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Off Limits: Harmony Privé
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E-book234 pagine3 ore

Off Limits: Harmony Privé

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Info su questo ebook

Un corpo da trattare con cautela. In una passione bruciante, rimanere scottati è un sottile piacere.

Cosa fare quando il tuo capo, sexy come il peccato, ci prova spudoratamente con te sul posto di lavoro? Gemma Picton non ha alcun dubbio: ogni lasciata è persa e così, dopo alcune timide e poco convincenti resistenze, decide di lasciarsi andare tra le braccia di Jack Grant. Ma una notte tira l'altra e quando gli straordinari si trasformano in bollenti incontri a luci rosse, Gemma si rende conto che la realtà supera di gran lunga ogni sua più eccitante fantasia.
LinguaItaliano
Data di uscita20 set 2018
ISBN9788858991305
Off Limits: Harmony Privé

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    Anteprima del libro

    Off Limits - Clare Connelly

    successivo.

    Prologo

    «Il Primo Ministro sarà qui tra dieci minuti.»

    Jack annuisce, senza mostrare la benché minima reazione alla notizia. D'altronde, niente di Jack Grant è come te lo aspetti. Un investitore/filantropo/multimiliardario bello come un Dio greco si può permettere di non lasciarsi intimidire dai pezzi più grossi dell'establishment, di fregarsene delle formalità e delle apparenze. E lui lo fa in un modo adorabile, peraltro.

    La scena è questa: Jack, a letto, nudo come mamma lo ha fatto, mentre avrebbe dovuto trovarsi nel suo ufficio almeno da un'ora. Incurante del fatto che dalla mia posizione posso ammirare gran parte del suo delizioso fondoschiena. Uno spettacolo che mi accende dentro un fuoco ardente...

    «Per fare cosa...?»

    Biascica pigramente, mentre si gira adagio e mi trapassa con quegli incredibili occhi verdi. La voce dallo spiccato accento irlandese mi ricorda quella di Colin Farrell dopo una notte di fumo e di baldorie. Roca. Profonda. Gutturale.

    «Per partecipare a The British Bake Off. Ma secondo te cosa viene a fare?»

    Alzo gli occhi al cielo. Dopo sei mesi di estenuanti trattative per l'acquisto di un enorme appezzamento di suolo coltivabile di proprietà della Corona, si è scomodato addirittura il Primo Ministro per cercare di concludere.

    Lui aggrotta la fronte. «Be', la ricetta di una torta nuova può sempre fare comodo.»

    «E tu ce l'hai?»

    «Come no?»

    Lui accenna un sorriso. Quel sorriso malandrino e ammaliatore che ormai conosco bene; non gli serve altro per portarsi a letto tutte le donne che vuole. Cadono ai suoi piedi prima ancora di soffermarsi ad ammirare quel corpo statuario, di considerare il suo conto in banca. La sua posizione.

    «Ora i minuti sono diventati nove» gli ricordo.

    Il sorriso si allarga sul viso cesellato. E il mio cuore manca un battito. Lo ignoro. Stupido, stupido cuore!

    «Hai prenotato per Sidney?»

    «Ovvio.»

    Solleva un sopracciglio di fronte al mio tono impaziente, come per rimproverarmi; si stira nel letto, solleva un braccio sulla testa mostrandomi il corpo magnifico. «E Amber...?»

    Non vorrei sbuffare, ma quando sai che stai per incontrare il Primo Ministro, dovresti scattare sull'attenti. Ovviamente Jack non la pensa così. «È tutto sotto controllo.»

    La sorella di Lucy si è presa un anno di aspettativa dal lavoro – è dirigente presso una grossa banca – per seguire lo start-up della Fondazione. Oltre ad avere tutte le competenze giuste, è fortemente motivata.

    «Mentre parliamo, è in partenza da Edimburgo.»

    Magnanimamente, Jack concede un lieve cenno di assenso.

    «Sul serio, Jack. Otto minuti. Datti una mossa, forza.»

