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Germania anno nero: La locomotiva tedesca lanciata su un binario morto?
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E-book242 pagine3 ore

Germania anno nero: La locomotiva tedesca lanciata su un binario morto?

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La Germania, il cuore economico dell’Europa, è malata. Tensioni sociali, crisi dei grossi gruppi industriali e conflitti tra identità culturali sono alcune delle criticità che attraversano il paese di Goethe come fiumi carsici. In questo libro Edoardo Laudisi e Matteo Corallo conducono il lettore nelle pieghe più nascoste della crisi che sta trasformando la Germania e forse tutta l’Europa.
LinguaItaliano
Data di uscita1 set 2020
ISBN9788835887133
Germania anno nero: La locomotiva tedesca lanciata su un binario morto?

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    Anteprima del libro

    Germania anno nero - Edoardo Laudisi

    uno

    La crisi tedesca

    1.1 Il fascino sinistro del mito tedesco

    di Matteo Corallo

    «Noi dobbiamo esportare. O esportiamo merci oppure esportiamo uomini (…) Con questa popolazione in costante crescita senza una contemporanea ascesa dell’industria, non ci troviamo nella situazione di sopravvivere».

    Il Generale Conte George Leo von Capri, Primo Ministro del Secondo Reich, durante un suo intervento al Parlamento tedesco, 10 dicembre 1891

    Politicamente parlando, uno dei problemi più sentiti nella Germania contemporanea è la crescita del partito di destra dell’AfD, in special modo nelle sue regioni orientali, e il parallelo calo di consensi per i socialdemocratici della SPD. Quest’ultima forza politica, che negli ultimi anni ha governato attraverso la grande coalizione assieme alla cancelliera Merkel, non è un partito qualsiasi. Stiamo infatti parlando del più antico partito socialdemocratico ancora esistente al mondo, essendo stato fondato nel 1875. Ma come ha fatto questo glorioso movimento politico tedesco, per tradizione difensore degli interessi dei lavoratori, a scendere stabilmente sotto la soglia del 20%?¹ E cosa ha a che vedere il suddetto declino sia con la crescita dei tassi di povertà sia con l’avanzata dei cosiddetti populisti di destra in Germania? Per tentare di capirne le cause, dovremmo iniziare con una disamina profonda della riforma del mercato del lavoro e del sistema di protezione sociale, iniziata proprio con un governo di sinistra. Per fare ciò, è necessario tornare indietro di almeno 20 anni.

    Tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni duemila la Germania, da nemmeno 10 anni riunificata, è in crisi economica profonda. Oltre alle migliaia di miliardi di marchi trasferiti dalle regioni occidentali più ricche verso quelle orientali, facenti una volta parte della Germania Est socialista e ora in difficoltà, vi sono ben altri problemi. In primo luogo, il mercato del lavoro risulta farraginoso con tutti i lacci e lacciuoli burocratici che impediscono alle aziende di licenziare liberamente, anche quando sarebbe necessario per cause economiche esterne; poi la popolazione sta invecchiando drammaticamente; inoltre il livello delle università sta scendendo pericolosamente verso il basso, mentre sono presenti milioni di disoccupati senza prospettive. La situazione è così grave che il quotidiano finanziario Economist nell’estate del 1999 se ne esce con un’eloquente copertina² dal titolo "Germania, il grande malato dell’Euro. Nel 1998 il partito socialdemocratico della SPD vince nettamente le elezioni, dopo più di 15 anni di dominio incontrastato del democristiano Helmut Kohl, padre politico della riunificazione tedesca, il quale all’inizio degli anni ‘90 si era dovuto dimettere sull’onda lunga di uno scandalo legato a finanziamenti illeciti ricevuti da un mercante d’armi, nel quale il cancelliere era appunto rimasto coinvolto. A succederle alla guida della CDU fu una giovane, quanto sconosciuta, tedesca dell’est, chiamata ironicamente da Kohl la ragazza", dal nome di Angela Merkel.

