L’estate di Angela
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Info su questo ebook
È una ragazzina determinata, bella e intelligente. Convinta di possedere tutte le qualità per le quali i maschi sono tanto ammirati, nel suo giro di amicizie.
Qualcosa, però, ultimamente sta cambiando, dentro e fuori di lei. In meglio? In peggio?
Le reazioni degli altri a questi suoi cambiamenti la mettono alla prova. Sembra infatti che tutti si aspettino da lei qualcosa che ancora non conosce. A cominciare dai genitori, dalla nonna, che le ripetono spesso: “Ora sei più grande…”
Anche quest’estate trascorrerà le vacanze con la nonna materna, in un paesino, nel basso Piemonte, dove non sono mai state prima e dove conoscerà e si confronterà con persone e situazioni nuove, stimolanti.
L’estate del 1961 sarà per Angela un periodo di scoperte e di nuove esperienze, sia interiori che di rapporto con gli altri, con il mondo della campagna che la circonda e con i nuovi amici.
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Anteprima del libro
L’estate di Angela - Giovanna Angela Parodi
Ringraziamenti
1
Estate nuova, nuova campagna
Metà giugno 1961
La strada polverosa finalmente finì: la tozza Seicento Multipla celestina, resa biancastra da un velo di pulviscolo terroso, lasciò la strada sterrata proprio all’inizio di una ripida salita e scivolò dolcemente in un largo sentiero, forse una vecchia carraia, nei cui solchi, da tempo non battuti, cresceva un’erba stenta e rada che ancora ne lasciava intravvedere il tracciato, a contrasto con il verde velluto della striscia erbosa che scorreva nel mezzo.
Accarezzata da quell’inattesa elastica frescura, l’auto, come blandita, più che fermarsi placidamente si assestò nella tranquillità d’un prato ombroso, una volta cortile, racchiuso fra muri tanto antichi da parere cadenti, ma tanto umani e familiari, nella loro evidente matrice contadina, da non suscitare soggezione. Solo rispetto.
Angela, scesa dalla Multipla con addosso il torpore della lunga scarrozzata, era rimasta immobile a guardarsi attorno in mezzo al prato, affascinata dall’ombra di quei muri, da quel verde, quel silenzio. Davanti a lei, alla sinistra del prato, una casa, una strana minuscola costruzione di pietra, con al primo piano un poggiolo di legno, prossimo a crollare, a sottolineare l’esistenza di una finestra, l’unica degna di quel nome ma in quel momento oscura come un buco in un muro.
Nero e dai contorni altrettanto imprecisi, come tracciato da un maldestro artigiano, il vano del portone a pian terreno, basso e scentrato, e un po’ di lato rispetto al soprastante balcone.
Un’ultima apertura, a mezza strada tra il livello della porta e quello del poggiolo e tutta spostata a sinistra, vicinissima allo spigolo del muro, un finestrino piccolo e quadrato, chiuso da un legno bianco sporco, completava a puntino l’asimmetria totale della casa, il cui tetto sbilenco, alto dalla parte del vuoto, della strada, andava ad abbassarsi gradualmente verso il lato opposto, così da passare poco sopra il balcone per scendere a toccare il limite del muro con cui la casa faceva angolo.
Di fronte, dall’altra parte del prato e anch’essa disposta ad angolo con quel muro, una piccola costruzione dall’architettura vagamente familiare che subito Angela non riconobbe: un parallelepipedo con la facciata rivolta verso il prato e verso la casa e con un gran portone al centro, ma niente finestra. Furono illuminanti una croce nera, di ferro, sopra il colmo del tetto a due spioventi e un mozzicone di campanile che ancora inalberava un’umile campanella: era qualcosa fra una chiesetta e una cappella, una specie di versione in scala maggiore di quei tabernacoli con dentro l’altarino o la statua del santo che si trovano a volte lungo i sentieri di montagna.
Così, questa era la nuova campagna, il luogo dove, per quell’anno, lei e la nonna avrebbero trascorso le vacanze estive!
Allora, ti piace?
Papà la osservava con un’espressione tra il brusco e l’ansioso, facendole poi in fretta un mezzo sorriso per mitigare la sfumatura imperativa della voce.
Angela non era del tutto sicura che le piacesse. Era un posto strano, ammaliante, un ritaglio di mondo immobile e, a modo suo, perfetto. Entrarci pareva un sacrilegio. E qualcosa di certo la turbava, di quel luogo: le appariva un rifugio di quiete e di frescura, nel caldo dell’estate, e questo certo ben prometteva per i mesi a venire, ma non c’era nessuno!
