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Il cervello tripartito
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E-book326 pagine3 ore

Il cervello tripartito

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La conoscenza diffusa sullo studio del cervello è spesso inquadrata dal profilo anatomico e da quello fisiologico, mentre sono minori gli approfondimenti che analizzano l’encefalo come sede delle funzioni mentali, istintuali, emozionali, mnemoniche o cognitive. Con questo saggio la dottoressa Diana Nardacchione fornisce ai lettori un quadro esaustivo, chiaro e affascinante della teoria del cervello tripartito di Paul MacLean, alla scoperta di una dimensione in cui istinti, sensazioni ed emozioni ci spingono ad approcciare la realtà in maniera impulsiva ed emotiva; non unicamente razionale e quindi legata al ragionamento cosciente. L’autrice esplora dunque le tre porzioni del cervello (istintuale, mnestica e cognitiva), la loro evoluzione nel tempo a partire dal midollo spinale e il loro funzionamento gerarchico, valutando anche le incertezze di una semplificazione accademica troppo rigida nell’assegnazione delle strutture cerebrali alle rispettive tre porzioni funzionali. Valorizzando il contributo della neuropsicologia, la dottoressa Diana Nardacchione illustra i nuovi traguardi della conoscenza riguardo a questa intrigante articolazione della tripartizione cerebrale. Questo libro è dunque un tentativo di divulgare e condividere le conoscenze attuali della psicologia.

Nata a Udine nel 1949, si è laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Padova nel 1973. Si è specializzata in Psicologia - Indirizzo Medico, presso l’Università degli Studi di Milano nel 1979 e in Anestesiologia e Rianimazione presso l’Università degli Studi di Milano nel 1988. Ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Tecniche Sanitarie di Protezione Civile presso l’Università degli Studi di Pisa nel 1998. Medico Ospedaliero di Ruolo dal 1974 al 2007 è attualmente pensionata. Collateralmente ha svolto continuativamente attività didattiche e di divulgazione scientifica in materia di psicologia applicata alle situazioni di emergenza, teoria sistemica della vulnerabilità, strutture e dinamiche dei gruppi, leadership, psicologia della comunicazione, per conto degli Enti pubblici delle Provincie di Milano e di Monza e Brianza, associazioni di volontariato, di protezione civile e di soccorso sanitario. Cintura nera di judo, istruttrice di ju-jitsu e istruttrice di soft boxe, conduce da molti anni corsi di autodifesa femminile per conto delle amministrazioni pubbliche, enti e associazioni sportive delle provincie di Milano e di Monza e Brianza. I testi delle dispense correlate al queste attività didattiche sono confluiti in pubblicazioni che sono in distribuzione nelle librerie e sul WEB.
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2023
ISBN9788830677081
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    Il cervello tripartito - Diana Nardacchione

    Bibliografia dell’autrice

    • Diana NARDACCHIONE: TRANSESSUALISMO E TRANSGENDER – Superando gli stereotipi - Collana Duemilawatt di Controcorrente, Casa Editrice Il dito e la luna, Milano, 2000 – ISBN 88-86633-14-9;

    • Diana Nardacchione, Antonella Ratti: LE AMAZZONI – Leggende di ieri ed attuali realtà - Majs Edizioni, Torino, Giugno 2007, ISBN 88-88236-02-3;

    • Diana Nardacchione: PSICOLOGIA PER L’AUTODIFESA FEMMINILE - Collana Le scelte delle donne - Casa Editrice Il dito e la luna, Milano 2009 - ISBN 978-8886633604;

    • Diana Nardacchione: COMPETITIVITÀ AL FEMMINILE – Oltre l’Autodifesa - Collana Le scelte delle donne - Casa Editrice Il dito e la luna, Milano 2010 - ISBN 978-8886633635;

    • Diana Nardacchione: ON TRAINING - Nozioni di psicologia e di fisiologia per istruttori e praticanti di arti marziali e di difesa personale, Collana K,com.bat, scienza, tecnica e psicologia del combattimento, Edizioni Libreria Militare, Milano 2016 - ISBN-13: 978-88-89660-23-2;

    • Diana NARDACCHIONE: LE VIVANDIERE: Umili eroine che la storia ha dimenticato - SWU-GEN-013 - Soldiershop Publishing, 2020 – ISBN 978-88-93276863;

    • Diana NARDACCHIONE: LE AMAZZONI. Fuori dal mito - SWU-GEN-014 - Soldiershop Publishing, 2021 – ISBN 9788893277884.

