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La freccia del diavolo
La freccia del diavolo
La freccia del diavolo
E-book402 pagine4 ore

La freccia del diavolo

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Info su questo ebook

Una creatura diabolica emerge dal passato di Marcus, pericolosa al punto da diventare una minaccia persino per Rebecca.
Tra epiche battaglie e sentimenti di cui venire a capo, si snoda la seconda avventura di Rebecca, la Cacciatrice, e Marcus, il vampiro.


La vita di Rebecca non scorre certamente tranquilla.
Dopo aver scoperto la sua vera natura e cosa si celi nel buio della notte; dopo aver smascherato le bugie raccontatele dalla Confraternita e aver affrontato un’epica battaglia per salvare coloro che ormai ritiene i suoi migliori amici, nonostante siano vampiri, si ritrova a dover fare i conti con la prova più difficile di tutte: venire a capo dei suoi sentimenti per Marcus, il più potente tra i vampiri.
Proprio dal passato di Marcus, però, emerge un nuovo pericolo: un killer senza remore, che uccide giovani donne con una freccia dritta al cuore, senza fare distinzioni tra umane e vampire.
Rebecca dovrà di nuovo scendere in campo per sopravvivere e per salvare le persone a lei care, e così facendo scoprirà il triste e terribile passato di Marcus e la sua sete di vendetta.
I suoi accresciuti poteri consentono a Rebecca di squarciare il velo che separa i vivi dai morti, permettendole di sapere che cosa succederà se non impedirà a Marcus di cadere preda della propria rabbia, perdendo quel poco di umanità che gli resta.
Nel corso di una lotta senza pari, assieme al killer Marcus dovrà affrontare il suo passato e impedire che questo annienti il suo futuro con Rebecca, mostrandole di poter essere alla sua altezza.
Rebecca, invece, cercando di salvare Marcus capirà che la Distruttrice dentro di lei è molto più potente del previsto che il battito nuovo nei i loro cuori è l’inizio di un amore eterno.
LinguaItaliano
Data di uscita24 ago 2019
ISBN9788833283210
La freccia del diavolo

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    La freccia del diavolo - SARA MARINO

    Cover

    Capitolo I

    Io sono terrore, sono oscurità.

    Io sono colui che affolla i vostri incubi.

    Il mostro nascosto sotto il letto, pronto ad allungare una mano per catturarvi.

    La creatura orribile accucciata dentro l’armadio, pronta, in attesa di balzarvi addosso e addentarvi alla giugulare.

    Sono l’ombra oscura che vi rincorre di notte, terrorizzando le vostre menti.

    Io sono un demone, un figlio della notte, un vampiro.

    Lo sono stato per molti, molti anni e la cosa mi piaceva molto.

    Il mio cuore si era spento molto prima che il mio maestro nell’arte della morte e del terrore mi trasformasse in ciò che sono, distrutto da una perdita che mi aveva già ucciso.

    Da allora non ho mai rimpianto la mia vita umana, quegli stupidi sentimenti, i patemi d’animo, i turbamenti d’amore, le gioie, i dispiaceri che essa comporta.

    Niente. Tutto cancellato, sotterrato la sera della mia trasformazione.

    Provavo una gioia immensa nel provocare dolore e sofferenza agli altri. Come mi piaceva sentirli urlare, quando vedevano i miei denti splendere al riflesso della luna. Udirli implorare pietà quando ormai il terrore si era impadronito di loro e capivano la loro prossima fine.

    Com’era sublime percepire il loro sangue, caldo e corposo, che si riversava nel mio corpo, donandomi una sferzata d’energia e potere.

    Non fatevi idee strane, tutte queste cose le faccio ancora, ma un tarlo si è insinuato nella mia mente.

    Un nuovo inaspettato battito ha scosso il mio cuore morto da secoli, ma la causa di questo imprevisto non poteva essere più sbagliata.

    Perché lei è la nostra nemica. Se volesse, ci eliminerebbe in un attimo, con il solo gesto di una mano. Ci spazzerebbe via dal mondo, trasformandoci in polvere.

    Lei invece ci ha difeso, aiutato, ha lottato al nostro fianco.

    Mi ha salvato da morte certa anche se avevo cercato di ucciderla, annebbiato com’ero dalla stupida certezza di conoscerla solo perché lei era ciò che era, senza nemmeno provare a conoscere la persona.

