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L’ultima luna di dicembre
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E-book333 pagine4 ore

L’ultima luna di dicembre

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Info su questo ebook

“E poi lì a discutere dei farò, dei farai, in un mondo dissimile eppure uguale a se stesso da troppe generazioni. Sono abituato a vedere l’ultima luna di dicembre, il suo pallore, i suoi raggi irreali che sembrano procurare l’ultimo anelito di vita del satellite.
Ma il suo è un arrivederci, perché sorgerà una nuova luna con il nuovo anno. È questo un po’ il sunto del romanzo, morire per poi rinascere, in un conflitto interno all’anima, un conflitto che non lascia tregua e spazio, e in un’unica dimensione abbraccia quello che è corporeo ed effimero e quello che è dell’anima ed eterno”.
Ritorna Massimiliano Ferrante con la sua prosa complessa e raffinata. In quest’opera  riflette sul potere della scrittura: la banalità del vivere, la mediocrità imperante e, insieme, l’emergere, il sorgere di una luce capace di rompere le catene che inchiodano a terra. Immagine di una epifania illuminante che travolge l’ordinarietà del quotidiano è il genio letterario di Jane Austen, la cui poetica viene qui puntualmente analizzata sin dalle sue origini.
In un intreccio affatto banale, romanzo e saggio delineano i profili di un genere  nuovo e necessario in cui lettore si ritrova parte attiva, immerso in riflessioni profonde, involandosi in orbite ancora inesplorate.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2020
ISBN9788855089623
L’ultima luna di dicembre

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    Anteprima del libro

    L’ultima luna di dicembre - Maximilien F.

    Maximilien F.

    L’ultima luna di dicembre

    EDIFICARE

    UNIVERSI

    © 2020 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it

    I edizione elettronica aprile 2020

    ISBN 978-88-5508-962-3

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri

    Racconto introduttivo

    Oggi ho il diritto di scrivere. Questo mi fa piacere, mi alletta, ma non di più del dovuto, visto che ho dovuto lasciare cadere diversi impegni, prima di dedicarmi all’arte della scrittura.

    Mi chiamo Jane, sono una scrittrice e quello che faccio mi riempie di gioia, o almeno così mi sembrava prima dell’incontro con Cristiane, una violinista. Ne nacque un amore tutto al femminile, dedito alle reciproche attenzioni ma per tanti aspetti anticonvenzionale.

    Concedersi all’amore lesbico, prima di aver iniziato una cura dimagrante, significa ingratitudine, specialmente se hai voglia di lasciare perdere tutto e, per simpatia, schierarti col partito del più forte. Io sapevo, avevo intuito che Cristiane aveva subito uno stupro, ma durante le notti passate insieme, ella tacque il suo segreto, indicandomi la direzione migliore per occuparmi delle mie questioni personali, senza invadere il suo diletto, la sua partecipazione ad atti dovuti o segreti che fossero, ma che rimanevano occultati alla mia percezione. Lo sbalzo di fuso orario contribuiva a farmi sentire inutile, e tanto lo ero io quanto lo erano i miei sforzi di comunicare: per questo decisi di evadere ogni tentativo di partecipazione agli affari che si annidavano nel mare nebuloso di Cristiane. Fare la gerente ad una serie di avvenimenti è quanto meno controverso, è doveroso invece richiedere una delega a compiere e a descrivere gesti e azioni degni di essere menzionati.

    La partecipazione che in luoghi ed eventi eserciti la mia preparazione subordinata, è sottintesa agli atti che Jane stessa medita e premedita: questo vuol dire, è veramente farina del suo sacco?

    Certo, la descrizione che Jane scrittrice dà delle società è attendibile, non manca di precisione, anche se non è il ritratto naturalistico che Zola può dare alla società, per intenderci.

