Sorrido a ogni cane che incontro
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Anteprima del libro
Sorrido a ogni cane che incontro - Luigia Pantalea Rovito
roccia.
9 novembre 1943
«Papà, stanno arrivando!
Li sentiamo sulla via, sono arrabbiati e sembrano in tanti. La mamma dice di stare giù e zitte, io ho perfino paura che sentano il rumore del lapis sulla carta! Rumore di vetri rotti e lamenti di paura. Ho paura anch’io. Scusami la grafia brutta, ma è buio e tremo per il freddo. Non lo so dove ci porteranno. Spero che troverai questo biglietto. La mamma piange sotto voce e tiene gli occhi chiusi forte.
Si avvicinano.
Un bacio d’infinito amore, papà. Chissà se un giorno ci rivedremo!
Ti lascio le chiavi al solito posto.
Libera»
Mattoni rossi
Un’ultima passata di straccio sull’uscio, la gonna sollevata dall’orlo e fermata alla cintura perché non s’inzuppi. E la targa d’ottone! Ancora una mano di lucido, è meglio. Tutto dev’essere perfetto.
È il 1900, e la festa d’inaugurazione della casa sarà ricordata per anni. La consegna è avvenuta da qualche settimana, e la famiglia che l’abiterà ne ha preso possesso da soli tre giorni, il tempo necessario per raggiungere la «Nuova Arteria» dalla campagna. Non è stato facile convincere nonno e nonna a lasciare l’antica dimora, ancor meno lo è stato staccare dai ganci in cantina tutti i salumi che nonno cura come fossero figlioli suoi. Spiegare a nonna, poi, che intravedere la casa più vicina a un chilometro di distanza non equivale a essere spiata nel segreto della sua camera da letto, è stata un’incombenza che ha richiesto la pesca del bastoncino più corto.
Quanto è bella, però, casa nuova! I mattoni rossi splendono al sole, le finestre sono profilate di bianco, le persiane di legno, nuovissime, hanno il colore caldo del legno scuro. Il capo famiglia non si risolve a rientrare, e passeggia avanti e indietro nel bel giardino, fermandosi di tanto in tanto ad ammirare la sua creatura, con i pollici infilati nel taglio del panciotto, un sorriso fiero e una gamba un poco flessa sul ginocchio. È stata tutta opera sua. La decisione di lasciare la campagna per andare incontro al progresso, l’idea di investire sul futuro ha trovato d’accordo tutta la famiglia. Eccezion fatta per i nonni, ovvio. Per convincere nonna è stato necessario portare con sé il grande paiolo della polenta, insieme a tutte le galline, nessuna esclusa, e regalarle un angolo di giardino per allestirvi un nuovo pollaio; in quanto a nonno, già s’è parlato dei suoi prosciutti e salami.
La festa è stata memorabile! Tanti gli invitati entusiasti, un po’ d’invidia scaturiva dai loro complimenti troppo sorridenti. Le donne di casa si sono impegnate al massimo per essere bellissime, riuscendoci. La figlia più grande, diciotto anni, ha incontrato in quella occasione colui che sarebbe diventato suo marito e padre dei suoi quattro figli: tre maschi e una femmina.
Nel 1923 un avvenimento importante ha coinvolto la famiglia: è stata aggiunta la stanza da bagno alla casa. La rete fognaria di nuova concezione ha raggiunto anche l’Arteria Nuova, come chiamano quel pezzo di città, anche se città non è ancora, e finalmente papà ha potuto dare il via al progetto: s’è aggiunto alla pianta originaria della casa un nuovo corpo, che davvero la rovina un po’, ma è tanto comodo non doversi scapicollare fino in fondo al giardino, specialmente quando è inverno e il ghiaccio crocchia sotto gli stivali!
Piano piano la casa ha cominciato a somigliare ai suoi abitanti; con lo scorrere degli anni entrare in cucina è sempre più come guardare in faccia la mamma; l’ordine assoluto richiama alla mente i suoi capelli castani con la scriminatura perfetta nel mezzo e raccolti in uno chignon rotondo che pare fatto col compasso, il profumo di pulito è il suo profumo di pulito. La stanza delle ragazze è tal quale a loro: ovunque nastri colorati per farsi belle, sottane lasciate penzolare con noncuranza sui pannelli del paravento; il modellino in compensato della locomotiva a vapore che il figlio maschio sta costruendo in camera sua ha occupato quasi tutto il pavimento e le urla di nonna si levano alte ogni qualvolta la povera, ostinata donna si presenta con una scopa per tentar di pulire quel macello. Papà trascorre la maggior parte delle sue giornate nello studio, e il suo aroma di acqua di colonia impregna piacevolmente i tessuti di poltrone e tende. Sentire la tosse di nonno, che spande lo stesso odoraccio del suo trinciato da pipa, provenire dalla cantina, è diventata col tempo una cosa normale. E per tanto tempo dopo la sua morte, la prima avvenuta in quel nucleo familiare, a tutti è sembrato di continuare a sentirla, anche se nessuno ha mai avuto il coraggio di parlarne agli altri.
Forse succede in tutte le case che i primi abitanti lascino una traccia importante del loro passaggio, e chiunque venga dopo deve per forza assorbire un po’ delle vicende che in quelle stanze, in quei corridoi, si sono svolte.
Fino al 1950 la casa ha ospitato ben volentieri i discendenti della famiglia originaria, ma anche questi sono spariti nel tempo: qualcuno è fuggito durante la guerra, altri sono partiti subito dopo per cercare fortuna in paesi meno martoriati. La casa è sopravvissuta ai bombardamenti, i mattoni sono sempre rossi, forse un po’ sbiaditi, ma neanche tanto. Le persiane sì, avrebbero bisogno di una bella riverniciata, e la nuova famiglia che la prende in affitto da un nipote dei proprietari precedenti pensa bene di dare una mano di verde squillante. Chissà che brivido di ribrezzo avrebbe causato quel colore, a papà!
I nuovi occupanti decidono dapprima di