    Ma torniamo alle elezioni del 1998: la SPD vince grazie al suo candidato di punta Gerard Schröder, già avvocato nonché primo ministro della regione occidentale della Bassa Sassonia dal 1990 al 1998. Schröder vince sì le elezioni ma non ha la maggioranza assoluta di seggi al Reichstag, il parlamento tedesco; pertanto decide di tentare un governo di coalizione con i verdi – i Grüne – che sarebbe durato fino al 2005. Con lui la SPD, attraverso un’operazione politica di maquillage eguale e parallela a quella portata avanti dal premier laburista Tony Blair nel Regno Unito, svolta decisa verso il centro. Sono gli anni infatti del Nuovo Centro – Die Neue Mitte – tramite i quali la sinistra socialdemocratica tedesca si imbarca volontariamente su una linea moderata, a tutto vantaggio delle riforme neoliberali che di lì a poco avrebbero rimesso in discussione il, fino a quel momento, possente Stato sociale tedesco. Da quelli anni si decide di dare la precedenza ai mercati, alla flessibilizzazione del lavoro, allo smantellamento dello stato di protezione sociale, ai salari sottopagati a tutto vantaggio dei nuovi ceti medi urbani, ai desiderata della finanza e all’export delle grandi imprese, che anche in Germania proprio grazie alle esportazioni verso i mercati internazionali iniziano a macinare profitti da favola. Faro ideologico della nuova politica macroeconomica della SPD di Schröder è la cosiddetta Agenda 2010, riforma neoliberistica entrata in vigore nel 2002 e che modifica profondamente sia il sistema dei sussidi sociali sia l’intero mondo del lavoro in Germania.

    Prima della riforma del 2002³ chiunque, tedesco o straniero non importa, avesse lavorato per almeno 1 anno e si fosse trovato d’improvviso senza lavoro, aveva diritto ad un sussidio di disoccupazione fino ad un massimo di 2 anni, dopo i quali qualora non avesse trovato ancora un’occupazione avrebbe avuto diritto ad un reddito minimo di sussistenza alquanto generoso dalla durata potenzialmente infinita. Con la riforma del 2002, che repetita iuvant viene portata a compimento da un governo di centrosinistra, le cose cambiano radicalmente: innanzitutto a prescindere da quanto una persona avesse lavorato avrebbe avuto diritto a un sussidio di disoccupazione pari al 60% netto della sua ultima busta paga, al 67% se avesse avuto dei figli, che sarebbe durato perentoriamente per un massimo di 1 anno, senza alcuna proroga. Prerequisito essenziale per ottenere questo sussidio, detto in tedesco ALG I, è quello di aver pagato per almeno 12 mesi, anche non necessariamente consecutivi, i contributi previdenziali. Qualora un lavoratore avesse lavorato meno di un anno, sarebbe scattato invece un secondo sussidio, che in italiano potrebbe essere definito come reddito minimo di cittadinanza (da non confondere però con il nostro, voluto recentemente dai grillini), detto ALG II. Questa seconda forma di sussidio prevede l’erogazione statale di circa 424 euro (all’inizio della riforma erano 354 euro) al mese con l’aggiunta del pagamento, sempre da parte dello Stato tedesco, dell’assicurazione sanitaria, del canone televisivo, di parte dell’affitto e di alcune spese vive come il riscaldamento e le bollette dell’acqua. Invece le bollette elettriche non vengono coperte. In Germania questo secondo sussidio viene comunemente conosciuto con il nome di Hartz IV, dal cognome del consulente economico Peter Hartz che lo ha ideato.

    Ma forse l’introduzione più importante della Riforma, o Controriforma, del mercato del lavoro e del welfare tedeschi da parte del governo di sinistra di Schröder è stata quella dei cosiddetti mini jobs. Essi altro non sono che lavori pagati al massimo 450 euro netti al mese e nei quali il committente può svolgere la propria mansione per un massimo inderogabile di 15 ore la settimana e, cosa fondamentale, senza l’obbligo di versare i contributi previdenziali. Prima di fare una panoramica degli effetti concreti sulla popolazione tedesca di queste riforme, ricordiamo nuovamente che esse hanno preso il nome da Peter Hartz, il quale all’epoca era il capo dell’ufficio personale o, per usare un termine moderno, delle human resources della Volskwagen. È proprio grazie alla sua esperienza, e soprattutto mentalità, aziendale che Peter Hartz viene chiamato da Schröder a dirigere la riforma. Per gli appassionati del gossip può essere interessante sapere che Hartz sarebbe stato coinvolto da lì a qualche anno in una vicenda di mazzette a manager Volkswagen, prostitute pagate direttamente da lui e anche pastiglie di Viagra prescritte⁴ dal servizio medico dell’azienda per i manager stressati. Il fautore della storica riforma del mercato del lavoro tedesco sarebbe stato poi condannato in via definitiva a 2 anni di prigione, in seguito condonati al pagamento di una maximulta di 576.000 €.

