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Il sogno di Helen e l'eredità greca. Parte I
Il sogno di Helen e l'eredità greca. Parte I
Il sogno di Helen e l'eredità greca. Parte I
E-book265 pagine4 ore

Il sogno di Helen e l'eredità greca. Parte I

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Info su questo ebook

Questa è la storia di due gemelli, Helen e Karel, che ricevono in dono delle uova di drago che cambieranno la loro vita. Saranno costretti a fuggire da un nemico a loro sconosciuto, entrando a far parte di una guerra iniziata secoli prima tra titani e dei, tra antico e moderno...
Il loro destino sarà intrecciato con personaggi della mitologia greca, e in questa prima parte della loro avventura dovranno affrontare i pericoli del mondo esterno e i problemi legati all'adolescenza. Gli episodi narrati in questo libro sono solo l'inizio di un'avventura che lega il passato al presente.
LinguaItaliano
Data di uscita25 mar 2020
ISBN9788835393344
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    Anteprima del libro

    Il sogno di Helen e l'eredità greca. Parte I - Karel Glaukopis

    1. L’inizio di un sogno.

    Un drago dalla schiena nera come la pece e il petto bianco come l’avorio atterrò pesantemente tra le alte vette spagnole. L’animale sprofondò con le muscolose zampe posteriori e si infossò sino al petto quando appoggio quelle più piccole anteriori distruggendo un povero e innocente alberello che si trovava sulla strada della coda lunga e piena di aculei.

    Gli occhi del drago erano gialli come quelli di un felino, si spostavano a destra, a sinistra, e sopra, in cerca di qualcuno, in cerca di qualcosa. Iniziò anche a fiutare l’aria, come avrebbe fatto un gatto attirato da una preda, con il grosso muso simile a quello di una lucertola. All’improvviso le sue lunghe orecchie appuntite si spostarono nella stessa direzione dello sguardo e piantando gli artigli, il drago si preparò per combattere.

    Pochi attimo dopo il drago, apparvero come ombre in mezzo a quelle montagne, quattro figure più oscure della notte e armate con delle spade scintillanti al chiaro di luna. Quei quattro esseri senza dire niente, silenziosi, si avventarono contro l’animale.

    Il drago si difese sputando fuoco, ma le sue fiamme non avevano effetto contro quegli esseri che erano fatti con la stessa ombra e quando il primo con un tondo aprì un profondo taglio sul petto dell’animale, quest’ultimo con un ruggito fece tremare anche le viscere della Terra. L’animale disperato, per salvarsi la vita ruotò su sé stesso usando la coda come arma, costringendo, con lo spostamento d’aria, i quattro esseri armati di spada ad indietreggiare.

    La tregua durò meno di un istante e quando gli esseri neri come la pece ripartirono all’attacco, per il drago non c’era più speranza. I suoi artigli non erano sufficientemente affilati o utili contro quegli esseri e le sue squame non abbastanza dure per difenderlo.

    Il drago era sul punto di arrendersi, ma proprio all’ultimo istante, prima che le lame di quei mostri scalfissero per l’ultima vota la pelle dell’animale, due fasci luminosi come il sole apparvero dal nulla bloccando le spade avversarie.

    Tutti, compreso il drago, non capirono cos’era successo fin quando quelle lame luminose, dopo aver spezzato le armi dei mostri e fatto trasformare quelle ombre in polvere, terminarono lo scontro.

    «Maledetti» borbottò l’essere con le due spade ancora scintillanti in mano, «Sempre a sporcare tutto con la loro immondizia. Quando rimpiango il sangue di una volta…»

    Dopo aver pulito le lame macchiando di nero il suo mantello color panna, l’essere apparso dal nulla disse «Dragonessa».

    ‘Con chi parlo?’ chiese l’animale ancora vistosamente spaventato e che non poteva vedere in viso la sua salvatrice. Quest’ultima infatti aveva il capo nascosto da un vecchio elmo.

    «Non è importante il mio nome, ma il motivo per il quale ti ho salvata. Adesso porta i tuoi doni ai destinatari e concludi la tua missione» disse quell’essere con gli occhi azzurri come il mare con sfumature di grigio e che spendevano nella notte come due stelle.

    ‘Lo farò, farò in modo che questo debito sia estinto.’

    «Parti e fai in fretta, il nemico è sempre sulle tue tracce e io non ti posso più dare altro tempo» disse l’essere guardandosi furtivamente intorno.

    ‘Riusciranno a prendersene cura?’ chiese il drago.

    «Loro sono pronti per ricevere il dono e cambiare il nostro futuro».

    ‘Come li troverò?’

