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Lato A e Lato B
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E-book219 pagine3 ore

Lato A e Lato B

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Info su questo ebook

Lato A e Lato B - Versioni di una storia d’amore

Un romanzo pieno di colpi di scena, sorprese e drammi

Roberto incontra l’amore della sua vita quando Jennifer si trasferisce nella stessa via in cui lui abita. Mentre vive incontri e scontri alla ricerca della sua passione adolescenziale, si sviluppa una bella e innocente storia d’amore, ricca di momenti emozionanti e dolorosi. Quando finalmente il destino sembra aiutare la coppia, scopriremo che esiste più di una versione, che spesso la realtà non è come sembra e che leggere i fatti da una nuova angolazione può cambiare tutta la prospettiva della storia.

LinguaItaliano
EditoreCM Books
Data di uscita17 lug 2020
ISBN9781071556429
Lato A e Lato B

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    Anteprima del libro

    Lato A e Lato B - César Costa

    ––––––––

    Indice

    Lato A – Capitolo 1

    Lato A – Capitolo 2

    Lato A – Capitolo 3

    Lato A – Capitolo 4

    Lato A – Capitolo 5

    Lato A – Capitolo 6

    Lato A – Capitolo 7

    Lato A – Capitolo 8

    Lato A – Capitolo 9

    Lato A – Capitolo 10

    Lato B – Capitolo 1

    Lato B – Capitolo 2

    Lato B – Capitolo 3

    Lato B – Capitolo 4

    Lato B – Capitolo 5

    Lato B – Capitolo 6

    Lato B – Capitolo 7

    Lato B – Capitolo 8

    Lato B – Capitolo 9

    Lato B – Capitolo 10

    Lato A – Capitolo 1

    Non posso lamentarmi della mia infanzia. Non ero il bambino più felice del mondo, ma certamente non potevo essere definito il più triste. Probabilmente non ero il migliore tra gli studenti ma non rientravo tra i peggiori. Da quanto raccontava mia madre, pronunciai le prime parole a dieci mesi e poi imparai a camminare. Mentre crescevo, non avevo tutto ciò che desideravo ma, a quel tempo, anche i bambini non pretendevano molto. Sono solito dire che cresciuto con l'essenziale.

    Onestamente, non posso dire di avere rimpianti o rimorsi nei miei primi dieci anni di vita. Per quanto mi ricordo, ero un ragazzo felice, anche se non rammento molte cose. I miei ricordi principali cominciarono a essere archiviati all'età di undici anni, quando iniziai a considerarmi un ometto (i bambini hanno questa mania di voler crescere velocemente, ma darei qualsiasi cosa per rivivere quei momenti e tornare un ragazzo). Bene, è a partire da questo momento che vale la pena raccontare la mia vita.

    Un'estate, quando avevo undici anni, incontrai Jennifer. I suoi genitori si erano trasferiti dall'altra parte della strada dove vivevamo, in un quartiere periferico di una piccola città rurale. La ragazza dai capelli rossi attirò la mia attenzione dalla prima volta che posai gli occhi su di lei. Non che all'epoca fossi particolarmente interessato alle ragazze; era ancora un'età in cui tutte le ragazze mi sembravano noiose e uno spreco di ossigeno. Per essere più diretto, in quel momento, nel mio cuore e nella mia mente non nacque nessun sentimento o desiderio carnale; tuttavia, per qualche motivo che non riesco ancora a spiegare, iniziai a osservare quella bambina dai capelli rossi in modo diverso rispetto a quanto accadeva con le altre ragazze. Lei riusciva ad attirare la mia attenzione come nient'altro poteva fare.

    Ricordo perfettamente la giornata di sole quando un grosso camion blu si fermò davanti all'antica residenza disabitata del Signor Mathias. Lui lavorava in una impresa multinazionale di elettrodomestici, aveva ottenuto una promozione ed era stato trasferito in un'altra città con moglie e figli. La notizia mi rattristò molto. I suoi due bambini, João e Pedro, infatti, giocavano con me al mattino prima di andare a scuola e nei fine settimana. Non c'erano molti bambini della nostra età in quella strada. Per questo, potevo considerarli, per così dire, i miei migliori amici. Naturalmente, avevo i miei compagni di classe a farmi visita di tanto in tanto, ma con loro due era un'altra cosa. Potevamo giocare anche nei giorni in cui altri impegni dimezzavano il tempo libero.