    Ad ogni modo, tornando al contenuto della riforma Hartz, possiamo riepilogare le sue linee guida generali dicendo che con essa vengono sostanzialmente creati i lavori interinali da 15 ore e 450 euro mensili⁵, i mini jobs, che sarebbero dovuti essere l’arma letale per combattere l’allora crescente disoccupazione di massa, mentre i sussidi sociali vengono drasticamente ridotti al fine di eliminare quelli che all’epoca vengono definiti degli abusi o, peggio ancora, dei privilegi da estirpare. Inoltre vengono creati dei centri di collocamento, denominati con il solito anglicismo di circostanza Job Center, che avrebbero svolto la funzione principale di indirizzare i disoccupati e i giovani nel mercato del lavoro. L’Unione Europea approva così tanto la riforma del mercato del lavoro e dello Stato sociale in Germania da condonare al governo tedesco lo sforamento della famosa regola del 3% del deficit, approvata con il Trattato di Maastricht nel 1992. Mentre anche i successivi governi italiani avrebbero sempre avuto la spada di Damocle dell’apertura di una pratica di infrazione da parte della Commissione Europea anche per minimi sforamenti del deficit, tali da superare anche di poco la fatidica soglia del 3%, in Germania non succede nulla, dal momento che il governo rosso-verde in carica è molto bravo a giustificare lo sforamento come necessario per poter riformare completamente l’assetto strutturale del paese. A ogni modo dopo 18 anni e diversi governi rossi, democristiani e di grandi coalizioni che si sono succeduti nel tempo, la Germania viene considerata ancora oggi la nazione leader in Europa in fatto di crescita del proprio Pil e con un invidiabile tasso di disoccupazione fermo al 4,9%⁶. Tutto va ben Madama la Cancelliera, verrebbe da dire. Ma siamo sicuri che le cose stiano proprio così?

    Stando alle stesse statistiche governative, il numero di lavoratori impiegati in uno o più mini jobs in Germania ammonta a quasi 8 milioni di unità, 7,6 milioni⁷ di persone per la precisione. Pertanto nella lista di chi un lavoro ce l’ha, vi sono quasi 8 milioni di persone che lavorano 15 ore alla settimana per portarsi a casa 450 euro al mese. Da questa massa notevole di lavoratori precarizzati e sottopagati, bisogna specificare che 4,9 milioni di loro vivono soltanto di un mini job, mentre altri 2,7 milioni svolgono un mini job solo come seconda attività rispetto al loro lavoro principale, altrimenti non avrebbero le risorse necessarie per vivere dignitosamente. Se da una parte i mini jobs hanno ridotto il lavoro nero e la disoccupazione, dall’altra hanno incentivato e istituzionalizzato il lavoro precario, a part-time e a bassi salari, con l’ulteriore conseguenza che la mancanza di contributi previdenziali da parte dei mini jobbers renderà il sistema pensionistico tedesco alquanto instabile, per usare un eufemismo, negli anni a venire.

    Altra figura lavorativa che è molto cresciuta negli ultimi decenni è quella dei cosiddetti Aufstocker, termine che è difficile da rendere in italiano ma che può essere tradotto come integratori. Nella sostanza gli Aufstocker sono dei lavoratori che percepiscono un salario così basso da rendere necessaria un’integrazione economica da parte dello Stato, altrimenti avrebbero anche in questo caso serie difficoltà a far fronte alle loro spese correnti e ad arrivare a fine mese. Nella maggior parte dei casi gli Aufstocker sono lavoratori a part-time, ma si sono registrati non pochi episodi di lavoratori a tempo pieno richiedere un aiuto economico allo Stato per poter sbarcare il lunario; sono per esempio padri di famiglia con figli e moglie a carico che, seppur lavorando 40 ore alla settimana, non riescono con i loro magri salari a garantire un’esistenza dignitosa a sé stessi e ai loro cari. Il numero degli Aufstocker in Germania è di circa 1,1 milioni di unità⁸.

    Altro dato interessante è che in Germania il numero di pensionati over 65 costretti a lavorare per arrotondare le loro insufficienti pensioni è di circa 1,4 milione di unità⁹. Parliamo dunque di vecchi pensionati che decidono di svolgere un’occupazione part-time per avere un’entrata extra di 450 euro al mese. Si è calcolato che in Germania 1 pensionato su 7 decida, o si senta costretto, di continuare a lavorare perché la sua pensione è troppo bassa. Per i neopensionati entro 3 anni dal raggiungimento della pensione la cifra si alza ad 1 su 3. d Ma il dato che ancora meno persone all’estero conoscono è che in Germania 1 bambino su 7¹⁰ riesce a vivere solo grazie al sussidio di disoccupazione, detto in gergo popolare Hartz IV, percepito da uno o entrambi i genitori disoccupati (o lavoratori ma con paghe troppo basse come visto sopra). La cifra sale per Berlino e Brema, due metropoli nelle quali il numero di bambini che vive solo grazie ai sussidi sociali è di ben 1 su 3.

