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Zombie allo specchio (eLit): eLit
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E-book480 pagine6 ore

Zombie allo specchio (eLit): eLit

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Info su questo ebook

White Rabbit Chronicles 2
In un attimo ho perso tutto ciò che conta. Il rispetto degli amici. La mia nuova casa. Il senso della vita. L'orgoglio. Il mio ragazzo. Ed è tutta colpa mia. Mia e di nessun altro. Sono stata io a permettere all'oscurità di entrare...

Alice Bell è convinta che peggio di così la sua vita non possa andare, ma si sbaglia. Dopo l'ennesimo attacco degli zombie iniziano a verificarsi fatti mostruosi e inquietanti. Vede strane cose negli specchi, sente le voci dei non-morti, ma soprattutto avverte dentro di sé una presenza oscura che la costringe a compiere azioni terribili. Mai come ora ha bisogno dei suoi amici cacciatori e del sostegno di Cole, il suo ragazzo, eppure lui tutto a un tratto la respinge e si allontana, lasciandola sola a combattere contro gli zombie e contro l'oscurità che avanza. Per fortuna ci sono Kat e Reeve, le sue grandi amiche, a darle la forza di andare avanti.

Perché l'orologio corre, e se Ali dovesse fallire sarebbero tutti condannati...
LinguaItaliano
Data di uscita30 dic 2014
ISBN9788858933176
Zombie allo specchio (eLit): eLit
Autore

Gena Showalter

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Zombie allo specchio (eLit) - Gena Showalter

    Copertina. «Zombie allo specchio (eLit)» di Showalter Gena

    Immagine di copertina:

    ElenaLux / iStock / Getty Images Plus

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Through The Zombie Glass

    Harlequin Teen

    © 2013 Gena Showalter

    Traduzione di Mario Tadiello

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5893-317-6

    www.eHarmony.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Frontespizio. «Zombie allo specchio (eLit)» di Showalter Gena

    UN BIGLIETTO DA ALICE

    Da dove inizio?

    Da una farsa? Dai problemi di cuore?

    No, non voglio partire da dove sono adesso.

    E non voglio nemmeno finire così.

    Comincerò con questo: con una verità. Tutto ciò che ci circonda è destinato a cambiare. Oggi è freddo; domani farà caldo. I fiori sbocciano e poi appassiscono. Le persone che amiamo, potremmo arrivare a odiarle. E la vita... la vita può essere perfetta un minuto e un macello l’attimo dopo. L’ho imparato a mie spese quando i miei genitori e la mia sorellina sono morti in un incidente d’auto, spezzandomi il cuore.

    Ho fatto del mio meglio per rimettere insieme i pezzi ma – tic, tac – ecco un altro cambiamento.

    Un cambiamento che mi è costato tutto.

    Il rispetto degli amici. La mia nuova casa. Il senso della vita. L’orgoglio.

    Il mio ragazzo.

    Ed è tutta colpa mia. Mia e di nessun altro.

    Da un errore ne sono scaturiti altri. A migliaia.

    Sapevo che là fuori c’erano i mostri. Gli zombie. Sapevo che non erano gli esseri decerebrati che si vedono nei film e nei libri. Esistono in forma di spiriti, e nessuno può vederli se non chi ne ha il dono. Sono veloci, determinati e a volte astuti. Bramano la fonte della vita. Il nostro spirito.

    Lo so, lo so, sembra ridicolo. Creature invisibili decise a cibarsi di esseri umani divorandoli dall’interno? Ma per favore! Eppure è vero. Lo so, perché io sono diventata un buffet all-you-can-eat... e ho offerto i miei amici come dessert.

    Adesso non mi limito più a combattere gli zombie. Ora lotto per salvare la vita che ho imparato ad amare.

    Ce la farò.

    Tic, tac.

    È ora.

    1

    INIZIA DALL’INIZIO

    Qualche mese prima

    Continuavo a sognare l’incidente in cui erano morti i miei genitori e la mia sorellina. Rivivevo gli attimi in cui la nostra auto si era ribaltata. Il rumore delle lamiere sull’asfalto. Il silenzio quando tutto era finito e io ero l’unica con gli occhi aperti... forse l’unica sopravvissuta.

    A fatica ero riuscita a liberarmi dalla cintura di sicurezza nel disperato tentativo di aiutare la piccola Emma. Aveva la testa inclinata in modo innaturale e una guancia squarciata come una bistecca alla griglia. Mia madre era coperta di tagli, il corpo pieno di sangue. Mio padre era stato catapultato fuori dall’abitacolo. Ero intontita dal panico e avevo sbattuto la testa contro un pezzo di metallo appuntito. E poi l’oscurità mi aveva inghiottita.

    Nel sogno però vedevo mia madre che batteva le palpebre e apriva gli occhi. All’inizio era frastornata, si lamentava per il dolore e cercava di capire cosa fosse successo.

