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Come Cenerentola (eLit): eLit
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E-book267 pagine4 ore

Come Cenerentola (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Jane Montjoy è stanca di fingere che vada tutto bene. La ricchezza della sua famiglia è ormai svanita, il sontuoso palazzo in cui è cresciuta tra feste e banchetti sta cadendo in rovina e a lei tocca occuparsi di tutto, che si tratti dei lavori domestici o di ingegnarsi per trovare di che sfamare la sorellina e la madre. Da quando quest'ultima è tornata da un viaggio in città con un nuovo marito e sua figlia, Isabella, bellissima e capricciosa come una principessa viziata, la situazione si è complicata ulteriormente, per trasformarsi in un vero e proprio incubo nel momento in cui il patrigno muore dopo aver sperperato gli ultimi risparmi dei Montjoy. Jane, disperata, vede ogni speranza di felicità allontanarsi sempre di più, finché non incontra nel bosco un misterioso ragazzo che le fa battere forte il cuore. Poco dopo riceve un invito a palazzo per un ballo reale, e la speranza torna a illuminare le sue giornate. Ma intorno a lei nessuno è ciò che sembra...

LinguaItaliano
Data di uscita30 lug 2015
ISBN9788858942895
Come Cenerentola (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Come Cenerentola (eLit) - Tracy Barrett

    Copertina. «Come Cenerentola (eLit)» di Barrett Tracy

    Immagine di copertina: Deklofenak / iStock / Getty Images Plus

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Stepsister’s Tale

    Harlequin Teen

    © 2014 Tracy Barrett

    Traduzione di Alessia Simoni

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5894-289-5

    www.eHarmony.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Frontespizio. «Come Cenerentola (eLit)» di Barrett Tracy

    Prologo

    La casa, troppo piccola per essere definita un palazzo, si trovava in cima alla collina, e sovrastava i fitti boschi e il fiume. A distanza, sembrava la stessa di quando mamma era ragazza: maestosa, accogliente, un posto ideale per feste e balli, dove gli ospiti andavano a trascorrere lunghe settimane e mamma e papà avevano danzato fino all’alba il giorno del loro matrimonio. Ma quando ci si avvicinava, si potevano notare le differenze: il tetto pieno di buchi, alcune finestre senza vetri, la maggior parte anche prive di tende. Le poche ante rimaste pendevano storte e danneggiate, e sbattevano quando soffiava un vento forte.

    Dentro, l’enorme scalone curvilineo che portava al piano superiore aveva gradini sconnessi e rovinati, e salire risultava pericoloso. Una volta di sopra, un visitatore curioso che avesse picchiettato il pettorale di un’armatura avrebbe provocato cinguettii dai nidi nelle travi sovrastanti. I corridoi erano macchiati di escrementi di uccelli ed erano così bui che era impossibile vedere il viso dei ritratti appesi di traverso, con le loro cornici tarlate, finché non vi si arrivava praticamente davanti. I volti di donne bellissime e gentiluomini affascinanti fissavano senza vederli, ma ancora con orgoglio, i pochi visitatori che passavano nelle stanze poco illuminate.

    E per molti anni, solo due persone avevano camminato lungo quei corridoi scuri: le discendenti delle donne e degli uomini orgogliosi dipinti in quei ritratti, le ultime della stirpe, le figlie di Lady Margaret, Jane e Maude Montjoy.

    1

    Jane si fermò davanti al cancello, mezzo ricoperto di rovi e rampicanti, e posò il cestino. Si mise in equilibrio su un piede e si grattò il polpaccio con l’altro. Era evidente che la mamma non era ancora tornata: la casa pareva morta, un semplice ammasso di legna e pietra; solo quando c’era lei sembrava viva.

    Sospirò e sollevò il cestino, che era spiacevolmente leggero: le bacche cominciavano a scarseggiare, e il terreno non era abbastanza umido per i funghi, se non nelle parti più recondite dei boschi, dove lei non osava avventurarsi. Aveva trovato solo una manciata di rami, buoni per fare un po’ di fuoco.

    Il viale curvava intorno ai larghi scalini in pietra che portavano all’enorme porta d’ingresso. Jane prese una scorciatoia attraverso l’erba secca, grata che mamma non potesse vederla: «Solo i garzoni di stalla usano i sentieri,» la sgridava sempre. Una volta, sentendosi particolarmente stanca, Jane le aveva ricordato che non c’erano più garzoni di stalla a Halsey Hall. L’espressione di addolorata sorpresa e tradimento sul viso della madre l’aveva ferita come se le avessero conficcato un pugnale di ghiaccio nel cuore, e non aveva mai più parlato della mancanza di garzoni di stalla, o di una stalla vera e propria, e non aveva mai più attraversato il prato quando lei era a casa.