    «Ehi, che maniere! Ti sei alzata col piede sbagliato stamattina.» Si fa scorrere una mano sul torace attirando la mia attenzione sui solchi decisi degli addominali, i muscoli lisci e scolpiti. Sento la bocca che si inaridisce.

    «Neanche per sogno.»

    «Eppure sei più scorbutica del solito» mi provoca.

    Serro le labbra, spazientita. Ha ragione, tanto per cambiare. Stamattina mi è arrivato l'Invito. Quello che ricevo ogni anno e che mi convoca formalmente a presenziare all'anniversario di matrimonio dei miei.

    Che strazio!

    È un appuntamento fisso, a cui vorrei tanto sottrarmi perché mi costringe a guardarmi allo specchio. Quell'unica volta all'anno in cui i miei mi richiamano all'ovile, ricordandomi che, indipendentemente da quello che faccio da un punto di vista professionale o personale, sono e sarò sempre Gemma Picton.

    Lady Gemma Picton.

    Mi si accappona la pelle al solo pensiero!

    «Siediti, forza. Sputa il rospo.»

    Batte una mano aperta sul materasso, e io alzo di nuovo gli occhi al cielo sperando che non capisca quanto sarei tentata di adagiarmi sul materasso vicino a lui. E non per parlare!

    Per una volta, provo a immaginare cosa succederebbe se cedessi a questa specie di corrente elettrica che si accende tra noi in certi momenti...

    Ma no, non potrei mai. Per quanto sia l'affascinante, indiscusso protagonista delle mie fantasie più infuocate, Jack Grant è off-limits.

    «No, grazie.»

    «Che cos'hai?»

    «Ma niente. È una faccenda personale» taglio corto.

    Lui si stringe nelle spalle. Nei suoi occhi però si accende un guizzo di curiosità: una curiosità che devo ignorare. Come il desiderio. La brama. La voglia di osare.

    Nel nostro rapporto ci sono dei confini che non dobbiamo, non possiamo superare.

    Jack scosta il lenzuolo, scoprendo il tatuaggio che, partendo dall'incavo della schiena, gli percorre un fianco per poi arrestarsi all'inizio della gamba. Sarà stato doloroso realizzarlo, specie sulla pelle delicata che scende fino all'inguine.

    Una volta gli ho chiesto come gli era saltato in mente di farselo fare. La sua risposta? Mi era sembrata un'idea grandiosa, all'epoca.

    Farsi vedere nudo da me? Non gliene importa un accidenti. Non è la prima volta e sicuramente non sarà l'ultima. Certi giorni mi chiedo se lo fa apposta per provocarmi, per vedere se riesce a suscitare in me una qualche reazione.

    Poiché è il mio datore di lavoro, ci sarebbero tutti i presupposti per denunciarlo per molestie.

    Solo che non è così. Perché non mi sento molestata.

    La cosa mi diverte. E tanto vale riconoscerlo: mi eccita da morire.

    Lavoro per Jack da due anni e lo avrò visto nudo almeno una volta alla settimana, quindi a occhio e croce mi sarò goduta lo spettacolo un centinaio di volte.

    Prima non era così, credo. Perché prima c'era lei.

    Lucy.

    Sua moglie.

    Ma lei si è ammalata, è morta, e due mesi più tardi sono arrivata io. E Jack era già così: un bel tenebroso con lo sguardo cupo, un uomo provato da una terribile tragedia, ma anche affascinante e incredibilmente sexy.

    Questa sua abitudine di portarsi a letto tutte le ragazze che gli capitano a tiro è cominciata dopo Lucy. E tutto lo Scotch che tracanna ogni sera fino ad annebbiarsi la mente... forse il suo intento è quello di punirsi.

    Perciò, per quanto mi senta attratta dal suo magnifico corpo, mi convinco che devo limitarmi a guardare, senza toccare.