    Al contrario di me, non aveva problemi con la cintura di sicurezza; se la toglieva, si girava e fissava Emma. Poi scoppiava a piangere.

    Mi guardava trafelata e si protendeva per posarmi una mano tremante sulla gamba. E in quel momento era come se un fiume di calore mi attraversasse, dandomi forza.

    «Alice» gridò scuotendomi. «Svegliati!»

    Mi alzai di scatto.

    Ansimante e coperta di sudore, mi guardai intorno. Vidi muri decorati con arabeschi color oro e avorio. Un comò antico. Sul pavimento, un tappeto di folto pelo bianco. Sopra il comodino c’era una lampada Tiffany accanto alla foto del mio ragazzo, Cole.

    Mi trovavo nella mia nuova camera da letto, al sicuro.

    Sola.

    Il cuore mi martellava contro le costole come se volesse schizzarmi fuori dal petto. Cercai di relegare quel sogno in un angolo remoto della mente e mi spostai verso il bordo del letto per guardare fuori dalla finestra del bovindo e calmarmi. La vista era spettacolare – un giardino colmo di fiori sgargianti e rigogliosi nonostante il freddo di ottobre – ma mi venne un nodo allo stomaco: era arrivata la notte e con essa anche i suoi mostri.

    La nebbia, che a lungo si era addensata all’orizzonte, ora dilagava e aveva quasi raggiunto la mia finestra. La luna piena, di un rosso arancio infuocato, sembrava una ferita sanguinante.

    Poteva succedere di tutto.

    Là fuori, quella notte, c’erano gli zombie.

    E i miei amici erano là a combattere contro quelle creature, senza di me. Mi detestavo per essermi addormentata in un momento così cruciale. E se un cacciatore avesse avuto bisogno del mio aiuto? Se mi avesse chiamata?

    Ma cosa mi saltava in mente? Per quanto bisogno potessero avere di me, nessuno mi avrebbe chiamata.

    Mi alzai e misurai la stanza a lunghi passi, maledicendo le ferite che mi costringevano a starmene in casa. Qualche settimana prima ero stata squarciata da fianco a fianco, era vero. E con ciò? Mi avevano tolto i punti e la cicatrice si stava rimarginando.

    Forse avrei dovuto armarmi e raggiungerli. Avrei preferito salvare qualcuno che amavo e rischiare un’altra ferita mortale piuttosto che stare lì al sicuro senza far niente. Solo che... non sapevo dov’era andata la mia squadra; e poi, se anche fossi riuscita a rintracciarli, Cole sarebbe andato fuori di testa. Lo avrei distratto.

    E la distrazione era letale.

    Uffa! Non avevo scelta: sarei stata lì ad aspettare come mi era stato ordinato.

    I minuti sembravano ore mentre continuavo a camminare su e giù per la stanza, con l’ansia che cresceva a ogni secondo. Sarebbero tornati tutti vivi? Solo nell’ultimo mese erano morti due cacciatori. Nessuno di noi avrebbe sopportato di perderne un altro.

    I cardini della porta cigolarono.

    Cole s’intrufolò nella stanza chiudendo subito la porta a chiave in modo che nessuno potesse entrare. L’ansia sparì e provai un gran sollievo, e tutto a un tratto mi sentii elettrizzata.

    Era tornato. Sano e salvo.

    Era mio.

    Quando mi guardò rabbrividii, aspettando trepidante di avere una visione. Sperando di averne una.

    Ogni giorno, da quando ci eravamo conosciuti, la prima volta che i nostri sguardi si incrociavano ci capitava di avere dei flash sulla nostra vita futura. In quelle visioni ci baciavamo, combattevamo contro gli zombie o addirittura ci tenevamo per mano seduti su un dondolo. Quella notte, come succedeva quasi sempre da quando ero stata ferita, non accadde nulla e provai solo una profonda delusione.

    Perché le visioni erano sparite?

    In cuor mio temevo che uno di noi avesse innalzato una specie di barriera emotiva e sapevo che non ero stata io.

    Ero troppo innamorata di lui!

    Con il testosterone che sprigionava, Cole riusciva immancabilmente ad attirare l’attenzione di tutte le ragazze nel raggio di quindici chilometri. Aveva solo diciassette anni, però sembrava molto più grande. Aveva un sacco di esperienza sul campo di battaglia: combatteva nella guerra tra umani e zombie praticamente da quando aveva cominciato a camminare. E di esperienza ne aveva parecchia anche con le ragazze. Forse troppa. Sapeva esattamente cosa dire, cosa fare... e noi andavamo in brodo di giuggiole. Non avevo mai incontrato nessuno come lui e dubitavo che mi sarebbe successo in futuro.

    Era vestito di nero dalla testa ai piedi, come un fantasma della notte. I suoi capelli corvini erano arruffati, pieni di foglie e ramoscelli. Non si era preso la briga di pulirsi la faccia, aveva le guance striate di nerofumo, sporche di terra e sangue.

