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C’era una volta e c’è una regina rosa 2023
C’era una volta e c’è una regina rosa 2023
C’era una volta e c’è una regina rosa 2023
E-book294 pagine3 ore

C’era una volta e c’è una regina rosa 2023

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Info su questo ebook

La Mortadella, già nota e apprezzata dagli antichi Romani, è il più sfizioso tra i salumi. Era il 24 ottobre 1661 quando il Cardinal Farnese emanò l’editto che regolamentava la produzione della Mortadella. L’editto era stato redatto per tutelare i produttori, allora tutti all’interno delle mura cittadine. I produttori di Mortadella erano raccolti nella corporazione dei Salaroli, una delle più antiche di Bologna che, già nel 1376, aveva per stemma un mortaio con relativo pestello. Dentro c’era la ricetta, ma non bastò. Nel 1720 un secondo editto ribadì chi poteva, in esclusiva, produrre la Mortadella. A chi violava tali diritti spettava una multa da 200 scudi corredata da 3 nodi di frusta. La frusta fece molto più effetto del primo editto e ancora adesso la ricetta della Mortadella è uguale. Una Regina rosa dal profumo inconfondibile, dal colore gentile e dal grasso distribuito in maniera omogenea che la rendono unica e inimitabile..
Terza edizione del concorso! Tutti i racconti selezionati
LinguaItaliano
Data di uscita23 apr 2024
ISBN9788893472807
C’era una volta e c’è una regina rosa 2023

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    C’era una volta e c’è una regina rosa 2023 - ANTOLOGIA AUTORI VARI

    cover.jpg

    C’era una volta e c’è una regina rosa 2023

    Prima Edizione Ebook 2024 © Edizioni del Loggione, Modena – Bologna

    ISBN: 9788893472807

    Immagine di copertina su licenza

    StockAdobe.com

    Edizioni del Loggione S.r.l.

    Via Piave, 60 - 41121 Modena

    C’ERA UNA VOLTA E C’È UNA REGINA ROSA

    2023

    Racconti

    Indice

    Breve processo al porco emiliano

    Andrea Albertazzi

    Il sapore della vita

    Antonella Arcangeli

    C’era una volta e c’è… una regina rosa

    Matilde Berretta

    Destino infame!

    Lucia Bollina

    La Giacomina di celibi e ammogliati

    Massimo Brusasco

    L’attesa del passato

    Arianna Cavalli

    La sagra

    Rosina Cirelli

    Un panino di troppo

    Emanuele Del Freo

    Ripartire insieme

    Milena De Giusti

    Mortadella…quanto sei bella!

    Martina Ferlino

    La Focadella

    Elisabetta Ferrara

    Tanta voglia di lei

    Gaetano Fuardo

    Isa

    Andrea Gheduzzi

    Rumore e polvere

    Mirta Gherardi

    Mortadella da passeggio

    Lisa Francesca Gobbi

    La campanella

    Lorenzo Iannelli

    C’era una volta e c’è una Regina Rosa

    Omar Lambertini

    La regina rosa, un mito

    Elena Leardini

    L’anticristo di Mezzolara

    Andrea Mariani

    Le sette zaffate

    Marina Marzetti

    Il poeta salumiere

    Angelo Paganini

    La murtadèla...arcòrd dla zòventò

    Nadia Pedrazzi

    La seconda vita di Vitale, il sacro maiale

    Francesco Petrucci

    C’era una volta e c’è...una Regina rosa

    Maria Daniela Pierri

    Trappola profumata

    Andrea Pirani

    Quel che resta del ghiaccio

    Emanuele Pizzo

    Per un pugno di mortadella

    Tiziano Poppi

    Una luna così

    Paola Renzetti

    Eternamente grato

    Valeria Restante

    Salva il Pianeta!

    Michele Rocchetta

    Il vegano innamorato

    Alessandro Rubino

    Il vecchio Fiat 690N

    Susanna Salvan

    L’azdora

    Walter Serra

    C’era una volta e c’è…una Regina rosa

    Gianfranca Signorile

    Un incontro speciale

    Morgana Suppo

    Un raduno di terrapiattisti 

    Piero Tacconi

    Ahi, ahi Beppe...

