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L'intervallo che non ti aspetti
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E-book147 pagine2 ore

L'intervallo che non ti aspetti

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Info su questo ebook

La pandemia crea una situazione imprevista. Margherita non aveva mai riflettuto a come si svolgeva la sua vita. Uguale a tante altre e basta, credeva. Chiusa in casa ha il tempo di pensarci.

Da qualche anno vive con lei il suo fidanzato in un confortevole appartamento nel centro storico di Torino. Edo durante la settimana, in realtà, sta a Milano dove lavora e torna al venerdì. Il suo ufficio è stato chiuso e, per fortuna, non andrà a Milano durante la settimana, lavora a distanza, come lei del resto. Dunque si troveranno loro due soli fra quattro mura 24 ore su 24. Quella casa graziosa e molto amata non diventerà piccola all’improvviso? E la loro coppia reggerà a una convivenza così esclusiva?

Margherita è legatissima a un gruppo di amici, anche il suo compagno fa parte di loro. Tuttavia, più taciturno e introverso non ne sentirà la mancanza quanto lei. Più niente aperitivi in massa, più niente montagna o mare tutti insieme, viaggi nei fine settimana, feste. I ritmi fra lavoro e sport erano molto sostenuti prima della pandemia. La paura aumenta, molta paura. La situazione infatti, malgrado la chiusura, peggiora, il Piemonte è fra le regioni più colpite. L’ansia e il timore la fanno pensare ai suoi genitori, a suo padre che ha più di 70 anni. Passa in rassegna nella sua mente le sorelle, i cognati, i nipoti e l’allegria dei pranzi con tutta la famiglia.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2020
ISBN9788831687546
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    Anteprima del libro

    L'intervallo che non ti aspetti - Margherita Sciaulino

    Luciana

    Oggi è venerdì 13 marzo. Sono cinque giorni esatti che la nostra vita è completamente cambiata o meglio, si è fermata. Un virus che fino a un mese fa ci sembrava solamente un problema lontano della Cina, è arrivato nel nostro paese e ci ha messo in ginocchio. Si chiama Coronavirus o anche chiamato Covid 19.

    Non è solo da cinque giorni che questo virus è entrato nel nostro Paese, sono almeno tre settimane ormai che se ne parla e che si prendono precauzioni. Ma nessuno di noi prima di domenica scorsa se n’era veramente reso conto. Se solo penso che lo scorso weekend eravamo undici amici ai Monti della Luna, tutti seduti uno a fianco all’altro, a ridere e scherzare, ad abbracciarci come se nulla fosse, sicuri di essere lontani dal pericolo. Siamo andati a sciare, abbiamo pranzato in una baita fuori al sole bevendo e mangiando come abbiamo sempre fatto in una giornata di sci tra amici. Alcuni di noi erano arrivati da Milano (oggi zona rossa) ed altri da Torino. Abbiamo trascorso tutto il week-end a parlare del virus, cercando di non farci prendere dal panico, ma soprattutto ne abbiamo parlato come se non potesse riguardarci direttamente. Domenica sera i telegiornali hanno trasmesso delle notizie molto più forti e impressionanti, facendoci capire che eravamo tutti in pericolo e che dovevamo rimanere chiusi in casa. Ed è stato solo allora che ci siamo resi conto che questo virus ci riguardava tutti, dal primo all’ultimo.

    Ma qualcosa dava ancora una parvenza di normalità, come la partita tra Juventus e Inter, disputata a porte chiuse, ovviamente. Nonostante questo, però, i giocatori erano lì, nel pieno delle loro forze a tirarsi il pallone e a correre per cercare di segnare un goal. Tra l’altro finalmente una bella partita della Juventus, cosa che non succedeva da parecchio tempo e che ci rallegrò la serata. Quattro giorni dopo, Rugani, difensore della Juventus, è risultato positivo al Coronavirus e tutta la squadra, compre sa la dirigenza, è entrata in quarantena. Incredibile. Questa settimana tutte le attività sportive, giorno dopo giorno, sono state sospese e non si sa quando riprenderanno. Il governo ci ha proibito di uscire di casa e andare nei luoghi pubblici che peraltro da lunedì hanno deciso di chiudere, uno dopo l’altro. Le strade si sono svuotate, i supermercati sono stati invasi da persone munite di mascherine che hanno fatto provviste come se dovessero partire per star via un mese. Di colpo, eravamo tutti segregati in casa senza possibilità di poter far niente.

