Sotto la stella del lupo
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Info su questo ebook
Fulmine vive felice insieme ai suoi fratelli lupacchiotti nella tana in mezzo alle montagne, e da grande sogna di diventare un fiero capobranco come suo padre. Ma un giorno succede l’impensabile. Un gruppo di lupi nemici invade il territorio, e dopo una feroce battaglia Fulmine si ritrova solo e affranto, di fronte a una scelta difficile: rimanere in quel luogo ormai devastato, o mettersi in cammino in solitaria.
Non immagina quanto sia lungo il viaggio che lo aspetta, quali pericoli e imprevisti troverà lungo la strada. Ma se riuscirà nell’impresa, non solo avrà trovato dentro di sé il coraggio di un vero capobranco, ma – cosa più importante – saprà di nuovo distinguere, tra milioni di profumi, il profumo di casa.
Ispirato alla storia vera di OR-7, un lupo selvaggio che ha affrontato un’estenuante traversata di oltre 1600 chilometri nel Nordovest del Pacifico, Sotto la stella del lupo è un romanzo che parla di coraggio, di lealtà e dello straordinario spirito di adattamento di questi animali affascinanti.
Rosanne Parry
Rosanne Parry Vive insieme alla famiglia in Oregon, negli Stati Uniti. Ama stare in mezzo alla natura e quando scrive si rifugia sempre nella sua casa sull’albero in giardino. Questo è il suo primo romanzo tradotto in Italia. Questo è il suo primo romanzo tradotto in Italia.
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Anteprima del libro
Sotto la stella del lupo - Rosanne Parry
successivo.
BRANCO
Comincio nel buio ed è il naso a dirmi tutto ciò che so.
Ho un fratello, Astuto. Più grosso di me, non fa che ringhiare. Ho due sorelle. Capriola, che ama lottare, e Codabella, che parla con la coda. Ma il migliore è Calduccio, che adora raggomitolarsi sotto il mio mento, l’unico cucciolo più piccolo di me. Fiuto ciascuno di loro, e anche la terra umida sopra di noi e l’erba secca sotto. Gironzolo nella tana mentre gli altri sonnecchiano. Faccio delle prove di corsa lungo la galleria. Mi chiamano Fulmine perché sono stato il primo della cucciolata a reggermi in piedi e a camminare. Ovunque mi portino le zampe, poi io torno sempre al centro della tana, nella cavità che profuma di casa, di ciò che non mi stanco mai di fiutare. E ogni volta arriva lei, con l’odore più buono di tutti: la mamma.
Prima fa un giro su se stessa, sfiorando con il naso ciascuno di noi a turno, poi si sdraia al suo posto. Astuto, Capriola e Codabella si tuffano verso la sua pancia per bere.
Come sempre io potrei essere il primo, ma la mamma è piena di odori. Dai fianchi alle spalle, fino al tiepido, lieve brontolio del suo fiato, porta con sé odori per me senza nome. Odori che mi fanno venire una gran voglia di spingermi oltre il punto all’imboccatura della galleria che lei ci ha proibito di superare – «Da qui non si passa» – per andare a mettere il naso nel posto da cui proviene la luce.
Sono in ritardo per il pranzo. Calduccio striscia verso l’ultimo posto libero. Faccio un balzo e lo precedo. Poi, aaah… bevo in fretta, con forza, bevo a grandi sorsi, con un rivolo di latte che mi scorre giù per il mento, quasi senza fiato per la foga. Mentre ci allatta, la mamma canta per noi una canzone che parla del grande mondo fuori dalla nostra tana, e racconta la storia della nostra vita fra le montagne. Io respiro il suo canto come l’aria, lo bevo come il latte: branco, montagne, wapiti, stelle, vento, pioggia, ululati, caccia, montagne, branco.