    E poi… quando tutto è finito, quando i nemici sono stati sconfitti, lei ha dormito tra le mie braccia.

    Quella notte, per la prima volta dopo molto tempo, ho rimpianto il mio passato da umano.

    Sapevo, oh sì, lo sapevo che lei non avrebbe mai accettato uno come me al suo fianco.

    Un demonio, lei che è simile a un angelo.

    Ma io non cederò. È stato così dolce risentire il mio cuore, quel battito nuovo, dimenticato da così tanto tempo. È stato così sublime sentire lei tra le mie braccia, il suo profumo, i suoi capelli, la sua pelle morbida. Quel rumore, quel palpito da cui sono scappato per molti anni, in quel momento era un suono bellissimo, dolcissimo.

    Il battito del suo cuore.

    Io sono il grande Marcus, uno dei vampiri più forti e potenti della città. Al solo sentire il mio nome chiunque trema dalla paura, e se qualcosa mi interessa, io l’ottengo. A qualsiasi prezzo.

    Non posso pensare di non rivedere più i suoi occhi verdi.

    I suoi bellissimi occhi verdi, che adesso mi guardano pieni di rabbia.

    Capitolo II

    Rabbia era dire poco. Ero incazzatissima, avrei voluto bruciarlo lì, nel mio soggiorno, anche se avrei rischiato di distruggermi la casa.

    «Marcus, per la miseria, come ti è saltato in mente?»

    Lui si sedette comodamente sul mio divano bianco, incrociò le gambe e mi fissò con i suoi grandi occhi azzurri come il più innocente dei bambini. «Non pensavo fosse così grave!»

    «Ah, no! Non era grave? Sei entrato nella biblioteca della Confraternita. Per prendere cosa, poi? Dei libri. Dei libri su di me. Già qui ci sarebbe da discutere parecchio sul perché tu l’abbia fatto. Poi però, cosa hai combinato ancora? Ti hanno scoperto e hai avuto la brillante idea di attaccarli, mandandone due al Pronto soccorso.»

    Lui rise, quella risata strafottente che detestavo, ma che era orribilmente sexy.

    Quanto mi odiavo quando mi venivano in mente quelle cose, ma non ci potevo fare nulla, era più forte di me.

    Quattro settimane prima avevo salvato i vampiri cosiddetti Infiltrati, cioè quelli che vivono in mezzo a noi nascondendo la loro natura, da quei pazzi dei Redentori, che li avrebbero voluti uccidere per distruggere qualsiasi progetto di integrazione tra la comunità umana e quella vampiresca, ma ero uscita sconvolta dalla battaglia. In quel frangente lui mi era stato vicino, e addormentarmi tra le sue braccia era stato così naturale, così bello, che adesso non sapevo che fare. Non riuscivo ad accettare che le parole di una vampira di seicento anni potessero essere vere. Che io provassi qualcosa per lui.

    Accidenti! Accidenti! Accidenti!

    «Marcus! Smettila subito di ridere altrimenti ti ardo vivo. Adesso!»

    «Va bene, scusa. Non pensavo di provocare così tanti danni. E comunque, di cosa ti preoccupi? Sono stato così veloce nel colpire quei burocrati in giacca e cravatta che nessuno di loro può avermi visto in faccia. Non possono riconoscermi.»

    «Questa per te è una cosa positiva, giusto?»

    Lui annuì.

    «C’è solo un piccolo, insignificante particolare. Stamani alle nove Coleman mi ha telefonato, urlando come un pazzo che un vampiro era entrato nella scuola e li aveva attaccati. Pregandomi di aiutarli a cercarlo ed eliminarlo. Secondo te, adesso cosa dovrei fare? Portargli il tuo scalpo?»

    Marcus si alzò e mi si mise di fronte.

    Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata. Cercavo di obbligarlo a rallentare, ma lui aumentava sempre di più le pulsazioni, come se gli ordini provenienti dal cervello non contassero.

    «Adesso capisco. Tu non sei arrabbiata con me perché sono andato lì, ma perché così facendo Coleman ha avuto l’opportunità di telefonarti. È così, vero? Da quanto non lo sentivi?»

    Lo guardai esasperata e me ne andai sul terrazzo. Quel dannato aveva centrato il problema.

    Anche se era quasi la fine di luglio, sentivo freddo. Il mio era un freddo interno, era il mio sangue a essere ghiacciato. Tutto era diventato così complicato, così difficile da gestire, che non sapevo come risolvere la situazione, o anche solo migliorare un po’ le cose.

