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La rivincita del paganesimo: Una teoria della modernità
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La rivincita del paganesimo: Una teoria della modernità

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Un viaggio alla scoperta delle radici della nostra identità Quali sono le radici profonde della civiltà moderna? Alcuni anni orsono la Chiesa cattolica domandò all'Unione Europea di riconoscere nella costituzione le "radici cristiane" dell'Europa. La richiesta fu respinta. Il rifiuto opposto dalla quasi unanimità dei paesi europei sta ad indicare non soltanto che viviamo ormai in una società secolarizzata e post-cristiana, ove i seguaci di Cristo sono soltanto un gruppo di cittadini tra gli altri, ma che non è nemmeno così pacifico che i valori e le istituzioni che costituiscono l'ossatura della Modernità siano innanzitutto un'eredità del messaggio evangelico. Questo libro intende dimostrare che, se proprio vogliamo andare in cerca delle radici storiche della Modernità, dobbiamo guardare altrove. Ci sono infatti buone ragioni per interpretare l'emersione della Modernità come una "rivincita del paganesimo". I germi della democrazia, della mentalità scientifica, della libertà di commercio, della tolleranza religiosa, dell'agonismo sportivo, delle belle arti, dell'edonismo, della libertà sessuale, della bioetica laica, e di tanti altri tratti della Modernità, sono infatti più facilmente rintracciabili nel mondo pagano e, in particolare, nella civiltà dell'Antica Roma o dell'Antica Grecia, che non nel Medioevo cristiano. L'AUTORE: Riccardo Campa è un sociologo e filosofo italiano che vive e lavora a Cracovia. È conosciuto soprattutto per i suoi studi nel campo dell'etica della scienza e del transumanesimo e, precisamente, per la sua difesa dell'idea di evoluzione autodiretta. Svolge ricerche sia nella veste di Professore associato di Sociologia della scienza e della tecnica all'Università Jagellonica di Cracovia, sia nella veste di Presidente dell'Associazione Italiana Transumanisti, della quale è fondatore.
LinguaItaliano
Data di uscita12 giu 2015
ISBN9788888943176
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    Anteprima del libro

    La rivincita del paganesimo - Riccardo Campa

    Prefazione

    Luciano Pellicani

    Comitato Scientifico

    Vitaldo Conte - Accademia di Belle Arti, Roma

    Michel Kowalewicz - Università Jagellonica, Cracovia

    Roberto Manzocco - Columbia University, New York

    Luciano Pellicani - LUISS "Guido Carli, Roma

    Salvatore Rampone - Università del Sannio, Benevento

    Piotr Zielonka - Università Leon Kozminski, Varsavia

    Progettazione eBook

    TAAK!BOOK! Digital

    Ringraziamenti:

    Un ringraziamento particolare va ad Alessia Roberta Paola Rinaldi per aver creduto in questo progetto editoriale e ad Emmanuele Jonathan Pilia per aver contribuito in modo decisivo alla sua realizzazione. Un grazie sentito anche a mia madre, Maria Luisa Fioravanti, alla quale devo l’amore per la storia e la cultura – in special modo quella antica e rinascimentale – e a mio padre, Aldo Campa, che mi ha trasmesso l’interesse per i fenomeni politici.

    Copyright © 2015.

    Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione puo essere fotocopiata, riprodotta, archiviata memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo – elettronico, meccanico, reprografico, digitale – se non nei termini previsti dalla legge che tutela il diritto d’autore.

    D EDITORE

    info@deleyvaeditore.com

    www.deleyvaeditore.com

    ISBN 978-88-88943-176

    Non è certo un caso

    che la Chiesa cattolica ha opposto

    una accanita resistenza al processo di secolarizzazione,

    nel quale ha visto

    la rivincita del paganesimo

    o, addirittura, un progetto satanico,

    teso a estirpare la fede

    dal cuore degli uomini

    e a spingere l’Europa tutta verso l’empietà

    Donde la condanna

    di tutti i principi costitutivi

    della civiltà moderna.