    Nonostante stessi sempre in compagnia dei due fratelli, ricordo che alcuni dei giochi soliti di Pedrinho, lo chiamavamo così, non mi piacevano molto. A quel tempo non capivo il suo atteggiamento e lo consideravo molto infantile e piagnucolone. Oggi, Pedro si chiama Bianca e vive con un altro uomo. In seguito, iniziai a comprendere le vere ragioni del suo strano comportamento durante l'infanzia. Forse peccavamo un po' di tatto per certe cose, ma cosa ci si può aspettare da semplici bambini innocenti?

    Bene, tornando al camion blu durante la giornata di sole, c'erano Jennifer ei suoi genitori. Il giorno non era solo soleggiato ma tremendamente caldo. Dovevano essere almeno quarantadue gradi e non c'era nessuna nuvola nel cielo per attenuare gli effetti dei raggi del sole; non si muoveva un filo d'aria. Davanti alla casa disabitata del Signor Mathias, una macchina familiare era parcheggiata dietro il camion fermo. Il capo della famiglia uscì dal piccolo veicolo, aprì il cancello già arrugginito e poi la porta della sua nuova abitazione. Innervosita dal forte calore, la bambina dai capelli rossi scese dall'auto, sventolando un foglio strappato da un quaderno. Poi scese anche sua madre. Rimasi seduto sotto l'albero di mango che occupava gran parte del nostro giardino e vidi un sudato Signor Machado, aiutare l'autista del camion a scaricare l'infinito trasloco.

    Essendo un sabato, niente mi impedì di contemplare quel movimento (non che avessi molti impegni nei giorni normali); la mia routine era andare a scuola, guardare la televisione, fare i compiti e giocare a biglie con gli altri bambini. Era interessante vederlo entrare e uscire di casa, con milioni di cose, vestiti, mobili, scatole e scatoloni che venivano sollevati, una situazione per me sconosciuta, avendo vissuto nello stesso posto dal giorno della mia nascita.

    La bambina dai capelli rossi, ovviamente, non stava aiutando a finire il lavoro, ma entrava e usciva, seguendo il padre e il camionista. Voleva partecipare a ogni movimento, purché non dovesse sforzarsi. Vedendo la gioia stampata sul suo viso, mi ricordai di quanto la partenza di Pedro e João mi avesse rattristato. Come poteva quella ragazza essere felice se aveva lasciato le sue amiche, la sua scuola e la sua casa? Forse, pensai, non aveva molti amici, non le piaceva la sua vecchia scuola o proveniva da una piccola e brutta casa... Non potevo esserne sicuro. Sapevo solo che la ragazza era felice lì e, per qualche strana ragione, lo ero anch'io.

    Ricordo ancora, come fosse ieri, la prima volta che ci incontrammo più da vicino. Successe due giorni dopo il trasloco. Mia madre, determinata ad accogliere la nuova famiglia, venne a cercarmi.

    – Hanno una bella figlia, dovrebbe avere la tua età– Potrebbe essere la tua nuova amichetta. Sei stato molto solo... – disse, cercando di convincermi ad accompagnarla.

    La fissai per qualche secondo, sperando che avrebbe argomentato in maniera migliore.

    Amichetta? – Feci una smorfia quando ho capii che non aveva altro da aggiungere.

    Mia madre mi rivolse uno sguardo di disapprovazione.

    – Va bene. Se non vuoi essere suo amico, non esserlo, ma voglio che tu venga con me.

    Sbuffando e dimostrando la mia disapprovazione, obbedii. Già sul marciapiede mezzo rotto dei nostri nuovi vicini, mia madre, con la delicatezza che solo lei possedeva, applaudì, mentre io tenevo la torta preparata appositamente per l'occasione, un regalo per i vicini e la loro figlia dai capelli rossi. Lo ritenevo uno spreco. Non ne aveva nemmeno fatto uno per noi.

    Nessuno rispose. Lei battè di nuovo le mani. Poi li chiamò in maniera quasi impercettibile. Con impazienza, mi riempii i polmoni e lanciai un forte grido:

    – Ehi, lì dentro!

    Mia madre mi guardò con disapprovazione, ma non con rabbia. In effetti, aveva sul viso quel bellissimo sorriso ironico, unico sulla faccia della terra. Sorrisi e scrollai le spalle. Dopo tutto, il mio metodo aveva funzionato. Dopo qualche secondo, la madre della ragazza dai capelli rossi uscì dalla porta della cucina, gesticolando.

    – Buongiorno. Come posso aiutarvi? – disse, una volta cancello.

    – Buongiorno, vicina. Volevo solo darvi il benvenuto nel nostro quartiere. Mi chiamo Cristina, questo è mio figlio Roberto e il nome di mio marito è Mario, ma è al lavoro ora.

    La vicina sorrise. Nel frattempo, la piccola ragazza dai capelli rossi, curiosa, si avvicinò. Stava accanto a sua madre, tenendo la gonna e osservandoci con aria interrogativa.