    Scoprire che ero una creatura, per così dire, particolare mi aveva sconvolto la vita, ma ero quasi riuscita ad accettarlo; anzi, in alcuni momenti avere dei superpoteri mi divertiva un sacco. Armi segrete che nessun altro possedeva e che mi rendevano estremamente forte. Inoltre, nei momenti di bisogno, mi spuntavano due bellissime e inquietanti ali.

    Rendermi conto, però, che i vampiri esistevano realmente, questa era stata tutta un’altra storia. Sapere che accanto a me, per la precisione in quel momento proprio nel mio salotto, c’erano creature simili, ancora mi procurava incubi.

    Creature immortali, con una vista sviluppata al punto da vedere nel buio come se fosse mezzogiorno, con un udito capace di sentire anche il più piccolo rumore e in grado di percepire l’odore del sangue umano e quello degli altri vampiri con una semplice annusata. Eppure così simili a noi che, guardandoli, si era certi di vedere dei normalissimi esseri umani, anche se in realtà si trattava di corpi morti. I loro organi, infatti, non vivono più, il loro cuore non batte.

    Loro, che per secoli erano stati condannati a vivere nell’oscurità, per proteggersi dai raggi del sole che li uccideva in maniera atroce, grazie a un lento processo evolutivo possono ora camminare in pieno giorno. Perché bramano il nostro sangue, ma allo stesso tempo desiderano vivere come noi, per tornare a provare vecchie sensazioni, vecchie emozioni. Per risentire di nuovo, nei loro corpi freddi, il calore di un amore.

    La loro forza mi sbalordiva, ma quello che mi colpiva di più era la loro bellezza. Anche il più infimo dei vampiri racchiude in sé un certo magnetismo. Qualcosa di indefinibile che affascina, che cattura, che fa sì che non ci si possa scordare di loro.

    Incrociai le braccia e sospirai.

    «Erano quattro settimane che non lo sentivo. Due le ho passate in vacanza con Alice, le restanti due l’ho evitato alla grande. Avrei preferito che passasse altro tempo prima di doverlo affrontare di nuovo.»

    Lui mi guardava, allibito.

    Lo sapevo. Presto era un concetto relativo.

    Un intero mese di latitanza dalla Confraternita non era cosa da poco, specialmente per il Cacciatore della Confraternita.

    Il fatto era che io e Coleman avevamo avuto un’accesa discussione al termine della battaglia contro i Redentori. Ci eravamo rinfacciati le colpe e gli sbagli reciproci e, anche se lui aveva cercato un riavvicinamento telefonandomi tutti i giorni, io non me l’ero sentita di scusarlo. Mi aveva mentito e questa è una cosa che io non sopporto.

    «È solo che… non so che dirgli, come affrontarlo. E non voglio neanche pensare alla sua reazione, quando verrà a sapere che ho permesso che mi mordessi per salvarti la pelle. Si arrabbierà moltissimo.»

    «E tu non dirglielo.»

    «Certo, come no! Ottima risposta. L’ho accusato di non dirmi le cose, di nascondermi notizie importanti e poi faccio lo stesso. Davvero una bella figura.»

    Guardai il panorama davanti a me. La giornata era bellissima, il sole splendeva caldo sulla città. Potevo vedere in lontananza le cime della Calvana. Ero sicura che i sentieri brulicassero di gente che passeggiava, che osservava il panorama, che faceva uno spuntino o, semplicemente, se ne stava seduta a godersi la bella giornata, senza sapere quello che sapevo io. Che la nostra bella città, come molte altre, era abitata da demoni sanguinari. Mostri che celavano la loro natura ai nostri occhi. Mostri sì, ma… no, c’era dell’altro e io lo sapevo, anche se cercavo di scacciarlo dalla mia mente.

    «Va bene, vuol dire che passerò da loro e affronterò il toro per le corna.»

    Rientrai. Marcus sorvegliava ogni mio movimento pur restando immobile come una statua al centro della sala, solo i suoi occhi mi seguivano.

    «Adesso credo che potresti anche andartene», esclamai poco sicura. Niente, non si mosse.

    «Non pensi che dovresti dire due cosette anche a me?»

    Lo guardai attonita.

    «Che cosa dovrei dirti?»

    Sapevo, sapevo di cosa stava parlando, ma io non volevo, non sapevo che dire.