    Così. Maledettamente. Sexy.

    Gli occhi viola, di una purezza quasi ultraterrena, assunsero un’aria distaccata e imperscrutabile; le labbra si serrarono in un’espressione dura e angosciata. Ma io lo conoscevo bene e sapevo che quella era la sua faccia da ce-l’ho-con-il-mondo-intero-ma-faccio-finta-che-tutto-vada-bene.

    «Cosa ci fai ancora in piedi, Ali?»

    Ignorai sia la domanda che l’asprezza del tono, consapevole che si comportava così solo perché era molto preoccupato per me. «Cosa c’è che non va?» chiesi. «Cos’è successo là fuori?»

    Senza dire una parola posò le armi: i pugnali, i caricatori, le pistole e la sua amata balestra. Mi resi conto che era venuto da me senza passare da casa.

    «Ti hanno azzannato?» gli domandai. Soffriva? I morsi degli zombie rilasciavano una tossina urticante. Certo, avevamo un antidoto, ma il corpo umano poteva assorbirne solo una quantità limitata prima di crollare.

    «Ho visto Haun» rispose infine.

    Oh, no! «Cole, mi dispiace un sacco!» Haun era stato ucciso poco tempo prima dagli zombie. Il fatto che Cole l’avesse rivisto poteva significare una cosa sola: era risorto dalla tomba come nemico.

    «Sapevo che sarebbe successo, ma non ero pronto a trovarmelo davanti.» Poi si levò la camicia.

    Il suo corpo scolpito mi aveva sempre lasciata senza fiato e fu così anche questa volta, nonostante l’orrore della nostra conversazione. Me lo mangiai con gli occhi: il piercing al capezzolo, così deliziosamente peccaminoso, il petto muscoloso e la tartaruga ricoperti di tatuaggi. Ogni disegno, ogni parola significavano qualcosa per lui: dai nomi degli amici che aveva perso nella guerra alla falce del Cupo Mietitore. Perché Cole era proprio questo: un mietitore di zombie.

    Era un vero duro... il cattivo che i mostri avrebbero avuto paura di trovare nei loro armadi.

    E si stava avvicinando. Fremevo di eccitazione, aspettando che mi prendesse tra le braccia. Invece mi passò di fianco, si buttò sul letto e si coprì la faccia con le mani piene di graffi.

    «Stanotte l’ho incenerito. Eliminato per sempre.»

    «Oh, Cole, mi dispiace moltissimo.» Mi sdraiai accanto a lui e gli accarezzai una coscia, cercando di consolarlo. Sapevamo entrambi che in realtà non aveva incenerito Haun e nemmeno il suo fantasma. La creatura con cui aveva combattuto non aveva né la personalità né il carattere del nostro amico. Aveva solo la sua faccia, niente di più. Il suo corpo non era altro che un guscio vuoto mosso da un’inestinguibile sete di cattiveria.

    «Non avevi scelta» aggiunsi. «Se l’avessi risparmiato, sarebbe tornato per dare la caccia a te e ai nostri amici, e avrebbe fatto del suo meglio per distruggerci.»

    «Lo so, ma questo non rende le cose più facili» sospirò lui.

    Lo osservai con maggior attenzione. Aveva ferite arrossate sulle braccia, sul petto e sulla pancia. Gli zombie erano spiriti, fonte di vita – o di morte, in questo caso – e solo altri spiriti potevano lottare contro di loro. Di conseguenza, per affrontarli eravamo obbligati a uscire dai nostri corpi, un po’ come sfilare la mano da un guanto. Ma anche se ce lo lasciavamo alle spalle, inerte, il fisico era ancora collegato allo spirito e qualunque ferita li danneggiava entrambi.

    Andai in bagno, inumidii alcune salviette e presi un tubetto di pomata antibiotica.

    «Domani comincio di nuovo l’addestramento» dissi mentre lo medicavo, per distrarre entrambi.

    Lui mi scrutò da sotto le ciglia, così folte e nere che sembrava si fosse messo l’eyeliner. «Domani è Halloween. Ci prendiamo tutti un giorno e una notte di riposo. A proposito, ti porto a una festa in maschera al club. Pensavo di rimanere in tema di ferite e lividi e di andare vestiti da infermiera sexy e paziente ancor più sexy.»

    Erano settimane che non uscivo e ora sarei andata a una festa con Cole. Evvai! «Sarai un’infermiera sexy molto affascinante.»

    «Ovvio» replicò lui senza batter ciglio. «Aspetta di vedere il mio costume. È a dir poco osé. E naturalmente ti dovrò lavare tutta con la spugna.»

    Non ridere. «Promesse, promesse.» Gli lanciai un’occhiata scherzosa, e poi tornai seria. «Non ho detto che voglio andare a caccia.» Ci sarebbe stata un sacco di gente e alcuni si sarebbero travestiti da zombie. A prima vista non saremmo riusciti a distinguere quelli veri dagli altri. «Ho parlato solo di allenamento. Domani mattina vai in palestra, vero?» Ci andava sempre.

