Un party per sognare (eLit): eLit
Di Fiona Harper
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Fiona Harper
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Un party per sognare (eLit) - Fiona Harper
successivo.
1
Ellie si arrese e aprì gli occhi. Mise a fuoco il display dell'orologio digitale vicino al letto.
Due e sedici... e doveva andare in bagno. Ma era la sua prima notte in una casa che non le era familiare e non aveva voglia di alzarsi.
Si girò dall'altra parte, mettendo la testa sotto le coperte. Poteva resistere. Serrò gli occhi e cambiò di nuovo posizione. I secondi scorrevano nel silenzio pesante. Era distesa immobile, a contare i battiti del cuore. Ma, a quanto pareva, non poteva resistere.
Che seccatura.
Sbatté le palpebre e cercò di individuare la porta nell'oscurità della camera. Il bordo del letto era invitante come l'orlo di un precipizio.
Ellie Bond, torna in te! Una donna adulta non può avere paura del buio. Nemmeno in quell'enorme, vecchia casa che sembrava avere fantasmi o pipistrelli in soffitta.
Scostò le coperte e appoggiò i piedi sul tappeto, ma esitò qualche secondo prima di alzarsi e di avvicinarsi al muro.
Ouch! Era decisamente più vicino di quanto lei avesse immaginato.
Forse non avrebbe dovuto lasciare le valigie lì, ma la sera prima era stata così stanca che era riuscita a disfarle solo per metà.
Si massaggiò una spalla dolente e si diresse verso la porta. La maniglia cigolò quando l'abbassò. Sussultò. Era sola, ma chissà perché non le sembrava giusto fare rumore in casa di qualcun altro a quell'ora.
Si affacciò sul corridoio e tastò il muro in cerca dell'interruttore.
Dov'era quello stupido coso?
Di certo non a portata di mano. Mentre strisciava lungo la parete la luna fece capolino tra le nuvole e un raggio penetrò attraverso le tende. Riuscì a scorgere la porta del bagno, proprio a destra della finestra.
Pochi minuti dopo, quando uscì, raggelò. La luna era scomparsa e lei era nel buio totale.
Non farti prendere dal panico, Ellie. Pensa!
«Va bene» sussurrò a se stessa, «la mia camera è là...» contò sulle dita, «... terza a sinistra... mi pare.»
Doveva solo contare le porte e si sarebbe ritrovata in quel grande letto in un batter d'occhio.
Avanzò in punta di piedi, facendo scorrere la mano sinistra lungo la parete.
Una...
Due...
A ogni passo il battito del cuore accelerava.
Tre...
Aprì la porta e corse verso il letto. Fin da quando era bambina era ossessionata dall'idea che qualcuno la afferrasse per le caviglie quando si avvicinava.
Durante l'adolescenza aveva addirittura perfezionato uno sprint e un tuffo. Decise di ritentare.
Ma fu un grosso errore.
Inciampò in una scarpa e urtò contro un solido muro di... qualcosa.
Era caldo. E respirava.
Dannazione.
C'era qualcuno in casa! Un ladro o un maniaco armato di accetta...
Perse la testa. Troppe informazioni tutte insieme. Ma per fortuna i suoi istinti più primitivi prevalsero. Indietreggiò, sperando di non sbagliarsi e che la porta fosse dietro di lei.
Ma aveva fatto a malapena due passi quando una mano grande e forte le afferrò il polso.
Sentì una stretta allo stomaco. Rabbrividì. Senza nemmeno pensare come o perché, balzò verso il fantomatico aggressore e lo colpì al mento, facendolo gemere e barcollare all'indietro.
Mamma, non mi lamenterò più per le lezioni di autodifesa che mi hai fatto frequentare!
Nel momento surreale che seguì, si chiese perché un ladro fosse a torso nudo nel mese di marzo, ma prima di poter formulare qualche ipotesi lui l'afferrò e cadde all'indietro, trascinandola con sé.
Ellie gli piombò addosso e si ritrovarono sul pavimento in un groviglio di braccia e gambe.
A quel punto quell'energumeno... alto, forte e muscoloso... la bloccò sotto di sé.
Lei tentò di divincolarsi.
Avrei dovuto prestare maggiore attenzione a quelle lezioni, invece di chiacchierare con Janice Bradford.
Con un movimento fulmineo l'uomo la fece girare sulla schiena, bloccandole i polsi sul tappeto di lana, mentre con le ginocchia le teneva unite le cosce.
Lei si dimenò e lottò, ma era come cercare di spostare un masso di granito. Alla fine rimase immobile, con i muscoli indolenziti.