    «Segui l’istinto, le vostre strade si incroceranno e saprai che sono loro».

    ‘Potrò ancora contare sul tuo aiuto?’ chiese l’animale prima di prendere il volo.

    «No, più ci avviciniamo e più il nemico è potente e meno io posso fare. D’ora in avanti sarai da sola in questa missione, adesso vola e trovali, il destino del mondo dipende anche da te» concluse l’essere scomparendo definitivamente nel nulla.

    E due ragazzi, uno bruno e una bionda, si svegliarono nel pieno della notte, con il fiatone e sudati. Dopo essersi guardati per un istante, esausti e consapevoli che l’indomani sarebbe stata una lunga giornata, tornarono a dormire. Fortunatamente era stato solo un brutto sogno, probabilmente dovuto ai libri (presi in biblioteca) diventati anche serie televisiva che stavano leggendo dove c’erano draghi e combattimenti all’ultimo sangue contro dei mostri.

    2. Il compleanno.

    Era il ventuno marzo, l’equinozio di primavera e quel giorno il sole splendeva alto nel cielo azzurro. Lontano dal centro di Torino, tra quel poco verde della periferia, nella casa della famiglia Bianchi, vi era un clima ancor più caldo per un evento importate… Due gemelli, Helen e Karel stavano festeggiando il loro sedicesimo compleanno.

    «Secondo te gli piacerà?» domandò la donna quasi in un sussurro, mentre finiva di preparare il pranzo. La signora era sui sessant’anni, bassetta e tarchiata. I capelli corti e dritti, li teneva ben pettinati, ed erano di un castano scuro con parecchi fili grigi. Gli occhi erano color nocciola e si spostavano in continuazione dal pranzo ai gemelli.

    «Sì Debora, sicuramente, anche perché ho dovuto svuotare il conto in banca!» esclamò sorridendo Arzio, il padre dei gemelli, andando a prendere i regali. L’uomo era sempre sorridente e per quell’occasione si era pettinato i capelli e la barba neri come la pece e con qualche filo bianco, i gemelli non l’avevano visto così curato da quando cercava ancora un posto di lavoro fisso (praticamente da anni). Pochi attimi dopo l’omone muscoloso tornò nella stanza con un sorriso che mostrava tutti i denti, con le mani dietro la schiena e guardò i due figli.

    Il ragazzo e la ragazza nonostante fossero gemelli erano nei lineamenti simili ma non identici. Il fisico dei due era slanciato e secco come un ramoscello, ma curato con gli esercizi fisici dovuti ai lavori che facevano quotidianamente per aiutare il padre con l’orto. Erano più alti della madre ma non di certo del padre e svettavano rispetto i loro compagni di scuola. Avevano gli arti più lunghi rispetto al tronco e le spalle larghe per le lezioni di nuoto che facevano tre volte la settimana e dove non erano male. Il ragazzino era costantemente ricercato dalle altre ragazze, come dicevano loro "era bello da morire, mentre per la sorella la situazione non era delle migliori poiché era troppo mascolina e spilungona", in compenso erano spesso i primi a essere scelti per le partite di pallacanestro e pallavolo.

    Karel aveva capelli neri come la pece, mossi e lunghi sino le spalle, li teneva spesso legati, come direbbe Helen "in un’orribile coda di cavallo." Anche gli occhi erano come quelli del padre, solo più profondi e neri ma i lineamenti del viso, identici a quelli della sorella, erano più duri e affilati rispetto ai genitori. Per non parlare del colore della pelle che anche nei mesi estivi dove prendevano tanto sole e dove i genitori potevano essere scambiati per africani, rimaneva pallida e dalle labbra quasi invisibili.

    La ragazzina aveva lunghi capelli più mossi rispetto quelli del fratello, nelle giornate umide si sarebbero potuti dire ricci. Anche lei era solita tenerli raccolti in una coda (per evitare che andassero in tutte le direzioni) che le arrivava a livello delle scapole, tranne che per una treccina che continuava oltre per alcuni centimetri. Il colore dei capelli era come quello dell’oro fuso, lucente come il sole d’estate. Gli occhi erano azzurri e luminosi, trasparenti e intensi che risaltavano come un faro nella notte sul viso dalla pelle color avorio.