    Salì i gradini irregolari e si appoggiò alla porta, che si aprì a fatica. «Maude?» chiamò. Sentì un movimento frettoloso a sinistra, dove si trovavano il Salotto Settentrionale e il salone da ballo, ormai abbandonati. Sospirò di nuovo: sua sorella stava senza dubbio nascondendo un tesoro, forse un regalino di Hugh o di sua madre, Hannah l’Erborista: una pietra dai colori accesi, o magari una pelle di serpente. Attese qualche minuto e poi aprì la porta, facendo parecchio rumore, in modo che Maude potesse fingere di essersi solo avventurata senza un motivo preciso nella parte disabitata della casa.

    Attraversò il Salotto Settentrionale e guardò il salone da ballo attraverso la soglia; la porta ormai non c’era più. Maude sembrava minuscola in quello spazio così grande, e i suoi passi riecheggiarono quando camminò sul pavimento polveroso e rovinato, che un tempo, lo ricordava vagamente, era stato brillante. Ora il meraviglioso salone era la dimora di pipistrelli e topi, i cui nidi maleodoranti ingombravano gli angoli. La galleria dei musicanti, sopra di loro, dove violoncellisti, flautisti e trombettieri vestiti di nero avevano suonato per accompagnare le danze, era vuota, tranne che per alcune sedie rotte.

    L’abito logoro di Maude, così sbiadito che era impossibile indovinarne il colore originario, le stava troppo stretto. I capelli scendevano in ciocche flosce e diritte; la loro madre era andata in città proprio per comprare del sapone perché potessero lavarsi più spesso. Visto come sua sorella stava evitando accuratamente di guardare un angolo buio dietro di lei, Jane capì che aveva nascosto lì il suo tesoro.

    «Mamma non è ancora tornata» disse Maude.

    «Lo so.» Quando andava al villaggio ai piedi della collina, tornava la sera stessa, ma alcune volte l’anno si spingeva fino in città, per scambiare formaggio e uova con sapone e farina e altre cose che non potevano coltivare o fare da sole, e rimaneva là per la notte. Ma non era mai stata via così a lungo.

    «Le signore non lavorano la terra,» diceva sempre quando le chiedevano perché non potevano coltivare grano e orzo. «Se una signora vuole avere un passatempo, accudire le galline e fare il formaggio sono occupazioni più adatte. Può dedicarsi alle aiuole, o raccogliere bacche e nocciole. Può ricamare e creare pizzi. Può scambiare ciò che non le serve con altre gentildonne che producono più di quanto occorra loro. Ma nulla più. Noi siamo signore, e le signore non fanno lavori pesanti.»

    «Sì, madre,» rispondevano sempre, e poi uscivano a tagliare legna o pulire la stalla o riparare come meglio potevano il pollaio. «Sì, madre,» con rispetto ed educazione, come se fossero davvero signore, come diceva lei.

    Jane e Maude attraversarono il salone principale, con il suo magnifico scalone, e si spostarono nel Salotto Meridionale, che ora non era solo un salotto da ricevimento ma anche il loro soggiorno, cucina e sala da pranzo. Jane esaminò la stanza, soddisfatta: non appena mamma era uscita, lei e la sorella si erano messe al lavoro. Avevano pulito, portato fuori i tappeti per sbatterli dalla polvere e spinto fuori le poltrone al sole, per eliminare la muffa dei cuscini. Avevano appeso tende pulite davanti a finestre scintillanti, e avevano ammucchiato una piccola scorta di legna nel focolare, finalmente libero dalla cenere e dalla fuliggine. Pezze di stoffa coprivano i punti rovinati sull’imbottitura delle sedie, che a loro volta erano state poste attentamente sui buchi e sulle macchie peggiori del tappeto.

    Quando mamma tornava, non diceva mai che il salotto era bello. Si comportava sempre come se servitori invisibili si fossero occupati di tutto, e non dava mai segno di aver notato che le sue figlie, le ultime discendenti della dinastia degli Halsey, si erano riempite le mani di vesciche o si erano fatte venire gli occhi rossi accanto al fuoco per tenere tutto in ordine.

