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Oliver, il gatto che salvò il Natale
Oliver, il gatto che salvò il Natale
Oliver, il gatto che salvò il Natale
E-book254 pagine3 ore

Oliver, il gatto che salvò il Natale

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Info su questo ebook

Una storia tenera e commovente che ha conquistato i lettori

La straordinaria favola del gattino dal grande cuore

Oliver è un gatto timido e pigro e raramente si spinge fuori dal pub dove vive. Il suo mondo è tra quelle mura, le avventure non fanno per lui. Ma la sua vita è destinata a cambiare da un giorno all’altro, quando un incendio divampa nella cucina e costringe Oliver ad abbandonare la dimora tanto amata. È giunto il momento di affrontare un ambiente per lui sconosciuto. Eppure Oliver non ha grandi difficoltà a farsi amare dagli uomini, che si mostrano gentili e premurosi con lui. Un giorno però, tra i volti allegri di tanta gente, nota una ragazzina molto triste e sola. Ha bisogno di un amico, pensa Oliver. E visto che siamo vicini al Natale, perché non diventare il protagonista di un piccolo miracolo… 

La commovente storia del gattino dal grande cuore che ha conquistato i lettori di ogni età

«L’ho letto nel periodo natalizio e mi ha subito scaldato il cuore.»

«Una storia tenera, come lo sanno essere tutti gli animali che amiamo.»

«Un libro che ha fatto commuovere sia me che mia figlia.»
Sheila Norton
Vive nell’Essex e ha iniziato a concentrarsi sulla scrittura dopo essere andata in pensione. I suoi romanzi più recenti sono pubblicati da Ebury (Penguin Random House) e sono storie che hanno come protagonisti gli animali.
LinguaItaliano
Data di uscita13 nov 2017
ISBN9788822715746
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    Anteprima del libro

    Oliver, il gatto che salvò il Natale - Sheila Norton

    Capitolo 1

    zampa.png

    La notte peggiore di tutte le mie nove vite iniziò con del pesce avanzato. Questo forse ti suonerà un po’ strano, micetto. Dopotutto, noi gatti amiamo il pesce – giusto? – e io stesso mi nutrivo spesso di avanzi, dato che vivevo in un pub che veniva anche chiamato, chissà perché, tavola calda. In realtà il vero problema non fu il pesce che mangiai quella notte ma quello che sarebbe successo dopo, una volta tornato alla mia sedia preferita, di fianco al camino, per addormentarmi in pace.

    Ora però smettila di saltare qua e là per acchiappare quella mosca, se vuoi che ti racconti questa storia. È un’avventura lunga per un micio piccolo come te e a tratti un po’ spaventosa, ma se ti dai una calmata e presti attenzione potresti imparare qualcosa. Ecco, così va meglio.

    Dov’ero arrivato? Ah ecco, addormentato sulla mia sedia. Dunque, mi risvegliai all’improvviso: fuori era buio, c’era un odore terribile nel pub e qualcosa mi solleticava naso e gola. Capii subito che c’era del fumo, perché le volte in cui il mio umano George accendeva il fuoco nel bar, in modo che fosse bello e accogliente anche nelle sere più fredde, si fiutava nell’aria lo stesso tipo di odore. Quando lo faceva lui, però, il fumo saliva su per il camino e non arrivava dentro la stanza come in quel caso. Mi bloccai per qualche minuto e provai a capire cosa stesse succedendo. Certo, la mia vista notturna di solito è eccellente, ma quella volta il fumo mi irritava gli occhi. In pochi minuti mi scese giù per la gola, allora presi a sgranchirmi le zampe sbadigliando, come facciamo sempre noi mici al risveglio. E fu in quel momento che vidi delle grandi fiamme arancioni arrampicarsi sulle tende. Le scintille volavano ovunque, poggiandosi sulle sedie lì accanto.

    Miagolai di terrore. Perlomeno ci provai, ma tutto ciò che venne fuori fu un suono stridulo, patetico, seguito da un altro attacco di tosse. Saltai giù dalla sedia e corsi verso le scale che portavano alle stanze del piano di sopra. Sapevo che lì avrei trovato George: lui in genere dormiva nella grande camera che dava sul giardino. Per fortuna lasciava sempre la porta aperta, per sicurezza: ogni tanto mi capitava di svegliarmi di notte, deciso a fargli il dono della mia compagnia. Sgattaiolai nella stanza saltandogli addosso, palpandogli la faccia per farlo svegliare. Allo stesso tempo gli miagolai rumorosamente nelle orecchie, più forte che potevo. Il piano funzionò malgrado tutti i miei attacchi di tosse, e lui si sollevò sul letto ansimando dalla sorpresa.