    Giulia Vannucchi

    Cicciadella

    Marina Zuccoli

    GLI AUTORI

    Breve processo al porco emiliano

    Andrea Albertazzi

    Aula di giustizia. Bologna martedì 13 gennaio 2023

    «Signor giudice, signori della giuria, vi prego di guardare bene l’imputato. Questo è un porco, nel vero senso della parola. Ecco cos’è! A me, fa schifo. A voi, no? Lo sentite che puzza in un modo vomitevole? Quello sguardo da suino, poi! Si può avere uno sguardo più ottuso? Lo vedete o no che pelle ha? Io dico ma si è mai visto un animale con una pelle così brutta? Gli uccelli hanno magnifici piumaggi. Tutti gli uccelli, a parte certi uccellacci predatori del deserto, ma quelli nessuno se li mangia. Gli equini hanno nobili manti; le pecore morbida e preziosa lana; i conigli pure. I serpenti ad esempio. Non è magnifica la pelle di serpente? Se ne ricavano costosissime borse da donna! I ratti… ecco, quelli fanno schifo in toto, ma sono i mammiferi più repellenti dell’universo. Anche i pesci del mare sono spesso variopinti e, insomma, non hanno quell’orribile pelle rosa e corrosa. E poi la voce. Quel grugnito brutale. Non il muggito possente del toro; non il nitrito stentoreo del cavallo; non il chicchirichì reale del gallo; non il latrato amichevole del cane; non il miagolio suadente del gatto, ma il grugnito schifoso di quel porco. Signore e signori della giuria, per tutti questi motivi, più che validi, vi chiedo di bandire per sempre dalle vostre tavole l’imputato che si trova davanti a voi.»

    La giuria esce e dopo un’interminabile ora, rientra per emettere il verdetto.

    Il giudice, l’interpella: «Signori giurati avete raggiunto un verdetto? Volete bandire il porco qui presente dalle vostre tavole?»

    Si alza il rappresentante della giuria e, con voce rotta dall’emozione, legge lentamente, poi con più veemenza ciò che all’unanimità si è stabilito.

    «Signor giudice, abbiamo ascoltato con attenzione le accuse rivolte contro l’imputato. Conveniamo che l’aspetto e i modi dello stesso, siano poco gradevoli e fra tutti gli animali terrestri, il porco sia fra quelli meno graziosi, ma abbiamo deciso all’unanimità che l’Accusa si mangi pure l’aringa. Noi vogliamo salsicce, prosciutti, cotechini, ciccioli, costoline, braciole, salami e soprattutto non rinunceremo mai a quella squisita, profumata, inebriante delizia che è la mortadella! La regina della nostra tavola bolognese. Il nostro vanto. Conosciuta e apprezzata in tutto il mondo! I Longobardi, grandi conquistatori, occuparono le nostre terre, nei secoli bui, dopo la caduta dell’Impero romano e contribuirono a ridarci dignità e stabilità. Non solo con l’Editto di Rotari, non solo con la ripresa dell’arte e dei commerci, ma anche e soprattutto, con la diffusione di questo inestimabile animale, grazie al quale, le nostre terre si ricoprirono di magnifiche querce e le nostre povere mense, cambiarono aspetto.

    Signor Giudice, questo animale ci fa dimenticare la crisi economica. Noi non vogliamo bandire il porco, ma pretendiamo di imbandire le nostre tavole con quello che lui ci offre! Sarà anche vero che il porco puzza, ma una volta lavorato e conciato, profuma da stordire! Come potremmo, in futuro, privare le nostre domeniche conviviali, le nostre serate fra amici, i nostri momenti di languorino, dalle crescentine e affettati, da zamponi affogati nel purè e soprattutto da fragranti rosette riempite di fette rosa che odorano di mirto e che addentiamo con un gusto che trascende l’umano?

    Per tutto ciò, Signor Giudice, chiediamo che il suddetto porco non abbia salva la vita, ma salvifichi la nostra.»

    Il rappresentante della Giuria termina la lettura e chiude con una sapida e informale chiosa dialettale: «Nueter al ninein, al vlàm magner.»

    Il rappresentante dell’accusa, è attonito. Mostra, quasi, un’aria da cane bastonato. Anche il giudice, colpito da tanta enfasi, pare convinto e con tono ieratico, emette la sentenza, battendo il martello sul tavolo: «Il verdetto della giuria è sovrano. Ordino quindi che l’imputato sia portato immediatamente sul luogo dell’esecuzione e macellato. Giustizia sarà fatta. Il processo è chiuso. Ah. Buon appetito a tutti!»