    Lui ignorò la mia domanda e disse: «Non sei ancora pronta».

    «No, sei tu che non sei pronto ad accettare che io sia pronta, ma è così, che ti piaccia o no.»

    Mi fulminò con uno sguardo torvo e pericoloso. «Tu credi?»

    «Sì.» Poche persone osavano sfidare Cole Holland. A scuola, tutti lo consideravano un predatore micidiale, più animale che umano. Feroce. Temibile.

    Non avevano tutti i torti.

    Cole non esitava a prendere a pugni chiunque lo offendesse, anche per il minimo torto. Tranne me. Potevo fare e dire quello che volevo, e lui mi trovava comunque affascinante. Anche quando mi guardava male. Avere un simile potere su una persona era strano e sicuramente non ci ero abituata, ma devo ammettere che non mi dispiaceva.

    «Il tuo piano ha due punti deboli» disse. «Primo, non hai le chiavi della palestra. Secondo, è possibile che all’improvviso il tuo istruttore sia irraggiungibile.»

    Dal momento che il mio istruttore era lui, intuii che la sua era una velata minaccia e sospirai.

    Quando ero entrata nella squadra, mi aveva gettata nel centro della mischia senza esitazioni. Credo avesse più fiducia nella propria capacità di proteggermi che nelle mie abilità.

    E non appena avevo dimostrato di essere all’altezza della situazione si era fatto da parte.

    Poi per sbaglio mi aveva accoltellata.

    Esatto. Proprio lui. Aveva mirato allo zombie che ringhiava e cercava di azzannarlo, io ero intervenuta per aiutarlo e con un solo tocco avevo incenerito l’unica cosa che mi avrebbe protetta dal suo colpo. Cole non era ancora riuscito a perdonarselo.

    Forse era per questo che aveva costruito un muro.

    E forse aveva bisogno che gli ricordassi quanto potevo essere astuta.

    «Cole» dissi con voce roca, e lui socchiuse gli occhi, insospettito dal mio tono.

    «Sì, Ali?»

    «Scherzetto!» Ridacchiando sotto i baffi, gli afferrai le caviglie e tirai. Lui scivolò giù dal letto e cadde sul pavimento con un tonfo.

    «Ehi!»

    Gli saltai addosso e lo bloccai premendogli le ginocchia sulle spalle. Il movimento fece pulsare la cicatrice sulla pancia, ma mascherai la smorfia di dolore con un altro sorriso. «Cos’hai intenzione di fare, adesso, Mr. Holland?»

    Lui mi fissò, divertito. «Credo che mi godrò il panorama.» Mi afferrò per la vita e mi strinse quel tanto che bastava per avere tutta la mia attenzione. «Da questa angolazione riesco a vedere...»

    Soffocando una risatina, tentai di dargli uno schiaffo.

    «... le tue mutandine» continuò, prendendomi la mano prima che lo colpissi. Non mi diede la possibilità di liberarmi. Mi rovesciò sulla schiena, mi allungò le braccia sopra la testa e mi tenne ferma.

    Furbacchione di un mietitore!

    «Cos’hai intenzione di fare, adesso, Miss Bell?»

    Restare ferma così e godermela? Sentivo il suo profumo di pino e di sapone, il rumore dei nostri respiri che si fondevano, il calore del suo corpo muscoloso che premeva contro il mio.

    «Tu cosa vorresti?» Incrociai il suo sguardo e l’aria intorno a noi parve diventare più densa e si caricò di elettricità.

    Mi avrebbe toccata?

    Desideravo che mi toccasse.

    «Non sei pronta per quello che ho in mente.» Mi guardò negli occhi mentre faceva scivolare una mano tra i nostri corpi, le azioni che tradivano le parole... Ti prego, ti prego, non smettere. Lentamente, spinse l’orlo della mia maglietta fin sopra l’ombelico, scoprendo la ferita un centimetro alla volta.

    Mi osservò con attenzione, e io avvertii uno strano languore alla bocca dello stomaco. Anzi, in tutto il corpo a dire il vero. Lui si spostò piano piano verso il basso, sempre più giù, fino a sfiorare con le labbra prima un’estremità della ferita e poi l’altra, strappandomi un gemito.

    Ti prego. Non fermarti.

    Ma passò un momento, poi un altro, e lui si limitò a tornare nella posizione di prima, facendomi impazzire con la vicinanza del suo corpo ma senza fare nulla per placare la tensione che mi ardeva dentro.

    «Ancora una settimana di riposo» decise, serrando la mandibola come se facesse fatica a pronunciare quelle parole. «Ordini del dottore.»

    Scossi la testa. «Chiederò a Bronx e Frosty di allenarmi.»

    «Diranno di no. Me ne assicurerò io.»