    – Grazie – disse la padrona di casa. – Io sono Ruth; e questa timida signorina qui è Jennifer. Suo padre si chiama Otávio, ma preferisce essere chiamato Machado. Cosa risalente al servizio militare. Si è abituato al suo nome di guerra e anche io devo chiamarlo così – disse, sorridendo.

    – Spero che non la costringa al saluto militare e che non getti una moneta nel letto per vedere se è ben fatto – commentai impulsivamente.

    Mia madre mi prese per un braccio e fulminò con uno sguardo. La Signora Ruth rise, e finimmo per ridere con lei.

    – Questa è buona, ragazzino, ma non arriva a tanto.

    Rendendosi conto dell'imbarazzo di mia madre, la Signora Ruth aggiunse:

    – Bambini... Non importa. E la battuta è stata davvero divertente – Sorrise dolcemente.

    Mia madre annuì un po' goffamente e sorrise anche lei, questa volta guardando Jennifer, che divenne ancora più schiva.

    – Questa torta è un piccolo regalo. Spero che vi piaccia – disse gentilmente.

    – Ma se non vi piace, potete darla a me, io la mangerei – intervenni.

    Ruth rise di nuovo, in maniera sincera, di fronte all'interruzione inaspettata. Mia madre mandò un altro di quegli sguardi; e presto seguì il sorriso della nuova vicina, dicendo goffamente:

    – Scusa per il bambino...

    –Figurati, per così poco. Grazie per la tua cortesia. Vi va di entrare e mangiare la torta con noi?

    – Sì! – Risposi io rapidamente.

    – No, grazie. Immagino che vi stiate ancora sistemando– mia madre mi guardò severamente, facendo trapelare che quella dovesse essere la mia ultima intromissione.

    Ricevetti il messaggio. Finché non smisero di parlare, rimasi in silenzio e a testa bassa, fissando i miei piedi. In questo modo, vidi anche i piedini di Jennifer nelle sue pantofole rosa. Pensavo che i disegni di piccoli animali fossero infantili, ma, dopo tutto, era una ragazza, non potevi aspettarti nulla di molto diverso. Dopo cinque minuti di tortura, finalmente ci salutammo.

    D'accordo, so che non si trattava di un vero e proprio appuntamento ,ma è così che sono andate le cose; e questo mi ha segnato comunque. Ancora non lo sapevo, ma quel giorno d'estate fu il primo di una lunga serie di incontri tra la ragazza dai capelli rossi e me. Di lì a pochi giorni, in una di quelle situazioni d'infanzia che creano vere amicizie, saremmo diventati amici inseparabili.

    Avvenne tutto circa dodici giorni dopo l'arrivo del Signor Machado e della sua famiglia. Uscii di casa con la mia bici per fare il mio solito giro del quartiere. I nostri genitori ci lasciavano liberi di giocare, senza preoccuparsi, il nostro era un quartiere tranquillo. Ero lì, verso il parco, quando vidi il bellissimo aquilone rosso e nero attaccato ai rami di un albero. Mi guardai intorno. Non c'era nessuno. Non potevo credere a una simile fortuna. L'aquilone era lì, nuovo, intero, solo, abbandonato. Era mio, l'avevo visto per primo: quella era la regola. Mi sentivo solo dispiaciuto per non aver avuto accanto un altro ragazzo per poterlo contendere, per poter dire la famosa frase "è mio!"

    Mi arrampicai velocemente sull'albero e raggiunsi uno dei rami più alti dove l'aquilone si era incagliato. Mi allungai, raggiungendo l'oggetto del desiderio. Già mi vedevo nel campo, attirando l'invidia dei miei amici per aver preso l'aquilone (e gratis!). Ero in uno stato di pura felicità, finché non sentii un crack. Tornai alla realtà quando il ramo che mi sosteneva stava cadendo al rallentatore, trascinandomi giù. Con l'agilità di un gatto, saltai su un altro ramo. Se non lo avessi fatto, la caduta sarebbe stata brutta.

    – Stai bene? – Disse una voce dolce.

    – Chi c'è? – Chiesi

    – Sono io, Jennifer.

    – Va tutto bene, non ho bisogno di aiuto. Puoi andartene–

    – Sembra che tu stia per cadere– disse innocentemente.

    – Va tutto bene, sono appena arrivato per prendere l'aquilone, ho saltato solo per scendere più veloce – dissi, lottando per non lasciar trapelare la criticità della situazione in cui mi trovavo.

    – Mmmmmm... E quello strappo lì? – La ragazza dai capelli rossi indicò e i miei occhi si spostarono istintivamente verso il punto sopra la mia testa.

