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Il principe azzurro non vive a New York
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E-book184 pagine2 ore

Il principe azzurro non vive a New York

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Info su questo ebook

Cosa succede quando una ragazza si trasferisce dalla campagna italiana a New York, convinta che lì l’aspetti la sua personale commedia romantica con happy ending? Come reagisce quando invece si imbatte nell’assurdità della fauna locale? Riesce, alla fine, a trovare una morale per la sua favola sgangherata?

Un libro un po’ autobiografico e un po’ surreale, perfetto per sorridere delle (dis)avventure altrui.
LinguaItaliano
Data di uscita15 set 2015
ISBN9788893066518
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    Anteprima del libro

    Il principe azzurro non vive a New York - Arianna Magnani

    vari

    PROLOGO

    New York, la città che non dorme mai. La terra promessa dove i sogni diventano realtà. Se ce la fai lì, puoi farcela ovunque.

    Le frasi fatte sulla Grande Mela si sprecano, il bello però è che in questo caso rispecchiano perfettamente la realtà. Beh, quasi perfettamente.

    Andate a New York per realizzarvi come persone? Volete trovare il vostro posto nel mondo e rendere più ricca la vostra esistenza lasciandovi ispirare da nuove strade? Benissimo, siete nel posto giusto. State cercando l’Amore, il principe azzurro che tanto avete sognato, divorando una commedia romantica dopo l’altra? In questo caso, ho brutte notizie per voi: New York non è proprio il luogo adatto dove trovarlo. Virate piuttosto verso il Wisconsin o il Maine, oppure fate un salto in California se il tipo surfista è di vostro gradimento.

    Mi chiamo Arianna e sono andata a New York perché, dopo averlo desiderato per anni, ho finalmente potuto unire l’utile al dilettevole e realizzare un sogno. Ci sono stata quasi sette mesi, durante i quali l’ho percorsa in lungo e in largo, stando a stretto contatto con la variegata fauna locale.

    Questo è l’ultimo post che ho scritto nel mio blog, durante il viaggio di ritorno verso l’Italia.

    Un paio di settimane fa, in un ristorante di Brooklyn, un amico mi ha posto una domanda: Secondo te, cos’è che rende New York così unica?.

    Ho saputo immediatamente cosa rispondere: New York è unica perché ha tutto il mondo dentro di sé. Letteralmente. È un microcosmo, una riproduzione in scala di tutti i paesi del mondo, un mosaico composto di tessere tutte diverse. Percorrendo le sue strade, si incrociano segni di tutte le culture: nelle insegne dei negozi, nei ristoranti, nei profumi, nei colori, nei volti delle persone e nei loro accenti. Credo che non ci sia un altro posto simile: penso che la Grande Mela in questo sia il vero ombelico del mondo, un melting pot ricchissimo di sfumature.

    E tutto ciò la rende un concentrato di energia in continuo movimento. Lo senti forte e chiaro, semplicemente camminando per le sue strade, ed all’inizio può essere fin troppo travolgente. Ma, in pochissimo tempo, la città ti accoglie a braccia aperte e ti rende parte di sé… una volta che ti immergi completamente, inizi a fluire con quell’energia. La assorbi, prendi il ritmo, ti senti parte del tutto. È per quello che, poi, andarsene è così dura: ti senti sradicato, strappato da un luogo al quale ormai appartenevi, che non è solo un luogo geografico, esterno, ma che ormai ti è entrato dentro e ti scorre nelle vene. Fa male, andarsene da New York. Anche se sai che non è un addio, perché lei continuerà a scorrerti nelle vene e ti richiamerà a sé.