    Helen e Karel facevano parte della terza A, l’ultimo anno di scuola obbligatorio, i due aggiuntivi erano per chi avrebbe voluto avere un’educazione più accurata e specifica in qualche campo, ma erano in pochi quelli che continuavano. Senza considerare l’università, quella era solo per quelli che abitavano in altre zone della città e avevano tempo da investire per un ulteriore livello di educazione. La classe era formata da ventiquattro ragazzi e ragazze, quasi tutti dello stesso ceto sociale dei due gemelli (poveri che più poveri non si può…), ma erano in pochi quelli della stessa età poiché molti lavorando trascuravano del tutto lo studio venendo bocciati più e più volte. Gli insegnanti erano giovani e inesperti, alle prime armi e non gli importava quanto i ragazzi imparassero, anzi minore era il numero degli studenti che continuavano sino alla fine dell’anno o si presentavano in aula, meglio era. In ogni caso avevano il posto assicurato…

    Helen era la migliore della classe, aveva delle capacità innate soprattutto in matematica, fisica e di storia ne sapeva molto spesso più dei professori, mentre Karel se la giocava con i peggiori. In compenso il ragazzo, oltre ad essere il Casanova della situazione era anche il capoclasse, titolo che gli spettava poiché tutti lo seguivano e lo ascoltavano senza mai discutere, compresi i professori.

    Tornando a quel giorno, i due gemelli per quell’evento che non festeggiavano mai in quel modo (se non con un semplice dolce), indossavano i loro abiti migliori, quelli delle occasioni importanti. Non c’è bisogno di aggiungere che anche questi abiti erano logori per l’eccessiva usura e vecchi poiché erano di seconda mano, ma almeno erano più decenti rispetto il poco che avevano nell’armadio. Si erano lavati e pettinati già la mattina presto poiché non avevano dovuto lavorare per il papà, adesso seduti, si allungavano a destra e a sinistra, sopra e sotto, cercando di sbirciare dietro le possenti spalle dell’uomo, purtroppo senza successo.

    Un telefonino, un gioco elettronico, una seconda bicicletta o semplicemente un vestito nuovo di marca, erano questi alcuni dei desideri che nella testa dei due gemelli fioccavano a centinaia. Erano molti degli oggetti che i loro amici e compagni di scuola già possedevano, ma di cui loro non avevano mai visto l’ombra, la loro situazione economica non glielo consentiva…

    «Non farci più soffrire, dai!» esclamò il ragazzino pregando il padre e aspettando ansiosamente il suo primo vero regalo di compleanno.

    «Dai papà, Karel per la prima volta in vita sua ha detto qualcosa di sensato!» esclamò anche Helen ricevendo una bella gomitata dal fratello.

    «Ci dispiace di avervi potuto regalare poco o niente in tutti questi anni, ma non possiamo permetterci troppe spese in un periodo come questo», iniziò l’uomo leggermente imbarazzato e abbozzando un sorriso piuttosto forzato.

    Poi tornando allegro aggiunse «Ma questo compleanno è speciale, come voi sapete, i sedici anni sono il vostro primo traguardo, voi d’ora in avanti sarete per legge indipendenti da noi e avrete delle responsabilità in più, siete ormai considerati dei ragazzi, non più bambini!»

    «Questo regalo sarà una prova e vedremo quanto potremo ritenervi maturi, spero ne farete buon uso», concluse il discorso la donna affiancando il marito che con le parole non era mai stato bravo.

    In coro i due genitori, mentre Arzio tirava fuori i regali da dietro la schiena, esclamarono «Buon compleanno!»

    L'uomo diede alla ragazza un contenitore di legno cilindrico vecchio e logoro con un fiocco rosso, riciclato da qualche altro regalo, attaccato con del nastro adesivo (quello di carta per il legno). Il ragazzo, invece, ricevette un oggetto lungo cinque spanne, impacchettato con della carta per pacchi, anche su questo era stato messo malamente un fiocco, questo blu.

    «Non guardate i pacchetti, l’importante è quello che c’è dentro» disse Arzio che non stava più nella pelle.

    «Papà non è molto bravo ad impacchettare i regali, sfortunatamente ho lasciato che facesse tutto lui!» esclamò la donna sorridendo e dando una pacca sulla spalla del marito.

    «Non si guadagna da vivere con questo!» si difese l’uomo alzando le mani.

    «Comunque non ti sono venuti tanto male, stai facendo qualche progresso» terminò il discorso Debora vedendo che Helen aveva tolto il coperchio.

    Aprendolo delicatamente, la bionda ragazza, all’interno del suo pacco, trovò un arco di legno smontato e delle frecce con delle piume bianche, ci mise un attimo a tirarlo fuori e ancor di meno ad iniziare a montarlo. Aiutata dal padre, pezzo dopo pezzo, gli fecero prendere le sembianze di un arco, lungo cinque spanne circa, con un’impugnatura più spessa ricoperta da pelle nera. Quando lo ebbe in mano sentì un brivido percorrerle la schiena e fu subito contentissima, mancava l’ultimo pezzo e il più difficile, mettere la corda. Alla fine grazie alla forza del padre lo ebbe intero.