La casa era come un ventre nero. Il prato, più che di un’oasi di giochi e di riposo, aveva l’aria di un palcoscenico in attesa, con quel fondale di muro e quelle due costruzioni bislacche ai lati. La chiesa, il cui stato di abbandono era evidente, di certo era sconsacrata o comunque non usata da tanto tempo e questo le attribuiva un che di sinistro.
Ma forse tutto in quel momento le sembrava più cupo solo perché in realtà era lei, per la prima volta, a non avere voglia di restare da sola con la nonna per tre lunghi mesi. Andare in campagna con lei era sempre stato il rito fisso dell’estate e, in fondo, l’aveva sempre fatto volentieri.
A parte il momento del distacco dalla mamma, a parte le sporadiche liti con la nonna, quelle vacanze in realtà erano un sollievo: tre mesi a contatto con la natura, i boschi, gli animali, i figli dei contadini e le loro case. Tre mesi di vita libera e felice, fatta di giochi, di amici nuovi, di esperienze esaltanti.
La nonna la lasciava libera di svolazzare come e quanto le pareva, purché sapesse dove e con chi andava e quando sarebbe tornata a casa. E i ritorni erano obbligatori solo per l’ora di pranzo e l’ora di cena. Poteva vestirsi come voleva, sporcarsi, stancarsi, correre e saltare e arrampicarsi e perfino, se se ne offriva l’occasione, fare il bagno con gli altri bambini in laghetti e torrenti.
Papà e mamma venivano a trovarla una volta, durante quei tre mesi e non aveva ancora capito se lo desiderava davvero tanto. Certo era bello vederli arrivare e saltar loro al collo, ma poi, quando se ne erano andati, era sempre sollevata al pensiero che non sarebbero tornati che a fine vacanza per riportarla a casa.
Papà non andava d’accordo con la nonna, che era sua suocera, e lasciava Angela malvolentieri tanto tempo con lei. Però il buon senso della mamma, e la sua sostanziale preponderanza sul marito nel gestire la figlia avevano sempre la meglio e papà, lei lo sospettava, preferiva darci un taglio e rivedere la nonna il meno possibile, una volta che la cosa era sistemata.
E così, anche quell’anno, eccole lì… Il posto era diverso, certamente: non s’era mai visto che la nonna rimanesse soddisfatta di una cosa abbastanza e abbastanza a lungo da volerla ripetere! Le loro vacanze erano state un peregrinare, anno dopo anno, da che lei si ricordava, per tutti i dintorni campestri di maggiore altitudine. Mai sopra gli ottocento metri, però. Quello era il limite invalicabile entro cui la nonna era fermamente convinta si potessero trarre vantaggi reali per la salute; oltre, il cambiamento per loro, gente di mare, sarebbe stato troppo brusco e nocivo, secondo lei.
Quest’anno, per la prima volta, si erano spinti veramente lontano: erano vicini a Santo Spirito!
Il paesino, di cui non si vedevano che poche case più in alto, si chiamava San Giusto.
Che strano nome: mai sentito prima! In compenso, quella era la zona in cui era nato il santo della sua parrocchia giù in città e quello che, fra tutti, le riusciva più simpatico. Questo pensiero la rassicurava un poco. Chissà che anche questa scelta della nonna, (perché, ovviamente, era stata lei a prendere in affitto proprio quella casupola e proprio a San Giusto), non si sarebbe rivelata poi migliore di quanto apparisse al momento.
Papà non la guardava ormai più, indaffarato com’era a dare una mano nel trasportare dall’auto alla casa valigie, borse, borsette, sacchi e anche qualche fagotto fatto su alla meglio, da cui traboccavano incredibili quantità di stracci, pezze scolorite, bioccoli di lana da materasso e altre simili cianfrusaglie: tutto il bagaglio della nonna, insomma. Le cose più inutili e assurde a lei parevano oggetti di prima necessità, che in caso di bisogno sarebbe stato imperdonabile non avere a portata di mano. Angela trovava un po’ patetico questo suo circondarsi di paccottiglie, ma anche, in fondo, assai facilmente tollerabile rispetto a tante altre, non sempre innocue, sue fissazioni.
La nonna invecchiava, ma non cambiava mai. Invecchiava poi davvero? Angela a volte se lo chiedeva dubbiosa, poiché le sembrava di ricordarla sempre così, con gli occhiali ben saldi a cavallo di un forte e nobile naso aquilino, il volto pieno d’espressione