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Capitolo 01 – INTRODUZIONE

    L’insegnamento dell’anatomia dell’encefalo (encefalo = cervello) e la sua descrizione nei tradizionali libri di testo sono congeniali, soprattutto, allo studio della neurologia piuttosto che a quello della psicologia. In altri termini, l’anatomia sistematica dell’encefalo, com’è stata sempre tradizionalmente insegnata, è tassata dalla assoluta preponderanza descrittiva della sua funzione come organo di destinazione di tutte le vie nervose afferenti (sensoriali) e di partenza di tutte le vie nervose efferenti (motorie).

    Metencefalo, mielencefalo, mesencefalo, diencefalo e telencefalo sono le vistose suddivisioni del cervello utilizzate nella classica anatomia descrittiva.

    La fisiologia aggiunge a ciò il ruolo dell’encefalo, essenzialmente, come centrale di coordinamento del sistema neurovegetativo e dell’apparato neuroendocrino.

    L’imponenza e la complessità del quadro descrittivo anatomico e di quello fisiologico distraggono rispetto alla considerazione che, contestualmente, poco si dice, in realtà, sull’ encefalo come sede delle funzioni mentali, istintuali, emozionali, mnemoniche o cognitive che siano.

    A ciò ha posto, in gran parte, rimedio il neurofisiologo statunitense Paul Donald MacLean (1913-2007) che, nel 1962, ha operato una geniale ridistribuzione descrittiva del cervello, dalla quale esso riemerge composto da tre differenti sistemi, esplicanti in maniera integrata le funzioni mentali (triune brain).

    A un arcaico paleoencefalo, sede delle funzioni automatiche, si sarebbero giustapposti un più recente archiencefalo, sede degli adeguamenti e degli apprendimenti comportamentali adattivi rispetto al mutamento degli stimoli ambientali, e un recentissimo neoencefalo, sede della coscienza e della intenzionalità.

    I termini paleoencefalo e archiencefalo sono degli omonimi filogenetici per cui, nella letteratura neuropsicologica sono talvolta scambiati tra di loro oppure utilizzati in base a considerazioni istologiche e non funzionali. E di questa eventuale discrepanza rispetto ad altre fonti faccio ammenda.

    Mi preme, invece, rassicurare i lettori che ciò che ricorre costantemente è la tripartizione dell’encefalo in base alle tre funzioni istintuale, mnestica e cognitiva.

    Queste tre porzioni del cervello si sarebbero sviluppate, progressivamente, l’una dopo l’altra, a partire dal midollo spinale, nel corso dell’evoluzione delle specie (filogenesi), che è durata milioni di anni. Contestualmente, ciascuna di esse si sarebbe ulteriormente evoluta, nel corso del tempo.

    I pesci primitivi, ad esempio, erano privi della capacità di memorizzazione ma quelli che, nel frattempo, si sono evoluti, come i ciclidi, hanno sviluppato, autonomamente e indipendentemente dall’evoluzione filogenetica delle altre specie, una capacità di memorizzare e riconoscere gli stimoli sensoriali, con un margine di una decina di giorni.

    Questa articolazione del cervello in tre porzioni, comunque, è funzionale più che anatomica, in quanto le loro componenti sono spesso interpolate fra di loro o dislocate in distretti non sempre contigui del cervello. Molte strutture, poi, sono condivise tra le tre porzioni, poiché i livelli superiori utilizzano anche molte delle risorse dei livelli inferiori (non è vero, invece, l’inverso).