    Il sapore della vita

    Antonella Arcangeli

    «Rikiiiiii, sono iooooo!»

    Una insistente scampanellata seguita poi dall’urlo belluino di Stefano. Sempre, da sempre. Ovvero da quando ci siamo conosciuti sui banchi della prima elementare. E la mia risposta è, da sempre, la stessa. Mi affaccio alla finestra e lo vedo che guarda in su, la mano destra a schermare gli occhi dalla troppa luce.

    «Steeee cosa strilli? Lo sai che nonno sta facendo il riposino e se lo svegli la prossima volta che gli capiti a tiro ti gonfia.»

    Lui alza gli occhi al cielo. «Sbrigati!» dice facendo segno con la mano di scendere. In effetti ha ragione, abbiamo appuntamento al campetto vicino casa per una partita-sfida di calcio con la squadra del rione rivale, in palio il diritto di giocare per primi nel campetto per tutta la settimana, ma se non ci presentiamo puntuali rischiamo di perdere a tavolino. No, non si può proprio, sarebbe un grave disonore per la nostra squadra. Se dobbiamo perdere, deve essere sul campo. Su questo abbiamo sempre e comunque concordato anche se siamo fondamentalmente agli antipodi. Io, Riccardo, anni 12, timido con le ragazze e fin troppo tranquillo, studioso e forse anche un po’ noioso. Stefano, anni 12 spavaldo e sicuro di sé, faccia tosta e sorriso malandrino, intelligente ma non si applica, un buon successo con le ragazze. Ma va bene così, io rimango sempre convinto che prima o poi le ragazze sapranno apprezzare anche quelli più tranquilli come me anche se a volte mi sento un pesce fuor d’acqua rispetto a tipi come Stefano che possono vantarsi del fatto di aver già pomiciato. E poi io, un amore segreto ce l’ho. Nessuno ne è a conoscenza, Stefano a parte, tanto meno l’interessata. Ormai sono passati già diversi mesi da quando l’ho conosciuta e non riesco a togliermela dalla testa.

    Era un pomeriggio di febbraio, col cielo lattiginoso e il freddo che penetrava nelle ossa attraverso una nebbiolina che bagnava tutto ciò che riusciva a raggiungere, dalle automobili parcheggiate lungo il viale alberato, al prato del campetto, fino ai nostri giubbotti e ai nostri capelli. Il nonno mi aveva chiesto di andare al negozio di alimentari a comprare alcune cose per la cena. Io ero sdraiato sul mio letto, intento a leggere i fumetti e avrei fatto qualunque cosa pur di non uscire quel pomeriggio, ma il nonno sapeva sempre come prendermi, e nel giro di pochi minuti mi ero ritrovato sulla porta di casa infagottato nel mio giubbotto blu, con un ridicolo cappello di lana che riusciva solo a farmi prudere la testa e in mano la lista della spesa e i soldi.

    Uscii dal portone del piccolo condominio e girai a destra. Una pioggerellina sottile e ghiacciata aveva cominciato a cadere e io camminavo veloce, rasente il muro per non bagnarmi, con il solo desiderio di rientrare a casa e continuare a leggere. Finalmente arrivai davanti al negozio, l’insegna con la scritta alimentari era un po’ sbiadita e un neon che funzionava a intermittenza la rendeva alquanto sinistra. Spinsi la porta del piccolo negozio ed entrai, una signora stava parlando con la ragazza al di là del bancone, un profumo delizioso solleticò immediatamente le mie narici, erano quasi le cinque del pomeriggio, ora di merenda. Mi guardai intorno, nel banco frigo di fronte a me una moltitudine di formaggi di ogni tipo e stagionatura faceva bella mostra di sé, accanto gli insaccati, pronti per essere tagliati nella affettatrice. Alle mie spalle alcuni scaffali con i prodotti più disparati, dalla pasta, ai biscotti, alle merendine e poi barattoli di pelati, pacchi di zucchero e in basso, per terra, persino detersivi per i piatti, per la lavatrice e saponi liquidi per le mani. Ero ancora intento nell’osservazione di quel negozio che vendeva i generi più disparati di articoli che una voce dolce mi riscosse.