    Luciano Pellicani

    Prefazione

    Una decina di anni fa, il cattolico integralista Rodney Stark pubblicò un’opera di dossologia mascherata da sociologia storica nella quale proclamò, con l’arroganza che lo ha sempre distinto, che era giunta l’ora che gli studiosi riconoscessero che il paradigma della secolarizzazione andava portato «al cimitero delle teorie sbagliate». Non pago di ciò, sentenziò con la massima perentorietà che tutti gli elementi essenziali della civiltà moderna – la libertà individuale, la tolleranza, il pluralismo, lo Stato di diritto, la democrazia, la scienza, la rivoluzione industriale, ecc. – sono stati il prodotto del trionfo del cristianesimo.

    Di segno opposto è la tesi che, in questa raccolta di saggi, sviluppa brillantemente Riccardo Campa. Quello della secolarizzazione – egli afferma – è «il problema fondamentale della sociologia». E aggiunge che, per decifrare correttamente il processo di modernizzazione – vale a dire la transizione dalla Città sacra alla Città secolare –, è imperativo partire dalla constatazione che la civiltà europea si è retta per secoli e continua a reggersi su due tradizioni: quella greco-romana e quella giudaico-cristiana; ossia: «Atene e Gerusalemme, l’Accademia e la Chiesa». Una coesistenza che non è stata punto armoniosa, come ha preteso Talcott Parsons. Al contrario, è stata – e continua ad essere – assai conflittuale, poiché i valori cardinali della cultura della Ragione sono antitetici a quelli della cultura della Fede, centrata sul principio secondo il quale «Atene è pestifera per la salute dell’anima» (Gregorio Nazianzeno). Per questo, giustamente, Campa sottolinea con particolare vigore che, oltre ad essere fedele alla Ragione, la tradizione greco-romana è fedele alla Terra, mentre la tradizione giudaico-cristiana è fedele al Cielo.

    La rivincita di Atene su Gerusalemme iniziò con il Rinascimento, il quale – come indica l’etimo della parola – altro non fu che la ri-nascita della cultura greco-romana. Questa – rimasta, per quasi mille anni, come ibernata – a partire dal XIV secolo riemerse, simile a un fiume carsico, e proclamò i diritti e i valori dell’homo naturalis e del saeculum contro i quali l’ethos cristiano – ossessivamente dominato dall’ideale del contemptus mundi aveva lanciato i suoi anatemi. Contemporaneamente, il monopolio clericale del sapere fu infranto e riapparve sulla scena una figura di cui si era perso persino il ricordo: l’intellettuale laico. E riapparve, altresì, quella che Kant riteneva essere l’istituzione fondamentale della civiltà moderna: «l’uso pubblico della Ragione», già sperimentato nell’Atene dei sofisti.

    Che il Rinascimento era una rivincita del paganesimo sul cristianesimo fu prontamente percepito da Lutero e Calvino. Ed esso fu, altrettanto prontamente, stigmatizzato come una cultura che, centrata come era sul recupero della tradizione greco-romana, corrodeva le basi spirituali della Cristianità e spalancava le porte all’empietà. Ultimo rigurgito dello spirito medievale, la Riforma fu una reazione fondamentalista contro il processo di secolarizzazione. Essa cercò di estirpare le due malefiche potenze – la Ragione e Mammona – che stavano allontanando l’Europa dalla Fede. Esattamente il contrario, quindi, di quanto ha sostenuto Max Weber nel suo più famoso – e infelice – libro L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Tant’è che Kierkegaard non avrebbe avuto esitazione alcuna ad affermare che «la filosofia moderna non era né più né meno che paganesimo».