    Il mio cuore quasi si fermò. L'aquilone così bello, con cui sarei stato invidiato dagli amici e che mi aveva messo in una situazione così imbarazzante, era strappato; e anche mezzo rotto. Ero senza il mio premio e, inoltre, umiliato davanti alla nuova ragazza del vicinato.

    Mi ero aggrappato così strettamente a quel ramo salvifico che mi mancava la forza e l'equilibrio per assumere una posizione che mi avrebbe permesso di scendere. Ammetterlo di fronte a Jennifer e chiedere il suo aiuto era assolutamente fuori questione. Il mio orgoglio maschile mi impediva di chiedere aiuto a una ragazza magra con piccoli occhi castani, capelli color fuoco e gambe sottili come grissini. Dopo questa riflessione, respirai a fondo, cercando di mostrare indifferenza.

    – Sì, quello. Non preoccuparti, lo prendo e scendo. Puoi tornare a fare quello che stavi facendo.

    – Non stavo facendo nulla, stavo solo andando in bici. Posso aiutarti a prendere l'aquilone, se vuoi – si propose dolcemente.

    – E tu, riusciresti a salire su un albero del genere? – chiesi con superiorità.

    – Certo! – Disse Jennifer, appoggiandosi all'albero.

    La osservai arrampicarsi con agilità finché raggiunse il ramo in cui si trovava l'aquilone, lo sollevò con la grazia che solo una ragazza può avere. Con l'oggetto attaccato alla bocca, scese con la stessa grazia con cui era salita. Mentre mi passava vicino, si fermò e tolse l'aquilone dalla bocca.

    – Sei sicuro che tutto vada bene? – mi domandò.

    – Sì – risposi – Ma il mio braccio sta diventando insensibile. Se non fosse stato per quello, sarei sceso da solo.

    –Ok, capisco, non devi spiegarti.

    Jennifer sorrise e mi tirò più forte che poteva. Riuscii a riprendere il mio equilibrio e mi aggrappai a un altro ramo vicino. Ci trovammo faccia a faccia, gli occhi negli occhi. Reagii alla strana situazione gettandomi improvvisamente sul ramo sottostante. Non ero mai stato così imbarazzato. Quando finalmente tornammo a terra, tutto quello che riuscii a borbottare fu un "grazie" quasi inudibile.

    Jennifer sorrise, e il suo sorriso mi illuminò. Mi vergognavo ancora di più. Iniziai a sudare freddo (qualche tempo dopo mi resi conto che, in quel momento, mi ero innamorato per la prima volta). Salimmo sulle biciclette e pedalammo tranquillamente verso la nostra strada. Sulla strada rimase il bellissimo aquilone rosso e nero, squarciato e rotto. E non mi importava.

    Nei giorni che seguirono, Jennifer e io iniziammo a uscire insieme sempre più spesso finché non diventammo inseparabili. Al mattino andavamo in bicicletta, andavamo al parco giochi e al negozio per comprare il gelato. Dopo colazione, prendevamo l'autobus, ci sedevamo vicini per andare a scuola, nella stessa classe e, quindi, eravamo sempre uno accanto all'altra. Durante la ricreazione, eravamo sempre insieme. I miei compagni di classe protestavano perchè non giocavo più con loro, nemmeno a calcio (e, inoltre, erano dispiaciuti perchè avevano perso il miglior giocatore del momento). Le ragazze, d'altra parte, non avevano nulla di cui lamentarsi. Dal momento che Jennifer aveva appena fatto amicizia con alcune di loro, la sua assenza era passata inosservata.

    Appena la campanella suonava, preparavo le cose e recuperavo lo zaino di Jennifer, che non doveva mai portarlo. E poi, di nuovo, sullo scuolabus insieme. Dopo pranzo, trovavamo sempre del tempo per giocare e guardare la TV insieme.

    Con il passare delle settimane, i nostri genitori si resero conto di quanto andavamo d'accordo, così iniziò un'amicizia anche tra le famiglie. Non passò molto tempo prima che iniziassero a passare le giornate festive insieme. Il Signor Machado e mio padre andavano a pesca, le nostre madri si scambiavano ricette e chiacchieravano. L'arrivo della famiglia Machado portò molti benefici, incluso il fatto che potevo stare a casa dei vicini quando i miei genitori andavano in qualche posto noioso. Era come prendere due piccioni con una fava: evitare il posto noioso e divertirsi con la mia amica dai capelli rossi.

    Ero sempre più innamorato di Jennifer. E temevo che non provasse la stessa cosa per me, che mi vedesse solo come un amico. Anche se molto giovane per

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