    «All’inizio, forse.» In realtà era una certezza. Tutti eseguivano sempre gli ordini di Cole. Anche gli altri maschi alfa riconoscevano che era un predatore più forte e feroce di loro. «Ma io ho un’arma segreta.»

    «E quale sarebbe?» domandò Cole inarcando le sopracciglia con aria interrogativa.

    «Sei sicuro di volerlo sapere?» replicai, strofinandogli le ginocchia lungo i fianchi.

    «Sì. Dimmelo.» Tutto a un tratto la sua voce era diventata bassa e roca.

    Feci scivolare le ginocchia sempre più in su, e lui si immobilizzò, aspettando di vedere quale sarebbe stata la mia mossa successiva. Avevo due opzioni: sedurlo per far sì che mi baciasse – e a giudicare dal modo in cui mi sta guardando... questa volta potrei anche riuscirci – o provargli che non ero K.O.

    A volte detestavo le mie priorità.

    Senza preavviso, puntai le ginocchia contro le sue spalle e spinsi con tutte le mie forze. Cole volò all’indietro, ritrovandosi in ginocchio.

    «Con te? La distrazione» risposi con simulata dolcezza.

    Lui scoppiò a ridere e rimase dov’era, poi mi sollevò una gamba e mi diede un bacio sulla caviglia. «Devo essere proprio fuori, perché mi piace quando fai la dura.»

    Arrossii. «Mi fai sembrare un maschiaccio» mormorai.

    Lui rise di nuovo e, ah, che suono delizioso! Negli ultimi tempi era stato sempre così cupo. «Mi piace anche quando diventi rossa.»

    «Continuerò a rompere le scatole a Frosty e Bronx finché non mi diranno di sì.» A quanto pareva, non tutti trovavano affascinante la mia cocciutaggine. Chissà perché! «Li prenderò per sfinimento, e alla fine saranno così stufi che mi useranno come un sacco da boxe.»

    «E poi? Ti farai la bua e mi toccherà baciarti per fartela passare. Problema risolto.»

    Soffocai una risata e dovetti concentrarmi per rimanere seria. «Ti permetterò di baciarmi... solo se la bua ce l’avrò al culo.»

    «Mmm. Pervertita. È un programma che potrei seguire fino in fondo... Hai un bellissimo fondo... schiena.»

    Spiritoso! «Cole» dissi mettendo il broncio, «non puoi flirtare con me in questo modo e poi lasciarmi a bocca asciutta.»

    «Oh, ma io ho intenzione di rimediare.» La voce roca e sensuale era tornata. Mi fissò le labbra con occhi colmi di desiderio. «Appena sarai guarita.»

    Altri sette giorni a farmi trattare come una bambola di porcellana? Non lamentarti. «Mr. Ankh mi avrebbe già dato il permesso di riprendere la mia vita normale se non fosse stato per le tue proteste.» Mi misi a sedere e gli passai le dita tra i capelli morbidi come la seta. «Sono guarita, adesso, te lo giuro!»

    «No, adesso sei sulla via della guarigione. Ma se iniziassi ad allenarti potresti compromettere i progressi che hai fatto finora. E poi sei mia, Ali-gator, e io ci tengo a te. Voglio che torni in forma. Ho bisogno che tu sia di nuovo in forma. Inoltre, okay, lo ammetto, non mi piace per niente l’idea che i miei amici ti mettano le mani addosso.»

    Ali-gator? Avevo sentito giusto? Credo che avrei preferito qualcosa del tipo, che ne so, cucciolotta. Qualsiasi cosa era meglio che essere paragonata a un lucertolone, no?

    A proposito, aveva appena detto che ero sua?

    Visto? In brodo di giuggiole...

    «Bronx si è preso una cotta per Reeve e Frosty è innamorato pazzo di Kat. Non faranno assolutamente niente.» E poi, anche prima di Cole, nessun ragazzo ci aveva mai provato con me. Non avevo idea di cosa mi rendesse così irresistibile ai suoi occhi.

    «Non importa» ribatté lui, chinandosi in avanti e strofinandomi il naso sul collo. «Li mando all’ospedale se solo si avvicinano a te. I miei giocattoli non li condivido con nessuno.»

    Avrei voluto sbuffare, ma mi trattenni. «Se chiunque altro si azzardasse a dire che sono il suo giocattolo, lo aprirei in due.»

    «Sono d’accordo. Come ho detto, tu sei mia. E comunque, Ali, a me piacerebbe un mondo se mi chiamassi in qualunque modo, soprattutto il mio giocattolo. Non sai quanto vorrei che giocassi con me...»

    Okay, alla fine sbuffai. Della serie, messaggi contrastanti. «Vorrei proprio che me lo dimostrassi, Cole Holland.»

    La sua risposta? Un gemito.