Come sempre, Calduccio si intrufola sotto di me, pancia a terra. Guaisce e mi spinge la testa sotto il mento. Plop! Mi ruba il capezzolo! Sazio solo a metà, decido di spostarmi. Con Astuto non provo nemmeno. È grosso, lui, e c’è sempre un morso in agguato dietro quella bocca da spaccone. Do un colpetto a Capriola, ma lei mi mette le zampe in testa. Codabella invece rinuncia al suo capezzolo quando la spingo via. Lei spinge Capriola, che spinge Astuto, che si rivolta contro Calduccio a denti scoperti e ringhia l’unica parola che tutti noi conosciamo: «Mio!».
Calduccio striscia fino al centro della tana e si raggomitola su se stesso, solo. Uno dopo l’altro, con la pancia ormai piena, scivoliamo nei sogni. Prima di addormentarmi anch’io, però, sento un dolce profumo che non mi dà pace. Sbadiglio, metto in azione il naso e… sì. Sì, c’è ancora latte. Ce n’è ancora, e posso reclamarlo tutto. Ce n’è ancora, e se lo bevo diventerò perfino più grosso di Astuto. Trovo un bel sorso in ciascun capezzolo. E scopro una cosa che i miei fratelli e sorelle non sanno: l’ultimo latte che resta è il più dolce. Mi lecco le gocce dal mento e vado ad accucciarmi intorno a Calduccio, in modo che gli altri non possano camminargli sopra nel buio.
«Dimmelo un’altra volta» dico alla mamma. Indico la galleria con un cenno del muso.
«Quando potrò uscire da qui?»
«Là fuori, il nostro territorio è affamato e selvaggio» mi risponde lei. «E tu sei tenero e saporito, lupacchiotto mio. Aspetta di essere più grande.»
Sospira guardando la pozza di luce che filtra attraverso il Non si Passa fino al pavimento della tana.
«Aspetta di avere imparato a combattere.»
Tendo il naso verso la luce e soffoco lo sbadiglio che segue la stiracchiata. Non voglio aspettare. I miei fratelli e le mie sorelle fanno i respiri lenti e profondi di chi dorme. A me ciondola la testa, ma combatto.
«Raccontami qualcos’altro.»
«Il branco appartiene alle montagne e le montagne appartengono al branco» inizia lei. «Ma su tutti noi splende la stella del lupo.»
La ascolto, ma la lunga, serpeggiante discesa che conduce ai sogni mi porta via.
E così dormo, poi mi sveglio e mangio e dormo, fino al giorno in cui mi sveglio e la mamma non c’è più. Un bagliore bianco e freddo filtra splendente attraverso il Non Si Passa. Perlustro i nostri odori, poi la terra, l’erba secca e l’eco del suo odore, che aleggia lì dove la mamma si sdraiava, al suo posto. C’è tutto. È tutto come deve essere.
A parte la mia pancia vuota. La sento ondeggiare da un lato all’altro mentre mi muovo a piccoli passi nella tana. C’è meno spazio, adesso. Nessun nuovo odore da fiutare, soltanto corpi più lunghi in cui inciampare, e Astuto è ancora il più grosso di tutti.
La mamma non ci ha mai lasciati soli per così tanto tempo. Calduccio guaisce e mi strofina la testa contro la spalla.
«Il branco appartiene alle montagne e le montagne appartengono al branco» dice Codabella.
«Ma su tutti noi splende la stella del lupo» interviene Calduccio.
E proseguono, insieme, raccontandosi la storia a vicenda.
Astuto finge che non gli importi se la mamma è andata via, ma dà un morso a Capriola, giusto per sentire se ha un buon sapore. Lei accetta la lotta e gliele suona di santa ragione. Io spingo il naso fino al Non Si Passa per imparare tutto ciò che un cucciolo può sapere. Calduccio rabbrividisce per il mio azzardo. Non mi interessa. Sono appena oltre il confine. Che poi oltrepasso con la testa e le spalle. Porto tutte le zampe oltre la linea e posso già fiutare tanti odori nuovi. Sul soffitto della scura tana del cielo brilla un cerchio di un bianco gentile. E tutt’intorno ci sono tanti altri puntini bianchi, più piccoli. Sono moltissimi. Più delle code. Più delle zampe. Addirittura più di zanne, zampe e code insieme. Non riesco a smettere di guardarli. L’aria fredda porta notizie di cose lontane, di cui ho sentito parlare soltanto nelle storie: pino, topo, civetta, abete, mirtillo, acqua. Nell’aria c’è dell’altro, a cui non so dare un nome. Trotterello più in là, nonostante le musatine di ammonimento di mio fratello Calduccio.