    Per questi motivi, è difficile isolare anatomicamente ciascuna di queste porzioni funzionali del cervello o schematizzarne graficamente forma e contorni, in maniera rigorosa ed esclusiva, come ci si illudeva di fare in passato. Le tre porzioni del cervello individuate da MacLean, infatti, presenterebbero solo delle vaghe analogie con il rombencefalo, il mesencefalo e il proencefalo descritti nella embriologia e nella anatomia sistematica tradizionali.

    La credenza tradizionale attribuiva, ad esempio, anche scientificamente, ai due voluminosi emisferi cerebrali che costituiscono anatomicamente il telencefalo, il domicilio dell’intelligenza. Oggi, invece, siamo consapevoli che gran parte degli emisferi cerebrali è sede di funzioni primordiali.

    Le regioni corticali sensoriali, ad esempio, sono dedicate esclusivamente alla rappresentazione delle percezioni sensoriali (uditive, visive, tattili, olfattive...). Esse esistevano, sebbene in forma meno sofisticata, già nel paleoencefalo dei vertebrati più primitivi, e in quelli più evoluti esse sono contigue ai centri corticali superiori, filogeneticamente più recenti, che, invece, delle afferenze sensoriali fanno una elaborazione cosciente.

    Attualmente, utilizzando un linguaggio funzionalista derivato dall’informatica, le strutture cerebrali che svolgano una sola funzione si definiscono unimodali o monomodali. Sono tali, ad esempio, le aree sensoriali primarie e quelle motorie primarie.

    Le strutture cerebrali che correlino diverse funzioni unimodali, tra di loro complementari, si definiscono, invece, integrative o multimodali. Tali sono, ad esempio, le aree integrative sensoriali, quelle integrative motorie, e quelle integrative senso-motorie.

    Le strutture, infine, che correlino diverse funzioni integrative, non necessariamente complementari, si definiscono associative o eteromodali. Sono comprese nelle strutture eteromodali gran parte delle aree frontali, di quelle parietali e di quelle temporali. Tra queste strutture, ci sono quelle che concorrono a configurare la mente cosciente.

    Esisterebbe, quindi, esprimendoci con un linguaggio sistemico, una gerarchia funzionale nella quale le aree unimodali, sarebbero inglobate in sistemi di livello superiore, rappresentati dalle aree integrative o multimodali. Le aree integrative multimodali, a loro volta, sarebbero inglobate in sistemi di livello ancora più elevato, rappresentati dalle aree associative o eteromodali. In questo livello associativo di ordine superiore avrebbe domicilio il pensiero cosciente e intenzionale.

    In linea di massima, gran parte le strutture unimodali andrebbe attribuita al paleoencefalo. Le aree integrative o multimodali comprenderebbero generalmente strutture attribuite all’archiencefalo. Quelle associative o eteromodali comprenderebbero anche strutture attribuite al neoencefalo.

    Sussistono, quindi, molte incertezze circa l’assegnazione, su base anatomica, di gran parte delle strutture cerebrali a una piuttosto che a un’altra delle tre porzioni poc’anzi introdotte. E queste incertezze sono state alla base delle perplessità insorte nell’ambiente scientifico, dopo un iniziale apprezzamento nei confronti della tripartizione filogenetica e funzionale del sistema nervoso centrale operata da MacLean.

    Oggi, però, grazie alla neuropsicologia, che si è intrufolata silenziosamente tra la psichiatria, la psicoterapia e la psicopedagogia, ne sappiamo di più. Molto di più! E questo mi induce a riproporre e promuovere quella tripartizione del cervello, operata genialmente su base filogenetica e funzionale da MacLean e che, nel corso degli anni, era stata archiviata come semplice aneddoto dell’evoluzione scientifica.