    «Oliver!», disse, un po’ scocciato. Di solito usava il mio nome per esteso solo quando facevo il cattivo. «Che c’è?».

    Ma a un certo punto evidentemente sentì l’odore del fumo, perché saltò giù dal letto gridando: «Oh mio Dio! A fuoco! A fuoco!».

    C’eravamo solo noi due nell’edificio, quindi non capii a chi stesse strillando, ma ero davvero felice che si fosse svegliato. Prese il telefono portatile dal comodino e la vestaglia appesa dietro alla porta, mentre gli correvo davanti, fino al pianerottolo e poi di nuovo giù per le scale. Rimasi terrorizzato quando vidi che le fiamme divampavano ancora più intense e che avevano aggredito la ringhiera in legno, sputando scintille e cacciando fumo nero, sempre di più, sempre di più. Mi fiondai giù da quella scalinata come se avessi un paio di dobermann alle calcagna. «Fuori Ollie, svelto!», gridò George, iniziando a tossire come me. Appena aprì la porta principale del bar l’aria fredda che veniva da fuori invase l’interno: fu come se tutto l’edificio stesse improvvisamente per scoppiare. Il rumore della scalinata che crollava fu talmente assordante che mi gettai fuori dalla porta e continuai a correre per tutto il parcheggio fino ad arrivare sotto a un cespuglio. Riuscii a scorgere George, con il suo pigiama a strisce, che correva fuori dal locale con la vestaglia ancora in mano. La fece cadere mentre impugnava il telefono e urlava il nome del pub: «A fuoco! Il Forester’s Arms va a fuoco!».

    Rimasi nascosto sotto al cespuglio, tremando dalla paura, guardando il fuoco che si propagava sul tetto e il magazzino in legno vicino alla cucina che veniva giù con un whoosh. Poi le fiamme arrivarono fino alla staccionata e lambirono degli strani, grandi tamburi che stavano allineati dietro al municipio lì accanto. A quel punto ci fu un improvviso boom che mi terrorizzò, e il fuoco sembrò arrotolarsi in una palla arancione che illuminava il cielo intero.

    Per un minuto rimasi pietrificato dal panico. Pensavo fosse la fine di almeno una delle mie vite. Alcune persone uscirono dalle proprie case urlando in cerca di George. Gli misero addosso la sua vestaglia e delle coperte, come se non fosse già abbastanza accaldato con tutte quelle fiamme. E per aumentare l’orrore di quella scena, in quel momento due grandi autopompe sfrecciarono sulla strada a sirene spiegate, svoltando verso il parcheggio adiacente al cespuglio dove me ne stavo rannicchiato. Certo, so che sarei dovuto rimanere ad assicurarmi che George stesse bene, ma il mio istinto felino mi ordinò di filare via il più in fretta possibile. Non mi sentii particolarmente fiero di me stesso quando abbandonai il mio umano e la mia casa. Temo di essermela proprio svignata.

    Quando smisi finalmente di correre mi ritrovai in mezzo al bosco, lungo la strada. Guardai indietro attraverso gli alberi ma non vidi più il pub né le fiamme. Gli alberi erano molto alti e fitti, e capii che mi ero spinto nel bosco come non avevo mai fatto prima. Il cuore batteva ancora all’impazzata dallo shock e tutto ciò che riuscivo a sentire era il suono del vento che soffiava tra gli alberi e il verso di un gufo in lontananza. Faceva davvero freddo e mi sentivo malissimo, ero tutto solo in quel posto. Avrei voluto tornare alla mia sedia, rannicchiarmi sul mio comodo cuscino, addormentarmi e sognare qualche avventurosa caccia al topo. Tuttavia avevo troppa paura per tornare indietro. E allora, mentre stavo ancora lì ad ascoltare il vento e il gufo, tremando come una foglia, improvvisamente ci fu un nuovo intenso boom nella direzione del pub. Tutti gli uccelli che stavano dormendo sugli alberi si alzarono in aria nello stesso momento, starnazzando dal terrore, e ancora una volta il mio istinto felino ebbe il sopravvento. Mi gettai sull’albero più vicino, raggiunsi uno dei rami più alti, e mi ci aggrappai con la forza della disperazione mentre il vento mi scuoteva avanti e indietro.

