Il giostraio di Coney Island
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Info su questo ebook
Sospesi tra mitologia urbana e scenari apocalittici, i vari personaggi del romanzo si affannano alla disperata ricerca di un’occasione per riscattarsi dalle miserie terrene e per non perdere la loro anima. E mentre tutti sembrano interrogarsi sul significato ultimo dell’esistenza, tra sogni che non si avverano mai e incubi che invece si realizzano, la storia del burattino Pinocchio sembra reincarnarsi in una forma gotica che nessuno aveva conosciuto prima di adesso.
Il romanzo solca diversi generi (thriller, mistery, avventura, storico) e accompagna il lettore in un viaggio indietro nel tempo dalle svariate tinte, in un puzzle che si compone gradualmente. L’archè della trama, che si snoda e prende diversi rivoli, sta nella suggestione di riuscire a pesare l’anima, con tutto ciò che ne consegue.
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Anteprima del libro
Il giostraio di Coney Island - Gianluca Ciuffardi
fisica)
I
L’interpretazione errata del silenzio… e le sue conseguenze disastrose
«Quanto pesa la tua anima, caro Charles?» domandò con tono asciutto e meditativo l’esimio dottor Duncan MacDougall rivolto al suo fedele assistente.
Fuori del laboratorio di anatomia umana continuava a piovere con una certa insistenza, evento questo da considerarsi abbastanza normale, sia per il fatto che era novembre inoltrato, sia per le elevate latitudini della cittadina statunitense di Haverhill.
L’assistente Charles Augustus Strong distolse appena lo sguardo dal cranio umano che stava dissezionando con estrema cautela, reclinando la testa quel poco che bastava affinché i suoi occhi potessero fissare quelli del professor MacDougall senza l’intralcio delle pesanti lenti di manifattura irlandese a cui una pesante miopia lo aveva costretto fin da ragazzo. Dentro di sé era portato a pensare che l’illustre medico gli avesse teso una sorta di sottile tranello intellettuale, con l’obiettivo di metterlo alla prova, oppure che quel giorno fosse particolarmente in vena di scherzi, mentre all’esterno si addensavano nubi sempre più cupe, tipiche del clima autunnale del Massachusetts. Ecco perché, in un primo momento, Charles preferì rimanere in religioso silenzio evitando di replicare a parole dal significato per lui oscuro. Tanto più che tutti quelli che lavoravano a vario titolo nell’ambiente asettico del laboratorio di Haverhill avevano sviluppato un comprensibile disinteresse verso le questioni metafisiche, in linea con le teorie organiciste che finalmente stavano prendendo piede anche negli Stati Uniti del 1908.
Non più tardi di un anno prima, il professor MacDougall in persona aveva inaugurato i primi brillanti esperimenti sui correlati neurofisiologici dell’attività psichica, misurando i tempi di reazione a stimoli cognitivi in gruppi di soggetti sani, per poi confrontarli con le prestazioni conseguite da persone sofferenti di deficit sensoriali di vario tipo: la pubblicazione di tali studi aveva attirato addirittura l’attenzione di scienziati europei, rimasti affascinati dalle conclusioni di MacDougall circa i fondamenti anatomofisiologici dell’attività cognitiva, che sembravano mettere in discussione concetti vetusti quali l’anima e le energie spirituali. Ma adesso, la frase pronunciata dal professore sembrava rimescolare tutte le carte in tavola, perciò l’eco delle sue strane parole rimbombò come un tuono nella mente del suo assistente, che rimase in attonito silenzio nella speranza di una precisazione rivelatrice.
Siccome il professore continuava a tenere le labbra serrate, rughe di perplessità sempre più profonde cominciarono a solcare la fronte sudata di Charles, mentre l’insostenibile pesantezza del silenzio ormai pervadeva ogni anfratto del laboratorio, insieme ai recessi più oscuri della sua mente. Questo silenzio insopportabile fu per fortuna rotto dallo schianto provocato con lo scatto delle molle del trapano meccanico che Charles aveva appena azionato per spezzare le ossa del cranio che stava esaminando. Una certa quantità di materia cerebrale, biancastra e mista a sangue raggrumato, fuoriuscì immediatamente dal foro praticato sul tessuto osseo, mentre il cranio, come se non stesse aspettando altro che quel fatidico momento di gloria, si aprì in due come le pagine di un libro antico.
