Watagashi
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Anteprima del libro
Watagashi - Mary Simonetti
paraboliche
L’erba del vicino è sempre più verde
«Hai deciso?».
«Non ancora».
«Devi decidere. Altrimenti sai già che dovrò rivolgermi a qualcun altro».
«Sì, lo so…».
«E allora?».
Silenzio.
«Oh!».
«Sì sì, ho capito. Ma è una cosa seria quella che mi chiedi. E soprattutto… pericolosa. Io… non voglio finire in galera per te!».
«Lo so perfettamente, ma sei l’unico di cui mi possa veramente fidare. E poi scordati la galera, filerà tutto liscio come l’olio».
Silenzio, di nuovo.
«Devi decidere, adesso».
«Senti, devi darmi altro tempo!».
«Devi deciderti ora! Non possiamo stare qui ancora a lungo! E poi mi sembra di averti già dato de bei soldoni. Un acconto ottimo, direi. No? E smettila di tormentarti le mani. Oppure vuoi che quei soldi vadano a qualcun altro? Peccato… in quel modo la tua bambina non potrà avere le cure necessarie. Sarebbe un vero, un vero peccato».
«Bastardo! E va bene, lo faccio io».
«Bravo dottore, bravo. Mi togli dall’impiccio. Ora andiamo, è quasi l’alba e tua moglie deve trovarti nel vostro letto, al suo risveglio. Nessuno dovrà mai sapere niente, intesi? A proposito, lo faremo domani notte, non più tardi. Ho già quello che ci serve, sistemato per bene in una piccola cella frigorifera. Sono contento che tu non mi abbia deluso».
Le mani prudevano e facevano ancora molto male. Non vedevo l’ora che guarissero del tutto, non ce la facevo più a sopportare quelle maledette fasciature, così rigide da impedirmi i piccoli movimenti anche dopo aver riacquistato la sensibilità. Avrei voluto strapparmele a morsi. Fare fuori il dottore non è stato facile. Per farlo, subito dopo l’intervento, mi ci è voluta tutta la forza di volontà di cui disponevo. Sì, perché la forza della mente è più potente di quella del corpo, no? Ma il dolore, cavoli, il dolore provato durante quei movimenti, mentre lui cercava di scappare… ciò che provo adesso non è nulla, in confronto. Ho rischiato di arrecare un danno irreparabile, ma la fortuna mi ha assistito. In fin dei conti non è stato poi così complicato, avevo preparato lo scantinato e l’avevo adibito a sala operatoria. Certo, credevo sarebbe stato più facile, ma il bello di una storia sono anche gli imprevisti. Mettono pepe, no? Sapevo che lui avrebbe bevuto un drink, anzi, più di uno dopo. Conoscevo il suo vizietto, e immaginavo volesse scaricare l’ansia in qualche modo. Lasciarne una bottiglia su un tavolino non era stato un caso. Non avevo però tenuto conto del fatto che il veleno non avrebbe agito subito. Quando al mio risveglio l’ho visto strisciare, che tentava miserabilmente di arrampicarsi su per le scale, ho dovuto superarlo e farlo riscendere a calci. Barcollavo, certo, l’effetto dell’anestesia non era svanito ancora del tutto e provavo un serio stordimento. Poi mi ci sono seduto sopra, e sono rimasto lì ad attendere che smettesse di respirare. Schiumava, che schifo. Che idiota, ma che si aspettava, che lo avrei lasciato in vita dopo ciò che aveva fatto? Con i rischi che potevo correre? In ogni caso, è stato bravo davvero. E la sua famiglia meritava la ricompensa, dopotutto. Quella mattina stessa avevo già saldato il debito, recapitando loro un involto con dentro tutti i quattrini che gli spettavano. Ovviamente mi ero camuffato a dovere. Poi avevo stampato e spedito una lettera alla moglie nella quale, fingendomi lui, scrivevo che non sopportavo più l’idea di veder soffrire la bambina, che mi ero innamorato di un’altra donna più giovane e con meno problemi, ed ero fuggito insieme a lei. Le avevo inoltre intimato di non cercarmi perché tanto non sarei tornato più, e che per alleviare la mia coscienza le lasciavo parecchi soldi e la casa. Così la bambina avrebbe ricevuto le cure necessarie, e la moglie si sarebbe data una spiegazione e messa l’anima in pace. Nessuno sarebbe mai risalito al sottoscritto, nemmeno lui, che non ha mai saputo chi io in realtà fossi, considerato che non era appassionato di libri e che, tra l’altro, non gli ho mai svelato il mio vero nome. Ho vomitato pure l’anima, a causa del dolore e dell’anestesia residua. E sono anche svenuto un paio di volte, forse tre. Speravo di guarire presto, avevo bisogno di mettermi al lavoro, non potevo più aspettare. Di tempo ne era passato già troppo.
«Salve», dissi sbucando da dietro una colonna.
«Oh, buongiorno! Mi scusi, ma non l’avevo vista, sa, con tutta questa gente…».
«Non si preoccupi. Fortuna che questo rinfresco le darà qualche attimo di tregua, no?».
Sorrisi sistemandomi gli occhiali.
«Be’, sì. Ormai dovrei esserci abituato, ma ogni volta che presento un nuovo libro, ci sono così tanti lettori che vado comunque un po’ nel pallone!».
«Eh sì, immagino cosa voglia dire. Essere famosi ha il suo prezzo, non crede?».
«Già… ma è una cosa bella davvero, lo ammetto. Lei scrive?».
«Sì», mi sistemai di nuovo gli occhiali.
«Ah, un collega! E cosa scrive, di preciso?».
«Mi piacciono i racconti e i romanzi, amo anche la poesia, ma non ho mai pubblicato nulla. In realtà sono fermo da un bel po’. Da circa due anni, ormai».
«Mi dispiace moltissimo… non posso capire, ma provare a immaginare, quello sì. Se accadesse a me, mi sentirei perso!».
«Già», mi grattai la basetta destra. L’adesivo mi stava irritando la pelle.
«Per fortuna non ho di questi problemi. Infatti, questo è il mio quinto libro, sa?».
Il quinto, pensai disgustato, il quinto.
«Oh sì. Lo so bene. Ho tutti i suoi libri. Sono il suo più grande ammiratore, io», mostrai quanti più denti possibili nel mio sorriso inautentico.
«Ma davvero? Vorrà un autografo, allora!», gongolò.
«Ovvio».
Allungai la mano verso le copie impilate sul suo tavolo, pronte per i lettori in fila che avrebbero supplicato una sua firma, e mentre gliene porgevo una, ne feci cadere sbadatamente un’altra. Non vedevo un accidenti con quelle lenti graduate.
«A chi devo il piacere?».
«Lei non capisce… il piacere è solo mio. Comunque nulla di che, scriva solo Al mio nuovo amico, con l’augurio che la passione che ci accomuna viva per sempre
. Le dispiace?».
«Ma no, si figuri!», stava già scrivendo. Poi mi porse il libro.
«Ha già qualche idea per il prossimo libro?», chiesi.
«Sì, in realtà ne ho due o tre, che ho già iniziato a sviluppare. Però è ancora tutto qui».
Mi sorrise compiaciuto toccandosi con l’indice la tempia.
«Capisco. Sa, anch’io vorrei tanto tornare a scrivere, in realtà ho anche qualche idea, ma per sbloccarmi forse avrei bisogno di un paio di consigli da qualcuno davvero in gamba. Ehm… come lei. Ora però purtroppo devo