    Quando crescerai e diventerai un gatto adulto scoprirai che il modo migliore per gestire una situazione stressante è tirarsi fuori dai guai in fretta e mettersi a dormire. Mi è capitato di sentire degli umani che non riuscivano a dormire, pare che succeda quando sono preoccupati per qualcosa. Per fortuna tale condizione è sconosciuta alla comunità felina. Ero talmente esausto dallo shock che a stento riuscii a tenere gli occhi aperti per qualche secondo, una volta che mi accovacciai al sicuro su quel ramo. Non ci fu più nessuno scoppio, e sebbene dalla cima dell’albero riuscissi a intravedere in cielo un inquietante bagliore rosso, le luci si fecero a poco a poco sempre più flebili. Il vento diminuì leggermente e il movimento del mio ramo si fece più delicato, ricordandomi i tempi in cui mi appisolavo sulla vecchia sedia a dondolo sul retro del pub. Chiusi gli occhi e sognai che George era venuto a cercarmi e mi stava riportando a casa.

    Quando mi svegliai era giorno e gli uccelli cantavano. Mi alzai e mi stiracchiai un po’ dimenticando totalmente dove fossi, e per poco non caddi dall’albero. Per fortuna, i miei artigli scattarono immediatamente e restai sospeso per un momento, aggrappato alla parte inferiore del ramo, finché non riuscii a raddrizzarmi. Mi grattai un po’ e iniziai a leccarmi: non sapevo se ci fosse qualche uccello a guardarmi dall’alto e a ridacchiare della mia sfortuna, ma nel caso volevo dimostrargli che non ero affatto in imbarazzo o in difficoltà per la magra figura che avevo fatto. Nel bel mezzo del lavaggio, abbassai lo sguardo e scrutai la base dell’albero. Vidi una volpe.

    Micetto, non credo che tu sia abbastanza grande da aver già incontrato una volpe, quindi lascia che ti spieghi. Se pensi che i cani siano spaventosi, non hai visto ancora niente. Le volpi non hanno nemmeno degli umani che le controllino, come dovrebbe succedere per i cani. Sono tra i nostri peggiori nemici, pericolosi quasi quanto le automobili. Almeno le macchine stanno sulle strade e sappiamo come evitarle, ma le volpi ti prendono di sorpresa. Arrivano nei giardini, passeggiano addirittura per la strada proprio come noi, e se ti vedono ti danno la caccia con il loro orribile muso spalancato e sghignazzante, mostrando i denti orribilmente affilati. C’è solo un modo per sfuggire a una volpe: correre su per l’albero più vicino. Come puoi ben immaginare il mio pelo si rizzò completamente alla vista di quella creatura rabbiosa e feroce che mi fissava dal terreno, ma sapevo di trovarmi nel luogo migliore. Non poteva prendermi. Fui così sollevato che in effetti iniziai a pavoneggiarmi un po’ di fronte a lei, inarcai la schiena sibilando e sputacchiando finché non rischiai di perdere l’equilibrio ancora una volta, e decisi che non valeva certo la pena di cadere giù dall’albero e piombarle addosso solo per fare un po’ lo spaccone. Mi rimisi sul mio ramo, allungai le zampe e lasciai che la testa penzolasse dal bordo in modo da tenere d’occhio la volpe. Si stava irritando perché non poteva arrampicarsi a prendermi. Andava su e giù in fondo all’albero, camminando attorno al tronco da un lato e poi tornando indietro dall’altro. Per tutto il tempo guardava in alto, fisso verso di me, con uno sguardo malizioso del tutto simile al mio quando George mi porta un bel piatto pieno di cibo. Rabbrividii. Se avessi messo una zampa fuori posto sarei diventato la sua cena. Con mio grande sollievo, dopo ore di gira e rigira – almeno a me parvero ore – la stupida volpe si stancò. Si mise giù, rannicchiata come un cagnolino, e si addormentò. Per un po’ sarei stato al sicuro. Il miglior piano adesso era sicuramente fare un altro pisolino.