    Io stessa, comunque, nel confezionare questo libro, mi sono trovata spesso in preda alla perplessità determinata dalle differenti classificazioni che soventemente emergono dalle varie autorevoli fonti bibliografiche. Costretta a scegliere, mi sono affidata più ai criteri funzionali che a quelli anatomici. E in questa scelta ha probabilmente prevalso il fatto che sono una psicologa e non una neurologa.

    Criterio discriminatorio funzionale, a mio giudizio, è la considerazione che il paleoencefalo dei vertebrati inferiori viveva esclusivamente nel presente. I vertebrati più primitivi, infatti, non avevano una percezione del tempo e, di conseguenza, non distinguevano la statica dal movimento e non avevano alcuna rappresentazione del passato e del futuro. Questo eterno presente è il motivo per cui non erano in grado né di decidere preventivamente né di verificare posteriormente. Potevano agire solo in maniera automatica, vale a dire per riflesso o per istinto rispetto a uno stimolo ambientale adeguato.

    L’archiencefalo dei vertebrati superiori, invece, viveva nel presente ma poteva anche rievocare il passato e utilizzarlo sotto forma di esperienza individuale.

    Il nostro neoencefalo, infine, vive nel presente, può rievocare il passato ma soprattutto ha delle aspettative e può rappresentarsi e programmare il futuro.

    Questa articolazione funzionale del cervello dei vertebrati in tre porzioni è una delle conseguenze del fatto che l’evoluzione delle specie, sul nostro pianeta, in realtà, non è stata un processo costante e progressivo, come viene spontaneo dedurre dalla lettura di taluni testi di divulgazione scientifica. Al contrario, è stata un processo continuo, in cui, a centinaia di milioni di anni, in cui poco di veramente innovativo si è manifestato nel mondo dei viventi, si sono intercalate vere e proprie esplosioni di mutazioni evolutive morfologiche o funzionali, tali da contrassegnare le nuove specie come protagoniste di autentiche rivoluzioni filogenetiche.

    Fino a qualche decennio fa, si ignorava tutto ciò, per cui molti studiosi dichiaravano che il 90% della corteccia cerebrale era inutilizzato. Tale erronea convinzione, ad esempio, ispirò il regista Luc Besson che, nel 2014, realizzò il film Lucy, avvincente e di estremo successo, ma assolutamente infondato scientificamente e concettualmente fuorviante.

    L’approccio funzionalista, invece, ha contribuito a dissolvere l’illazione scientifica che noi esseri umani utilizzassimo solo il 10% delle nostre potenziali facoltà mentali. Anzi, la realtà è tale per cui, paradossalmente, possiamo utilizzare, a pieno sviluppo, solo circa metà delle potenzialità neurologiche embrionarie, a causa della inespansibilità della scatola cranica che, una volta giunta a completa ossificazione, impedisce ogni ulteriore espansione volumetrica dell’encefalo.

    Ma c’è di più, molto di più.

    I termini generici corteccia cerebrale, cortex (termine latino), struttura corticale e pallio sono termini adottatati da differenti anatomisti e ricercatori in riferimento allo strato più superficiale di materia cerebrale che riveste i due grandi emisferi cerebrali. La corteccia cerebrale costituisce quella materia grigia, stipata di cellule, che l’anatomia classica differenzia dalla sottostante materia bianca, costituita da fasci di collegamento nervoso.

    Si è sempre pensato che la sede delle funzioni cerebrali fosse localizzata nei pirenofori (corpi nucleati) delle cellule nervose (neuroni), che costituiscono la materia grigia.

    Oggi, invece, sappiamo che le funzioni cerebrali sono un effetto dell’attivazione proprio di quei collegamenti nervosi (assoni e dendriti) che costituiscono la materia bianca. In realtà, è la complessità delle reti di collegamento, che costituiscono la sostanza bianca, la base delle funzioni cerebrali, più che il numero in assoluto dei neuroni. L’esperienza, la competenza, il talento e la cultura si accrescono mediante la proliferazione dei collegamenti tra i neuroni, il cui numero, semmai, può, paradossalmente, diminuire, nel corso della vita.