Una lampada sospesa proprio all’altezza del cranio sfondato illuminava in maniera fioca e spettrale la sala di anatomia del laboratorio: per un attimo, l’attenzione dei due studiosi presenti fu attirata dal contenuto presente nella scatola cranica, che Charles provvide a trasportare con cautela sopra il banco per poter effettuare un’autopsia più accurata del solito, come era previsto dal programma di quel giorno. Il cervello di una donna caucasica di pelle bianca, deceduta durante la sparatoria avvenuta il giorno precedente presso il ristorante di specialità scozzesi, giaceva immobile davanti a loro: tale era la potenza e la splendente bellezza che emanava dalle circonvoluzioni composte di materia grigia, che il cervello inerte sembrava quasi pulsare sopra il tavolo di anatomia. La potente visione della materia cerebrale rincuorò immediatamente Charles, il quale si sentì restituire le solide certezze cui era stato abituato, che per un attimo le parole insensate del professore circa l’anima umana avevano eclissato in modo brusco. Soltanto dopo che trascorse ancora qualche altro minuto di silenzio assoluto, Charles, rendendosi finalmente conto che il professore aspettava da lui una risposta, chiese titubante: «Mah… professore… forse lei si riferisce al gruppo di neuroni responsabili del concetto di anima?»
Il professor MacDougall si umettò con la lingua il labbro superiore, per poi dichiarare enigmatico: «La tua mi sembra un’ottima risposta se considerata da un punto di vista accademico, però io non mi riferisco a questo ambito quando parlo di anima…»
La frase ambigua del professore colse nuovamente Charles di sorpresa, proprio quando erano cominciate le operazioni di dissezione dei gangli cerebrali alla ricerca dei fasci di neuroni responsabili della memoria. Questa volta, però, Charles si rifiutò di alzare lo sguardo dai reperti umani come aveva fatto in precedenza, dato che li vedeva maggiormente rassicuranti, nella loro stabile materialità, rispetto alle parole assurde di MacDougall, che davvero non riusciva a comprendere in alcun modo. Intanto, il professor MacDougall aveva cominciato a tamburellare con le sue dita affusolate sul mucchio di ossa esposte alla luce bianca e artificiale del laboratorio, quasi ad indicare che il vuoto che ormai esse contenevano lo interessava molto di più rispetto al cervello umano appena estratto.
L’inquietudine di Charles aumentava sempre di più, trasformandosi adesso in un disagio marcato mentre le sue falangi affondavano dentro le mollicce circonvoluzioni cerebrali producendo un sinistro rumore, come se una persona stesse camminando nel fango con l’ausilio di stivali marci e completamente inzuppati d’acqua. Alla maniera degli anatomo-patologi di successo, anche Charles preferiva tenere le forbici utilizzando il pollice e il medio, lasciando libero il dito indice che così serviva a stabilizzare le forbici e per spingere le lame in avanti, ma quel giorno si accorse suo malgrado di non agire secondo le procedure consuete. Infatti, a differenza delle profonde e veloci sezioni autoptiche che era abituato a praticare in generale, questa volta Charles stava effettuando le sezioni del cervello con eccessiva cautela, quasi che stesse operando un paziente ancora vivo. Naturalmente non era così, ma l’angoscia cresceva forte dentro di lui. Charles sentì che il tremore gli stava divorando le ossa, risalendo lentamente ma inesorabilmente dalle falangi dei piedi, passando poi per le tibie e i peroni, saltando le ossa del bacino per incunearsi infine direttamente nell’incavo della colonna vertebrale, proprio là dove si trova il midollo.
Appena prima che possenti quanto invisibili braccia serrassero completamente un nodo intorno alla sua gola, Charles sputò con tutte le forze che gli erano rimaste la seguente sentenza: «Professor MacDougall, l’anima non esiste…» per poi aggiungere subito dopo, in modo da interrompere ogni possibilità di conversazione ulteriore su quel tema pieno di spine «e anche se esistesse, non credo possa essere estrapolata alcuna misura replicabile e affidabile nel tempo…»
MacDougall serrò le braccia all’altezza dell’addome, visibilmente insoddisfatto della risposta del suo assistente, il quale si accorse subito di tale delusione grazie alla visione periferica del suo occhio sinistro, mentre le pupille continuavano a fissare i gangli e le circonvoluzioni del cervello, come ipnotizzate da quello spettacolo. Anzi, sarebbe più esatto dire che con l’immaginazione stava percorrendo a folle velocità le curve che la natura aveva scolpito sul macabro reperto che aveva davanti a sé, cercando fra di esse un sentiero riparato per fuggire dalla situazione assurda creatasi in laboratorio.
