella puzzolente? Guarda che io non ho messo il naso fuori da quel palazzo per mesi, adesso che ho la possibilità di fuggire, tu non fai altro che lamentarti» sussurrò Efim con rabbia.

    «Scusa» mormorò Helen.

    «Non mi interessano le tue scuse! Secondo te non mi fanno male i muscoli, i miei abiti non sono fradici e le scarpe zuppe come le tue! Se tu vuoi puoi restare, fallo, ma sappi che io me ne vado, basta che lo dici».

    «Scusa Efim» ripeté Helen con più decisione, «Non volevo darti questa impressione, ma è solo che tutto succede così velocemente che io vorrei fermare tutto e avere un attimo per ragionare… Ma hai ragione, dai andiamo, non possiamo perdere altro tempo, e poi oggi non piove, o almeno così sembra sotto questi magnifici alberi» concluse Helen facendo il primo passo a fatica e guardando le foglie verdi degli alberi sopra le loro teste.

    «Prossimo obiettivo è il passaggio dei nani, ormai siamo vicini, lo sento. Un piccolo e ultimo sforzo e saremo al riparo dalle intemperie» disse Efim abbozzando un sorriso.

    Ripresero a correre cambiando strada più volte, attraversando e percorrendo ruscelli facilmente evitabili, non perché avevano perso il senso dell’orientamento o perché erano sadomasochiste, ma per sperare di rendere la ricerca degli inseguitori il più complicata possibile.

    Erano ore che alternavano la corsa alla camminata veloce, avevano incominciato a cercare l’ingresso del passaggio dei nani, ma senza successo. Le immagini mentali trasmesse da Ozart sulla localizzazione del passaggio erano vecchie e la natura era cambiata nettamente negli ultimi anni, non c’era niente che riuscivano a collegare a quelle confuse immagini che avevano in testa.

    «Stiamo continuando a camminare in tondo, da qui siamo già passate tre volte» disse Helen indicando un albero alto e vecchio.

    «Ho visto anch’io, ma dovrebbe essere qui nei paraggi, sono sicura che è questo l’ambiente visto nei pensieri di Ozart. Dobbiamo cercare meglio, stiamo perdendo troppo tempo» disse Efim mentre spostava con frustrazione degli arbusti in cerca del passaggio.

    «Dai andiamo da quella parte, non ci siamo ancora passate» propose Helen indicando verso Ovest.

    Continuarono a cercare, spostarono arbusti per ore ferendosi le braccia e le mani e sporcandosi i pantaloni quando s’inginocchiavano per guardare meglio anche da altre prospettive, ma niente.

    «Non possiamo continuare così, presto ci troveranno, sono vicini, sento la loro magia, si sono già accorti del nostro inganno».

    «Ho avuto un’idea» disse a un certo punto Helen che aggiunse «Però ho bisogno del tuo aiuto».

    La ragazza fece creare all’amica una palla di fuoco e tenendolo in mano la avvicinò al terreno facendo attenzione a non bruciare le sterpaglie. All’inizio il fuoco, spostato dal vento, si mosse in varie direzioni, Helen creò un incantesimo creando una sfera che le avrebbe protette dalle intemperie in modo da ridurre ancor di più i fattori di disturbo.

    Improvvisamente il fuoco incominciò a spostarsi verso una sola direzione, c’era un leggero vento che soffiava da quella parte, un vento che proveniva dalla terra.

    «Andiamo da quella parte» disse Helen indicando la direzione opposta rispetto a quella della piccola fiamma.

    Il vento che spingeva il fuoco si fece sempre più forte, erano vicine alla fonte. Poi la fiamma iniziò a indicare la direzione opposta, il vento era cambiato.

    «Abbiamo superato l’ingresso!» esclamò Efim felice come una bambina.

    «Deve essere qui, aiutami a spostare questi arbusti» disse Helen che incominciò a spostare le piante umide.

    Quando la mezz’umana raggiunse la bionda improvvisamente scomparve e dopo un botto e un lamento, la mezz’umana disse «Penso di aver trovato il passaggio dei nani, dai vieni a darmi una mano che penso di essermi fatta un po’ male».

    Efim era sprofondata lasciando uno spazio libero nella vegetazione e tra delle travi e dei pezzi di legno marcio che avevano ceduto al suo peso.

    «Tutta intera?» chiese la bionda ragazza guardando dentro il pozzo, poi scuotendo la testa aggiunse «Certo che Ozart è un po’ fuso, dimmi come avremmo mai fatto a trovarlo!»

    Helen era irritata con quell’uomo che per l’ennesima volta le aveva fatto rischiare la vita, anche se per molti versi ne era profondamente grata, senza di lui probabilmente erano già morte.