Il suo alito profumato di dentifricio le scaldò il collo. Sentì il panico crescerle nel petto. Doveva agire subito... prima che lui facesse la prossima mossa.
In un momento di puro istinto, sollevò il capo e affondò i denti nella pelle liscia della sua spalla. Poi, mentre lui gridava per il dolore, fece uno sforzo supremo per fare leva su quel corpo poderoso e sbilanciarlo. Il piano era allontanarlo da sé per poter scappare. Ma non funzionò.
Lui ruzzolò, è vero, ma mentre lei cercava di sgattaiolare via la afferrò per un piede e la trascinò verso di sé. Ellie cercò di aggrapparsi al tappeto, ma si ritrovò grossi ciuffi di lana tra le dita.
Quando si rese conto che veniva trascinata verso il letto, cominciò a urlare, scossa da fremiti di rabbia.
Come osava?
«Vattene dalla mia camera!» gridò lei. «O io...»
«Cosa?»
Lui era arrabbiato, ma c'era qualcosa di più nella sua voce... Sorpresa?
Una luce accecante riempì la stanza, accompagnata da un clic di un interruttore. Ellie sollevò il viso dal tappeto e sbatté le palpebre alcune volte. Quando la vista cominciò ad abituarsi alla luce, riconobbe una figura alta contro la parete azzurra.
Azzurra? Oh, no! La mia camera è gialla.
Socchiuse gli occhi e si girò per affrontare il suo aggressore. E colse un paio di intensi occhi marroni che la stavano fissando. C'era qualcosa in loro... Aveva sognato un paio di occhi in quel modo prima di svegliarsi? Un vago ricordo era annidato da qualche parte. Sentì il cuore pulsarle nel petto e un calore investirle il viso fino alle orecchie. Era incredula.
Lei aveva visto quegli occhi in precedenza, ma non nei suoi sogni.
Non erano accigliati allora, bensì sorridenti, o meglio ammiccanti...
Ellie emise un suono che fu in parte un gemito, in parte una sorta di piagnucolio quando capì la verità. Tentò di ricomporsi.
«Mi... mi spiace! Mi sono persa al buio...» Il suo volto tradiva ancora tutta la sua confusione. «Voglio dire, pensavo che fosse un... maniaco.»
Lui sbatté le palpebre. Pareva stupito quanto lei.
«Signor Wilder... io...»
«So chi sono io, ma chi diavolo è lei?»
Lei si umettò le labbra... completamente secche... e si schiarì la gola.
«Sono Ellie Bond, la sua nuova governante.»
Un mese prima
Ellie si bloccò nel momento in cui varcò la soglia del bar. La donna con il cappotto rosso era in anticipo ed era già seduta al tavolo a leggere il giornale. I lunghi capelli scuri quasi sfioravano il piano del tavolo mentre era intenta a leggere. Pesanti orecchini d'argento scintillarono quando si ravviò i capelli e voltò pagina. Gli orecchini che lei le aveva regalato per il suo compleanno.
La donna non l'aveva ancora vista. Stava leggendo qualcosa di serio perché tirò su con il naso, e, anche se il capo era abbassato, lei sapeva che c'erano tre rughe verticali sulla sua fronte. Succedeva sempre quando aggrottava le sopracciglia. Due amiche da oltre dieci anni sapevano tutto l'una dell'altra. Il cervello coglieva immagini, sensazioni, suoni e aromi diversi in un solo sguardo. E ora tanti ricordi riaffiorarono nella sua mente... disordinate camere del college, l'odore di libri polverosi in biblioteca, le risate e i pettegolezzi fino a tardi la sera...
Un fatto che rendeva la situazione alquanto seccante, dato che Ellie non riusciva a ricordare il suo nome.
Dopo l'incidente, talvolta trovare un nome o una parola era come frugare in un sottoscala senza una torcia. Sapeva che l'informazione che cercava era nel suo cervello da qualche parte, ma brancolava nel buio.
Una cameriera le passò accanto e l'amica alzò gli occhi dal giornale.
La vide. Le sorrise.
Ellie rispose al saluto mentre, come le era stato insegnato al gruppo di supporto, scorreva le lettere dell'alfabeto per vedere se una di quelle le rinfrescasse la memoria.
Anna? Alice? Amy?
La donna si alzò con un sorriso radioso e a Ellie non rimase altra scelta che avanzare verso di lei.
Belinda? No.
Brenda?
La donna la strinse in un abbraccio e lei, per un momento, rimase come una bambola di pezza prima di decidersi a contrarre i muscoli delle braccia e di rispondere alla stretta.