    Come quando la nonna mi portava a fare shopping nel suo negozio preferito di Portmeiron, e io restavo ore e ore ad ammirare le incredibili composizioni di piante e fiori esposte senza mai poter allungare una mano per sfiorarle.

    Perché toccarle avrebbe potuto danneggiarle. E sì, so bene che toccare Jack potrebbe finire per danneggiare soprattutto me.

    «Ti stai godendo il panorama?»

    Una chiara provocazione. Oh, lui è bravissimo a provocare.

    «No.» Gli rivolgo un sorriso edulcorato. «Sette minuti.»

    Mi giro sui tacchi ed esco, continuando a sorridere mentre ignoro il calore del desiderio inequivocabile che si accende in mezzo alle gambe.

    Gemma mi fissa in un modo...

    Sarei davvero tentato. Non so cosa mi trattiene dal saltarle addosso. È una sorta di istinto animalesco che mi si accende dentro. Un po' come Tarzan con Jane: mi piacerebbe prenderla di forza e attirarmela addosso.

    Niente preliminari. Niente paroline dolci.

    Farla mia, subito. Selvaggiamente.

    Nella mia fantasia, non ha le mutandine sotto il vestito e ha lasciato il cervello fuori dalla porta. Perché la conosco: nella realtà, Gemma mi elencherebbe mille ragionevoli motivi per cui non dovremmo fare sesso.

    Stanotte è stato bello. Cioè, almeno all'inizio.

    Ma la ragazza che mi sono portato a casa... Rebecca? Rowena? E chi si ricorda come diavolo si chiama? Sì, insomma, comunque parlava troppo.

    Voleva moine, smancerie. Coccole e carezze.

    Io volevo farmela e basta.

    Perciò le ho dato i soldi per pagarsi il taxi e l'ho accompagnata alla porta.

    E ora, arrapato da morire, devo vedermela con la mia segretaria – Gemma non sopporta di essere definita così, e a maggior ragione io mi diverto a farlo, sebbene sia in realtà, a tutti gli effetti, una consulente a tempo pieno... – che sembra essere diventata la protagonista delle mie fantasie erotiche.

    Ma quando diavolo è successo?

    Continuo a lambiccarmi il cervello, cercando di individuare il momento in cui ho smesso di limitarmi a osservarla e ho cominciato ad ammirarla. Ho smesso di guardare con distacco i seriosi tailleur che porta al lavoro e ho cominciato a chiedermi quanto tempo ci avrei messo a strapparglieli di dosso.

    Poi mi dico che no, non è successo un giorno in particolare; non è scattata una molla, non si è acceso un interruttore. È stato più... uno sguardo, come quello che mi ha rivolto mentre saliva sul mio elicottero, in Spagna. O una risata, a cena. O la volta in cui l'ho sorpresa a canticchiare a bocca chiusa mentre guardava fuori dalla finestra, persa nei suoi pensieri.

    E la sera del blackout, in ufficio? Siamo rimasti bloccati in ascensore per quasi un'ora, e alla fioca luce della lampadina di emergenza quel corpo curvilineo avrebbe tentato persino un santo. E io non lo sono mai stato. Un santo, intendo.

    Quando sono venuti a tirarci fuori, stavo giusto pensando di possederla sulla moquette dell'ascensore, senza pietà.

    Sì, sarà stato allora che ho capito di essere spacciato.

    Una relazione stabile?

    Per carità, non mi interessa. Ma voglio andarci a letto. E penso che lei ci starebbe. Ho notato il modo in cui quegli occhi ambrati si abbassano, scendendo in mezzo alle mie gambe, quando crede che stia guardando altrove.

    L'ho notato eccome.

    1

    È come se fosse nuda.

    Il vestito è talmente attillato che le si incolla addosso come una seconda pelle. Di un rosso acceso. Scollato. Spalline invisibili. Cortissimo. Non in modo indecente ma... per la miseria! Lascia in mostra quelle gambe talmente lunghe e lisce che non è possibile guardare altrove!