    «Non lo so, ma la cosa importante e averlo trovato, dai vieni, io non userei la scala, mi sembra marcia anche quella» rispose Efim, la ragazza con un balzo raggiunse l’amica che stava cercando di mettersi in piedi.

    «Ferma, fammi vedere» disse Helen avvicinandosi alla gamba dell’amica, sembrava intera.

    «Non penso sia niente, forse una distorsione, l’avrei sentito se si fosse rotta! Fortuna che i nani sono bassi, pensa fossero stati dei giganti, mi sarei fatta molto male!»

    «Veramente fortunata!» ironizzò Helen che aveva temuto il peggio.

    «E fortuna che sono pesante, tu non saresti sprofondata e non avremmo trovato il passaggio così velocemente» disse Efim, tutte e due si misero a ridere come pazze, se qualcuno le avesse viste si sarebbe preoccupato.

    Dopo quell’attimo di euforia/pazzia, la tensione molte volte fa brutti scherzi, con la magia sistemarono il passaggio con i pezzi di legno rotti e gli arbusti in modo che gli elfi avrebbero perso del tempo per trovarle, quindi Efim accese un fuoco magico.

    Erano finite in un passaggio alto poco più di un metro e mezzo e largo uno, la fine non si vedeva e quando parlarono il loro eco non tornò, la fine era molto distante. Il passaggio continuava anche alle loro spalle, anche in quel caso, nonostante il fuoco di Efim fosse luminoso, la fine non si vedeva.

    Presero due torce che si trovavano appese ogni cinque metri ai lati del passaggio, probabilmente quando il tunnel era funzionante tutte le torce venivano accese, ma a loro serviva solo la luce per illuminare qualche metro davanti e dietro di loro, quindi ne accesero solo una a testa.

    «Penso che abbiamo saltato l’ingresso consigliato da Ozart, forse siamo entrate più avanti» propose Helen guardandosi intorno.

    Il corridoio era differente rispetto quello visto nelle immagini di Ozart e non c’era niente che segnalasse dove fossero, il silenzio era assoluto e non c’era niente che indicasse la presenza di esseri vivi nei paraggi.

    «Sperando di aver preso la galleria giusta! A quanto ne so i nani ne hanno scavate a migliaia di queste gallerie» esclamò Efim anche lei guardandosi intorno in cerca di un simbolo per capire dove fossero.

    «Noi dobbiamo andare verso Sud e questa mi sembra vada proprio in quella direzione» disse la ragazza bionda sorridendo e incominciò a camminare.

    Stare sotto all’ingresso con la fiaccola accesa rischiava di dare dei punti di riferimento ai nemici. Se questi ultimi avessero visto il fumo, sarebbe stato più facile per quelli individuarle, quindi, anche rischiando di sbagliare direzione e ritrovarsi in un posto sconosciuto o nelle mani del nemico, decisero di partire.

    Era stata una decisione azzardata, ma Efim era stata zitta, forse anche lei aveva capito la situazione o forse anche lei aveva la sensazione che quella galleria portava verso Sud, la loro direzione, quindi si incamminò dietro la bionda.

    Il terreno era in pietra, lastre posizionate con cura l’una accanto all’altra formando un terreno perfettamente liscio. Dal colore sembrava marmo, potevano essere in un palazzo di un re se in alcuni punti la pietra non avesse ceduto formando delle crepe. Il problema maggiore era dato dall’altezza del tunnel, soprattutto per Helen, che doveva camminare piegata in due come una vecchietta.

    Dopo circa due ore di cammino ininterrotto in quel cunicolo, si trovarono di fronte alla prima deviazione, una strada portava verso destra, l’altra verso sinistra, la strada verso Sud si era improvvisamente interrotta.

    «Cosa facciamo?» chiese Efim soprattutto rivolta a se stessa.

    «Da ambedue le vie arriva aria, quindi non andremo in un vicolo morto, il problema è dove portano, non possiamo permetterci di perdere troppo tempo, non abbiamo tanti viveri con noi e qui mi sembra difficile trovarne» disse Helen riprendendo a camminare con passo deciso nel tunnel di sinistra.

    «Perché a sinistra?»

    «Perché porta verso l’Oriente e, come direzione, può sempre andare! E poi il soffitto è più alto!» esclamò la ragazza bionda non troppo convinta della sua decisione, ma raddrizzandosi mentre la schiena dolente scricchiolava.

    Alle loro spalle il tunnel si fece sempre più lungo, dinanzi a loro non sapevano per quanto ancora dovevano camminare, per quanti chilometri e per quanto tempo… Tempo, una cosa che in quel tunnel sembrava non passare mai, il sole non separava il giorno dalla notte, l’unica cosa che indicasse il passare della vita, erano i loro passi.