    Il ragazzo trovò dentro il suo pacchetto una spada di tre spanne, con l’impugnatura a una mano e mezzo, era stata ripulita dalla polvere e dalla ruggine e quindi era lucida e ben affilata sui due tagli. L’arma aveva l'elsa semplice, di metallo, che terminava con un pomo tondo e lucido. L'impugnatura era ricoperta con della vecchia pelle ormai consumata. Era un’arma molto più pesante rispetto quelle di legno con cui erano abituati a giocare, sembrava pratica anche se poco elegante.

    Helen, la bionda ragazzina, e Karel, il ragazzino dai capelli neri e mossi, presero le loro prime vere armi ed esclamarono in coro «Sono magnifiche!»

    La ragazzina non riusciva a smettere di sorridere, anche quando stava provando ad incoccare la sua prima freccia senza successo e domandava a raffica senza riprendere fiato «Dove le avete prese? Chi le ha fatte? Sono armi vere o sono dei giocattoli?»

    «Calma Helen, posa quell’arco prima di far male a qualcuno, sediamoci e parliamo gustandoci il pranzo» disse la madre sorridendo mentre finiva di apparecchiare la tavola. Oltre ai soliti quattro posti, avevano aggiunto un’altra sedia a capotavola, nessuno si sedeva mai nel posto di comando, quella era la sedia del solo nonno ancora vivo, gli altri tre erano morti prematuramente non passando i rigidi inverni.

    Quest’uomo viveva in una casa per anziani e si pagava le spese con la misera pensione data dal governo, fortunatamente i soldi che riceveva erano sufficienti per coprire tutte le spese senza essere un peso per il resto della famiglia. Aveva più di ottant’anni, ma ne mostrava decisamente di più. Ossuto e dai capelli lucenti come l’argento e lunghi sino le spalle, poco più basso della figlia anche per la vistosa gobba e le gambe che più che rette formavano uno O e che gli toglievano qualche altro centimetro, dal fisico con tanti problemi, ma dalla mente veloce e sveglia. Anche lui, nonostante i problemi che aveva, cercava di essere sempre sorridente e soprattutto positivo. Era un uomo di poche parole e quel giorno diede un semplice biglietto ai ragazzi, all’esterno vi era il disegno di un gatto sorridente seduto su un tetto e all’interno di una vignetta c’era scritto con i colori dell’arcobaleno:

    "TANTI AUGURI DI BUON COMPLEANNO!!!"

    All’interno con una calligrafia tremante e incerta il nonno aveva scritto:

    "Ai miei nipotini, con affetto, buon compleanno!"

    «Grazie nonno» dissero i gemelli abbracciandolo.

    «Basta, basta, così mi rompete le ossa!» esclamò lui con la sua voce stridula e con un sorriso sdentato.

    Debora sorrideva, ma gli occhi erano persi nel vuoto, Helen capì che dietro quel sorriso forzato sicuramente c’era stata una lunga discussione con il marito. Probabilmente i loro genitori avevano discusso non solo sul tipo di regalo, ma anche sul loro utilizzo. La mamma non avrebbe voluto dei regali del genere… Helen conosceva troppo bene sua madre e in quello sguardo riusciva a leggere molte emozioni, non era brava nel nascondere i propri pensieri. Anche vedendo suo padre euforico come un bambino capiva che gli era costato molto ottenere quei regali (non solo da un punto di vista economico…), ma adesso, vedendo coronato il suo sogno, si sentiva soddisfatto.

    «Dai, che ho l’acquolina in bocca» disse l’uomo sedendosi e prendendo in mano forchetta e coltello. In un attimo era già pronto per mangiare.

    Dopo essersi seduti nei loro posti intorno alla tavola di legno sulle sedie vecchie ma salde, nonostante avessero una fame terribile e il pane ancora caldo era a loro disposizione, prima di iniziare aspettarono che anche la mamma, dopo aver posato la pentola, si sedesse. Quando furono tutti con le posate in mano dopo un "buon appetito" generale, iniziarono a mangiare, era del semplice pollo arrosto con delle patatine fritte, quelle dei sacchetti che si comprano nei supermercati, ma era già qualcosa di unico, per le occasioni speciali.

    «Anche per il mio compleanno ho ricevuto una spada come la tua, vecchia ma funzionale. Non è tanto utile…» ammise l’uomo, poi dopo aver mandato giù un boccone di pollo, aggiunse «Penso sia più un simbolo che altro».

    «Era questa?» domandò Karel scherzando, tutti risero.