    Mi si avvicinò pericolosamente.

    «Non ti vedo da quasi quattro settimane; hai intenzione di evitare me come hai evitato la Confraternita?»

    «Se ti fa sentire meglio, non ho visto nemmeno Lucas e Giulia.»

    Di scatto mi afferrò per le braccia.

    «No, non me ne importa niente se non hai visto nessun altro, stiamo parlando di noi, per la miseria! Sei sparita, ti rendi conto? Sei stata così astuta nel fuggire, quella mattina, che non hai svegliato neanche un vampiro esperto come me.»

    Mi scostai bruscamente.

    «Noi non esiste, Marcus, devi capirlo subito. Te l’avevo detto, non te lo ricordi? Ti avevo detto di non farti illusioni. È stata solo una sera, ti ho concesso solo di dormire abbracciati, solo quello…»

    Abbassai la testa, non volevo guardarlo negli occhi.

    «Non è vero! Non è stato solo quello, lo sai benissimo. Io…»

    Non disse più nulla, ma mi afferrò di nuovo per le spalle, stringendo sempre più forte. Presto iniziai a provare dolore, le sue mani erano come una morsa.

    «Mi fai male», mormorai, ma lui mi sentì lo stesso e mi lasciò andare, allontanandosi di qualche passo, poi, con un movimento fulmineo, ritornò davanti a me e mi prese la testa tra le mani, costringendomi a guardarlo negli occhi.

    «Dimmi qui, adesso, che non provi nulla per me e sparirò dalla tua vita una volta per tutte. Non mi vedrai mai più.»

    «Va bene, come preferisci, se proprio vuoi sentirtelo dire, lo farò, almeno così daremo un taglio a questa situazione assurda.»

    Mentre parlavo i miei occhi erano piantanti nei suoi, quei suoi occhi azzurri come il mare. Ero fuggita da lui terrorizzata, ma lo specchiarmi in quegli occhi mi era mancato in maniera impensabile.

    Maledizione!

    «Bene, allora dimmelo», mi esortò con voce calma, anche se potevo avvertire la tensione del suo corpo.

    Perché tanta ansia, perché tutto questo interesse per ciò che provavo per lui?

    Sentii il nervosismo aumentare. Il mio sentimento per lui poteva essere autentico? Se fosse stato così, le cose si sarebbero fatte ancora più complicate. Inoltre, anche se ciò che leggevo nei suoi occhi sembrava sincero, temevo di essere per lui solo un diversivo, un giocattolo, qualcosa che lo aiutasse a sconfiggere la noia dell’eternità.

    «Io…»

    «Sì?»

    «Io… non… posso…»

    Abbassai lo sguardo; continuare a resistere ormai era inutile.

    Per un po’ non si mosse, il mio viso stretto tra le mani, poi allentò la presa e io lo lasciai fare quando mi diede un bacio sulla fronte. Un brivido mi percorse la schiena.

    «Va bene, adesso vado», disse, e si avviò verso il terrazzo.

    Cavolo, da quando l’avevo conosciuto non aveva mai usato la porta.

    «Come va bene?» chiesi sorpresa tornando in me; lui era già rannicchiato sulla balaustrata del terrazzo come un felino pronto al balzo. «Cos’era, uno stupido scherzo?»

    Si girò sorridente. Aveva il sole alle spalle, sembrava essere la fonte di tutta quella luce.

    Luce e oscurità. Tutto lì, davanti a me.

    «No, nessuno scherzo, è quello che volevo sentire.»

    Non capivo.

    «Ma io non ho detto nulla.»

    «Appunto, non sei riuscita a dirlo. Quindi…»

    «Quindi?»

    «Io non mi arrendo, tienilo a mente, Cacciatore.»

    Con un guizzo sparì, come se fosse stato ingoiato dal cielo azzurro.

    Mi lasciai cadere sul divano; mi sentivo stanca, parlare con Marcus era quasi come correre una maratona.

    Capitolo III

    Saltai giù dal suo terrazzo stranamente più leggero, più… sì potevo dirlo: più felice.

    Quattro settimane: era sparita per quattro settimane senza una spiegazione, senza un messaggio. Così, svanita con la luce del mattino.

    Certo, per lei era stato troppo.

    Tutto così repentino, così terrificante.

    Scoprire la nostra esistenza, cos’era lei, i suoi poteri, le sue capacità. Dover lottare per sopravvivere.