    Quanto può essere assurdo sapere che l’unica cosa che si può fare è rimanere chiusi dentro casa propria? Limitarsi a non fare assolutamente niente, in un mondo in cui ormai siamo tutti abituati ad avere almeno cinque programmi diversi al giorno.

    Credo sia necessario fare una premessa logistica prima di descrivere una mia giornata:

    I genitori di mio padre, davvero tanti anni fa, (se penso che mio nonno è nato alla fine del 1800) comprarono una bella casa in corso Moncalieri. Divisero il palazzo in tanti grandi appartamenti. Io sono cresciuta al terzo piano con i miei genitori, e per pochi anni, anche con le mie sorelle. A mia sorella Fede è spettato l’appartamento al piano terra e a mia sorella Bene, sempre al piano terra, l’appartamento di fianco, dove ha aperto il suo centro di Pilates. Lei invece abita in un’altra casa non lontana. Nel seminterrato c’è l’ufficio diretto da mio padre dove lavoriamo io e mia sorella Federica. Il primo piano l’abbiamo sempre affittato, mentre al secondo, in un appartamento vive mia cugina, e nell’altro vive mio zio con la sua compagna. Io abito in via della Rocca, una strada del centro appena attraversato il fiume.

    Sono una ragazza comune come mille altre, se io stessa mi soffermo un attimo a pensare a un mio solito lunedì, prima del Coronavirus, realizzo che si svolgeva nel seguente modo:

    Mi alzo, ascolto il telegiornale delle 8 facendo colazione, mi lavo mi vesto e alle 9 al massimo sono in ufficio. Alle 10:30 andiamo al bar di fronte a casa a prendere il caffè e a farci due chiacchiere con Pietro e Rosetta, i gestori del bar davanti che sanno sempre regalarci cinque minuti di risate e leggerezza, loro sono sempre di buon umore, qualsiasi giorno della settimana, e questa devo dire, è una caratteristica che va veramente apprezzata.

    Dopodiché rimaniamo in ufficio fino all’una meno venti, orario in cui di solito vado al Royal, il circolo di tennis dove siamo iscritte sia io che mia sorella Federica. Spesso mi faccio una corsetta di 45 minuti o se trovo qualcuno che ha voglia di giocare un’ora a tennis gioco un’ora fino alle due. Mi faccio la doccia li (di corsa) e dopo corro a casa a mangiare per cercare di non tornare in ufficio dopo le tre. Alle 16:30 vado spesso a prendermi un caffè su, a casa dai miei genitori, e alle 16:50 vado al Laboratorio del movimento. Dalle 16:50 alle 19 sto lì, rispondo al citofono, rispondo al telefono, segno o cambio gli appuntamenti dei clienti che chiamano o che mandano le e-mail e mi occupo di aggiornare i social network del centro (Instagram e Facebook). Cinque minuti prima delle 19 vado nello spogliatoio e mi cambio per fare anche io Pilates con una mia amica, Giugi. La lezione di pilates dura un’ora, così alle 20 quando abbiamo finito, senza neanche ricambiarci, ci mettiamo la giacca, ci salutiamo a ognuna va a casa propria a mangiare. Di solito il lunedì mangio con Otto, uno dei miei migliori amici, che abita a due isolati da casa mia e ogni tanto viene anche Rich, un altro dei miei migliori amici che però abita più distante quindi non sempre c’è. Abbiamo deciso che il lunedì sera è la serata al Lady’s, che sarebbe casa mia (loro mi chiamano così ormai da anni: Lady). Quindi, una volta arrivata a casa, metto su l’acqua per fargli una pasta o, se ho ancora un po’ di energie, gli faccio il pollo alla soia, che gli piace tanto. Nel frattempo, cerco di darmi una sistemata ma spesso li accolgo ancora vestita com’ero durante la lezione di pilates. Finito di mangiare, ci piazziamo sui miei divani e ci mettiamo un film di solito abbastanza stupido, per farci due risate senza troppo impegno. Alla fine del film di solito sono almeno le 23 o le 23:30 e a quel punto, tornano a casa propria. Tra una cosa e l’altra non sono mai nel letto prima di mezzanotte e spesso devo ancora chiamare il mio fidanzato, Edo, che durante la settimana vive a Milano. Diciamo che alla fine, la luce del comodino la spengo che è mezzanotte e un quarto. Il primo giorno della mia settimana è finito. Ed io, sono stanca solo ad averlo scritto.