    Il bello è che, se sei ricettivo, tutta quest’energia non circola intorno e dentro di te a casaccio, ma viene incanalata. Quasi automaticamente, la vedi prendere una traiettoria precisa, poi un’altra, poi un’altra ancora. Se sei ricettivo, l’energia non viene sprecata, ma si trasforma e ti trasforma. Dopo sei mesi e mezzo, posso dire che New York mi ha aiutato a reinventarmi. E pensare che non sapevo nemmeno di volerlo fare! È successo tutto naturalmente, io non ho fatto altro che accogliere tutti gli spunti che la città mi ha dato. È come se la città stessa mi avesse fornito gli strumenti per sentire meno la sua mancanza, una volta a casa. Mi ha reso più ricca, così da bilanciare lo scompenso dato dal fatto di tornare in una piccola città di campagna. Essendo più ricca io, saprò osservare la mia città con uno sguardo nuovo, e proietterò su di essa ciò che ho dentro. So che questo accadrà, una volta superato lo strappo iniziale.

    Quel giorno, a Brooklyn, il mio amico ha posto anche un’altra domanda: C’è un’aspettativa che avevi e che è stata tradita?.

    Lì per lì non sapevo come rispondere, mi pareva che ogni aspettativa che avevo fosse stata rispettata, o addirittura superata. Poi mi è venuto in mente: ma certo, avevo una grossa speranza che non si è affatto tradotta in realtà! Ero quasi convinta che New York mi avrebbe regalato anche un grande amore, il ragazzo americano su cui tanto ho fantasticato. Ma probabilmente ho visto troppi film, o forse – come mi hanno detto tutte le americane con cui ho parlato – a New York non ci sono gli americani veri. Dicono che per trovare l’amore non è la città giusta. Eppure, la maggior parte di loro è fidanzata… misteri.

    In ogni caso, tutto questo cercare l’uomo giusto e non trovarlo mi ha fornito un sacco di materiale che racchiuderò in un libro. Ed ecco che anche le disavventure possono trasformarsi in qualcosa di positivo! Visto che potenza ha l’energia di New York?

    Stamattina, mentre il mio autobus attraversava e lasciava Manhattan, ho pianto. All’aeroporto di Newark, ho lottato con le lacrime per non farle uscire. Sull’aereo verso l’Europa, stessa cosa.

    Ora sono all’aeroporto di Monaco, in attesa del prossimo volo, e sentire così poche persone che parlano inglese mi fa un po’ impressione.

    Non posso credere che sei mesi e mezzo siano passati così in fretta, devo abituarmi all’idea… ma New York mi accompagnerà, e mi aiuterà.

    Leaving New York, never easy - it's pulling me apart

    I told you, forever, I love you, forever.

    Perché è vero, New York è fantastica. È tutto ciò che si può desiderare, mi ha regalato più di quanto potessi immaginare, compresa una nuova me. Però ecco, poteva anche trovarmi un uomo, intanto che c’era, no?

    Io, da parte mia, mi sono impegnata: l’ho cercato con tutte le mie forze, infilandomi anche in situazioni assurde che in Italia non mi sarebbero nemmeno passate per l’anticamera del cervello… ma credetemi, non c’è stato verso.

    Tanto per cominciare, tenete conto che, statisticamente parlando, circa la metà dei maschi presenti a New York è gay, e ovviamente è la metà composta dai più belli ed idealmente appetibili. In più, ho incontrato uomini e storie completamente senza senso, che ogni volta mi hanno lasciato a bocca aperta per l’incredulità. E col passare del tempo proprio io, che ritenevo il maschio americano il mio ideale, ho dovuto ammettere che il detto Italians do it better rispecchia la realtà. Ebbene sì, i nostri uomini che ci paiono così sfigati, stronzi e pieni di difetti, in realtà sono molto meglio di ciò che ho incontrato oltreoceano! Dobbiamo farcene una ragione.

    Poi, c’è chi dice che i newyorkesi non c’entrano niente con gli americani veri, e che quindi non si possono generalizzare le pessime esperienze avute lì a tutti gli Stati Uniti. Magari hanno ragione, ma ciò che ho toccato (o tentato di toccare) con mano merita di essere raccontato in ogni caso.

    Quella che leggerete di seguito non è altro che la mia avventura alla ricerca dell’uomo di cui innamorarmi, che come avrete intuito non ho trovato.

    È stata divertente. È stata anche deprimente. È stata inusuale e socialmente interessante. È stata frustrante e spesso mi ha fatto alquanto alterare. Il lato positivo è che ho davvero tanto da raccontare, al riguardo.