    «Ciao, di cosa hai bisogno?» Alzai lo sguardo e la vidi. Bella come il sole, lunghi capelli lisci e neri come il petrolio e occhi celesti. Un sorriso dolce e malizioso allo stesso tempo, a occhio aveva probabilmente almeno dieci anni più di me. Ma io ne rimasi folgorato in ogni caso. La mia lingua divenne felpata e sembrava essersi incollata al palato. Non riuscii a rispondere con una frase di senso compiuto. Laura, questo il suo nome, prese dalle mie mani la lista del nonno e iniziò a riporre tutto dentro una busta. Io ero come inebetito, la guardavo, il cuore mi batteva forte e un languore fino a quel momento sconosciuto mi pervase da capo a piedi.

    «Quale tipo di mortadella vuoi? Quella con i pistacchi o quella senza?» la domanda, banale nel suo genere mi prese alla sprovvista, aumentando ancora di più la sensazione di imbarazzo.

    «Ma veramente non lo so…» balbettai.

    «Facciamo così, ti do quella senza e la prossima volta fatti dire quale preferite.»

    «Va… va bene, grazie» balbettai di nuovo.

    Laura controllò di aver messo tutto ciò che era nella lista e batté lo scontrino. Pagai e uscii con in mano il sacchetto. Ero rosso come un peperone, tornai a casa velocemente, ancora incapace di capire cosa mi stesse succedendo.

    Il mio unico pensiero incentrato sulla frase di Laura: La prossima volta. Dentro quelle tre parole era nascosta la certezza che l’avrei rivista.

    «Andiamo, muoviti!»

    Stefano è agitatissimo, quando si tratta di calcio, lui letteralmente non capisce più niente. Arriviamo al campetto, la poca erba è secca, in molte zone del campo manca ma a noi poco importa. Qualcuno ha già provveduto a segnare i limiti delle porte con delle felpe e le squadre sono pronte per giocare. Alla fine di una partita faticosa la nostra squadra ne esce vincitrice, e il campetto per tutta la prossima settimana è nostro.

    «Ste, io vado a fare merenda. Vieni?»

     Stefano mi guarda con aria sorniona, gli occhi ridotti a una fessura.

    «Laura?»

    Non dice altro, ma al solo pronunciare quel nome divento rosso. Lui scoppia in una delle sue grasse risate, consapevole di avermi messo in imbarazzo. Sa benissimo che ogni scusa è buona per andare al negozio di alimentari o anche solo per passarci davanti e buttare un occhio per vederla. Ero arrivato a cambiare percorso quando tornavo da scuola solo per intravederla attraverso la vetrina. Qualche volta quando in negozio non c’era nessuno, stava sulla soglia a fumare una sigaretta e allora avevo anche la fortuna di poterla salutare o scambiare due chiacchiere. Lei mi trattava come se fossi il suo fratellino minore, data la differenza di età ma a me non importava. Il panino con la mortadella, rigorosamente con pistacchi era diventato la mia merenda preferita e ogni scusa era buona per farmi mandare dal nonno a fare la spesa. Lui dall’alto della sua esperienza aveva capito che dietro a tutta quella disponibilità doveva esserci altro e mi guardava con l’aria di chi ha capito tutto. Ora che avevo preso un po’ confidenza con lei, non balbettavo più ed ero in grado di fare anche discorsi sensati.

    «Riki, vengo con te solo a patto che tu mi offra il panino con la mortadella.»

    «Ci sto, mi sembra ragionevole.»

    Mentre ci incamminiamo verso il negozio, Stefano mi racconta della sua ultima conquista femminile, una ragazza bellissima.

    «Pensa, ha un anno più di noi ma ha detto che non le importa perché io le piaccio troppo» dice gongolando, come un novello Rodolfo Valentino, a cui nessuna riesce a resistere.

    E mentre mi spiega, in maniera molto particolareggiata come abbia fatto per conquistare quella ragazza, arriviamo in prossimità del negozio. Laura è sulla soglia, ma non è sola. Con lei c’è un ragazzo. Alto, moro, capelli ricci e occhi verdi. La guarda dritta negli occhi mentre parlano, lei la solita sigaretta tra le dita della mano destra, lui in posa da figo, è appoggiato a una moto Enduro che definire splendida è riduttivo. Non le toglie gli occhi di dosso e all’improvviso lei scoppia a ridere. Lui le cinge i fianchi e l’attira a sé. Ridono ancora, poi lui le prende il viso tra le mani e la bacia. Un bacio vero, appassionato a cui lei risponde con la stessa enfasi. Le gambe iniziano a tremarmi e mi sento mancare la terra sotto i piedi. Stefano mi guarda con sguardo vacuo, capisco che c’è rimasto male per me, perché è come un fratello e mi vuole bene.