    Sono lontani i richiami di una società lungimirante, ed è difficile ammettere che pur sconfitta vi sia stata, seppur co-partecipata, ed è per questo che i miei pensieri non lasciano la roccia dello schermo del divertimento. Ho poco tempo, ed è per questo che gli apprezzamenti, o per meglio dire i giudizi, segnano il passo, e chi temerariamente ha cercato di invadere il segno proprio della prosa o della narrativa. Sì, di certo tutto ha un’origine, ma non i significati, sono ben differenti, ed ho visto affiorare anche gli attributi di una razza che ben difficilmente tende a morire. Io Jane, non ho avuto la retribuzione che spesso ci si aspetta.

    I contenuti certo, l’approssimazione, ovvia, ma il raffreddore non era andato via e l’amicizia era stata infranta che una incapacità a comprendere.

    Il vuoto, il soffio del vento, imita strane congetture anche se all’inizio tutto appare contrassegnato da un senso di estraneità o quanto meno di opportune illogicità: è per questo che si è soliti tramandare gli aspetti meno consoni ma che diano, segnino l’avvento del successo.

    Ecco, una volta gustato il quale si ritorna ad essere dei personaggi di racconti, di storie mai iniziate, ma che continuano a brillare di una luce che sia propria o impropria.

    Il timore di essere invadenti, nasconde un fascio di timidezza che se non espressa, difficilmente vanno a calmare i settarismi che la realtà stessa propone.

    Io come scrittrice ero appagata, ma nasceva un senso strano, una quasi inconciliabilità di vedute, una cosa ovvia, ma è proprio là dove si cela l’imperturbabilità che si compiono i delitti più efferati. Certo, i difetti della psiche acconsentono che vi sia una vicinanza, ma questo non vuol dire esattamente violenza, anche perché la maggior parte delle azioni non sono mai state compiute.

    Forse è qui che sbaglio a considerare accettata una situazione che di fatto non lo è, e dove si nascondono l’odio e l’amore, questo non so definire. Sarebbe stato meglio accontentarsi della propria quotidianità, senza per questo reprimere gli sprazzi gioiosi che una vita travagliata mi ha riservato.

    Forte del mio impegno, ho in mente un resoconto di coincidenze che si esplicano attraverso il tacito rifiuto. Non possiamo non trascendere dall’aspetto ereditiero, che certo fa gola, ma io avevo imposto dei rifiuti che di sicuro dovevano essere accettati. L’uomo qualunque si difende contro di me, egli non sa che io, Jane, ho già disegnato qualcosa per lui a dispetto di quell’area esistenzialista che egli andava già delineando.

    Certo è surreale tutto ciò, ma come non ricordare i vecchi chiusi ad un’eredità che ha già mostrato il suo compenso. Di sicuro gli esistenzialismi di ieri e di oggi sono stati svalorizzati, ma non per questo, non per una minusvalenza il capitale è stato intaccato.

    Sì, siamo gente di passaggio, la morte può coglierci da un momento all’altro, ma sono sicura che la parola dell’assassino avrà fatti i conti con se stesso, se è vero che al giorno d’oggi anche l’uomo può volare e farsi il suo resoconto in drammi che costellano la nostra esistenza.

    Sarei andata via, è vero, non per dimostrare a Cristiane che l’amore vero è altrove, e che tanto puoi intestardirti quanto puoi, riscontrare che l’infelicità è perenne anche se ti dai al bere, all’approssimazione che il contrasto della forma dà, anche all’insicurezza della tua permanenza, cose che altri troverebbero contraddittorie, ma che io ritengo la miglior prova dell’approssimazione. Tutto dipende dallo stato d’animo, questo è sicuro, però non volgere, tu sconosciuto il volto mentre ti può richiamare un mio saluto.

    Non avevo capito l’importanza del gesto d’amore:

    Cristiane, sai io non do molta importanza alle cose, ma in fin dei conti, non odio l’amore lesbico, quanto l’amore filiale, perché non so quale devozione ci porti ad amare i propri genitori.