    Sospirai. Non c’era niente di contrastante nella sua reazione, vero? «Tornando al tuo progetto di andartene in giro a menare le mani...» Non avevo dubbi che fosse capace di mandare qualcuno all’ospedale – l’aveva già fatto – ma i suoi amici? Mai! Aprii la bocca per dirglielo, e invece sussultai. Cole mi stava mordicchiando una spalla, e io ero stata trafitta da una stilettata di piacere indescrivibile. «Cole.»

    «Scusa. Non ho saputo resistere. Era solo un test.»

    «Non smettere» sussurrai. «Non stavolta.»

    «Ali» gemette lui, «mi fai morire.» Mi prese in braccio e mi depose sul letto con delicatezza. Poi si sdraiò accanto a me, ma senza stringermi.

    Soffocai un grido di frustrazione. Non riuscivo a capire se stesse punendo se stesso per quello che mi aveva fatto o se davvero aveva paura di farmi male. Sapevo solo che mi mancavano il suo corpo e il suo sapore.

    Rotolai verso di lui e gli misi la testa sulla spalla. Sfiorai il piercing al capezzolo, descrivendo dei piccoli cerchi con le dita: aveva la pelle calda e incredibilmente morbida. Cattiva Ali.

    Brava Ali! Il suo cuore iniziò a battere più forte, e questo mi deliziò!

    Ali delusa. Lui rimase dov’era: vicino, ma non abbastanza.

    «Quando sarai guarita» disse infine.

    La sua capacità di resistere alle mie armi di seduzione non era molto lusinghiera.

    «Non riuscirei a perdonarmelo se ti facessi ancora del male» aggiunse, e la mia collera sbollì.

    Il fatto che fosse così preoccupato per me era più che lusinghiero.

    «Senti, in qualche modo devo aiutarti, Re Cole.» Nell’istante in cui pronunciai quelle parole, mi resi conto di aver commesso un errore. Avrebbe preso quel soprannome un po’ troppo alla lettera. «L’inattività mi distrugge

    Lui sospirò. «Va bene. Okay. Domattina puoi venire in palestra. Vediamo come te la cavi.»

    Gli diedi un bacio sulla mandibola, e l’ombra di barba che aveva sulla guancia mi solleticò le labbra. «Che carino, pensavi che stessi chiedendo il permesso?»

    «Grazie, Cole» borbottò lui. Mi mise una mano sulla nuca costringendomi a sollevare la testa. «Voglio solo prendermi cura di te» disse guardandomi negli occhi.

    «Certo... però tieni la spada nel fodero, okay?»

    «Non fa ridere» rispose serio.

    «Perché? È troppo presto? Il fatto che io sia quasi morta e che tu ne sia in parte responsabile è una cosa su cui non si può ancora scherzare?»

    «Forse non si potrà mai.»

    Gli mordicchiai scherzosamente il mento. «Okay.» Poi ebbi compassione di lui e cambiai discorso. «Allora, hai intenzione di raccontarmi cosa è successo in queste ultime settimane o no?» Ordini del boss: non si doveva parlare di lavoro. «Come vedi, sono pronta anche alle cattive notizie.»

    «Va bene» capitolò lui con un sospiro di sollievo. «Tanto per cominciare, Kat e Frosty si sono lasciati di nuovo.»

    Mi ripromisi di chiamare la mia amica la mattina seguente appena sveglia.

    «E poi, la sorella di Justin è scomparsa.»

    Justin Silverstone era stato un cacciatore. Poi la sua gemella, Jaclyn, l’aveva convinto a passare al nemico e a unirsi a quelli dell’Anima Industries; le Hazmat, come li chiamavamo noi, per via delle tute anticontaminazione che indossavano. Volevano mantenere in vita gli zombie per condurre degli esperimenti su di loro e studiarli, in modo da poterli utilizzare come armi, senza preoccuparsi della perdita di vite innocenti che questo comportava.

    «Probabilmente è scappata perché aveva paura che le avremmo dato la caccia» ipotizzai. Jaclyn e la sua squadra avevano fatto saltare in aria la casa dei miei nonni, ed ero decisa a fargliela pagare cara.

    Cole annuì. «E poi c’è la mia ricerca. Abbiamo bisogno di altri cacciatori. Sono sicuro che ci sono in giro altri ragazzi confusi come lo eri tu, che non capiscono per quale motivo vedono mostri che nessun altro vede e non sanno che cosa fare.»

    «Possibili candidati?»

    «Non ancora. Ma sono venuti due cacciatori dalla Georgia a darci una mano finché non avremo rimesso in sesto la squadra.»

    Per un po’, avevo creduto che il problema degli zombie esistesse solo lì in Alabama. Ora sapevo che non era così. C’erano zombie in tutto il mondo. E anche cacciatori.

    «Avresti dovuto dirmelo molto prima. Sei proprio un rompiscatole, Colabrodo» dissi. Come nomignolo non era il massimo, ma era pur sempre meglio dell’altro.

    «Lo so, ma sono il tuo rompiscatole.»