Vedendo che Charles permaneva in religioso silenzio di fronte al cervello squartato della donna, ignorando in questo modo le domande fondamentali che aveva posto, il dottor MacDougall decise di richiamarlo all’ordine argomentando: «E se invece fosse possibile, ovviamente in linea puramente teorica, ottenere una misurazione dell’anima allo stesso modo in cui si misurano variabili quali la pressione oppure il peso di una persona, secondo te quale momento della vita umana sarebbe il più propizio per effettuare un simile calcolo?»
Charles avrebbe certamente potuto continuare a rimanere in silenzio come aveva fatto fino a quell’istante, dal momento che nella specifica occasione non era in gioco alcuna valutazione oggettiva del suo operato come giovane assistente e ricercatore di laboratorio, ma, purtroppo per lui e per l’umanità intera, il suo carattere non era abituato a tollerare troppo a lungo le pause che talvolta scendono fra due interlocutori, così come gli piaceva strappare sempre l’ultima parola durante le discussioni che intratteneva con dei dotti accademici. Anche se il suo parere non era stato espressamente richiesto, finiva sempre per darlo, come se dovesse dimostrare il suo valore di fronte agli altri e a se stesso.
Pur potendo perciò rimanere comodamente in silenzio, Charles decise di parlare comunque e di oltrepassare così il suo personale Rubicone, incrociando il suo triste destino con le conseguenze disastrose che la sua risposta generò imprevedibilmente.
«Uhm… sicuramente sceglierei il momento del trapasso… opererei cioè un paragone tra il peso che l’individuo registra un attimo prima di esalare l’ultimo respiro e quello che invece risulta immediatamente dopo la morte cerebrale…» proferì Charles, calcando con la voce resa roca dal mal di gola le parole prima e dopo.
Charles non poteva sicuramente pensare che il professore l’avrebbe preso sul serio, poiché la sua intenzione era semplicemente quella di argomentare qualcosa che avesse almeno la parvenza di scientifico e di coerente con i principi della misurazione, così come si è soliti ricorrere in ogni laboratorio fin dai tempi di Galileo Galilei. Purtroppo per lui e per l’umanità le cose non andarono come previsto: infatti, il dottor MacDougall, che in un primo momento aggrottò le ciglia pensieroso, come a rimembrare e a interiorizzare le parole poco convinte del suo assistente, si allontanò di corsa, mantenendo però sempre le braccia conserte sull’addome. La velocità con cui affondava le sue ampie falcate sul pavimento lucente del laboratorio, unita al lungo camice bianco di almeno una taglia più grande che indossava quel giorno, davano agli occhi di Charles l’idea che uno spettro impazzito stesse vagando per il reparto di anatomia dell’università di Clark. Questo strano effetto fu rinforzato dal fatto che a un certo punto il corpo del professore sembrò quasi seminare la sua stessa ombra, che arrancava dietro di lui in equilibrio precario fra le pareti nude e spoglie del complesso universitario.
Mentre osservava il professor MacDougall schivare miracolosamente un infermiere che si era posto proditoriamente lungo la sua strada, Charles si tirò su la mascherina per contrastare gli odori del cervello in decomposizione che intanto avevano cominciato a inondare la scarsa quantità d’aria presente nel laboratorio, ammorbandola con olezzi nauseabondi. Con la coda dell’occhio, continuava a fissare il professore che si allontanava sempre di più, ormai ridotto a una semplice figurina bianca che si stagliava sulla linea del tetro orizzonte. Pensò che non si sarebbe a quel punto meravigliato troppo nel vederlo passare direttamente attraverso i freddi muri piastrellati del lungo corridoio che collegava la sala operatoria alla camera mortuaria dell’obitorio, proprio là dove i cadaveri vittime di una morte improvvisa e violenta erano trasportati per essere analizzati dai patologi dell’università.
Poi, non appena la figura evanescente del professore svanì del tutto dalla sua vista, Charles tornò in silenzio e con la tranquillità ritrovata al suo lavoro di sempre, del tutto inconsapevole del fatto di aver appena spalancato le porte all’inferno.
Prof. Dott. C.G. Jung
Seestrasse 228
Kusnacht-Zurich, Switzerland.
11 settembre 1908
Egregio professor Jung,
chi le scrive è un suo stimato collega di oltre oceano, il quale è lieto di invitare sia Lei sia gli esimi dott. Freud e dott. Ferenczi a un ciclo di conferenze per celebrare il ventesimo anno dalla fondazione della prestigiosa Clark University di Worcester, nel Massachusetts.
In tale occasione l’Università mi ha incaricato di conferire a Lei e al dott. Freud la laurea honoris causa in Legge, in considerazione degli straordinari risultati raggiunti dal Vostro gruppo di lavoro nel campo dello studio della psiche.