    Passi che risuonavano in quel piccolo luogo, ma che non indicavano alle ragazze da quanto camminassero o che ora fosse, Helen aveva al polso l’orologio regalatole da Cal, ma in quel momento aveva altri mille problemi a cui pensare.

    Il tunnel era stato costruito il leggere pendenza, andavano verso il basso e questo aiutava le ragazze a mantenere un passo veloce senza faticare troppo, il lato negativo era dato dalle pareti che si restrinsero leggermente. Da quando avevano preso quella biforcazione il soffitto invece da un metro e mezzo che era all’inizio, era diventato alto due metri.

    Il pavimento continuava a essere di marmo, questo era più spesso e resistente, ed era perfetto. Anche le pareti incominciavano a essere ricoperte da marmo bianco, il che rendeva l’ambiente più luminoso e accogliente. Le fiaccole erano state sostituite con delle eleganti lanterne in rame, erano tutte spente, erano in un tratto più curato.

    «Incomincio a essere stanca, ho la schiena che è a pezzi e ho la bocca asciutta», si lamentò a un certo punto Helen, Efim invece sembrava ancora in forma per camminare per ore ininterrotte, probabilmente la prigionia lunga parecchi mesi e la voglia di visitare nuovi posti le stavano dando una forza fisica e mentale straordinaria.

    «Anch’io» mentì Efim.

    Anche se la risposta era stata breve e secca, sentire la voce dell’amica alle sue spalle la fece sentire meglio, sentire che c’era qualcuno dietro di lei era molto meglio che sentire solo i suoi passi.

    Camminarono per molti passi ancora, poi Helen tanto assonnata quanto stanca, tra uno sbadiglio e l’altro disse «Proporrei di fermarci, ma non possiamo permetterci di perdere troppo tempo, come possiamo fare per non dormire ore? Con questo buio e la stanchezza che mi ritrovo, potrei dormire anche giorni».

    «Potremmo fare i turni, oggi dormi tu, domani dormo io. In questo modo decidiamo i tempi e facciamo anche i turni di guardia».

    «Efim, noi dobbiamo dormire, abbiamo la necessità di dormire, io almeno, essere umana, devo disattivare il cervello. Quindi beviamo, mangiamo qualcosa e dormiamo, la prima che si sveglia, chiama l’altra» disse Helen fermandosi di botto.

    Dopo un attimo di silenzio la bionda aggiunse «Capisco la tua voglia di scappare, ma prima o poi crollerai e perderemo ancora più tempo! Ti parlo per esperienza personale».

    «Facciamo come dici, non sento ancora i passi di nessuno, quindi non hanno trovato il passaggio» rispose Efim non troppo convinta.

    Dopo aver mangiato e bevuto il minimo indispensabile che facesse sopportare loro la fame e la sete per la notte, si poggiarono schiena contro schiena, misero gli zaini sulle gambe, si coprirono con i sacchi a pelo e chiusero gli occhi, dopo aver spento le torce.

    In un attimo entrambe erano nel mondo dei sogni.

    2. Il mondo dei nani.

    «Efim, svegliati, dai apri gli occhi, dobbiamo partire» disse Helen quando, dopo un attimo di esitazione, si alzò di scatto.

    «Fammi dormire ancora un po’» si lamentò lei, alla fine la sua mente aveva giustamente ceduto al sonno.

    «No, dobbiamo partire, penso abbiamo già passato troppo tempo in questo posto», e con uno strattone più forte svegliò definitivamente l’amica.

    «Ma sei matta, mi hai fatto male!» esclamò Efim massaggiandosi il collo, ma del tutto sveglia.

    «Scusa, ma non volevi svegliarti, anche se parlavi ero sicura stessi ancora dormendo… Non eri in te» disse Helen sorridendo.

    «Hai ragione, non ricordo di aver detto niente, non ero io, dai partiamo», e senza mangiare e bere, ripresero il cammino.

    In modo graduale la pendenza aumentò, ma non costrinse le ragazze a rallentare il passo, riuscivano a camminare velocemente senza fare troppo fatica, era stato studiato, il problema erano le dimensioni di quel tunnel che adesso era poco più basso, la larghezza non cambiò.

    «Ancora non tocco con la testa, ma mi preoccupa questo, tra poco sarò di nuovo costretta a camminare piegata in due» scherzò Helen che sfiorava il soffitto con il capo cercando di rendere quel momento di viaggio meno noioso.

    «Ah, ah, io non ho questo problema per adesso, hai visto che l’essere più bassa può essere un vantaggio!» rise Efim che capì le intenzioni dell’amica.

    Le due ragazze parlarono mentre camminavano, questo rese il viaggio più veloce, si fermarono due volte per riposare e mangiare e Helen dovette camminare per un buon tratto con la testa abbassata prima di raggiungere un’ampia stanza dove poté rimettersi dritta e poterono riprendere aria.