    L’irritazione mi abbandonò all’istante. Come ci era riuscito?

    «Mr. Ankh sa che sei qui?» Da quando il nonno era morto e la casa in cui abitavamo era andata a fuoco, la nonna e io ci eravamo trasferite a casa di Mr. Ankh e sua figlia Reeve.

    Mr. Ankh – il dottor Ankh per chi non apparteneva alla ristretta cerchia di persone di cui lui si fidava – sapeva degli zombie e curava i cacciatori. Reeve non aveva idea di cosa stava succedendo e doveva restare all’oscuro di tutto, altrimenti sarebbero stati guai. Suo padre voleva che avesse una vita il più normale possibile.

    Ma cosa significava normale, esattamente?

    «Fanculo le misure di sicurezza di Ankh» disse Cole con una punta d’orgoglio. «Si sentirebbe in obbligo di dirlo a tua nonna e non voglio essere sbattuto fuori per poi dovermi intrufolare dentro di nuovo. Voglio solo stare un po’ con te.»

    «Quindi hai in mente di stare qui tutta la notte e di tenermi tra le braccia, Cole Guacamole?» Cavolo, questa me la potevo risparmiare. Faceva proprio schifo.

    Lui scoppiò a ridere. «Preferisco Re Cole.»

    «Chissà perché non ne sono sorpresa.»

    «Trovo che mi si addica alla perfezione.»

    «Ero certa che lo avresti pensato» replicai, dandogli una tiratina al piercing.

    «Credo di non essere l’unico a vederla così. E comunque, sì, rimango.» Mi prese le dita, le aprì e se le portò alla bocca per baciarmi le nocche a una a una. Un attimo dopo vidi un lampo di panico attraversargli gli occhi. Mi domandai a cosa fosse dovuto, ma poi mi dissi che dovevo essermi sbagliata. Perché lui aggiunse: «Giusto per la cronaca, sappi che puoi chiamarmi come ti pare... a patto che continui a farlo».

    2

    PRONTI, PARTENZA... STOP!

    Mi svegliai sola, senza fiato e in un bagno di sudore, dopo aver sognato ancora una volta l’incidente. Avevo visto mia madre allungare la mano verso di me. Avevo percepito l’inquietante calore del suo tocco. L’avevo sentita urlare qualcosa. Poi avevo visto gli zombie divorare il corpo di mio padre, strisciare verso la nostra auto e trascinare fuori mia madre, pronti per il dessert.

    Lei cercava di liberarsi dalla loro presa, terrorizzata. E ancora una volta aveva gridato il mio nome. «Alice! Alice!»

    Io non riuscivo a raggiungerla e imploravo le creature che non le facessero del male.

    Poi nulla.

    Ora avevo voglia di piangere.

    Perché vedevo quelle cose? Non era andata così. Non nella realtà.

    Oppure sì?

    Possibile che avessi ripreso conoscenza nell’auto e non me lo ricordassi? E quello fosse il modo in cui la mia mente cercava di dirmelo?

    La mamma era finita davvero fuori dell’auto, vicino a papà, anche se quando avevo perso i sensi era ancora dentro l’abitacolo.

    «Cole» mormorai, tastando con la mano vicino a me. Avevo bisogno che mi tenesse tra le sue braccia forti e sicure. Mi avrebbe confortata, quali che fossero le risposte alle mie domande.

    Ma il materasso era freddo. Se n’era andato, realizzai, delusa.

    Credevo... anzi, ricordavo di averlo sentito parlare prima che uscisse.

    «Dovrei crederti? Sulla parola?» aveva detto con rabbia.

    No, non stava parlando con me. C’era stata una pausa colma di tensione e poi aveva esclamato: «Justin, smettila di chiamarmi! Te l’ho detto già molto tempo fa che con te ho chiuso. Non c’è niente che tu possa fare o dire per farmi cambiare idea». Un’altra pausa e poi aveva aggiunto: «No, le informazioni che hai non mi interessano».

    Conoscevo un solo Justin. O Cole era al telefono con un ragazzo con cui aveva giurato di non parlare mai più o la mente mi stava giocando dei brutti scherzi. E in quel momento non potevo fidarmi troppo della mia mente.

    Piano piano mi tirai a sedere e mi guardai intorno. Il sole inondava la stanza. La trapunta azzurro ghiaccio del letto a baldacchino era tutta spiegazzata e su uno dei cuscini c’era una macchia nera lasciata dalla faccia di Cole. Ops, dovevo farla sparire prima di uscire.

    Le armi non erano più ammucchiate sul pavimento e nemmeno i suoi vestiti. In realtà, l’unico segno che fosse stato lì era un bigliettino sul comodino.

    Sono in palestra. Telefonami, così vengo a prenderti. Baci, C.

    Canticchiando per la felicità, mi lavai i denti, mi feci la doccia e indossai la mia tuta invernale. Lo chiamai al cellulare e... partì subito la segreteria.