    Lo ammetto, di certo io non le ero stato di aiuto, anzi, le avevo complicato un tantino la vita. Prima avevo cercato di ucciderla, poi l’avevo salvata e alla fine avevo chiesto il suo aiuto, ma io sono un tipo molto complicato. La contraddizione vive in me.

    Io però non potevo non tentare: lei doveva essere mia, solo mia.

    Avevo provato a darle una via d’uscita; dirmi in faccia che non sentiva niente per me, che mi disprezzava, mi odiava e che le facevo ribrezzo, come in realtà mi aveva già detto in passato, ma questa volta non c’era riuscita. Forse avevo una speranza, una flebile speranza.

    Mi bastava.

    Dovevo farmela bastare. Mi sarei aggrappato a quella minuscola possibilità.

    Capitolo IV

    Com’era stato possibile?

    Sarebbe stato così semplice dirgli che lui per me non era niente; che non mi batteva il cuore ogni volta che mi si avvicinava. Che ogni volta che guardavo i suoi occhi non mi ci perdevo dentro come se fossi caduta in una voragine. Che quella notte non ero stata bene tra sue braccia.

    Sarebbe stato così semplice dirgli che per me lui era un demone, un abominio senza anima né cuore. Un essere terribile che per nutrirsi uccide umani indifesi e ne succhia il sangue. Che, per natura, io ero destinata a dare la caccia a lui e alle creature come lui.

    Solo che non potevo, lo sapevo benissimo, non potevo.

    Lui era nella mia mente e forse anche nel mio cuore.

    Se non fosse stato così tragico, sarebbe stato quasi divertente.

    Il Cacciatore della Confraternita, la Distruttrice dei vampiri, innamorata di uno di essi, e non uno da poco, bensì uno tra i più crudeli e feroci assassini della sua stirpe.

    Mi sarei presa a schiaffi da sola, se non avessi deciso di andare ad affrontare Coleman, che, molto probabilmente, mi avrebbe preso a schiaffi per tutti e due.

    Prima, però, dovevo andare a trovare Lucas e Giulia.

    Dopo quella sera ero sparita nel nulla anche per loro, senza dare alcuna spiegazione. Mi ero comportata male e lo sapevo, ed era venuto il momento di fare ammenda.

    Un giorno fantastico, davvero.

    Forse sarei dovuta restare a Ischia per sempre.

    La mattina dopo lo scontro con i Redentori, mi ero svegliata abbracciata a Marcus e la cosa mi aveva spaventata. Con estrema calma, ma con sorprendente velocità, mi ero allontanata da casa riuscendo a non svegliarlo. Avevo girovagato non so dove finché, alle nove e mezza, avevo chiamato Alice.

    Sentendomi, lei si era spaventata da morire, anche perché le uniche cose che ero riuscita a dire fra i singhiozzi erano il nome della via e quello del negozio di calzolaio che vedevo dall’altra parte della strada.

    Quando la poveretta arrivò, mi gettai tra le sue braccia.

    «Rebecca, cosa ti è successo? Ti prego, dimmi qualcosa.»

    Io però sapevo benissimo che non potevo dirle nulla. Non avrebbe capito, nessuno avrebbe capito.

    «Alice, non ce la faccio più. Devi aiutarmi. Se continuo così impazzirò», mugolai.

    «Rebecca, calmati, non capisco di cosa stai parlando! Come sei arrivata qua?» Non risposi, non riuscivo a smettere di piangere. «Va bene, facciamo così: adesso ti riporto a casa e…»

    Non la lasciai finire. «No!» urlai. «Non a casa, non possiamo andare lì. Io… io devo andare via da questa città. Subito!»

    Lei mi guardò, esterrefatta.

    «Va bene. Allora ti porto a casa mia, sei d’accordo?»

    Annuii.

    Mi prese sottobraccio, mi accompagnò alla macchina e andammo a casa sua. Non dissi nulla per tutto il viaggio; stavo rannicchiata sul sedile stringendomi forte le braccia intorno al busto, lo sguardo fisso davanti a me. Vedevo la strada ma in realtà la mia mente era altrove, avvolta dall’oscurità, senza alcuna luce in lontananza che m’indicasse una via di salvezza.