    Sì, ti capisco Jane rispose Cristiane, proprio per questo voglio farti conoscere un amico, Pierre, lui ha capito proprio tutto dalla vita e può insegnarti uno di quei trucchi, per fare in modo che tu voglia bene alla tua famiglia.

    Era tutto qui per Cristiane, un trucco, uno di quei miscugli che si mettono sulla faccia per apparire più bella. Conobbi Pierre, lui sapeva tutto di Cristiane e del suo stupro.

    Ma come è successo? Ti chiamo Pierre, anche se il tuo cognome è Debussy... Vorrei sapere qualcosa di più sullo stupro di Cristiane, so che lei te ne ha parlato.

    Sì, so rispose Pierre. È stato il branco, sai quei gruppi che agiscono in nome dell’appartenenza, del vincolo.

    Doveva essere stato tremendo per Cristiane vedere quegli uomini che come lupi nella notte scura, agiscono soltanto in nome del piacere e della violenza.

    Chiusi il discorso con Pierre perché mi sembrava di invadere un campo improprio, anche se mi rendevo conto che alla fine i segni dello stupro erano evidenti sulla pelle di Cristiane, ed avevano lasciato delle cicatrici difficilmente guaribili. Non volevo lasciarmi trasportare dalla notte e dai suoi segnali, intavolare una discussione, per me era un qualcosa di indicibile e sia con Pierre che con Cristiane avevo la sensazione che al di là di noi trasparisse qualcosa di cristallino che non sapevo ancora definire, ma avevo capito che si trattava dei raggi della luna.

    So poi, che volevo un resoconto della vita di Cristiane attraverso Pierre, realizzavo sempre più difficilmente i tratti che caratterizzano l’esistenza, così tra il pressappochismo e l’indifferenza ero solita agire di conseguenza: infatti il diagramma dell’esistenza era per me triangolare e da quel sistema geometrico, riuscivo a cavare tutte le caratteristiche contingenti o necessarie, atte a formare un dialogo.

    Chiusa in casa, nel mio dolore di vita, costringevo me stessa a formarmi delle categorie tali che mi potessero agevolare nel mio ambito di scrittrice.

    Cristiane sapeva suonare bene il violino, quasi quanto io la penna, ma non volevo strumentalizzare l’accaduto, non volevo che lo stupro fosse l’argomento dei miei scritti. Cristiane mi raccontava per filo e per segno dei suoi trascorsi qualunquistici, del suo passato anonimo e mi diceva il perché io rappresentavo qualcosa di più di un semplice affetto tra amici.

    Stavo finendo di scrivere, quando qualcosa attirò la mia attenzione: una tazzina di caffè, non so se fosse quella la ricompensa del mio lavoro, di certo avrei dovuto dividerla con qualcuno: qualcuno che sapeva dello stupro di Cristiane, Pierre, appunto.

    C’era qualcosa che non andava per il verso giusto, ed anche se transitava una sfera nella mia vita, non me ne sarei accorta, tanto ricca di avvenimenti era la stessa, che mi decisi a confessare tutto nei miei scritti.

    Avevo un’età che oscillava fortemente tra la maturità e la giovinezza, ed avevo deciso che nulla sarebbe stato forfettario, ma che anzi, avrei continuato a perseverare nella forma e nelle descrizioni che mi ero prescritta.

    Tutto voglio dire, gli incontri e la persecuzione, mi lasciavano indovinare che avrei trascorso a letto il resto della mia giornata, dopo una buona tazza di caffè, che serviva a ritemprare il mio spirito tanto a lungo segnato dalle intemperie e dai cattivi pensieri.

    Chiamai Christine, un’amica, tanto per smaltire l’ubriacatura della sera precedente, ma lei mi sbatté il telefono in faccia. Seccata per la figuraccia, decisi di non farmi più vedere per giorni interi, ma sicuramente quel che stava succedendo al mio inconscio era ben lontano da una risposta dichiarativa. Si andava più sullo sperimentale e di questo Christine non voleva sentire parlare.