    Solo quando mi svegliai e la vidi ancora lì in fondo all’albero mi resi conto di tre cose, tutte insieme. Uno: non avevo fatto colazione e ora avevo davvero, davvero fame. Due: non sapevo più da che parte fosse casa, avevo perso il suo odore e non c’era più nessun bagliore rosso o fumo nel cielo in grado di indirizzarmi. E tre: ero bloccato, almeno finché quella volpe non si fosse mossa. Se avessi provato a saltare su un altro albero, mi avrebbe seguito. Non avrei potuto scendere a terra finché non se ne fosse andata, e non sembrava affatto intenzionata a mollare.

    Pensai a George, alla mia sedia, al calore del pub, alla mia ciotola sempre piena di delizioso pollo o pesce, e fu più forte di me, micetto: anche i gatti adulti piangono, di tanto in tanto. Mi sedetti sul ramo e miagolai penosamente mentre la volpe si leccava i baffi sbavando in maniera rivoltante sotto di me. Mi chiesi se avrei mai potuto rivedere George o la mia casa ancora una volta.

    Capitolo 2

    zampa.png

    Faceva molto freddo e il cielo era sempre più cupo quando sentii un altro suono alzarsi nella mia direzione. Rimasi fermo, con le orecchie dritte, ascoltando attentamente. Sembrava musica, eppure era una cosa differente. Anche la volpe si alzò, guardandosi attorno nervosamente, e all’improvviso se la svignò volgendosi verso di me con uno sguardo infuriato. Il suono si stava facendo più vicino. Aspettai, con il capo teso da un lato, cercando di ricordare dove l’avessi già sentito in precedenza, e fu allora che mi ritornò in mente. Fischiettare, ecco come lo chiamavano! Gli umani lo facevano piegando le loro labbra in una buffa forma e spingendo in fuori il fiato. La melodia che ne usciva non era sempre molto graziosa. Finalmente sentii i passi dell’uomo che fischiettava sopra le foglie morte sul suolo. Ed eccolo lì, camminava di buona lena a pochi alberi di distanza da me. Se non avessi gridato subito non sarebbe stato più a portata d’orecchio – gli umani non hanno un buon udito, sai. Eppure, mi chiedevo, c’era da fidarsi di lui? Non concedevo facilmente la mia fiducia agli umani, soprattutto se maschi e bizzarri – ma questa è un’altra storia. Stavolta non avevo molta scelta e presi una decisione rapida. Visto che se ne stava lì a fischiettare, probabilmente non era di cattivo umore: avevo notato in precedenza che gli umani fischiettano quando sono allegri. Quindi mi rialzai sul mio ramo e miagolai con tutta la forza che i miei piccoli polmoni mi permettevano.

    Lui smise di fischiare, si arrestò a pochi passi dal mio albero e si guardò attorno. Solo poco più avanti, la volpe osservava tutto, ma sperai che non si arrischiasse a lanciare un attacco con l’uomo lì a pochi passi. Non credo che le volpi amino gli umani. La tradizione felina racconta molte storie sull’argomento – potrebbero essere state inventate, naturalmente. A quanto pare tempo fa gli umani se ne andavano in giro a cavallo, soffiando dentro a dei corni e usando i cani per dare la caccia alle volpi. Sembra un po’ inverosimile, ma non mi sento di escludere niente quando parliamo di umani. A ogni modo, io me ne stavo lì a piangere e urlare per attirare l’attenzione di quel tizio, e lui a sua volta se ne stava fermo a guardare in alto, in basso, e tutt’intorno a sé con un’espressione perplessa in volto. Come dicevo, non hanno un gran bell’udito. Per fortuna, però, alla fine mi avvistò e dal modo in cui disse «Be’, ciao», capii che potevo rilassarmi. Sembrava così amichevole… forse avrei potuto fidarmi di lui.

    Infatti continuò a parlarmi mentre si avvicinava al mio albero, sorridendo, chiamandomi bel micio e domandandomi se fossi rimasto bloccato su quell’albero. Sebbene fossi davvero lieto della sua disponibilità, non mi piaceva che mi trattasse in quel modo, come di certo potrai immaginare. Bloccato su un albero! Io! In effetti, a vedermi così, chiunque mi avrebbe preso per un micetto inesperto proprio come te. Avrei voluto dirgli che se solo avesse usato i suoi occhi avrebbe notato che c’era una grossa volpe cattiva e rabbiosa che se ne stava nascosta nella boscaglia e ci osservava a distanza di sicurezza. Altrimenti sarei sceso da quell’albero da solo, nessun problema, grazie mille!

