Sulla stella giusta
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Anteprima del libro
Sulla stella giusta - Maristella Faccio
SULLA STELLA GIUSTA
di MARISTELLA FACCIO
Prima edizione: settembre 2019
Tutti i diritti riservati 2019 @BERTONI EDITORE
Via Giuseppe Di Vittorio, 104 - 06073 Chiugiana
Bertoni Editore
www.bertonieditore.com
info@bertonieditore.com
È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi
mezzo effettuata, compresa la copia fotostatica se non autorizzata.
Foto copertina e biografia Helen Paggiarin e
Andrea Tiziano De Rubeis
Maristella Faccio
SULLA STELLA
GIUSTA
PREFAZIONE
a cura di Nadia Zenato
L’avventura di Stella ci trasporta in una terra geograficamente lontana; ma che per cultura, tradizioni e arte si avvicina alla nostra più di quanto pensiamo.
Tuttavia, nel viaggio della nostra eroina c’è un confronto a viso aperto con l’America: la scoperta è viva, intensa, a volte complessa e impegnativa, altre volte divertente e bizzarra. È la scoperta di una terra che, al di là delle proprie preziose tradizioni, possiede il dono dell’accoglienza e la capacità di crescere e mutare grazie all’apporto dello straniero.
In un periodo storico in cui l’immigrazione è al centro del dibattito pubblico – anche quella italiana – puntare i riflettori sugli Stati Uniti significa, anzitutto, rimuovere i pregiudizi e i cliché: il sogno americano esiste e, forse, è ancora meglio di quello che pensiamo: va al di là della semplice – ma preziosa e per nulla scontata – opportunità lavorativa; è una disposizione mentale, un percorso che dona una chance di rimettersi in gioco in primis come individui, con le proprie, personali emotività, con il proprio carattere, con i pregi e difetti che tutti ci portiamo dietro.
È un’opportunità anche per noi italiani, legati a una terra fertile di creatività che troppo spesso resta indietro per paura, che affianca ai tanti stimoli culturali e geografici il timore del diverso, della novità, dell’intraprendenza.
Il campo su cui nasce il business di Stella è quello della ristorazione: è proprio sul terreno dell’enogastronomia e del gusto che si incontrano le differenze tra le diverse culture e che si conosce l’altro. Così accade che Stella, affiancata dallo chef italoamericano Tony, fa la conoscenza della heavy cream
, osservando il preparato con una certa sorpresa non priva di perplessità, paragonandolo alla nostra panna da cucina.
Stella è anche la donna che, nel ventunesimo secolo, si imbarca in un’avventura – emigrare, scoprire un nuovo lavoro, fondare un’attività lasciando un marito a casa – che, in passato, era un privilegio culturale dell’uomo.
Da un lato la sorpresa, dunque, che colpisce Stella più e più volte in una scoperta sincera, quasi infantile, della cultura e delle peculiarità americane; dall’altro, l’approccio intraprendente, a volte anche testardo, tipico di noi italiani – e anche un po’ di noi donne.
Stella non rinuncia alla propria identità, ma decide di donarla in qualche modo al prossimo, accogliendo le stranezze dei personaggi che incontra sulla sua strada; quelle che, in realtà, sono solo differenze culturali, che trovano libero sfogo in un mondo – quello americano e in particolare della California – che è l’emblema della terra delle opportunità: la California è forte, vigorosa, legata a una propria identità ma, nonostante questo o forse proprio per questo, capace di accogliere il nuovo arrivato, di mutare, di lasciarsi toccare.
Il sogno americano, insomma.
"Because working in California
is better than californication"
PARTE PRIMA
Le persone non fanno i viaggi,
sono i viaggi che fanno le persone
John Steinbeck
I
Apro gli occhi.
Finalmente.
Mi piace tenere gli occhi chiusi per un po’ una volta seduta sul sedile di bordo.
Tra poco atterrerò.
Luogo? San Diego, in California.
Non è stata una scelta casuale.
E questo non è un viaggio casuale.
Ho un piano nella mia testa. Un americano direbbe una mission.
La mia missione è migliorare la mia vita: cambiarla, donare un po’ di colori alla mia esistenza pur piacevole; ma a cui sento che manca qualcosa.
Mi guardo intorno. Penso alle solite e fondamentali indicazioni che ti insegnano la prima volta che devi effettuare un viaggio in aereo: ad esempio, in caso di incidenti o problemi con il mezzo aereo, bisogna prima di tutto indossare la maschera per l’ossigeno. Questo va fatto anche se accanto a te hai una persona incosciente: se non pensi subito a te e perdi i sensi, chi potrà salvarla, quella persona? Pensare a sé per poter aiutare gli altri: è una filosofia che può apparire cinica ma, se ci si pensa bene, ha il suo perché.
Ecco quello che sto facendo.
Ecco perché lascio mio marito in una città splendida come Verona, da solo.