    Donne, in guardia: poi non dite che non vi avevo avvisato!

    Ogni riferimento a persone, cose o fatti realmente accaduti NON è puramente casuale.

    Prototipo numero 1

    Il fuggitivo indeciso

    Il fuggitivo indeciso

    Era una giornata di metà settembre, una giornata piena di sole, calda. La mia prima domenica a New York. Mi sono svegliata col sorriso e con la carica che solo una situazione del genere avrebbe potuto trasmettermi. Provate ad immaginare: la città dei vostri sogni, in un giorno festivo, riscaldata da un clima perfettamente estivo e distesa ai vostri piedi, intatta, pronta per essere esplorata.

    Il mio programma, che poi sarebbe diventato quello di moltissime domeniche newyorkesi, prevedeva un giro a Central Park, ma soltanto dopo essere andata a Brooklyn a vedere un appartamento. Cercare una stanza in affitto spulciando annunci in internet era la mia unica attività in quei giorni… Così mi sono avventurata sulla linea L – che corre orizzontale tagliando Manhattan arrivando dritta al punto, ovvero a Brooklyn, e che poi è diventata la mia linea del cuore – per andare all’appuntamento e dare un’occhiata alla terza casa della lista.

    Per non farmi mancare nulla, mi sono subito presentata con una figuraccia, perché io non avevo un cellulare, loro non avevano un campanello, e tutto ciò mi impediva di capire come avrei dovuto segnalare che ero arrivata. Purtroppo questo piccolo dettaglio organizzativo mi è venuto in mente solo quando mi sono trovata lì. Contavo sulla presenza di un campanello, lo ammetto. Non è colpa mia se non ce n’era nemmeno l’ombra! Alla fine, comunque, sono riuscita ad intercettare l’attenzione di un vicino e mi sono fatta annunciare ed aprire la porta.

    Quando sono entrata in quella villetta ricoperta di legno bianco, mi sono sentita subito a casa, cosa che mi ha fatto molto piacere ma mi ha reso anche un po’ agitata: volevo fare buona impressione. C’era solo un minuscolo problema – sì, un altro: di quello che il ragazzo orientale che avevo davanti mi diceva, capivo sì e no la metà. Mica potevo chiedergli continuamente di ripetere, però. Per cui annuivo e cercavo di assumere l’espressione più convinta e convincente che potessi avere. Quando ormai mi sentivo totalmente persa, ecco che ha pronunciato una frase che ho capito benissimo: Lui è l’altro coinquilino, con cui eventualmente condividerai questo piano della casa, ed indicava un ragazzo magicamente emerso dalla porta davanti a me. Johnny. E, mentre gli stringevo la mano sorridendo, pensavo ‘No, non posso vivere con uno così come coinquilino’. E perché mai, direte voi? Provo a spiegarvelo. Avete presente Danny Zucko, il John Travolta di Grease? Ecco. Avete presente Fonzie? Ecco. Avete presente – questa è più difficile, ma è la chiave di tutto – Jesse, interpretato da Milo Ventimiglia, che per un bel periodo è stato il fidanzato di Rory nel telefilm Una Mamma Per Amica? Ditemi di sì. Al fascino di Danny e al carisma di Fonzie non resiste nessuno, ma soprattutto io non resisto e non ho mai resistito a Jesse, del quale mi sono innamorata perdutamente da adolescente e che è rimasto impresso nel mio immaginario come un gran figo. Il mio futuro ipotetico coinquilino era un perfetto misto di questi tre personaggi. Assomigliava in modo impressionante a Jesse, il che mi ha lasciato letteralmente ad occhi sbarrati e bocca aperta, era vestito come Fonzie e di Danny Zucko aveva la capigliatura e la camminata. Era troppo da sopportare tutto in una volta!