    Tuttavia devo ammettere che era davvero un bravo arrampicatore. Era un umano relativamente giovane e smilzo, e usava con una certa abilità le sue zampe anteriori per passare da un ramo all’altro. Continuò a ripetere frasi come «Da bravo, bel micio, sta’ fermo e non aver paura». Appena fu abbastanza vicino tese la mano e mi prese con un movimento così rapido che quasi scivolai giù dal ramo per lo spavento. Lasciai che si tenesse stretto a me mentre riscendevamo, cosa un po’ imbarazzante per entrambi, ma volevo mostrare alla volpe – nel caso stesse ancora osservando – che avevo un protettore adesso. Quando arrivammo quasi in fondo all’albero saltai giù, ma rimasi vicino al piede dell’umano per mostrargli un po’ di gratitudine. Mi sfregai sulle sue gambe facendo le fusa. Lui mi guardò con un’espressione perplessa.

    «Ok, puoi tornartene a casa ora, micio!».

    Continuai con strofinamenti e fusa, lui mi guardò un po’ più a lungo.

    «Cosa c’è, ti sei perso?».

    Urrà! Aveva capito il messaggio. Feci le fusa più rumorosamente, lui mi prese ancora e guardò la piccola medaglietta sul mio collare.

    «Oliver», lesse ad alta voce. «E nessun indirizzo, solo un numero di telefono». Prese dalla tasca uno di quei telefoni cellulari, lo toccò e sospirò. «Non c’è segnale qui. Be’, forse dovrei portarti a casa con me, Oliver, e darti del latte o qualcosa del genere, e poi potrei provare a…».

    Solo a sentir parlare di latte mi ricordai di quanto fossi affamato e assetato, e praticamente gli saltai tra le braccia appena si piegò per prendermi di nuovo. Decisi che mi piaceva, forse era un tipo buono come George. Poi però, con mio sommo orrore, prese una borsa che aveva lasciato vicino al tronco dell’albero e mi ci cacciò dentro abbastanza goffamente, a partire dalla testa: per poco la coda non mi rimase incastrata nella zip mentre la tirava su! Miagolai a squarciagola in segno di protesta, e meno male che mi ero fidato di lui! Sollevò la borsa e sentii che mi parlava attraverso la cerniera.

    «Scusami, Oliver. Sarai più al sicuro nello zaino sulle mie spalle, capisci, mentre torno a casa con te. Altrimenti temo che mi potresti saltare giù dalle braccia e scappare via quando arriveremo alla strada, e lì ci saranno le automobili e sarà pericoloso. Calma, calma!», disse mentre continuavo a lamentarmi. Be’, che dire! Quel trattamento era a dir poco indecoroso, per non parlare dei tremendi ricordi che mi tornavano alla mente. «Non ci vorrà molto, prova solo a star fermo da bravo micio».

    Non potei far altro che starmene dentro a quella borsa a balzellare senza sosta mentre lui tirava avanti fischiettando. La borsa era fetida e scomoda, piena di pezzetti di ramoscelli in fondo, e sembrava che la passeggiata non dovesse finire mai. Alla fine i rumori del traffico mi fecero capire che eravamo usciti dal bosco. Dopo un po’ lo sentii aprire e richiudere una porta. Chiamò qualcuno mentre poggiava delicatamente la borsa sul pavimento: «Ciao Nick, sei a casa?».

    Poi arrivò la voce di qualcun altro, una giovane femmina, a giudicare dal suono.

    «Oh, hai fatto presto! Sono appena tornata dal negozio, sei riuscito a prendere della legna per il fuoco?»

    «No, mi spiace». Sentii che sollevava nuovamente la borsa. «Guarda cosa ho trovato invece». Iniziò a tirar giù la zip, mi preparai a saltar fuori e nascondermi in un angolo da qualche parte finché non fossi stato certo di essere al sicuro. Poi però si fermò e chiese: «Le porte e le finestre sono tutte chiuse?»

    «Certamente, fuori si gela! Perché, che cosa diavolo hai lì dentro?».

    E così la borsa venne aperta e io mi tuffai fuori, fiondandomi sulle tende della finestra più vicina.

    «Un gatto!», strillò la femmina. «Ma da dove arriva, Daniel? Perché l’hai portato a casa?»

    «Era bloccato su un albero! L’ho tirato giù e non voleva lasciarmi, credo che si sia perso. Ha una medaglietta con un numero di telefono, ma non c’era campo e allora ho pensato che

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