    Arrivati da lei, mi sedetti sul divano, gli occhi fissi sul pavimento. Non potevo guardare in faccia Alice; mi conosceva troppo bene e avevo paura che sarebbe riuscita a leggere nel mio sguardo il terrore che stavo provando. Che, in un modo o nell’altro, intuisse la mia vera natura, che capisse cosa in realtà ero. Non volevo, non volevo essere guardata con disprezzo dalla mia migliore amica.

    Alice cercò di farsi spiegare cos’era successo, ma io non potevo e non volevo risponderle.

    Con un sospiro sparì nell’altra stanza e quando tornò, mezz’ora dopo, mi s’inginocchiò davanti.

    «Rebecca, non vuoi proprio dirmi perché sei in queste condizioni, vero?»

    Scossi la testa.

    «Va bene, allora ascolta: ho chiamato il tuo ufficio, ho detto che starai via per due settimane. Ho prenotato una stanza in un albergo d’Ischia, partiamo tra due ore.»

    Era davvero un’amica speciale. La guardai con le lacrime agli occhi.

    «Grazie, ma non potrò comunque spiegarti nulla.»

    Lei mi abbracciò. «Non importa, la cosa che conta è che tu torni in te. Non voglio vederti in queste condizioni.»

    Partimmo e in cinque ore fra treno e traghetto arrivammo a destinazione.

    Passammo due settimane fantastiche. L’albergo era molto carino, non molto grande ma ben organizzato: grande piscina all’aperto; un’altra, più piccola, al chiuso. Cabine per massaggi.

    La nostra stanza si trovava al terzo piano e il terrazzo si affacciava sul mare; la spiaggia privata dell’albergo era proprio sotto di noi. I negozi della cittadina erano fornitissimi e, soprattutto nei primi due giorni, facemmo shopping, dato che, essendo partita in tutta fretta, non avevo nulla con me.

    Per tutta la vacanza Alice non tornò sul motivo per cui eravamo partite così in fretta. I nostri argomenti di conversazione furono i vestiti, i ragazzi e il fatto che anche lei era contenta di essersi presa una pausa, dato che, la settimana precedente, quel simpaticone del suo ragazzo l’aveva lasciata, dopo quattro anni di fidanzamento, per una tipa dai capelli rossi molto più vecchia di lui. Ne parlammo, ne sparlammo, e alla fine convenimmo che la mia crisi di nervi aveva aiutato un po’ tutte e due.

    Per tutto il tempo evitai di cercare vampiri con i miei sensi: sapevo che c’erano ma non intendevo averci a che fare.

    Quando ripartimmo stavo benissimo: rilassata, tranquilla, più forte e abbronzata.

    Una volta che ci fummo separate, alla stazione, decisi che, tutto sommato, altre due settimane lontano dal lavoro non mi avrebbero fatto male.

    Telefonai in ufficio e, stranamente, Elisa non fece obbiezioni al fatto che il suo capo non facesse altro che prendere ferie. Credo che l’effetto della motivazione data da Alice alla mia partenza, che non conoscevo e nemmeno volevo conoscere, durasse ancora.

    Infilando la chiave nella serratura di casa mia, avevo paura di trovare brutte sorprese. Mi concentrai, ma non percepii tracce di vampiri. Tirai un sospiro di sollievo ed entrai.

    La casa era come l’avevo lasciata – i giornali sul divano, le tende tirate, le serrande alzate, il letto sfatto – ma sul mio cuscino c’era un biglietto. Con riluttanza lo presi.

    La calligrafia era ariosa ed elegante. Sapevo chi l’aveva scritto e pensavo di leggervi parole piene di furore.

    Invece diceva solo: Ritornerò, Rebecca.

    Capitolo V

    Le ultime due settimane di ferie stavano finendo e io ero nei casini fino al collo.

    Marcus era ricomparso, portandosi dietro, come al solito, un mucchio di problemi, ma altrettante incognite mi attendevano oltre la porta di casa.

    Uno può provare a fuggire, ma i problemi lo aspettano esattamente dove li ha lasciati. Era arrivato il momento di affrontarli.

    Il caldo si faceva sentire, così indossai un paio di pantaloni verdi di lino e una maglietta nera con le spalline. Scarpe da ginnastica nere e borsa a tracolla, anch’essa nera, in cui misi un po’ di cose che avrebbero potuto essermi utili, completarono il mio abbigliamento.