    Devo precisare che l’estensione totale della rete di collegamenti neurali (assoni e dendriti) di ogni cervello è stimata avere un valore che si colloca tra i 150.000 e i 200.000 chilometri!

    In altri termini, facendo una metafora, le funzioni cerebrali sono localizzate più nell’equivalente dei cavi telefonici che in quello dei telefoni veri e propri.

    Del tutto recentemente, inoltre, sono state individuale delle aggregazioni funzionali, di livello ancora superiore rispetto a quelle associative o eteromodali, che si avvicenderebbero, in alternanza tra di loro, monopolizzando l’intero cervello, quando fosse orientato nel senso di una piuttosto che di un’altra attività. Quando una di questa funzioni, apicali, per così dire, del cervello fosse prevalente, tutte le altre verrebbero assopite.

    Determinante in tal senso sarebbe il ruolo dell’attenzione.

    Queste imponenti aggregazioni funzionali, che si definiscono circuiti eteromodali fronto-sottocorticali, sfuggono a ogni tentativo di classificazione su base strettamente filogenetica. Esse recluterebbero non solo strutture ubicate nei distretti più disparati del cervello ma coinvolgerebbero, addirittura, l’apparato neuroendocrino e il sistema neurovegetativo.

    La stesura del libro è stata tale da rappresentare un percorso che dal midollo spinale risale faticosamente verso gli emisferi cerebrali.

    In realtà è solo in parte così. O, era, semmai, la mia intenzione iniziale. Ho avuto enormi perplessità e numerosi ripensamenti circa l’ordine sequenziale in cui allineare i capitoli. Nella versione che state leggendo i capitoli sono posti in sequenza non sulla base di un criterio puramente evolutivo ma, semmai, funzionale, tale da ridurre al minimo il numero di citazioni, evocazioni e anticipazioni circa concetti espressi in altri capitoli. Molti argomenti, ma anche molte strutture anatomiche e molte funzioni, in realtà, potevano trovare legittimo domicilio in differenti capitoli.

    Banalizzando, per rendere più fluida la fruizione del testo, ho privilegiato, in certi passaggi, l’algoritmo funzionale attuale del sistema nervoso rispetto al processo sequenziale evolutivo che resta, comunque, il filo conduttore del libro.

    Tutto ciò non è completamente farina del mio sacco! Ne sono debitrice al professor Luigi Valzelli (Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri), mio docente di anatomia e fisiologia del sistema nervoso centrale, alla Scuola di Specializzazione in Psicologia – Indirizzo Medico, dell’Università Statale di Milano, nel 1975. Anzi, il suo libro, L’uomo ed il rettile, ebbe su di me un effetto tale per cui la mia evoluzione culturale venne travolta da una vera rivoluzione.

    Concludo questa introduzione con una annotazione.

    Le strutture del cervello sono spesso individuate, nelle diverse pubblicazioni, con denominazioni differenti, per quanto equivalenti.

    Più omogenee sono, invece, quelle sigle, quasi sempre in lingua inglese, che definiscono quelle strutture. Per questo, come è ormai consuetudine da parte di molti neuropsicologi, quando presenterò nuove strutture e funzioni, utilizzerò, all’inizio del capitolo, la denominazione italiana e/o inglese, associata alla sigla convenzionalmente universalmente condivisa. In seguito, vi farò riferimento soprattutto con la sigla. Una volta che i lettori avranno assimilato le sigle, anche gli algoritmi descrittivi e le illustrazioni risulteranno più rapidamente condivisibili.

    Capitolo 02 – IL CERVELLO TRIPARTITO

    L’encefalo, quindi, può esser considerato composto da tre porzioni che si sarebbero giustapposte, l’una all’altra, a partire dal midollo spinale, nel corso dell’evoluzione delle specie. La distinzione tra queste tre porzioni del cervello non è solo cronologica ma, come vedremo, è anche, e soprattutto, funzionale.