    In effetti, pagana è l’idea della pluralità delle lingue di Dio; pagana è l’idea della piena sovranità della Ragione; e pagana è l’idea che non vi sia altro mondo che quello presente. E la diffusione, silenziosa quanto spontanea, di queste idee ha prodotto una rivoluzione culturale di tali dimensioni e di tale profondità da far emergere – con buona pace di Stark e di coloro che lo hanno preso sul serio – quello che Enzo Bianchi ha descritto come «un novum molto appariscente: la sopravvenuta condizione di minoranza da parte dei cristiani, minoranza numerica di fronte a una gran massa di indifferenti e di agnostici rispetto alla Fede».

    Non diversa la diagnosi dell’attuale stato di salute del cristianesimo stilata dallo scrittore cattolico Simon Hippolyte: «Dal momento che né la fede nella creazione, né la fede nella resurrezione di Cristo sono presenti nella maggioranza di Francesi, è inevitabile concludere che essi non hanno più idea di ciò che è o potrebbe essere la fede in un Dio trascendente. In altri termini, la maggioranza dei Francesi si trova fuori della tradizione giudaico-cristiana, del monoteismo. Non c’è nessuna via di mezzo: se essi non procedono più dal monoteismo, significa che procedono da una forma di paganesimo».

    È accaduto così che, in buona parte dei Paesi dell’Europa occidentale, l’attività legislativa si è completamente emancipata dal Superego giudaico-cristiano: è diventata pienamente autonoma persino sui temi sui quali la Chiesa ha sempre rivendicato un privativa morale: la famiglia, il matrimonio, il testamento biologico, la fecondazione assistita, l’aborto. Donde la conclusione cui è giunto Paul Veyne, la quale coincide perfettamente con quella di Campa: «La nostra Europa attuale è democratica, laica, sostenitrice della libertà religiosa, dei diritti dell’uomo, della libertà di pensiero, della libertà sessuale, del femminismo e del socialismo o della riduzione delle disuguaglianze. Tutte cose che sono estranee e talvolta opposte al cattolicesimo di ieri e di oggi, talché il cristianesimo ha cessato di essere le radici dell’Europa».

    Luciano Pellicani

    La teoria della secolarizzazione di Pellicani*

    1. Modernizzazione e secolarizzazione

    Nella vasta e importante opera sociologica di Luciano Pellicani, c’è in particolare una tesi che a mio avviso merita di essere posta al centro dell’attenzione. Si tratta della sua teoria della secolarizzazione. È una teoria importante, perché il processo di secolarizzazione costituisce un elemento (forse persino l’elemento) fondamentale del processo di modernizzazione.

    Considerando che la sociologia è nata nel XIX secolo proprio per dare ragione del grande sconvolgimento sociale che ha portato l’Europa ad uscire dal Medioevo per entrare nella Modernità, definendo modernizzazione proprio questa specie di mutamento sociale, non è forse esagerato affermare che quello della secolarizzazione è il problema fondamentale della sociologia.

    Il legame forte tra modernizzazione e secolarizzazione è stato studiato in dettaglio da Pellicani¹, ma è stato riconosciuto anche da chi non può essere propriamente definito un laicista. Gianfranco Morra, per esempio, nel definire il concetto di Modernità, sottolinea il legame tra i due processi: «La modernità è un fenomeno unico nella storia del mondo. Prima di essa il passaggio era sempre stato dall’una all’altra epoca religiosa e tradizionale; con la modernità nasce per la prima volta un’epoca storica e secolarizzata»². Analogamente, Talcott Parsons ha distinto le società umane in tradizionali e moderne, mentre Howard Becker – ancora più esplicitamente – ha ridotto la tipologia sociale alle due forme delle società sacrali e secolari. Max Weber ha notoriamente posto in evidenza, insieme al processo di crescente razionalizzazione strumentale, il fenomeno del disincanto del mondo. Anche nel dialogo tra Jurgen Habermas e Joseph Ratzinger, curato da Bosetti, emerge l’idea del forte legame tra modernità e secolarizzazione: «Con secolarizzazione si intende un processo che ha caratterizzato soprattutto i paesi occidentali in età contemporanea e ha portato al progressivo abbandono degli schemi religiosi e di un comportamento di tipo sacrale. Secondo le teorie della secolarizzazione, la modernità si accompagnerebbe inesorabilmente al declino del sacro, il quale sarebbe inversamente proporzionale all’aumento del progresso, alla diffusione dell’istruzione, ai processi di urbanizzazione e industrializzazione»³.