Ho scelto di farlo anche per lui, in fondo.
Voglio una stella, la mia nuova buona stella.
La voce di Francesco ancora mi risuona nella testa: «Stai scherzando?»
In realtà gli bastano pochi secondi per capire che no, non è uno scherzo, non lo è per niente. È un uomo troppo intelligente per credere che io possa scherzare su una cosa del genere. Lo sa, lo capisce, mi guarda negli occhi, mi conosce bene. E allora comprende, forse tutto, dalla prima all’ultima parola di un discorso che non ho avuto intenzione di mettere nero su bianco e neppure di intonare con la voce dall’inizio alla fine, perché vorrebbe dire banalizzare il tutto, renderlo troppo simile alle scelte che compio quotidianamente, tipo cosa si mangia per cena, in quale ristorante, cosa usare come condimento per la pasta, quale meta turistica azzardare quest’anno per le vacanze eccetera. No, stavolta c’è molto di più in ballo. E non è una decisione che ho preso con leggerezza. È la decisione.
«San Diego…» Lo vedo accarezzarsi il mento con l’aria riflessiva del pragmatico che tenta di piegarsi al livello dei pensieri e delle idee pure, quelle più difficili da afferrare, quelle che fanno impallidire la gente comune. Se non fosse abbastanza sveglio, so che lo ripeterebbe ancora: San Diego
. Ma non ne ha bisogno. Ha capito tutto.
Ha capito che faccio sul serio: tento di intraprendere una strada diversa, ai suoi occhi una folle avventura. Agli occhi di tutti, forse. Ma anche, sempre ai suoi occhi – forse alle sue orecchie, e nella sua mente di calcolatore, di uomo di scienza, abituato a familiarizzare coi numeri prima ancora che con i sentimenti – apparirà come un rischio. Com’è che si dice? Un rischio calcolato.
Ricordo ancora l’ultima battuta di Francesco, mentre preparavo le valigie. Avevo da poco rispolverato una vecchia foto di me a San Diego, della prima e fino ad ora unica volta che sono stata in America. Datazione: una decina d’anni, la data esatta volutamente rimossa, forse per il rimpianto di non aver coltivato in quel momento qualcosa di più in quella splendida città (benché io ami tantissimo Verona, la California è pur sempre la California). Luogo: mare, spiaggia, una delle tante di San Diego. Andare in spiaggia a San Diego – e in generale in California – è un po’ come andare a passeggio in un parco a Roma o a Verona. Commento di Francesco: «Bella» vedendomi in costume in mezzo alle onde, a rubare l’attenzione persino ai surfisti abituati a giocare con la morte. Secondo commento di Francesco, appena cinque secondi dopo: «Manca giusto uno squalo».
Francesco è questo. Fuori dai parametri in cui è possibile rinchiudere una persona. Sarebbe semplice, troppo semplice, descriverlo come il classico uomo razionale incapace di comprendere i sogni delle persone. Ma non è così. Lui è di più. Li comprende, poi ci gioca a seconda di come gli gira. È il suo carattere.
In California – ma anche nel resto degli Stati Uniti d’America – gli aerei volano bassi, tremendamente bassi. In Italia anche, a seconda della città e della vicinanza con un aeroporto. Ma in America è una sorta di routine, un’abitudine carica di un certo fascino. È come trovarsi a pochi centimetri dall’idea stessa del viaggio, quasi puoi sfiorarli, quegli aerei, e sentirli tuoi. Sentire tua l’avventura, tutto ciò che potrebbe accompagnare un viaggiatore che non viene in America soltanto per farsi una vacanza di tre giorni sulle spiagge soleggiate in pieno stile italico. Ma qualcosa di più. Come nel mio caso.
La scritta SAN DIEGO sul cartellone è appena accanto all’altra scritta: International Airport, bianca su sfondo blu, come nelle stazioni ferroviarie italiane. Supero quel pensiero – il pensiero di non essere pronta, il pensiero di fermarmi qui, di darmi per vinta, di dire: No, dai, stavo solo scherzando, ora me ne torno da chi vorrebbe farmi mangiare dagli squali, che magari rimarrà anche sorpreso, che non ci sia finita in quelle fauci
. Supero anche questo. E raggiungo Transportation Plazas, è da qui che potrò muovermi.
Opzioni? Due, limpide come una goccia d’acqua nel lago di Loch Ness quando il mostro dorme. La prima: pullman, economico e relativamente rapido. La seconda: taxi, un po’ meno economico ma senza il relativamente
a segnare la sua velocità. Ce ne sarebbe una terza, per chi si porta dietro un esercito di alleati: Shuttle Vans, compagnia specializzata per chi è in… compagnia: cinque, dieci persone, venti o trenta. Cambia poco. Io sono sola. E poi i consigli per i turisti non fanno per me, decisamente.
Opto per la seconda opzione: taxi. Un pizzico di egoismo