    Come giudicare un padre, che seppur vecchio, continua a intingere per dipingere, e viene giudicato a sua volta per questo un delinquente, un truffaldino. Per questo non capisco il suo gesto d’amore.

    Di questo parlai con Cristiane, ma lei mi indicò Pierre come lume chiarificatore del problema. In me nasceva l’esigenza di fare chiarezza visto che nei miei scritti mancava quella puntigliosità, quella precisione che aveva caratterizzato le mie esperienze precedenti.

    Ero in casa molto svogliata, quasi depressa, per una disamina che avevo effettuato su determinati movimenti o quantità. Così avevo deciso di agire di conseguenza, ma la depressione non diminuiva ed ero stimolata soltanto dalla storia che mi volevo inventare sullo stupro di Cristiane. Volevo inventarla perché non le credevo: è vero, lei aveva dato la sua versione, anche alla polizia, ma c’erano troppi particolari che non coincidevano.

    Ero seccata, mi misi al tavolino e buttai giù qualcosa sul quaderno, perché al computer non mi andava di scrivere, e subito mi immaginai circondata da lusinghe, da contratti da favola, per una storia inventata. Masticavo amaro da un po’ di tempo a questa parte, l’editore non si faceva più sentire, né per telefono, né per posta, forse aveva deciso di scaricarmi.

    In mezzo a questa depressione si aprivano dei bellissimi fiori, erano i fiori della sincerità. Infatti Christine, la mia amica, molto liberale, inscenò una commedia per farmi partecipe della sua scortesia telefonica precedente e con un pretesto mi fece capire che non l’avrebbe più fatto.

    Così, mostrandosi cordiale, si rivolse a me dicendomi:

    Parola di Christine, Jane, non ti tratterò più così male, nemmeno se avessi un appuntamento con Johnny Deep. Tanto valeva il biglietto per parlare con Christine, lei era un’agente di borsa, un broker, e non stava mai in casa, ma quando voleva qualcosa, faceva di tutto per ottenerla. Non starò qui a piangere tutti i voli e tutti gli aerei che ho visto passare sopra di me, io piccola formica, tessitrice di storie: sono molto più evoluta di quello che si può pensare, ed anch’io ho detto la mia, in un mondo dove l’informazione è quasi tutto, ed in un universo dove l’immagine è proprio tutto. Costituirsi l’essenziale, essere sbattuti fuori da un ufficio fa parte della vita, là dove ciò che più conta sono le parole ed è ovvia parte di te col pensiero.

    Sai Pierre, ho deciso di lasciar fare così esordii in un pomeriggio autunnale. Ho deciso che anche quando fa buio, una parte di me continuerà a brillare della luce artificiale dell’atmosfera.

    Sono ben contento che tu ti sia rivolta a me per quelle informazioni sullo stupro di Cristiane, ma temo sai... a volte la discrezione.

    Pierre rimaneva sulle sue ed io volevo informazioni sulla circostanza per buttar giù qualcosa, anche se fosse un articolo giornalistico.

    Ero proprio strafatta per pensare una cosa del genere.

    In fin dei conti pensavo se lo era cercato lei.

    Anche se i pensieri non erano giusti, una certa collocazione all’interno degli stessi era opportuna e mi sembrava di fare del male a me stessa a non raccontare. Sono stupita del modo in cui mi si tratta, anche se per un sopravvenuto motivo, sarei propensa a credere che si tratti più che altro di malcontento scaraventato addosso per fare apparire i guai meno seri di quello che sono.

    Eppure fare il clown mi sarebbe piaciuto ossia battere quelle strade della prostituzione dell’anima, ma il destino aveva in serbo qualcosa in più: farmi diventare una scrittrice. Non starò qui a raccontare l’odissea, ovvero i primi contatti, l’esplosione ed il successivo ritiro a vita privata, minacciata com’ero dall’estorsione della vendicativa voglia di sottrarre il tempo al mio tempo.

    Figlia della ninfa vitale, ed in passato figlia delle stelle, della modernità, avevo vagliato tutte le ipotesi che potessero rendermi felice oppure infelice.