    L’avevano guardata allontanarsi lungo il sentiero quel giorno d’estate, a cavallo del vecchio Saladino, che era stato caricato di pacchetti pieni di formaggio e burro. Era stato... quanto tempo prima? Jane contò con le dita: due giorni per pulire il Salotto Meridionale, uno per spalare il letame fuori dalla stalla, un altro durante il quale Maude aveva cercato erbe mentre Jane si occupava della montagna di rammendi e rattoppi nel cestino da lavoro, e infine quel giorno stesso: cinque in tutto. Cercò di ignorare il brivido di paura che la attraversò.

    Per mascherare la preoccupazione, chiese alla sorella: «Hai trovato delle uova? Muoio di fame!».

    «Quattro» rispose Maude. «Possiamo fare due ciascuna.»

    «Io ho trovato della legna. Prepariamo la cena adesso, vuoi?»

    Ben presto l’acqua nel pentolino appeso sopra il focolare cominciò a bollire, e Maude ci fece dolcemente scivolare dentro le uova.

    Jane si sedette, mentre sua sorella si occupava del fuoco. Una volta, cena significava un’anatra arrostita, o uno zampone di maiale, con verdure e pane morbido e, se erano state brave, anche il dolce. Ma non c’erano più cuochi in quella casa, e la cucina, con un focolare su cui si poteva far arrostire un cinghiale intero e ciotole grandi abbastanza da lavarci un bambino, era fredda da tempo. Jane ricordava a malapena i servitori che si affaccendavano qua e là, con le guance rosse per il caldo e i visi lucidi di sudore. Il ricordo dei profumi intensi di carne arrosto, pane lievitato e salse che sobbollivano le fece girare la testa. La cuoca trovava sempre qualcosa di dolce per lei, con una seconda porzione da portare a Maude, che era troppo piccola per scendere le scale. Ora i cucchiai di ferro, gli spiedi e i mestoli arrugginivano sotto strati di ragnatele, e l’odore amaro delle vecchie ceneri aleggiava nell’aria umida.

    «Jane?» La sua sorellina era in piedi davanti a lei, e le porgeva una ciotola con due uova fumanti.

    Non impiegarono molto a mangiare. Maude leccò la ciotola, ma Jane finse di non vedere quella mancanza di buone maniere; sembrava che sua sorella fosse più affamata del solito negli ultimi tempi, sin da quando i vestiti avevano cominciato a starle stretti, quasi da un giorno all’altro. Del resto, nessuna delle due mangiava a sufficienza da mesi, e non potevano contare su una grande varietà. Forse mamma avrebbe fatto loro una sorpresa, portando dolci da pasticceria al suo ritorno, o un prosciutto, o persino qualcosa di esotico, come uva e arance.

    Jane lasciò a Maude il compito di lavare i piatti con il sapone quasi finito, e andò a fare la mungitura serale. Quando ritornò, sua sorella era china davanti al focolare e attizzava il fuoco con un bastone. Alzò lo sguardo quando lei entrò. Aveva la fronte corrugata per la preoccupazione. «Quando torna la mamma, Jane?»

    Jane stava per sbottare «come faccio a saperlo?», ma si raddolcì quando vide che a Maude tremava il labbro inferiore. Si costrinse a parlare in maniera quasi indifferente. «Presto. Sicuramente aveva da fare in città.»

    «Fare cosa, Jane?»

    Invece di rispondere, lei propose: «È ancora chiaro. Vuoi esplorare un po’?».

    Maude balzò in piedi. «Adesso?»

    L’ultima volta che si erano avventurate al piano superiore, Jane aveva messo il piede su un’asse che si era spezzata sotto il suo peso, e anche se si era aggrappata, disperata, alla balaustra, era caduta pesantemente sul pavimento di pietra. Era rimasta stesa lì, confusa, per qualche istante, e quando aveva alzato la testa Maude l’aveva guardata a occhi spalancati. Si era costretta a rimettersi in piedi e si era pulita il vestito con calma. Aveva detto: «Lo scalino successivo sembra a posto, vediamo se riesci ad allungare le gambe abbastanza da superare il buco». Erano arrivate sane e salve al piano di sopra, e quando la mamma era tornata, Jane le aveva nascosto con molta attenzione il livido violaceo sul fianco e la spalla dolorante.