    «Sono sveglia e pronta a uscire» dissi. «Puoi passare a prendermi quando vuoi.» Non avevo la macchina e nemmeno la patente, solo il foglio rosa. Se non mi avesse richiamata entro breve, sarei andata a piedi. La palestra si trovava in un fienile a qualche chilometro di distanza. «Sei pronto a farti prendere a calci in culo?»

    Quando riagganciai vidi che avevo undici messaggi, tutti dalla mia migliore amica, Kat. Li lessi ridacchiando.

    Uno: Frosty è 1 STRONZO!

    Due: T ho già detto ke Frosty è proprio 1 stronzo?

    Tre: Ke ne dici dell’omicidio? Pro o contro? Prima D rispondere, sappi ke ho dei buoni motivi!

    Quattro: Se 6 pro, conosci un buon posto dove nascondere il cadavere??

    Gli altri messaggi descrivevano i modi in cui le sarebbe piaciuto ucciderlo. Quello che preferivo implicava un sacchetto di Smarties e una sciarpa di seta.

    Mmm. Gli Smarties.

    Il mio stomaco gorgogliò, così posai il telefono sul comodino. Avrei chiamato Kat dopo colazione – quando era più probabile che lei fosse sveglia e io più in grado di ragionare – per farmi raccontare cos’era successo. Immaginavo che Frosty non l’avesse chiamata dopo la litigata della sera prima e che lei fosse preoccupata. Non sapevo bene come consolarla per questo. Aveva detto chiaramente che non le piaceva parlare di zombie.

    Prima, però, misi in ordine la mia stanza. Non mi andava che lo facesse la domestica di Mr. Ankh. Non ero una scroccona e non volevo dare niente per scontato. Ero decisa a sdebitarmi con lui, in un modo o nell’altro. Per fortuna, con un po’ d’acqua e di sapone per le mani riuscii a togliere la macchia di colore dalla federa.

    «Alice.»

    Era Emma.

    Mi voltai e, cavolo, era proprio lei. La mia sorellina di otto anni. O meglio, il suo spirito. Me l’aveva insegnato lei: la morte non è mai la fine. «Sei qui» dissi con il cuore in gola. Era già venuta a farmi visita, ma era sempre come la prima volta: irreale e sconvolgente.

    Mi sorrise, e come al solito desiderai di poterla abbracciare e tenere stretta per sempre. «Posso rimanere solo un attimo.»

    Indossava gli stessi abiti di quando era morta: una calzamaglia rosa e il tutù. I capelli scuri che aveva ereditato dalla mamma erano divisi in due codini che le ondeggiavano sopra le spalle esili. Gli occhi dorati che mi avevano sempre guardata con adorazione brillavano.

    Una volta mi aveva detto che non era un fantasma ma un testimone. I fantasmi – non che esistessero – erano gli spiriti dei morti che avevano conservato i ricordi e tornavano a perseguitare i vivi. Un mito che forse era nato dall’avvistamento degli zombie. I testimoni invece erano spiriti che aiutavano.

    «Volevo avvertirti che mi vedrai di meno» disse, e il suo sorriso svanì. «Mi riesce sempre più difficile venire a farti visita. Però, se mi chiami, troverò un modo per raggiungerti.»

    «Più difficile in che senso?» domandai, preoccupata per lei.

    «Il mio legame con il mondo terreno si sta affievolendo.»

    Ah!

    Sapevo cosa significava. Un giorno l’avrei persa per sempre.

    «Non essere triste» aggiunse. «Detesto vederti giù.»

    Mi sforzai di abbozzare un sorriso. «Non importa cosa accadrà. Io saprò che sei là fuori da qualche parte e che mi proteggerai sempre. Non c’è motivo di essere tristi.»

    «Giusto.» Radiosa, mi soffiò un bacio. «Ti voglio bene. E davvero, chiamami se hai bisogno di me.» Poi sparì.

    Io smisi di sorridere e di fingere che andasse tutto bene. Avrei tanto voluto rannicchiarmi in un angolo e sciogliermi in lacrime, ma mi rifiutai di preoccuparmi per il futuro senza di lei. Avrei affrontato la sua perdita quando fosse successo davvero.

    Mi avviai verso la cucina raccogliendomi i capelli in una coda. Pensavo di trovare la domestica, invece c’erano Reeve, la nonna e Kat sedute a tavola che bevevano una bella tazza di caffè fumante.

    «... c’è qualcosa in ballo» stava dicendo Reeve, arrotolandosi una ciocca di capelli scuri intorno a un dito. «Papà ha installato altre telecamere di sicurezza sia nel giardino davanti che in quello sul retro, come se non ce ne fossero già abbastanza! Peggio ancora, ci ha messo così tante luci che nemmeno le tende oscuranti riescono più a fare buio.»

    La nonna e Kat erano palesemente a disagio.

    «A qualcuna di voi ha detto qualcosa?»

    «Be’...»

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