    Non c'è paragone con le altre donne presenti; il che è tutto dire, visto che in sala è riunita la crème de la crème di Londra. Ci sono top model, attrici, cantanti, atlete e naturalmente molte di quelle splendide donne che, accalappiato un marito ricco, trascorrono le loro tediose giornate sperperando il denaro dell'amato coniuge come fosse una missione.

    E poi c'è Gemma.

    I capelli biondi semplicemente raccolti dietro la nuca, il viso serio, la serica pelle di un corpo che vorrei vedere, sentire avvinghiato al mio.

    Deve aver detto una battuta, perché il tizio che è con lei si sporge in avanti ridendo. Chi diavolo è? Il suo accompagnatore?

    Mi acciglio e la fisso di traverso. Si è portata qualcuno? Tecnicamente, è venuta ad accompagnare me, il suo datore di lavoro. Vederla con un altro uomo suscita in me una strana reazione, non del tutto piacevole. Risveglia un impulso possessivo, mi manca il fiato.

    Prendo due flûtes di champagne dal vassoio di un cameriere di passaggio e attraverso la sala. Diverse persone cercano di attrarre la mia attenzione, ma le ignoro. Non ora: non ho tempo.

    Vado dritto verso Gemma.

    «Jack...»

    Sorride appena, vedendo che mi avvicino: i suoi occhi cambiano espressione in maniera impercettibile. Com'è possibile aggiungere una nota di irritazione in un gesto così semplice, mentre il viso deliziosamente simmetrico si apre in un sorriso?

    Le consegno il bicchiere di champagne e, mentre lei lo prende, le sue dita si chiudono leggere sulle mie. Immediatamente le sposto con la mente su un'altra parte del mio corpo.

    «Rammenti Wolf DuChamp?» dice. «Dirige la nostra filiale di New York.»

    Ricordo quello stupido nome, ma non l'uomo. Anonimo. Biondo. Faccia da bamboccione. Aria da primo del suo corso all'università. Il classico secchione.

    «Come no?» Stendo la mano. So che c'è un'etichetta da rispettare anche quando il mio corpo è focalizzato su Gemma.

    «Lieto di rivederla, signore.»

    Gemma trattiene un risolino. Sa che odio sentirmi chiamare signore. Spunta dal nulla un'immagine di lei che mi chiama così, inginocchiata davanti a me: percorre tutto il mio corpo risalendo con gli occhi fino a fissarli nei miei, e intanto si accinge a prendermi in bocca.

    Be', sì, in certe circostanze sarei disposto a fare un'eccezione...

    Che diavolo mi prende? No, dico, va bene avere certe fantasie, ma con Gemma no. Non può succedere e basta.

    Non può e non deve. Devo ficcarmelo in testa una volta per tutte.

    «Stavo giusto spiegando a Gem il nuovo software che pensiamo di installare.»

    Ho capito: vuole farmi incazzare. Prima si mette a parlare di software mentre mi abbandono a una delle mie deliziose fantasie. E poi chiama Gem la mia assistente. Come fossero amici da sempre.

    «Dopo ti spiego» interviene lei, avvertendo la mia irritazione, ma di certo senza sospettarne il motivo.

    «Ci snellirà di molto il lavoro» insiste Wolf.

    Gem ruota appena su se stessa, dandomi le spalle e la possibilità di scappare. «Occorre valutare la fattibilità della sua applicazione da tutti i punti di vista. Innanzitutto, dovremo assicurarci che i dati non vadano persi nel trasferimento da un sistema all'altro. Parliamo di una mole non indifferente di dati sensibili, che tra l'altro devono essere protetti: non possiamo rischiare che vengano intercettati dai nostri concorrenti.»

    «Ho pensato anche a questo» replica Wolf.

    E io sono fuori dalla conversazione, a quanto pare.

    Dall'altra parte della sala, una bionda platinata con una scollatura mozzafiato e un paio di gambe interminabili cerca di catturare la mia attenzione.

