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Fabulae: Storie di gesti e buone azioni
Fabulae: Storie di gesti e buone azioni
Fabulae: Storie di gesti e buone azioni
E-book145 pagine2 ore

Fabulae: Storie di gesti e buone azioni

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Info su questo ebook

Sappiamo riconoscere una buona azione? Apprezziamo i gesti compiuti da persone che conosciamo poco? Quanto siamo dipendenti dalle nostre paure o pregiudizi? In questa raccolta di dodici racconti, l'autore vuole mostrarci come, cambiando le epoche e le situazioni, l'essere umano si lasci travolgere dalle pulsioni meno edificanti, invece di agire secondo le regole del buon vicinato e del buon senso. Dodici storie che fanno riflettere, soprattutto se viste col celebre senno di poi.
LinguaItaliano
Data di uscita20 ott 2022
ISBN9791221437331
Fabulae: Storie di gesti e buone azioni

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    Anteprima del libro

    Fabulae - Eraldo Guadagnoli

    Fiori

    Era la mattina del 2 maggio, quando Ines si svegliò, si guardò intorno e rimase sorpresa. Era da sola nel suo letto. Stava sognando, o cos’altro? Come poteva essere da sola? Si diede un pizzicotto al braccio e digrignò i denti, provando dolore. Era ben sveglia, era tutto reale. Con un gesto della mano, riportò indietro la propria folta chioma di capelli biondi e mossi.

    ‘Ma dov’è andato Carlo?’, si chiese a bassa voce.

    Non era a letto con lei e non si era assolutamente accorta che lui era andato via. Tastò con la mano la parte del letto dove Carlo si accomodava e constatò che il posto era freddo. Era andato via da molto, pensò. Ma dove?

    Ines si alzò dal letto e subito si diresse in cucina: Carlo non c’era e questo la fece riflettere. ‘Dove diamine poteva essere andato?’, pensò Ines. La conferma dell’assenza la ebbe volgendo lo sguardo all’ingresso, dove mancavano l’ombrello e il trench, che solitamente erano appesi lì.

    Ines non ricordava se Carlo avesse una urgenza di lavoro, oppure se fosse stato chiamato in clinica con urgenza. Era pur sempre un chirurgo, e ricevere una chiamata notturna significava che avevano bisogno della presenza di lui in reparto. Poteva essere andata solo in quel modo.

    Qualcosa però non le tornava e, riflettendoci, ne ebbe la conferma: di solito, quando telefonavano nel cuore della notte, e cercavano Carlo dal reparto, era lei a svegliarsi e a rispondere per prima. Quindi, lui non era andato con urgenza in clinica.

    ‘Dov’è?’, si chiedeva con un misto di paura e nervosismo.

    Ines si fece un bel caffè e iniziò a pensare con molta attenzione a tutto quello che era accaduto negli ultimi giorni, cercando di non trascurare i minimi dettagli. Magari, il consorte gli aveva accennato qualcosa che in quel momento le stava sfuggendo. Il pensiero che Carlo fosse andato via senza svegliarla, addirittura senza avvisarla, la stava tormentando. Il pensiero divenne preoccupazione e nella mente della donna ombre oscure iniziarono a prendere corpo.

    ‘E se avesse ragione Giovanna?’, pensò. ‘E se Carlo avesse davvero una amante?’. Quel pensiero prese il corpo di una vera e propria ossessione. Del resto, anche lei sapeva che il marito era sensibile alle lusinghe e ai complimenti, soprattutto da donne e in particolare da quelle più appariscenti. Ma Ines spazzò via queste fantasiose illazioni, poiché ormai conosceva bene il proprio consorte. I complimenti li riceveva e ringraziava, ma era una persona che manteneva una certa distanza, aveva un nome e una reputazione da difendere. Figurarsi se poteva macchiare la reputazione di bravo chirurgo, abbassandosi a trascorrere un’oretta tra le braccia di una sciacquetta imberbe o una sgallettata senza arte né parte. Non era il caso di Carlo.

    Però, Ines sapeva che aveva un certo tipo di rapporto confidenziale con la caposala del reparto; quella Tania che più volte aveva detto di adorare il dottore. Sì, proprio quella brunetta piccola, sposata e con due bambini. ‘Ma che vado a pensare?’, si disse Ines. ‘No, Carlo non farebbe mai assolutamente nulla con una tipa così!’