    La porzione più antica del cervello, il paleoencefalo, si sarebbe sviluppata, in maniera veramente esplosiva, 450 milioni di anni fa, nei condroitti (squali), i primi vertebrati.

    Nel paleoencefalo sono tutt’ora domiciliati gli istinti, gli automatismi, le funzioni neurovegetative e quelle neuroendocrine.

    Questa, in effetti, è l’unica porzione dell’encefalo di cui, almeno una parte, quella domiciliata nel tronco cerebrale, sia anatomicamente distinta e immediatamente individuabile. Il tronco cerebrale è il prolungamento verso l’alto, progressivamente ispessito e dilatato, del midollo spinale.

    Il paleoencefalo occupa, in maniera esclusiva, il tronco cerebrale ma, in realtà, invia anche corposi prolungamenti, bilateralmente, nel mesencefalo ma anche nel diencefalo e nel telencefalo, che costituiscono i due emisferi cerebrali, i quali costituiscono la porzione più voluminosa del cervello.

    Le strutture corticali attribuite al paleoencefalo sono state, per l’appunto, variamente denominate paleocortex o paleopallio.

    Il paleoencefalo è la sede delle attività sensoriali, sia propriocettive che percettive, di tutte le funzioni automatiche, sia motorie che viscerali e ormonali, ma è anche la sede degli istinti, che sono complesse e sofisticate strategie comportamentali, congenite e stereotipate, che si attivano, automaticamente e anche al di fuori della coscienza, in presenza di stimoli ambientali adeguati.

    Insorti come conseguenza di mutazioni genetiche spontanee e casuali, gli istinti si sono rivelati adattivi, vale a dire, secondo la definizione della teoria sistemica, utili, necessari, convenienti o vantaggiosi, per la sopravvivenza riproduttiva della specie.

    Questi programmi comportamentali adattivi sono stati ereditati, esclusivamente, dalla discendenza dei mutanti, determinando nel tempo l’estinzione progressiva, di tutta quella restante discendenza che non avesse ereditato questo provvidenziale corredo genetico innovativo.

    Nel corso della evoluzione delle specie, ulteriori mutazioni genetiche e incroci riproduttivi (lussureggiamento degli ibridi) hanno reso poi gli istinti sempre più complessi, sofisticati ed efficaci, al punto che, oggi, essi competono, addirittura, in certe circostanze, con il comportamento cosciente e intenzionale, per assicurare la sopravvivenza. Spesso, anzi, il comportamento istintivo simula quello intelligente. Ma è solo una illusione. I vertebrati primitivi conseguivano, mediante comportamenti istintuali, di cui non erano assolutamente consapevoli, dei risultati che essi non sarebbero mai riusciti nemmeno a immaginare.

    Anche il nostro paleoencefalo conserva le stesse funzioni di quello dei vertebrati più antichi. Queste funzioni, tuttavia, sono diventate ormai talmente sofisticate che il paleoencefalo va considerato una struttura antica, ma non più primitiva.

    In pratica, tutte le strutture e le funzioni che consentono a un vertebrato di vivere e sopravvivere nell’ambiente sono domiciliate nel paleoencefalo, ma i sentimenti, le emozioni, i ricordi, l’esperienza, la coscienza e l’intenzionalità non sono in quell’elenco.

    Il limite del paleoencefalo, semmai, è che esso reagisce, ad esempio, in maniera fulminea all’aggressione o al cataclisma ambientale, che sono fenomeni immediati e palesi, ma non è ancora in grado di memorizzare un nuovo comportamento che sia stato, casualmente, essenziale per la sopravvivenza o di immaginare un pericolo sconosciuto o riconoscerlo quando sia incombente. Il paleoencefalo può anche manifestare, eventualmente, diffidenza oppure perplessità a fronte di quegli stimoli ambientali nei confronti dei quali non disponga di un adeguato

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