    «Andiamo» mi dice tirandomi per un braccio. Mi sento come se fossi dentro una bolla, incapace di reagire agli stimoli. Poi, all’improvviso realizzo. Nei miei dodici anni di vita non credo di essere mai stato male come sto adesso. Se questa è una faccia dell’amore, ho deciso che non mi innamorerò mai più.

    Stefano mi accompagna a casa. Entro sbattendo la porta e non rispondendo al saluto di nonno. Vado dritto in camera mia e chiudo la porta. Mi butto sul letto e fissando il soffitto, prometto a me stesso che in quel negozio non avrei mai più messo piede.

    ***

    Tornare nel paese dove sono nato e cresciuto dopo tanti anni mi emoziona. Dopo le medie ho frequentato il liceo scientifico in città e poi mi sono trasferito definitivamente all’estero quando ho iniziato l’università. Cammino per le strade, faticando a riconoscere i luoghi, tanto sono cambiati. Il campetto dove ho passato interi pomeriggi a giocare a calcio con Stefano e gli altri ragazzi è sempre lì anche se ora mi sembra quasi si sia ristretto, lo ricordavo molto più grande. O forse è proprio vero che da bambini la percezione delle dimensioni è completamente diversa. Alcuni prati non ci sono più e hanno lasciato spazio alla costruzione di altre case. Continuo a camminare senza meta e senza sapere come, mi ritrovo nella strada dove c’era l’alimentare. Ricordo bene quanto ho sofferto per Laura, per quell’amore platonico che ora so per certo non sarebbe mai potuto sfociare in qualcosa di concreto. La mia prima vera cotta e la mia prima cocente delusione. Il negozio non c’è più da tanto tempo, si vede dallo sporco e dalla ruggine che si sono accumulate sulla serranda abbassata. Chiudo gli occhi per un attimo e nella mia mente vedo il sorriso luminoso di Laura e mi pare quasi di sentire il profumo delizioso del panino con la mortadella coi pistacchi.

    Una voce mi riporta alla realtà.

    «Riccardo?» Mi volto e la vedo. È invecchiata ma è lei. È sempre bellissima, i capelli hanno qualche filo bianco che le danno un tocco di fascino in più. Mi abbraccia con affetto. Mi volto verso la serranda abbassata e per un attimo vedo un ragazzino con gli occhi sognanti intento a sbirciare dentro un negozio: "DA ROSA – LA REGINA DELLA MORTADELLA".

    Da Rosa la regina della mortadella

    Wilma Avanzato

    Bella e prosperosa, morbida ma non grassa, tutte le mattine alle otto Rosa attraversava con passo fiero, su un paio di scarpe dal tacco altissimo, la piazza della chiesa. Arrivava davanti alla serranda della sua salumeria e, con una forza da uomo, la tirava su. Entrava e, prima ancora di accendere le luci, indossava il suo grembiule candido, per essere pronta a servire le prime massaie che si apprestavano a fare la spesa.

    Il suo negozio era il più frequentato di quella piccola cittadina di provincia. E non solo per i salumi che penzolavano appesi in bella mostra nella vetrina o per quelle invitanti mortadelle che sembravano sorridere appoggiate sul tagliere o già posizionale sull’affettatrice a manovella… no… si andava da Rosa anche per fare due chiacchiere, per scoprire nuove ricette, per assaggiare una fettina di quella squisita mortadella menzionata nell’insegna prima di ordinarne due etti da portare a casa.

    Del resto lei era sempre gentilissima e aveva una buona parola per tutti.

    «Buongiorno signora Ciampoli. Oggi la vedo proprio bene. Il dolore al ginocchio le sta dando un po’ di tregua?»

    «Signorina Gisella… la sua mamma mi ha detto che presto lei convolerà a nozze con il figlio del dottor Giusberti. Oh, come sono felice…»

    «Teresina cara… siamo diventate nonne per la terza volta! Allora, come lo abbiamo chiamato questo nuovo erede?»

    E così nella salumeria tutte le donne di sentivano a proprio agio, dalla madre di famiglia con un figlio al collo e l’altro per mano… alla madama tutta ingioiellata che sottolineava di essere lì a fare la spesa solo perché quel giorno la servitù non era potuta uscire… dalla massaia che, a testa

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