«Non si passa!»
Mi acquatto. Immobile. È un altro lupo.
Fiuto. Immobile. Non è odore di mamma.
Fiuto. Scodinzolo. Immobile.
L’ho annusato nel pelo di mia madre. È dei nostri. Mi faccio avanti strisciando.
«Non si passa!»
Calduccio si è rifugiato in fondo alla tana da un pezzo, ormai, ma io non riesco a impedire alla mia coda di muoversi. Sbatte sul soffitto della tana e fa piovere terra dall’alto.
«Silenzio!»
Naso a terra. Non volevo chinare il capo. Ma la sua voce mi trascina giù.
«Ascolta!» mi dice, un po’ meno brusca, stavolta.
Presto orecchio. Insieme agli odori, il vento porta anche rumori.
Fruscii, scricchiolii, schiocchi causati dalle folate fra gli alberi nelle vicinanze. Versi e passi un po’ più lontano. E poi gli ululati.
Uuuuuuuh! Mi si drizza il pelo su tutto il corpo. Quello è un suono che ho sentito in sogno. Sento un ululato di risposta che mi cresce dentro nel profondo, ma non abbastanza da far sì che il custode dei cuccioli non si accorga che sta per uscire.
«Silenzio!» dice. «Silenzio!»
Ricaccio in gola il mio ululato e mi siedo sulla coda. Aspetto, nell’ondata di nuovi suoni non penso più alla fame. Anche il custode dei cuccioli aspetta. Cammina lento, sagoma grigia circondata da un cerchio d’alberi.
Sento l’acqua che scorre, lontana, e sento ronzare e frinire, molto vicino. Il battito ritmico di piedi che corrono, un po’ meno vicino. E poi più vicino. Ancora più vicino. Poi riesco a fiutarli: mia madre e l’altro della nostra stirpe. Astuto, Codabella e Capriola mi stanno tutti alle calcagna, ora. Mi si stringono intorno, con una serie di guaiti affamati. Poi la mamma spunta da sopra il crinale. Correndo. Con tutto il branco intorno.
Mamma! È grigio argento, è forte, con l’estremità della coda e le orecchie nere. I suoi simili strofinano le spalle contro le sue. Chinano tutti la testa e cantano il suo nome. Sento nell’aria il suo profumo dolce e selvaggio, di latte e di vento.
«Vieni» mi dice.
Sono tutto uno scodinzolio. «Fuori?» Voglio esserne sicuro.
«Forza» dice. «Esci.»
Balzo in avanti, ma Astuto mi scosta con una spallata e Capriola mi schiaccia la zampa posteriore. Io me la scrollo di dosso e insieme corriamo fuori dalla tana, facendo cadere terra addosso a Codabella e Calduccio, che ci stanno dietro.
Sono fuori. Fuori! Oh, l’enormità di questa nuova tana con un soffitto nero talmente alto che con nessun salto lo si può raggiungere… Salto lo stesso, così, tanto per provare. Il vento mi scompiglia il pelo. I miei simili che abitano quella tana mi fiutano dalla testa alla coda.
Io inspiro l’odore di ciascuno di loro, il pelo dorato di Dolcevoce, la cacciatrice, e il custode dei cuccioli, Ringhio, che cammina lento e zoppica.
Non riesco a tener ferma la coda. Lecco il terreno: sale, ferro, cenere. Casa.
Padre si erge sugli altri, muso grigio, orecchie nere, ed è alto alto alto. L’odore della sua marcatura è sulla soglia della nostra tana.
È il suo l’ululato che il branco segue. So che dovrei andare a strofinarmi contro di lui per mescolare il mio odore con il suo, ma è così alto e silenzioso…
Astuto mi batte anche in questo. Mi passa accanto in fretta. Mi supera di tutta la testa e mi