Christine... Caroline... Carly?
Carly. Le sembrava giusto. O forse no.
Un sussurro le solleticò l'orecchio. «Sono così contenta di vederti, Ellie...»
Lei sapeva che la sua amica avrebbe capito se avesse confessato il suo vuoto di memoria, ma era stufa di essere capita. Voleva soltanto... vivere la sua vita come tutti gli altri, senza sguardi compassionevoli.
Era soprattutto per quello che lei aveva organizzato quell'incontro.
Provò una sensazione familiare. I suoi ricordi erano come boe incatenate a un fondale profondo e oscuro poi, all'improvviso, una si liberava e saliva a galla, arrivando in superficie in un batter d'occhio.
Charlotte Maxwell.
«Ciao, Charlie.» E finalmente si rilassò in quell'abbraccio. «Anch'io sono contenta di vederti.»
Si sedette e le sfuggì un sospiro profondo.
Charlie piegò la testa e la guardò. «Come stai?»
Come suonava innocente quella frase, gentile. Ellie aveva cominciato a odiarla. Di solito glielo chiedevano con un'espressione preoccupata. Ma lei non si lasciava ingannare nemmeno per un momento. Non era una normale conversazione. Ciò che la gente voleva da lei era un completo resoconto psicologico e fisico.
Abbozzò un sorriso.
«Sto bene. Sul serio.»
Charlie continuò a fissarla.
«Hai ancora quelle emicranie?»
«Solo ogni tanto» replicò lei, scrollando le spalle.
Charlie si appoggiò alla spalliera e guardò Ellie con attenzione. «Ti sei tagliata i capelli» mormorò.
Ellie sfiorò le ciocche sfilate dei suoi arruffati riccioli biondi. Li aveva tagliati pochi giorni prima e non si era ancora abituata a non avere più pesanti ciocche che le arrivavano fino a metà schiena. Ora le sfioravano le spalle. Erano più corti, forse un po' più giovanili e molto più comodi. «Ero pronta per cambiare» disse.
Cambiare.
Ecco perché era lì. Doveva trovare il coraggio di porre a Charlie la domanda che le premeva o probabilmente sarebbe finita col tornare a casa senza parlarne affatto. Aprì bocca per parlare.
«Non so tu» la precedette Charlie con voce grave, «ma io non posso abbandonarmi ai pettegolezzi di un mese senza una buona dose di caffeina... e magari qualche dolcetto. Non si fa.»
Ellie diede un'occhiata al bancone, poi si alzò. «Io prenderò un...»
Oh, dannazione. Qual era la parola? Sapeva di saperla, ma non riusciva ad afferrarla.
«Sai... quella bevanda schiumosa, al latte con la polvere di cioccolato.»
Charlie non batté ciglio, per fortuna. «Due cappuccini, per favore» disse alla cameriera.
«E un dolcetto al cioccolato, per favore» aggiunse Ellie.
«Facciamo due.» Charlie si girò e le sorrise. «Questa è la mia Ellie. Non avresti potuto dimenticare il cioccolato nemmeno se ci avessi provato.»
Se sua madre o sua sorella avessero detto qualcosa del genere Ellie le avrebbe trattate male, ma si ritrovò a ridere. Forse era troppo suscettibile ultimamente. E agitata per quell'incontro. Non c'era da stupirsi che avesse dei vuoti di memoria. La sua mente peggiorava quando era stressata o nervosa.
Charlie capiva. Era un'amica comprensiva. E ora glielo avrebbe chiesto. Era pronta.
Ma fu solo dopo aver ordinato il secondo giro di cappuccini che finalmente Ellie riuscì a superare il nervosismo. Strinse il medaglione d'argento che portava sempre al collo. «Veramente, Charlie, c'è una ragione per cui ho proposto di incontrarci questa mattina. Ho bisogno di un favore.»
«Qualsiasi cosa. Lo sai.» L'amica si piegò in avanti e le massaggiò un braccio. «Farò qualsiasi cosa per aiutarti.»
Lei fece un respiro profondo. Stava chiedendo molto più del solito orecchio comprensivo o un supporto morale. Molto di più. «Ho bisogno di un lavoro.»
Charlie sembrò raggelare. Sbatté le palpebre un paio di volte. «Un lavoro?»
Ellie si morse il labbro inferiore poi abbozzò un lieve cenno con il capo, ma Charlie distolse lo sguardo e prese tempo mentre piegava un angolo della pagina di giornale in un triangolo. Poi rialzò lo sguardo.
«Mi spiace, Ellie. In ufficio sono già al completo.»
Oh, perfetto. Charlie pensava che lei le