    «No Karel, la mia è ancora peggiore di quella che hai in mano e poi è un oggetto che ti seguirà nella tomba… Comunque volete sapere come e dove mi sono procurato le vostre armi?»

    «Dai papà, racconta» disse Karel capendo quanto ci teneva l’uomo a fargli sapere cosa aveva dovuto sacrificare per ottenerle.

    «Ammetto che è stato faticoso… Il tuo arco, l’ha fatto il falegname. Ha lavorato per due giorni consecutivi senza sosta, mi ha detto che era particolarmente ispirato, era come se una forza invisibile lo guidasse. È tra i migliori che abbia mai creato, anche se non ne ha fatti molti e soprattutto era da una vita che non ne fabbricava uno» disse l’uomo guardando l’arma con orgoglio… «In ogni caso ti posso assicurare che era veramente soddisfatto del suo lavoro e anche riluttante a vendermelo, soprattutto al prezzo che avevamo pattuito in partenza» aggiunse lui con aria soddisfatta. Infine concluse dicendo «Ma alla fine, poiché c’era già un accordo, è stato costretto a vendermelo, sei stata fortunata».

    «Avresti potuto trovarlo alla Decathlon. L’altra volta che ci siamo andati ne avevano alcuni economici!» esclamò la ragazza ammirando l’arma di legno che teneva appoggiata sulle gambe.

    «Avrei anche risparmiato dei soldi, ma penso sia un’altra emozione avere in mano un arco di legno vero, fatto a mano, come quelli che usavano in passato».

    «Effettivamente è molto bello e posso dire che è un pezzo unico, grazie papà» disse Helen che non vedeva l’ora di provarlo.

    «La tua spada Karel, invece l'aveva il fabbro».

    «Era quella appesa alla parete della fucina del padre di Sam?» chiese Karel mentre si spostava l’arma da una mano all’altra. Sam era il suo migliore amico.

    «Karel, non a tavola», lo richiamò subito sua madre, il ragazzo rimise la spada appoggiata alla sedia, tornando a mangiare.

    «Sì, è l’unico dal quale comprerei qualcosa. Anche questa è tra le migliori, dice che non ne ha viste di tale fattura in circolazione negli ultimi anni».

    «Magnifica, grazie» disse il ragazzo.

    «Confido, come ha detto mamma, nel vostro buonsenso. Primo, che non le usiate contro gli altri, sia persone, che animali e secondo, che non le danneggiate o perdete, hanno un certo valore… Non solo simbolico» disse serio l’uomo gustandosi quel poco che rimaneva dell’ala abbrustolita del pollo.

    Quel giorno rimasero intorno al tavolo a parlare sino al tramonto e quando il sole fu prossimo a varcare l’orizzonte, uscirono.

    Non avevano la televisione (ritenuta uno spreco di denaro da Arzio), quindi si sedettero fuori dove avevano sistemato le sedie che prima erano intorno al tavolo, godendosi nel silenzio più assoluto quel momento ciclico, ma sempre unico (a parere di Debora, programma anche migliore di quelli che ogni giorno fondono la mente delle persone…).

    Il cielo cambiò colore, da azzurro divenne giallo-arancione, poi arancione e infine arancione-rosso mentre la sfera che prima gialla e poi rossa come il fuoco veniva inghiottita dalle alte vette che coprivano l’orizzonte. Il rosso-arancione lasciò spazio al blu e mentre l’ultimo raggio scompariva, le prime stelle già prendevano spazio con la sagoma della luna che appariva all’orizzonte.

    «Ogni volta è differente» disse Helen quando l’ultima parte di quella palla infuocata scomparve lasciando dietro di sé il cielo ancora ardente.

    «Cosa dici! Non vedi che è sempre uguale? Quello è il sole, percorre sempre la stessa strada, come fa ad essere differente di volta in volta lo sai solo tu…» borbottò Karel per contraddire la sorella, come al suo solito.

    Ciò che diceva Helen per Karel era la maggior parte delle volte il contrario, ma anche viceversa, e poi come al solito incominciavano i litigi. All’inizio a parole, ma molte volte arrivavano alle mani e la mamma o il papà erano costretti ad intervenire (con le buone e soprattutto con le cattive) prima che si facessero troppo male, con punizioni per entrambi.

    «Fermatevi, dai, non oggi!», esclamò la donna interrompendo la discussione che i due fratelli stavano per iniziare.

    «Comunque uguale o no è sempre molto bello. Pensate alla bellezza e all’importanza del sole, se non fosse per quella palla di fuoco, adesso non saremmo qui…»

    «Dai papà, ogni volta lo

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