    Questa volta arrivarono di sopra senza incidenti, appoggiando i piedi con cautela ai bordi degli scalini, e stringendo forte la balaustra. Camminarono mano nella mano per il lungo corridoio. Quando era molto piccola, Maude arretrava davanti ai ritratti appesi ai muri. «È solo la trisnonna Esther» la rassicurava Jane, parlando del ritratto della bambina dall’aspetto legnoso che stringeva un gattino dall’aspetto altrettanto legnoso. «Dicono che sua madre fosse una discendente delle fate» spiegava. «È solo il bisnonno Edwin» diceva, indicando il giovane uomo dalla mascella volitiva ritratto in abito da sera, con un libro in mano, che fissava le sue discendenti in piedi nella polvere da dietro il suo lungo naso. «Ha fatto costruire il nostro casino di caccia.»

    Jane raccontava la storia di ogni stanza alla sorellina, che la ascoltava in silenzio e composta. «Questa era la camera della nonna» diceva. «Era molto pignola riguardo al suo letto, e non riusciva a dormire senza tre cuscini imbottiti di piume d’oca bianca.» Nella luce fioca, guardavano con rispetto quel letto; sapevano che se avessero toccato i cuscini, impilati come se stessero ancora aspettando la nonna, le mani sarebbero passate attraverso le federe di seta marcia e avrebbero trovato le famose piume d’oca piene d’insetti.

    «Le tende del suo baldacchino erano di damasco» continuava. «Il damasco era l’unico tessuto abbastanza bello da essere di suo gusto, e comunque abbastanza pesante da tener fuori la luce e i rumori.» Il peso del tendaggio rosso scuro lo aveva fatto uscire quasi del tutto dagli anelli da tenda lucidi – di ottone, diceva Jane, anche se Maude sosteneva che fossero d’oro – e penzolava in cerchi irregolari intorno alla testiera del letto, scura e intagliata.

    La stanza di mamma, con i mobili eleganti e la carta da parati sudicia, ma che una volta splendeva di boccioli di rosa, era la più bella: le ragazze facevano a turno per scegliere cosa guardare. Poteva trattarsi dell’armadio, dove c’erano ancora gli abiti da ballo, per lo più rovinati dai tarli, e il loro odore muschiato faceva venire voglia di starnutire a Maude. Una volta Jane aveva suggerito di tagliare uno dei vestiti e di ricucirlo per farne un abito per lei, o per sua sorella, ma la mamma era stata così scioccata all’idea di usare un abito da sera per la vita quotidiana che Jane non ne aveva più parlato. Potevano aprire uno dei cassetti, dove la biancheria delicata, le calze e i fazzoletti conservavano ancora un po’ del loro splendore satinato, oppure potevano rivolgersi al pesante portagioie sul cassettone.

    Gli oggetti di valore erano stati venduti tempo prima, ma le perline in vetro, gli anelli, e le spille che mamma aveva indossato alle feste emanavano ancora il loro scintillio freddo. Le ragazze li prendevano in mano con rispetto, e se li appoggiavano al petto, alle orecchie o sulle dita, senza mai osare indossarli, e si chiedevano l’un l’altra: «Come sto? Quale mi sta meglio?».

    Quel giorno toccava alla stanza da letto di papà. I loro piedi nudi non facevano alcun rumore sul pavimento in pietra, a differenza delle scarpe di mamma, ed era difficile ricordare il suono profondo degli stivali di papà.

    Jane spinse la porta di quercia e posarono gli occhi sul tappeto scolorito e il frustino da equitazione rotto che papà aveva scagliato anni prima.

    Maude fece un passo all’interno e poi si fermò. «Perché non guardiamo una delle stanze degli ospiti, invece?»

    «Non è ancora il loro turno. Dobbiamo fare le cose per bene. Siamo Halsey.» Lo disse imitando il tono della mamma e facendo ridacchiare la sorellina. Entrarono nella stanza: papà aveva venduto quasi tutto, persino le pistole e l’anello con sigillo che aveva ereditato da suo padre. Jane non era entrata spesso in quella camera in passato, e si sentiva ancora a disagio a oltrepassare la porta. Ciò che attirava il loro sguardo era il ritratto della mamma da giovane, sopra il caminetto. Ammirarono lo slancio fresco del suo sorriso e l’energia del passo, come se il pittore l’avesse chiamata perché si avvicinasse a lui, il modo in cui stringeva con la mano il cappellino con una lunga piuma che si curvava verso il suo viso... tutte queste cose le conferivano un fascino più profondo della bellezza.

    «Era felice» disse Maude, come sempre. Era un pensiero strano.

    «Stava per sposare l’uomo più affascinante del paese.»

    «Per accoglierlo nella famiglia più antica e nella casa più elegante del reame.»