    Morra sottolinea che tutta la sociologia classica è pervasa da questa idea, tanto che essa stessa deve essere vista non solo come lo studio della Modernità, ma come il suo prodotto più maturo: «ultimo succoso frutto della modernità» è infatti «una sociologia forte (Comte, Marx, Spencer, Durkheim), che vuole essere insieme analisi scientifica, progetto politico e religione dell’Umanità. I grandi risultati di potenza e di benessere vanno tutt’uno con l’industrializzazione (passaggio da una civiltà prevalentemente agricola ad una prevalentemente industriale e terziaria), con l’urbanizzazione (trasferimento di grandi masse dalle campagne alle città) e con la secolarizzazione (riduzione della presenza della religione nell’esistenza)»⁴.

    I padri della sociologia, pur individuando un diverso primum mobile del mutamento sociale, hanno tendenzialmente distinto a livello euristico i due piani del mutamento materiale e del mutamento spirituale (della struttura e della sovrastruttura avrebbe poi detto Karl Marx). Hanno posto in evidenza che, nel passaggio dal Medioevo alla Modernità, si è verificato un mutamento radicale tanto nella sfera culturale, dove gli intellettuali laici (filosofi, scienziati, scrittori) si sono sostituiti ai sacerdoti come produttori di conoscenza e di senso, quanto nella sfera materiale, dove gli industriali e i banchieri si sono sostituiti ai militari, ai nobili, ai latifondisti come produttori di ricchezza. L’alleanza oggettiva tra intellettuali laici (sapientes) ed imprenditori (mercatores) ha scalzato gradualmente ed inesorabilmente dal potere i chierici (oratores) e i nobili (bellatores), con la massa dei lavoratori (laboratores) inizialmente esclusa dal novero dei soggetti storici e poi inclusa (spesso strumentalmente) dagli uni o dagli altri.

    In questo solco interpretativo si muove anche Pellicani quando rileva che «a dispetto del fatto che imprenditori e intellettuali non potevano non disprezzarsi reciprocamente, le due forme di ratio quella economica e quella filosofica – sviluppatesi parallelamente all’emancipazione delle città autocefale dai Due Soli – il potere temporale dell’Impero e il potere spirituale della Chiesa – che avevano dominato la scena europea durante i secoli bui dell’Alto Medioevo, finirono per confluire spontaneamente nella più straordinaria delle imprese della civiltà occidentale: la creazione dell’edificio della scienza moderna animata dall’idea che "la verità si fonda direttamente sulla ratio e non sull’auctoritas⁵. Del resto, sulla rivoluzione scientifica come cifra della Modernità insisteranno un po’ tutti i fondatori della sociologia, a partire da Auguste Comte.

    Se questa rappresentazione del passaggio dal Medioevo alla Modernità è generalmente accettata, o poco contestata, dagli studiosi – a prescindere dal loro orientamento politico e religioso –, dove risiede la specificità della teoria di Pellicani? L’originalità di Pellicani risiede nel fatto che, a differenza dei classici della sociologia e dei loro continuatori, egli ha saputo ricondurre la secolarizzazione non già ad un lento processo di maturazione della cultura giudeo-cristiana, quanto ad una prepotente rinascita della cultura pagana, ad una rivincita di Atene su Gerusalemme. Chiameremo dunque teoria esogena quella proposta dai classici – in special modo da Max Weber – perché vuole i germi della secolarizzazione europea provenienti dall’esterno, dall’Asia. Chiameremo invece teoria endogena quella di Pellicani, perché connette causalmente la secolarizzazione europea all’azione di anticorpi autoctoni che rigenerano il disincanto del mondo, assunto come già esistente nell’Occidente antico, attraverso una reazione all’infatuazione mistica proveniente dall’Oriente⁶. Vediamo i dettagli della questione.