    Ma mi ero posta questa domanda: si può essere felici, lontani dalla propria terra, terra che ti ha dato arte e mestiere, terra di affetti, terra di promesse e di felicità compiute? Un po’ per beffa, un po’ per odio, il destino ti riserva quello che più di meschino ti puoi aspettare, mentre il dono è avvolto da quella nebbia che rende ogni cosa indistinta e che giustifica persino il tuo lesbismo.

    Sono qui per testimoniare che oltre le deficienze altrui, esiste un paradiso che gli inglesi chiamano Heaven, in cui tutto quello che desideri si avvera: è lontano da qui, ed è parente di quell’appartenenza di cui un lungo esilio mi ha resa priva.

    Dare impressione a quello che faccio della mia vita, è complesso e non risulta essere affetto da alcuna considerazione avversa al normale svolgersi dei tempi.

    Avevo descritto qualcosa di normale, qualcosa che aveva a che fare con le dediche e con la presunzione che fosse qualcosa di anteriore all’antefatto o al fatto stesso, che ripiegava verso la china della rassegnazione. È vero, vedere tutto questo mi ha fatto male, ho coperto i miei occhi con un paio di occhiali scuri e mi sono detta: Addio vecchi tramonti, addio nascite di nuove stelle.

    Tutto perché? Per un’idiozia latente che porta ad essere il prossimo, anche se non lo si vuole e ad accettare che il lassismo, l’accettazione siano protagonisti di una storia non raccontata.

    La storia di Cristiane non era stata raccontata, per esempio; la storia di Christine, che da agente di borsa mi diventa insegnante, nemmeno. Ma a guardar bene ci sono molti esempi che vanno da una scritturazione negata ad un ingresso nel mondo del successo.

    Io guardo sempre dalla finestra, guardo i passanti, guardo l’ultima luna di dicembre. Il romanzo potrebbe chiudersi qui, con la mancata scritturazione, ma nascita ed episodi vari (ricordiamo che la letteratura fa parte della comparazione) fanno sì che si possa dilungare la discussione, altresì ristretti agli ambiti che l’esplorazione propone.

    Io penso sai, che a lungo andare anche gli altri si accorgeranno di te, e sebbene indisposta, tu proporrai le solite storie, i soliti trucchi mi disse Christine.

    Ma a lungo andare quando? domandai.

    Vi fu un breve silenzio, le mani quasi toccavano terra nel silenzio delle perplessità e dei negozi svuotati, ma quando subentra il mutismo per altre affinità si finisce con l’essere svogliati.

    Ci sono dei momenti in cui si si dimentica dell’ego e trasformisti si conclude che sia stato meglio così, dimenticare, trascurare. Succede a volte la storia, il racconto attiri, ed allora subentra l’egoismo per il motivo che rendere partecipi è difficile, in situazioni in cui c’è molto disordine. E pensando quando sia difficile reggere l’architrave di Cristiane, continuavo a discutere di faccende poco consone all’attribuzione di merito. Non che fossi destinata a situazioni scomode, ma quando si pensa a migliorarsi per giustificare le proprie vendette, si finisce con l’essere presi poco sul serio.

    Così presi l’iniziativa e mi dissi:

    Jane, coraggio, se non ci pensi tu, nemmeno una copia venderai.

    Ed allora giù ad inventare, a subissare, a far sì, ecco, che il male non fosse più tale. Di solito si ripiega verso un muro disuguale, anche se sentire di essere diversa fa male. Lontano ci sono degli spiragli, affinché le molteplicità indistinte si riuniscono in un tutto umanitario. Le sere sono fredde, ma c’è un ostacolo affinché io possa scrivere liberamente e riappacificarmi con l’editore. Si può ben dire e ben vedere che si tratti di screzi, ma io avevo bisogno della mia libertà, non si poteva pensare unicamente alla transizione ed era tutto chiaro, sembrava addirittura predefinito.