    Innanzi tutto sarei andata da Lucas, che di sicuro non mi avrebbe creato problemi. Poi toccava a Giulia, da cui mi aspettavo una solenne lavata di capo per essere sparita così, di punto in bianco. A meno che quel demone di Marcus non fosse corso a raccontare loro della notte a casa mia, inventandosi chissà cosa. In quel caso i due vampiri si sarebbero comportati in modo inverso: Giulia mi avrebbe accolto con un sorrisino beffardo, Lucas avrebbe cercato di uccidermi.

    Mi avviai a piedi, cercando di guadagnare tempo.

    Dopo una quarantina di minuti ero sul marciapiede opposto al bar di Lucas.

    Ero terrorizzata. Cosa alquanto imbarazzante per una che veniva descritta come la Distruttrice d’intere razze.

    Attesi il verde e attraversai la strada.

    Mi feci largo tra i clienti che affollavano i tavoli all’aperto e mi avvicinai il più possibile alla vetrata. Sbirciai dentro: il locale era pieno e i due baristi, uno alla cassa e l’altro al bancone, indaffaratissimi. Lucas, in piedi davanti alla macchina per il caffè, dava le spalle al banco ed era intento a preparare caffè e cappuccini.

    Mi schermai perché non percepisse la mia presenza. Volevo che mi vedesse da solo.

    Ero così concentrata nel fissarlo e nel trovare le parole giuste per affrontarlo che non sentii che qualcuno mi stava chiamando.

    «Rebecca? Rebecca mi senti?»

    Mi girai di scatto e mi trovai davanti Anna.

    «Anna!» esclamai sorpresa.

    Lei mi sorrise, chiaramente felice di vedermi.

    «Rebecca, quando sei tornata?»

    «Da due settimane, ma non ero pronta a ricominciare a pieno regime.»

    Lei allora si avvicinò e mi abbracciò, e io rimasi impietrita.

    Sapevo che Anna mi voleva bene; ci conoscevamo da quattro anni, vale a dire da quando avevo aperto lo studio e l’avevo assunta come segretaria personale. Eravamo diventate subito amiche; a volte uscivamo a mangiare una pizza, a vedere un film, ma da quando avevo scoperto che era un vampiro i nostri rapporti si erano un po’ raffreddati. Io la guardavo con un certo sospetto; lei credo fosse terrorizzata da me.

    «Sono felice che tu stia bene, ero un po’ in ansia e poi…» Si scostò, guardandomi seria. «Non ho avuto ancora l’occasione di ringraziarti per avermi salvato da quei pazzi.»

    «Ma figurati io…»

    Mi bloccò, posandomi un braccio sulla spalla. «No, Rebecca, io avei voluto ringraziarti subito, ma… vedi, in un primo momento mi vergognavo nel mostrarmi, visto com’ero ridotta. La prigionia è stata dura. Aspettavo che tu tornassi in ufficio, ma tu sei sparita. La tua amica ha chiamato annunciandoci che stavate per partire e…» posai una mano sulla sua.

    «Lo so, Giulia me l’ha detto, non preoccuparti. E io avevo bisogno di una pausa; tutto è successo così velocemente che alla fine sono crollata, ma adesso sto bene. Sono in perfetta forma.»

    Lei sorrise felice. «Allora tutto chiarito, tutto a posto?»

    «Sì, tutto a posto.» Si allontanò di qualche passo, ma subito dopo tornò indietro. «Allora, ti aspetto in ufficio lunedì?»

    «Sì, a lunedì Anna», risposi.

    La salutai agitando la mano e forse ci misi un po’ troppo vigore. Colpii il braccio di una signora, che passava davanti a me con un bicchiere colmo di succo di arancia, e che, ovviamente, non avevo visto. Il rumore di vetri infranti sembrò un’esplosione. Diventai color melanzana per la vergogna.

    «Oddio, signora mi dispiace molto...» iniziai a dire, ma quando alzai gli occhi dal disastro mi ritrovai a fissare gli occhi verdi di Lucas.

    «Ciao Lucas», fu l’unica cosa che riuscii a dire, quasi balbettando.

    Lui mi fissò senza una parola, poi si girò verso la donna: «Si è fatta male?»

    Lei lo guardò con un sorriso quasi adorante.

    Per chi non sapeva che fosse un vampiro, cioè il resto del mondo, Lucas era il ragazzo modello: sempre educato con i clienti, affabile con tutti, e veramente bello. Solo io sapevo come il suo volto potesse mutare, diventando mostruoso, della fame di sangue che lo perseguitava, della sua forza sorprendente, della

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