    2. La teoria esogena della secolarizzazione

    Le ricostruzioni storiche sono spesso caratterizzate da interpretazioni difformi e conflittuali, nonché da corsi e ricorsi, più o meno ciclici, di certe idee. Era quindi inevitabile che alla pubblicistica illuminista che nel XVIII secolo aveva bollato il Medioevo cristiano come l’età oscura, i secoli bui, lo stato di minorità intellettuale dell’umanità – in breve, un periodo negativo caratterizzato da violenza, superstizione, povertà, malattie, ignoranza, terrore, sottomissione – seguisse una strategia revisionista volta a rivalutare detto periodo. Così, la critica senza appello del Medioevo da parte degli intellettuali illuministi ha poi trovato i suoi revisori nell’ambito della cultura romantica. È in questo contesto di rivalutazione del Medioevo e della religione che si fa largo l’idea che la modernizzazione debba qualcosa al giudeo-cristianesimo. Max Weber afferma perentoriamente che il disincanto del mondo «ebbe inizio con la profezia ebraica antica e che, in unione con il pensiero scientifico greco, rigettò come superstizione ed empietà tutti i mezzi magici di ricerca della salvezza»⁷.

    Weber non porta molte prove empiriche a sostegno di questa tesi, ma la sua autorità accademica e il rispetto di cui gode negli ambienti culturali fanno il resto. Anzi, l’idea viene persino radicalizzata, dato che perlomeno il sociologo tedesco aveva dato ai Greci quello che è dei Greci, mentre i suoi continuatori sottolineeranno quasi esclusivamente l’elemento giudaico-cristiano.

    Scrive infatti Max Scheler: «Il monoteismo creazionistico giudaico-cristiano e la sua vittoria sulla religione e sulla metafisica del mondo antico fu senza dubbio la prima fondamentale possibilità per porre in libertà la ricerca sistematica della Natura. Fu un mettere in libertà la Natura per la scienza in un ordine di grandezza che forse oltrepassa tutto ciò che fino a oggi è accaduto in Occidente. Il Dio spirituale di volontà e lavoro, il Creatore, che nessun greco e nessun romano, nessun Platone e nessun Aristotele conobbero, è stato la maggiore santificazione dell’idea del lavoro e del dominio sopra le cose infraumane; e nel medesimo tempo operò la più grande disanimazione, mortificazione e razionalizzazione della Natura che abbia mai avuto luogo in rapporto alle culture asiatiche e dell’antichità»⁸.

    Se ci è concesso di fare un po’ di sociologia della sociologia, il grande rispetto di Scheler per il giudeo-cristianesimo e soprattutto il riconoscimento dell’unità delle due religioni si comprende anche alla luce del fatto che egli è un intellettuale di madre ebrea convertitosi al cristianesimo. Questo spiega forse l’ulteriore radicalizzazione della tesi weberiana. Quello di Scheler è probabilmente un modo per sottolineare il fatto che l’integrazione della comunità ebraica nell’Europa moderna e modernizzata è un fatto non solo giusto e opportuno, ma anche naturale.

    Per tutto il XX secolo, la diffusione di questa interpretazione nell’ambito delle scienze sociali assume una forma virale. Non stupisce allora che ancora oggi Dario Antiseri affermi che «l’Occidente non è scientifico nonostante fosse cristiano, ma è scientifico e cristiano. Ed è scientifico proprio perché è anche cristiano. Non è la scienza che disincanta il mondo; ma la scienza è possibile solo

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