    Era una stanza alta circa due metri, molto ampia e della quale non si vedevano le pareti, vi era dell’aria fresca che proveniva da un canale, creato dai nani, sul soffitto. Era talmente stretto che non permetteva il passaggio di un umano e neanche a un piccolo animale.

    «Questo forse era un posto per il riposo dei viaggiatori» ipotizzò Efim aumentando la luce dopo aver creato una sfera di fuoco con la mano libera.

    Erano in un’enorme stanza quadrata, c’era una grande vasca rettangolare che occupava tutta la parete destra, a sinistra c’erano dei barili enormi, occupavano gran parte dello spazio. Tra i barili e negli angoli c’erano ancora delle piccole tende ormai vecchie e logore.

    L’attenzione di Helen fu attirata dalla vasca, era stata costruita con enormi lastre di pietra azzurra con incastonati zaffiri, diamanti e altre pietre preziose che luccicavano sulla sua superficie.

    L’acqua al suo interno, illuminata dalla luce di Efim, scintillava, colorando il soffitto e le pareti con i colori dell’arcobaleno, tale effetto veniva accentuato dalle pietre preziose che trapassavano la pietra da parte a parte.

    Osservando le pareti poterono vedere che erano state lavorate da mani esperte, presentavano delle incisioni scritte con minuscoli diamanti, che però la bionda non riusciva a decifrare.

    L’intera stanza era stata costruita con marmo bianco, dalle pareti al soffitto, compreso il pavimento. Le botti sembravano antiche, ma nonostante ciò il legno era perfetto, anche su questo c’erano delle iscrizioni eleganti e fluide che lei non aveva mai visto prima.

    «Perché non passiamo la notte qui? Mi sembra un bel posto» propose Helen guardandosi intorno estasiata.

    «Per me va bene, però prima dobbiamo vedere se l’acqua è buona e cosa c’è in quei barili» disse Efim avvicinandosi alla vasca.

    Non sembrava esserci un ricambio, ma l’acqua era pulita e fresca, dopo un attento esame e dopo averla assaggiata, Efim disse «Si può bere».

    «E da cosa l’avresti capito?» chiese Helen diffidente.

    «Il gusto è buono, il colore trasparente e poi si dice che l’acqua dei nani sia sempre la migliore. La prendono direttamente dalle sorgenti prossime al centro della Terra, immagino che questa stanza è stata costruita perché c’era questa fonte d’acqua» spiegò la mezz’umana mentre continuava a dissetarsi.

    «Visto che non ho sete aspetto sino domani, se non soffri di mal di pancia e sei ancora viva, significa che l’acqua è buona» disse sorridendo Helen.

    «Bell’amica» borbottò Efim.

    «Scherzavo!» esclamò Helen sorseggiando l’acqua. Berne poca forse significava un piccolo mal di pancia! In caso non fossero incorse in alcun malanno avrebbero riempito le borracce prima di partire.

    Aprirono anche uno dei barili, dentro era pieno di sale, c’era anche della carne, ma era molto vecchia, negli altri trovarono dei legumi secchi e della frutta, anch’essa essiccata.

    «Possiamo mangiare solo la verdura e la frutta» disse Efim prendendone alcuni pezzi in mano.

    «Ma saranno vecchissimi!» esclamò Helen mentre si grattava la testa e pensava a quanto valeva rischiare un mal di pancia per riempire lo stomaco…

    «Ma non possiamo permetterci di non mangiare o continuare a consumare le nostre scorte, ormai sono rimaste poche cose».

    «Potremmo cuocerli! Se ci fossero dei microbi o quant’altro li uccideremmo, non so cosa viene fuori, ma almeno mangiamo qualcosa senza rischiare».

    «E così sia…»

    Presero il pentolino che avevano nello zaino, lo riempirono con dell’acqua e misero le cose che trovarono nel barile, infine con la magia cucinarono quella specie di minestra. Dopo averle lasciate raffreddare le due incominciarono a mangiare quella poltiglia dall’aspetto per niente invitante.

    «Buone queste cose» disse Helen con una smorfia disgustata mentre masticava qualcosa di duro e aspro.

    «Non si direbbe dalla tua faccia».

    «Dovresti vedere la tua, fai delle espressioni!», e Helen scoppiò a ridere.

    «Pensa che sono tutti carboidrati e fibre, almeno avremo parecchie energie da poter spendere» rispose l’altra continuando a mandare giù un boccone dopo l’altro.

    «Se saremo ancora vive!»

    «Basta con questo pessimismo».

    «Provavo a sdrammatizzare…»

    «Però così fai l’uccellaccio del malaugurio».

    «Ho un’amica superstiziosa…»

    «Noo! È solo che non

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