    Ora mi sembrava di vedere nell’indistinto delle forme che di primo acchito sapevano però cogliere la complessità dell’insieme.

    A talune domande, mi avevano dato perfino una risposta. Ma è ben lontana la radiosità notturna che mi ha accolta e sono preda dei miei stessi aguzzini per cui rivendicare la titolarità del mio io mi sembra improbabile.

    Sono visibili le ferite dello scontro generazionale, eppure mi sento coscientemente tranquilla.

    La brevità, l’effimero fanno parte della memoria, in questo momento si guarda o si tenta di farlo alla stabilità ed è per questo che mi faccio portatrice di interessi di parte.

    Ma dopo tutto ciò ti sentirai più tranquilla? mi chiese Christine.

    Non so risposi, ma la faccenda, la questione dello stupro di Cristiane ha agitato in me strani fantasmi, che non riesco bene a distinguere. Mi ero sbagliata: il vero agente era Cristiane non Christine, avevo confuso le due personalità: sì perché Cristiane dietro quell’aria innocente da violinista, nascondeva una passione smisurata per i soldi. Davanti a questa messa in scena, il pubblico rimase allibito, non che si chiedessero chi fosse il vero responsabile dello scambio di persona, ma in verità Cristiane rivendicava uno stupro, a differenza di Christine. Per me, la vera natura umana è trasferita nei luoghi pubblici, giacché c’è così poco di privato dietro i luoghi comuni che si possono nascondere dietro un’invenzione.

    Parlare poi di innocenza, quando dietro il sipario si nascondevano chissà quali insidie, mentre io non ricordo nemmeno chi sono, frantumata da chissà quali rischi, pericoli. In ogni questione si nasconde soltanto fragilità ed io questo lo sapevo sin dal momento in cui buttavo giù inchiostro per raccontare dello stupro di Cristiane, senza sapere però che le due personalità, quella di Cristiane e di Christine erano state scambiate. Soltanto ed esclusivamente in certi momenti si può gustare quello che è il segno della ricompensa, ma di questo non si può parlare. Assolutamente, non diamo tutto per scontato.

    Vi sono di sicuro delle situazioni in cui lo spirito si appaga ma non mi va di divergere:

    È per questo che sei in guerra con me? chiesi a Pierre che infastidito ronzava attorno in cerca della sua identità come me.

    Christine che era una buona insegnante, aveva l’abitudine di spazzare il viale dalle foglie che cadevano durante l’autunno, così per prepararsi all’inverno, per aspettare dicembre e vedere l’ultima luna. Ma non è così semplice discutere quando anche Pierre aveva deciso di tacere e così tra il romanzo e la chiacchiera era giunto l’inverno.

    Le cose per la verità, andarono molto in fretta e se potevo aspettarmi qualcosa non erano certo i cioccolatini, visto che ero ancora ambiziosamente lì a presumere chissà quali storie da raccontare. Scartate le ipotesi di parlare dello stupro, perché l’argomento anche tra gente civile era delicato e problematico, pensavo di parlare un po’ dei viaggi, così come quando scambiavo il mio numero di telefono con Elisabeth Crawford, la mia vicina di casa, che stava delle ore a fissare la finestra nella paura di essere vista dentro casa, mentre svolgeva le sue mansioni. Non volevo cambiare le carte, far passare Cristiane per una bugiarda, che aveva inscenato tutto per dimenticare il violino e darsi come una puttana ai fatti scandalistici.

    Con Pierre poi non c’era discussione a parte la guerra personale, che aveva cominciato a muovermi.

    Sulle strategie di guerra poi Pierre la sapeva lunga, tanto quanto uno statista e se sbagliavi te la faceva pagare.