    Inoltre, è necessario aggiungere che i dati sulla disoccupazione che il governo tedesco ciclicamente espone al resto d’Europa sono viziati da un grave difetto, che secondo i più critici assume quasi il contorno di una truffa contabile. Infatti, tra le persone che risultano per le statistiche ufficiali occupate, vi sono anche quei disoccupati di fatto che si differenziano da chi ufficialmente un lavoro non ce l’ha solo per il mero fatto di svolgere un corso di formazione professionale. È necessario chiarire che il sistema di corsi di formazione In Germania è del tutto diverso da quello vigente in Italia: un corso di formazione professionale per disoccupati, conosciuto come Ausbildung, può durare fino a ben 3 anni ed è interamente finanziato dai Job Center, quindi con i soldi dei contribuenti. Per onestà intellettuale bisogna comunque ammettere che il sistema di formazione tedesco viene considerato tra i migliori al mondo e determina un’entrata concreta nel mondo del lavoro. Tuttavia, il problema è che anche un semplice corso di tedesco di 3 mesi per un disoccupato viene considerato alla stregua di un Ausbildung. Ciò significa che il disoccupato che svolge tale corso durante l’intera durata del medesimo non viene considerato dalle statistiche governative né come inoccupato né come iscritto alle liste di collocamento. Si capisce bene come un sistema di questo tipo manipoli le statistiche sul tasso di disoccupazione: si tenga conto che i disoccupati fantasma che svolgono corsi di formazione, veri o presunti tali, sono almeno 1 milione e 300mila persone¹¹.

    Di conseguenza il tasso di disoccupazione fantasmagorico del 4,9%, che in Italia e in altri paesi europei viene considerato come un qualcosa di quasi utopico è in verità inficiato dalla presenza di milioni di disoccupati di fatto, i quali tuttavia non vengono conteggiati come tali solo perché partecipanti a corsi di formazione professionale, oltre che da una massa composta da milioni di lavoratori costretti a salari bassi e da integrazioni statali.

    È questo il vero dark side del mito tedesco.

    1.2 Germania, della fine della tranquillità

    e del Paukenschlag di Joseph Hayden

    di Edoardo Laudisi

    Negli ultimi sessant’anni la Germania, prima divisa poi unita, ha vissuto in una specie di bolla metastorica. Uno stato di tranquillità apparente reso possibile da decenni di benessere economico e stabilità politico-istituzionale che, visti dal versante meridionale delle Alpi, apparivano come un miraggio irraggiungibile.

    Ma non è sempre stato così. Il passato della Germania è stato spesso turbolento. Né occidentale né orientale, con il Reno a fare da Limes fin dai tempi di Teutoburgo e la faccia dell’aquila rivolta costantemente a Est alla ricerca del Lebensraum, la Germania è stata attraversata da potenti terremoti storici: Sacro Romano Impero, Riforma, guerra dei Trent’anni che in Germania fece più di 10 milioni di vittime, il Bauernkrieg, i moti rivoluzionari del 1848, lo slancio spirituale del Romanticismo di Hölderlin, Scardanelli, Heine e Brentano, lo Stato guerriero Prussiano, il secondo Reich, le carneficine dei due conflitti mondiali, fino al punto di non ritorno dei forni crematori. Il Nazionalsocialismo infatti rappresenta una censura insuperabile, non solo storica ma metafisica, che impedisce alla Germania contemporanea di trarre ispirazione dal suo passato prenazista. Ogni tentativo di rivisitazione della tradizione tedesca è reso quasi impossibile dalla colpa per il crimine nazista la quale, grazie anche al lavaggio del cervello operato dalla Scuola di Francoforte, viene fatta risalire a ben prima dell’avvento del nazionalsocialismo. La colpa è nell’uomo (maschio) tedesco in quanto personalità autoritaria ontologicamente predisposta al fascismo. Di lì al concetto di toxic masculinity usato dalle femministe contemporanee per le loro lotte di potere il passo è

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