    Ma un particolare le tornò in mente: un particolare che la sua amica Giovanna le aveva fatto notare e che ora dava un senso a tutta la faccenda. Negli ultimi giorni, Carlo parlava poco, soprattutto di lavoro. Era divenuto evasivo e ancora più laconico. Come mai? Aveva ragione Giovanna, allora: aveva una amante. Chi poteva averlo irretito e sedotto? Doveva essere una donna capace di tenergli testa e soprattutto una che aveva una grande capacità di linguaggio. Ma chi?

    Ines stava impazzendo e iniziò a girare nervosamente tra la cucina e la sala. Era così sovrappensiero per questa storia, che sbadatamente una teca in vetro, che custodiva un trofeo, vinto dal consorte per una pubblicazione medica qualche anno prima. Il vetro andò in frantumi e si sparse per tutto il pavimento.

    ‘Oh, no!’, disse angosciata.

    Proprio in quel momento, la porta si aprì ed entrò Carlo. Ma l’uomo, appena vide la moglie china a raccogliere i cocci, disse immediatamente: ‘No, tesoro! Ferma! Non rischiare di tagliarti!’ Ines si voltò e alzandosi disse: ‘Carlo! Ma si può sapere dove cavolo sei andato a quest’ora?’

    Lui le porse un meraviglioso mazzo di rose rosse e le rispose:

    ‘Per te, amore.’

    Ines le prese, le portò al naso e le odorò: ma ricordò le parole dell’amica Giovanna ‘Se ti regala i fiori, sicuramente lui deve farsi perdonare qualcosa.’ L’espressione di Ines da sorridente passò a una più gelida.

    ‘Dimmi, come si chiama?’, chiese lei.

    ‘Come si chiama… chi?’, chiese Carlo con stupore.

    ‘La donna con cui ti vedi. Come si chiama?’

    ‘Non ti seguo.’

    ‘Da giorni, sei strano. Evasivo. Mi nascondi qualcosa.’, e posò sul tavolo i fiori.

    ‘Non c’è molto da spiegare…’

    ‘Questa frase non mi piace. Su, dimmelo. Perché? Carlo, dimmi subito che ormai non sono più degna di attenzioni da parte tua. Sono sempre tua moglie!’

    ‘Si può sapere che cosa hai?’

    ‘Ho cinquant’anni, è vero. Non lavoro, ma mi son occupata sempre dei nostri figli, della loro istruzione, della casa e dei viaggi, visto che tu non ne avevi mai il tempo. Io però sono una donna ancora piacente, me lo dicono in tanti. Vuoi che io mi spogli qui, davanti a te, per ricordarti come sono?’

    ‘Ines!’, rispose stizzito lui. ‘Ma che cavolo hai?’

    ‘Hai una amante?’, chiese ad alta voce.

    ‘No!’

    ‘Perché sei uscito presto, allora?’

    ‘Era necessario uscire presto, prendere i fiori e farti una sorpresa.’

    ‘All’alba? Ma dai!’

    ‘La fioraia apre alle sei.’

    ‘Ah, la fioraia!’, e annuì. ‘Viso dolce, labbra carnose, occhi azzurri e bel sedere!’

    ‘Una ragazzina di venti anni! Ines, potrebbe essere nostra figlia!’

    ‘Allora, per quale cazzo di motivo sei uscito presto?’, e gli prese il bavero della giacca.

    ‘Per predisporti meglio a una sorpresa.’

    ‘E sarebbe?’, allontanandosi da lui.

    ‘Proprio non ricordi, vero?’, aggiunse scuotendo la testa.

    ‘No!’

    Carlo trasse una scatolina dalla tasca e gliela porse: ‘Apri!’

    Ines la prese e la aprì: trovò un meraviglioso anello con diamante. ‘Caro, ma perché? È bellissimo!’

    ‘Non dici nulla?’

    ‘Fiori profumati… anello da favola…no, non ricordo.’

    ‘Esattamente trent’anni fa, io e te ci siamo conosciuti, dopo una festa sulla spiaggia di Rimini, terminata alle ore sei. Come vedi, io me lo sono ricordato. Tu invece hai pensato che io avessi appuntamento con un’altra donna.’

    Ines lo baciò e lo abbracciò: ‘Perdonami. Le chiacchiere tra amiche nei giorni scorsi mi hanno fatta sentire una stupida vecchia.’