    Questo per fare un esempio di quanto la nostra vita sia stata capovolta, completamente ribaltata. Questa casa dove vivo ormai da un anno e mezzo è in via della rocca, la mia via preferita di Torino. L’ho trovata per caso cercando su un sito che si chiama immobiliare.it nel settembre del 2018. È grande all’incirca 70 metri quadri. Credo di non esserci mai stata un giorno intero o forse al limite si, un giorno, fino a prima di questa settimana. I week-end Edo ed io, siamo sempre via, al mare o in montagna o anche solo a casa di amici in giardino nei dintorni di Torino.

    Ora sono cinque giorni che stiamo tutto il tempo dentro questa casa. È carina, veramente carina. Ma se prima la trovavo fin grande per me, ora mi sembra sempre più piccola. Fortunatamente sono fidanzata con Edo da sette anni e mezzo ed è l’unica persona con la quale non mi stufo mai di stare. Questa è veramente una fortuna, perché non ho un carattere facile, me ne rendo conto, e spesso mi stufo di stare anche con i miei più cari amici dopo un po’ di giorni, ma di lui non c’è mai niente che mi dia fastidio al punto di non volerlo vedere. Ma di questo forse ne riparleremo tra una settimana e vedremo se la penso ancora così.

    Ah sì, perché il fatto è che, noi siamo chiusi in casa da cinque giorni ma la situazione pare che resterà così fino al 3 aprile. La cosa assurda è che non possiamo andare da nessuna parte e non possiamo vedere nessuno, soprattutto i nostri genitori. Siamo in una situazione dove nei reparti di rianimazione intensiva degli ospedali non c’è più posto e i dottori si trovano costretti a dover scegliere chi ha più possibilità di sopravvivere, questo vuol dire che mio padre, che ha 74 anni (e già ha i suoi problemi di cuore), in caso di contagio, verrebbe probabilmente lasciato fuori rispetto a un vent’enne in piena salute. Perché quest’ultimo avrebbe più probabilità di guarigione e se non ci fossero davvero più posti disponibili, non avrebbero scelta.

    Ammetto che in questa situazione paradossale, io e le mie sorelle stiamo facendo una piccola eccezione per non impazzire: ci stiamo vedendo a debita distanza nella sala grande del Laboratorio del Movimento, il centro di Pilates di mia sorella Benedetta, per fare ginnastica alla sbarra con la musica. Abbiamo la fortuna di avere uno spazio al chiuso tutto per noi e Bene ci guida negli esercizi da svolgere. Credo di non aver mai apprezzato così tanto un’ora di sbarra come in questa settimana. Ed è incredibile come abbiamo tutti lo stesso sguardo quando ci vediamo e quando ci salutiamo, quasi volessimo abbracciarci con gli occhi. Non mi reputo una persona particolarmente affettuosa, magari più nelle parole o nei pensieri, che nei gesti.

    Oggi ho intravisto anche i miei nipotini Pietro e Leone, (che ino non è più tanto dal momento che ha 15 anni); ne ho altri due: Mattia e Sofia. La voglia di abbracciarli e di baciarli era immensa. Mi sono fermata a pensare cosa passi nella testa di un bimbo come Pietro che ha solo sette anni, o nella testa di Sofia, che martedì prossimo ne compirà cinque. Cosa vuol dire per loro non poter andare a trovare i nonni, non poter andare a scuola a giocare con i loro compagni? Probabilmente loro non lo vedono come un problema e non si fanno le domande che mi sto facendo io. Lo spero tanto.

    Ieri invece siamo usciti per andare nella farmacia che c’è sotto casa mia, non proprio sotto, a quattro isolati da qui, sempre su via della rocca, perché dovevo comprare la pillola. Mentre camminavamo siamo passati sotto casa di Otto che in quel momento era sul balcone a bere un caffè e ci ha visti. Non lo vedevo da domenica, lo so, non un’infinità di tempo, ma quando sei abituato a vedere certi amici tutti i giorni, cinque giorni possono sembrare tantissimi. Si è affacciato dal balcone e ha urlato Lady. Ci siamo salutati tutti e tre ridendo perché per la prima volta, dopo le notizie di domenica sera ci rivedevamo, a quattro piani di distanza. È arrivata anche Nathalie, la sua fidanzata che di solito vive a Milano, ma vista la situazione si è fermata a Torino. Non dev’essere facile per lei. Tutta

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