    Voglio Gemma, ma non posso averla. Non sono il tipo da crogiolarmi nell'autocommiserazione.

    E ci sono tante belle donne in giro.

    Quando mi va di farmi una bella scopata, ho due regole che osservo religiosamente.

    Niente legami.

    Niente rosse.

    L'unica relazione che abbia mai avuto è stata con Lucy, mia moglie. E lei aveva i capelli rossi.

    Un senso di gelo scende su di me. Un'immagine di Lucy mi appare davanti. Ha il viso accigliato: non approva. Me la sono spassata alla grande prima di lei, ma mai così. Ora non ho alcun freno e non mi faccio scrupoli.

    Ma la disapprovazione di Lucy mi disturba.

    Anche da morta, non voglio farla soffrire.

    Che ti aspettavi, Lucy? Hai lasciato un gran vuoto. Impossibile riempirlo.

    Troppo facile dare la colpa a me, mi pare quasi di sentirla rispondere. È la tua vita e sei tu a decidere come viverla. Prenditi le tue responsabilità.

    Ha ragione.

    I miei occhi tornano inspiegabilmente a cercare Gemma.

    Ha chinato la testa, e le dita di Wolf si muovono frenetiche sulla tastiera del suo cellulare. Lei annuisce, sorride, poi gli posa una mano su un braccio.

    Mi si contorce lo stomaco in preda a un'emozione che non so definire ma che non vorrei provare.

    Mi avvio deciso verso la bionda come se fosse l'unica donna presente in sala.

    «Jack Grant» mi presento.

    Ha un rossetto vistoso, scintillante sulle labbra che si distendono in un sorriso. Ammicca. «Lo so.»

    «Allora sei in vantaggio. Io non so chi sei tu.»

    Il suo sorriso si allarga. «A quanto ho sentito, dirti il mio nome sarebbe inutile. Tanto domani non te lo ricorderai neanche, giusto?»

    Rido. L'onestà è una dote che apprezzo. «In effetti è probabile.» Mi sporgo fino a sfiorarle un orecchio con le labbra. Il mio respiro le accarezza i capelli e le provoca un brivido lungo il collo. «Ma tu ti ricorderai di me per tutta la vita.»

    Lei emette una risata squillante. È tutto quello che di solito considero sexy, eppure in questo momento le darei appena la sufficienza. Lo confesso: mi annoio. È tutto troppo facile. Troppo scontato. Ti fai avanti, una battutina allusiva in un orecchio, e loro ci stanno.

    Alla fine è un modo come un altro per accendere una serata noiosa. Piatta.

    «Questo lo vedremo...»

    «Ti prendo qualcosa da bere?»

    «Bevo un goccio di questo, magari» mormora lei, abbassando gli occhi sul mio champagne.

    Non ricordavo nemmeno di averlo ancora in mano. Istintivamente glielo passo, osservo quelle labbra rosse che si richiudono sul bordo del bicchiere, il liquido chiaro pieno di bollicine che le scivola nella bocca socchiusa.

    Lei mi ripassa il bicchiere e bevo un sorso.

    «Andiamo via» propone la ragazza.

    Io annuisco. Le poso una mano sull'incavo della schiena, pronto ad assecondarla.

    Di nuovo un'altra immagine, un'epifania. Questa volta le donne sono due: Lucy e Gemma. Per la prima volta, ci sono entrambe. Insieme. Si stanno coalizzando contro di me?

    Ma se non si sono mai conosciute! Forse non si sarebbero nemmeno piaciute. Non sarebbero andate d'accordo, diverse com'erano.

    Lucy dolce, remissiva, fragile. Mi guardava come fossi il suo cavaliere senza macchia e senza paura, e forse lo sono stato. L'ho salvata dalla sua vita di prima, portandola via a un uomo che la massacrava di botte, e ho realizzato tutti i suoi desideri.

    Ma il destino sa essere crudele, e con Lucy si è proprio accanito. Per un po' lei si è illusa di avere trovato una felicità che non

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