    Dopo essermi ripresa dallo shock, ho seguito l’asiatico, che poi ho scoperto essere coreano e chiamarsi Dan, verso il giardino sul retro. Ci siamo seduti tutti intorno al tavolo: io, lui, Johnny, un secondo – ed enorme – coreano (Jon) ed un ragazzo coi capelli lunghi ed arruffati, sudamericano, di nome Diego. Abbiamo parlato del più e del meno, era una specie di colloquio fatto da loro per capire quanto gli aspiranti coinquilini fossero effettivamente le persone giuste per i loro gusti. Le nostre chiacchiere sono andate avanti per un paio d’ore, in un susseguirsi di sorrisi, risate, parole in inglese più o meno corretto, e occhiate da parte mia al sosia di Jesse che non facevano che confermare il mio primo pensiero: sarebbe stato molto duro vivere sotto lo stesso tetto con quel ragazzo… troppe tentazioni! O magari era proprio lui il principe azzurro americano che avevo sempre desiderato? Possibile che fosse stato così semplice trovarlo?!

    Ad un certo punto, Diego e Jon hanno voluto sapere il mio nome completo per cercarmi su Facebook ed aggiungermi al loro elenco di amici. Io gliel’ho comunicato ben volentieri, sperando che anche Johnny registrasse l’informazione nella sua mente e mi contattasse poi.

    Il tempo passava e, nonostante la piacevolezza di quelle ore di chiacchiere spensierate, continuavo sentire il richiamo di Central Park. Ho colto l’occasione per andarmene quando un’altra ragazza è arrivata per vedere la stanza libera… Jon mi ha seguito, ipotizzando che sarebbe potuto venire anche lui al parco e chiedendomi addirittura se volessi un passaggio in auto fin là, al che io ho tentato di declinare in tutti i modi: sinceramente, preferivo di gran lunga stare sola e prendere la metro piuttosto che salire in macchina con uno sconosciuto (per di più enorme) che mi pareva un po’ troppo interessato alla mia compagnia. Ho fatto per allontanarmi a piedi verso la fermata e, all’improvviso, eccola lì: la mia scena da film!

    Johnny è sbucato dalla porta di casa, ha sceso le scale in fretta e mi è corso incontro, fermandosi a pochi centimetri da me per chiedermi:

    Ti dispiace se vengo anche io a Central Park?. Assolutamente no!, ho risposto immediatamente io. Ci mancherebbe. Non è nemmeno tornato in casa per salutare gli altri, è subito zompato in auto con me e Jon. Grazie per avermi salvato dal ciccio-marpione! Ci siamo fatti scaricare alla fermata della metro, perché entrambi preferivamo quel mezzo di trasporto, e Jon non ha potuto fare altro che constatare che avevo molta più voglia di andare al parco con Johnny che con lui.

    Ed è stato così che io e quel ragazzo dalla camminata strana, con ai piedi stivali da cowboy, ci siamo avviati verso il luogo che poi avrei scoperto essere un angolo di paradiso in grado di farti riappacificare col mondo nel giro di pochi secondi.

    Il viaggio in metropolitana è stato abbastanza imbarazzante, perché il ragazzo non si dimostrava particolarmente loquace e io dopo un po’ ho finito la scorta di domande da conversazione. Per fortuna ad un certo punto ho tirato fuori la mia magica cartina di New York, per controllare che fossimo sulla linea giusta, e lui se ne è innamorato, facendola diventare il centro dei nostri discorsi. Questi newyorkesi, sempre attaccati ai loro smartphone, si esaltano quando vedono una cartina vecchio stile! Ed è rimasto molto affascinato dal fatto che fosse costruita con un materiale antistrappo ed antipioggia… i miracoli della scienza sono questi, altro che iPhone.

    Quando siamo arrivati a Central Park, ci siamo trovati quasi subito davanti ad un laghetto minuscolo, che poi ho scoperto chiamarsi lo stagno, e che nel corso dei mesi è rimasto il mio luogo preferito all’interno del parco. C’è un sentiero che segue il contorno dello specchio d’acqua ed è a sua volta costellato di panchine. Ne abbiamo scelta una e ci siamo seduti, continuando il flusso ininterrotto di chiacchiere che nel

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