    ‘Dovrai farti perdonare, allora.’

    Ines si staccò da lui, prese il telefono e compose un numero. Alla risposta di una voce di donna assonnata, lei disse: ‘Mia cara Giovanna, vaffanculo!’, e chiuse la telefonata.

    ‘Ma che…?’

    Lei gli prese la mano e disse: ‘Vieni con me di sopra. So perfettamente come farmi perdonare.’, e gli morse un labbro.

    La taverna oltre il fiume

    La debole luce delle candele illuminava la stanza e le quattro persone sedute intorno al tavolo di fondo. Nessuno di loro parlava, ma si osservavano di tanto in tanto a vicenda. Il rumore delle altre persone presenti non li infastidivano, ma scrutavano tutti coloro che passavano nelle loro vicinanze o entravano. Erano in attesa di qualcuno, che non tardò molto ad arrivare: infatti, dopo una serie di persone che entrò in gruppo, comparve sulla soglia della locanda un uomo alto e distinto, dalla carnagione scura e la barba ben curata. L’uomo si tolse il cappello e riconobbe i propri amici: così, con passo deciso, si avvicinò al tavolo di fondo e si sedette all’unica sedia vuota, salutando con un leggero inchino i quattro uomini che lo attendevano.

    ‘Perdonate il mio deplorevole ritardo, cari amici.’, disse poggiando il cappello sul tavolo. ‘Purtroppo, dei controlli lunghi alla frontiera mi hanno fatto perdere molto tempo per raggiungervi.’

    L’uomo che aveva i capelli rossi e l’aspetto di un contadino chiese: ‘Vi hanno fatto delle domande sul motivo del vostro viaggio?’

    ‘Solitamente, non vi sono motivi validi per dubitare delle parole di chi viaggia per conto del Papa.’, rispose con calma, mostrando un sorriso beffardo. ‘Solo che questa volta, ho avuto la sfortuna di incappare in uno zelante doganiere, che ha voluto vedere cosa contenesse il mio bagaglio. Ecco perché sono arrivato da voi con quasi un’ora di ritardo.’

    ‘Mi auguro per voi che non abbiano trovato nulla di compromettente.’, aggiunse quello coi capelli scuri e lunghi, seduto davanti a quello dai capelli rossi.

    ‘Assolutamente no. Non sono così sprovveduto da viaggiare con documenti compromettenti o degli oggetti che possano farmi passare per una spia, un traditore della Patria o altro. Per la nostra causa, e per noi, non ci sono interruzioni riguardo al progetto che abbiamo deciso di avviare insieme. Quindi, amici miei, si prosegue.’, rispose con fermezza, quasi a ribadire che era lui a dirigere le fila e ad avere le idee chiare.

    ‘Vi voglio rammentare che sono otto anni che ci siamo conosciuti e che non abbiamo più notizie in merito a questa storia da almeno sei mesi. Il patto era che noi dovessimo rimanere fedeli e in clandestinità, fin quando non ci avreste ricontattati. Cosa che avete fatto meno di un mese fa, con quella lettera.’, ribadì l’uomo dai capelli scuri e lunghi.

    ‘Infatti, è così, amico mio. Vi ho convocati apposta stasera.’ L’uomo tarchiato a fianco di quello dai capelli rossi scosse la testa e disse: ‘Sapete bene che noi oggi stiamo rischiando molto, trovandoci qui tutti insieme. Voi avete delle conoscenze in alto, noi no. Se abbiamo deciso di sostenere il vostro progetto, è solo perché crediamo che le cose possano finalmente cambiare.’ L’uomo distinto a capotavola aveva ascoltato attentamente e attese che l’oste andasse via per rispondere alle parole del terzo uomo: ‘Prima di proseguire, vorrei ricordarvi che voi tutti, al tempo delle associazioni segrete, avete parlato esplicitamente di rivoluzione, di teste tagliate, spargimento di sangue, presa violenta del potere e così via. Mi ricordo male?’

    Il quarto uomo, dalla corporatura robusta, i capelli e i baffi biondi, che fino a quel momento non aveva parlato, intervenne:

    ‘Non ricordate male, caro amico. Avete ragione sul fatto che abbiamo sempre abbracciato l’idea di una rivoluzione del popolo e di guerra aperta con i tiranni. Ma

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