    Signor Pierre Debussy, che bei baffi abbiamo stamattina attaccai, "mi sa tanto che le faccende debbano andare più alla lunga di quello che in realtà vuoi dimostrare. Trattandosi di sogni, sono tutta presa dal dimenticare la realtà e a trasformarmi in un angelo ingannatrice: sì, perché, la natura degli angeli, sono convinta è femminile. Prendendomi e non lasciandomi, il sogno esercita violenza su di me e quando la mattina sbadiglio mi accorgo che la notte non è infinita, qualche danza da ricordare, qualche danza da dimenticare.

    Così nel pressappochismo della sera invento strane fantasie che mi facciano sentire viva dell’anima. Tutto il resto è morte".

    Mi divertivo a giacere in un letto di passioni morte che non fanno sussultare ma danno soltanto il senso del dolore e della morte che sono così viste e riviste dall’interno del mio io; so descrivere cos’è la morte in una sera invernale. È l’ellissi del pensiero dimenticato. Strane memorie bombardate da un passato che non torna, invadono il senso comune dell’amicizia e dell’amore, quello lesbico per Cristiane, anche se mi stavo invaghendo di un uomo, Tom Bristol, che aveva la mia stessa età, ma che in quanto ad esperienza la sapeva più lunga. Era un’appartenenza violata la mia, contrassegnata da lunghi rami che si allungavano verso la mia terra, che un contadino avrebbe tagliato.

    Quello che racconto è originale, devi riconoscerlo, altrimenti divento violenta e me la prendo con le cose, con gli oggetti ed anche con le persone, perché sono fragile e nella mia fragilità nascondo un universo intero fatto di misteri e di imperscrutabilità che io mi sforzo di non rendere visibili.

    L’ULTIMA LUNA DI DICEMBRE

    Romanzo

    Capitolo I

    Mi chiamo Massi H.

    Oggi non sono riuscita a farmi una canna: dovete sapere che sono una poetessa o poeta, per me non fa differenza di genere, in pensione.

    Mi chiamo Massi H.

    Sono un poeta, ho deciso per la differenza di genere, ma questo non ha importanza ai fini del romanzo, perché la riflessione intorno a cui ruotano le mie poesie nasce da una premessa simbolica che è quella di evitare o evadere il palcoscenico per una naturale ritrosia.

    Sono un romantico, tempo in cui si è persa la dimensione di una vicenda poetica. Così apparire estemporaneo ai miei contemporanei è frutto di una scelta precisa, drammatica e tragica, che richiede i segni della comprensione tra simili, tra contemporanei.

    Da qui si installa la mia figura ribelle e conformista che ha lasciato tracce indelebili e che continua a contrassegnare fortemente il mio disagio esistenziale, tanto da apparire inadeguato alla comprensione dell’opera poetica per intero.

    Fortemente destabilizzato da questa disamina molto poco interiore e dai forti connotati estrinsechi, ho voluto porre la questione sull’attendibilità delle mie poesie fatta da brusche interruzioni e costituita nel suo insieme da una forte complessità di argomentazioni che sono incentrate prevalentemente sull’ego.

    Immagini

    Immagina ed anche se non immagini,

    hai immaginato

    immagini che ti distruggono

    immagini che cambiano

    perché cambiare è un po’ come morire.

    Questa fu l’unica poesia mandata in editoria e pubblicata a dispetto delle mie tante insistenze, ritengo che sia l’unica che in un certo senso esemplifichi il mio stile di vita ed i miei modi caratteriali.

    Di tutto rimane la bocca un po’ amara perché se mi ero spinto troppo in là, non mi aspettavo di certo un vento contrario che mi respingesse ai blocchi di partenza.

    Ma tant’è i giochi erano fatti.

    È vero che ricevere il film della propria vita danneggia la memoria, perché i film, si sa, sono fatti di pellicola, e la pellicola per sua costituzione, danneggia i filtri della memoria. Comunque le verità sono tante ed io non insisterò sui drammi della vita, visto che sono un buon conoscitore di gusti e vicende altrui, tanto da costruirmi baluardi in difesa dei miei status di vita. Vitali che fossero, proprio quei filtri di cui è costituita la memoria sono l’ultima difesa contro

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