Ritengo che il fatto di presenziare al ciclo di cinque conferenze sulla psicoanalisi previste per il prossimo anno possa rivelarsi un’occasione unica e preziosa per diffondere i principi delle teorie da Voi elaborate nella vecchia Europa anche presso la nostra giovane e grande Nazione. Allego alla presente lettera il programma completo delle conferenze previste per la fine del 1909, con l’auspicio di suscitare in Voi una viva curiosità intellettuale su quanto sta avvenendo qui negli Stati Uniti, dove la dottrina della psicoanalisi sta finalmente cominciando a destare l’interesse della comunità scientifica americana che sarò lieto di rappresentare personalmente in questa occasione. In attesa di una Sua risposta positiva all’invito formulato dalla Clark University e sicuro di un Vostro convinto apprezzamento, le invio i miei più cordiali saluti di benvenuto anche a nome della comunità scientifica del mio paese.
Cordiali saluti,
Duncan MacDougall
Prof. Duncan MacDougall
Clark University di Worcester
Haverhill, Massachusetts.
24 novembre 1908
Egregio dott. MacDougall,
io e il dott. Freud abbiamo letto attentamente il contenuto della sua precedente lettera e siamo giunti alla conclusione che sarebbe un bene sia per la psicoanalisi, sia più in generale per tutto il movimento della psicologia europea, accettare il Vostro cordiale invito. Siamo perciò lieti di confermare la nostra presenza al ciclo di conferenze da Lei organizzate in qualità di rappresentante della Clark University.
La psicoanalisi sta attraversando un periodo di forte crescita sia in Austria sia in Svizzera, nel cuore della nostra vecchia e cara Europa; crediamo perciò fortemente che sia ormai giunto il momento di esportare le nostre dottrine anche al di là dell’oceano, dove sembra sia elevata l’attenzione verso i temi dell’inconscio e della teoria delle pulsioni. Anche il dott. Freud ha manifestato un grande entusiasmo per questo invito, che secondo lui segnerà uno spartiacque importante nella storia della psicologia, destinato a cambiare per sempre nei decenni a seguire le relazioni fra i due continenti. Tenendo conto della portata degli eventi che si preparano per l’anno prossimo in terra straniera, il dott. Freud ha quindi avanzato la richiesta di farsi accompagnare dal suo biografo personale, nonché illustre collega, Ernst Jones.
Purtroppo conosco fin troppo bene le inclementi condizioni climatiche che imperversano negli Stati Uniti durante il periodo autunnale in cui è previsto il seminario, quando Zeus Nephelegeretes, colui che raduna le nuvole, avvolge le vostre amatissime terre con spesse coltri di nubi, sempre molto irrequiete. Tutto ciò che accadrà sarà quindi esposto alle ulteriori decisioni di Ananke, che secondo gli antichi greci era la personificazione della necessità inalterabile, la quale può in qualsiasi momento interferire in modo inaspettato con il nostro e il vostro destino.
In attesa di prendere con Lei accordi circa i luoghi scelti dall’Università in cui alloggiare e dove presiedere il seminario, Le invio i miei più cordiali saluti, ringraziando anticipatamente, anche a nome del dott. Freud, la spettabile Clark University per l’onore di ricevere un così prestigioso titolo al di fuori degli angusti confini europei.
Carl Gustav Jung
II
La riscoperta dell’America
La nave su cui erano imbarcati i quattro prestigiosi conferenzieri era attesa per le cinque del pomeriggio, ma il professor Duncan MacDougall era giunto con circa un’ora di anticipo per preparare al meglio le operazioni dl benvenuto. Era in compagnia di altri cinque esponenti dell’università, con l’aggiunta di due segretarie, le quali avrebbero svolto il ruolo di interpreti grazie alla loro buona conoscenza della lingua tedesca, insieme a tre facchini addetti allo scarico degli effetti personali dei passeggeri. Fra le personalità scientifiche accorse per dare il benvenuto agli illustri colleghi di oltre oceano, oltre naturalmente all’onnipresente dott. MacDougall, c’erano anche Stanley Hall, l’allora presidente di turno della Clark University nonché uno degli psicologi più influenti del suo tempo negli Stati Uniti; James Jackson Putnam, professore di psicologia presso l’università di Harvard; infine, non aveva voluto mancare all’appuntamento Abraham Bill, l’unico dei presenti che aveva già conosciuto in Europa sia Freud sia Jung e che da qualche anno stava cercando di introdurre in America le loro teorie, anche se con scarso successo.
Il gruppo inviato dalla Clark University si ritrovò alle cinque in punto del pomeriggio del 27 novembre 1909 sul molo numero tredici del porto di New York. In quel giorno si stava