    Tacquero; entrambe si chiedevano se qualcuno avrebbe mai voluto sposarle. Nessuna delle due pensava di essere bella quanto lo erano le graziose signore dei ritratti, con le labbra imbronciate, i boccoli lucidi e chiari e la carnagione radiosa. Loro somigliavano entrambe alla mamma: capelli neri, mento forte e mani e piedi lunghi. Ma nel ritratto i capelli della loro madre erano lisci e lucidi, e le dita magre sollevavano con eleganza la gonna di un abito pulito e senza rammendi. Ora i loro capelli erano tutti aggrovigliati, le mani rese callose dal lavoro si posavano su vestiti scoloriti, logori e pieni di rattoppi che sembravano sempre troppo stretti.

    Rose somigliava a papà, aveva detto mamma una volta, e le aveva sorprese perché parlava raramente della gemella di Jane. Rose aveva gli occhi allungati e i lineamenti fini. Ma quella bambina era morta, così come il piccolo Robert, il loro fratellino, e quindi l’aspetto di papà era andato perduto. Perduto insieme all’oro, ai gioielli e alle feste di cui Jane ricordava a malapena la musica e le risate felici. Tutto era scomparso quando papà se n’era andato.

    Quando avevano comunicato alla mamma che il marito era morto povero e solo, nella stanza squallida di una locanda, circondato da bottiglie vuote, si erano sorprese non per la notizia in sé, ma del fatto che fosse stato vivo fino a quel momento, perché loro lo consideravano perduto da molto tempo.

    Maude diceva che tutto ciò che ricordava di papà era una presenza grossa e rumorosa, braccia forti che la sollevavano e poi un viso ruvido che le strofinava la guancia e il collo finché lei urlava, e allora lui rideva e la rimetteva giù, il tutto accompagnato da un forte odore di liquore, come aveva scoperto più avanti. Jane ricordava una voce profonda che gridava a tarda notte e la mamma che piangeva. Dopo ogni litigio, papà spariva per parecchi giorni... Finché, una notte, non era più tornato. Sapevano entrambe, senza mai esserselo detto, che dovevano comportarsi bene e fare tutto ciò che diceva la mamma, così lei non avrebbe più pianto e non le avrebbe abbandonate come aveva fatto papà. Quel pensiero era così amaro che Jane cercava di cancellarlo dalla mente.

    Jane guidò di nuovo la sorella lungo il corridoio, sentendosi gli occhi dei ritratti dei suoi antenati sulla schiena. Pensava sempre che li avrebbe potuti trovare in posizioni diverse: il bisnonno Edwin avrebbe sorriso e il gattino sarebbe fuggito dalle braccia della trisnonna Esther. Mentre scendeva le scale, sollevandosi le gonne con una mano e afferrando la ringhiera con l’altra, li sentì sussurrare.

    «Sei una Halsey. Tu e tua sorella siete le ultime della dinastia. Devi essere all’altezza della tua casata. Non disonorare mai il nome degli Halsey.»

    Sussurrarono continuamente mentre lei si affrettava, rischiando di fare un pericoloso ruzzolone, e le voci non si fermarono fino a quando non si trovò di nuovo nel Salotto Meridionale, circondata dalle cose che le erano familiari, mentre Maude preparava a entrambe il tè alla rosa canina, per riaversi dalla camminata.

    2

    Jane aprì gli occhi su un’alba tenue e nebbiosa, poi su una speranza luminosa, e infine su un’amara delusione. Mamma non era tornata durante la notte.

    Camminò nella foschia diretta alla stalla, dove Baby e le capre aspettavano con impazienza. Le munse e portò i secchi al caseificio, dove Maude stava facendo il burro. Faceva piacevolmente fresco nella casetta di pietra, che si trovava su una fonte sotterranea alimentata dalla neve delle montagne. Il formaggio del giorno prima procedeva bene, quindi Jane ruppe la cagliata. Sei giorni, pensò. Mamma è via da quasi una settimana. Forse dovrei...

    Il brusco abbaiare di Betsy interruppe il corso dei suoi pensieri, e si sentì il cuore più leggero. Maude corse alla porta del caseificio ed esclamò: «Non è mamma! È una carrozza!». Jane la raggiunse e si sporsero fuori per guardare.

    Una vettura scintillante, trainata da due cavalli color nocciola, stava risalendo il sentiero. Gli animali sembravano forti, eppure il loro passo era fiacco, e affondavano gli

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