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Le ali della farfalla
Le ali della farfalla
Le ali della farfalla
E-book123 pagine1 ora

Le ali della farfalla

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Info su questo ebook

Tre ragazzi adolescenti in fuga dalla violenza, da realtà in cui la gioventù non esiste:  Nicholas, Fatima e Amir hanno dei sogni nel cassetto e, per esaudirli, affrontano varie peripezie, e un viaggio interminabile verso l’Italia, che li accoglie in modo materno, ma li pone di fronte a molte difficoltà. L’Autore Bruno Tomaselli, con spiccato senso di osservazione, coglie tutti i momenti e gli stati d’animo dei protagonisti, puntando l’attenzione sulla varietà dei luoghi e sui colori della natura. Significativo il riferimento alla farfalla, che nel simbolismo rappresenta la rinascita, quella appunto dei personaggi.

Bruno Tomaselli è nato nel 1948 a Roma dove ha sempre vissuto. Ha cominciato scrivendo poesie e questo è il suo primo romanzo. Ha quattro amori: una moglie meravigliosa, due figlie stupende e quattro nipoti bellissimi e, il mare.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ago 2020
ISBN9788861851368
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    Le ali della farfalla - Bruno Tomaselli

    Bruno Tomaselli

    Le ali della farfalla

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-6185-136-8

    I edizione elettronica agosto 2020

    A mia moglie,

    la stella che ha sempre illuminato la mia strada.

    Alle mie figlie, ai miei nipoti,

    che hanno sempre creduto in me.

    A mio padre che mi ha insegnato

    la tenacia e la perseveranza.

    A mia madre che mi ha donato

    la vita, la libertà e la fantasia.

    CAPITOLO I

    Sta nascendo il sole nella savana. Piano piano, si accendono i colori tra fili di erba arsa e alberi preoccupati per la giornata di caldo tropicale, che tra poco si abbatterà sul suolo polveroso. La nebbia presto si alzerà e si dissolverà nell’atmosfera. Profumi intensi, che solo qui puoi sentire, stanno invadendo l’aria ed entrano nelle narici degli animali, indicando loro le strade che dovranno percorrere nella giornata, per trovare cibo, acqua e fuggire da predatori affamati. Qui, ogni giorno, è formato dall’oggi: il domani apparterrà solo a chi sopravvive. Ogni momento è buono per trasformarsi da mangiatore a mangiato. Non esiste la classe sociale, non si lotta per realizzarsi, si lotta per vivere e ogni essere è cibo per l’altro.

    Tutti i giorni mi allontanavo dalla casa dove abitavo con i miei genitori e i miei fratelli per andare nella savana, mi piaceva sentire il profumo dell’erba secca, avevo imparato a sentire l’odore degli animali, a prevenirli. Ero innamorata delle gazzelle e mi muovevo con lo stesso ritmo. In testa avevo sempre la musica e camminavo muovendomi come se ballassi. Ricordo che mia madre era preoccupata per la mia solitudine, per l’eterna distrazione. Andavo a scuola in una Missione, ma come potevo, cercavo un nascondiglio per restare sola con la mia musica, con la mia danza. La ascoltavo da un vecchio giradischi di proprietà delle suore, ricordo, che passavo tutto il tempo che potevo cercando di interpretare le note attraverso il movimento del mio corpo, era come se il mio Io appartenesse al pentagramma. Sono cresciuta nell’insegnamento della religione cattolica. L’unico libro su cui si studiava era la Bibbia: una favola stupenda che mi ha permesso di viaggiare con la fantasia in tutti i luoghi santi. Ho sempre pensato che il mondo fuori dal mio Paese, fosse così, come descritto in quel grande libro. Sono sempre stata innamorata della figura di Gesù: un uomo libero, che predicava la pace, l’uguaglianza, sempre pronto a soccorrere i più bisognosi, a schierarsi contro i prepotenti e gli oppressori.

    Mentre ero assorta nei miei pensieri e stavo tornando verso casa, d’improvviso sentii rumori e grida, l’ansia e la paura mi assalirono bloccandomi le gambe e, più mi avvicinavo al villaggio, più mi accorgevo di trascinarmi, avevo il fiato sempre più corto, il cuore mi esplodeva nel petto e nella testa. Mi fermai e cercai di respirare profondamente per riprendere le forze.

    A un tratto girando attorno a una siepe sopra un ceppo d’albero, vidi due occhi fermi sull’infinito che mi guardavano, sul tronco colava un rivolo di sangue; ci misi qualche secondo a capire che quella che avevo davanti era la testa di Johan il titolare del bazar. Avrei voluto correre verso casa, ma barcollando feci solo pochi passi e, caddi in mezzo a un cespuglio sopra un corpo morbido e svenni. Mi risvegliai quando la mano di Nicholas, il mio amico di sempre, chinato su di me tremante, mi stava girando, convinto che fossi morta. Fu allora che vidi che il corpo su cui ero caduta era quello di mio padre, trucidato dalla lama affilata di un Utsi.

    Mi strinsi con tutta la forza che avevo a lui singhiozzando al punto da non riuscire a respirare.

    Nicholas era più grande di me di due anni ed era molto robusto e muscoloso per la sua età.

    Mi strinse tra le braccia e mi portò, correndo, fuori dal villaggio fino alle grotte che si affacciano sul fiume.

    Gridai appena ripresi le forze: «Perché mi hai portato alle grotte anziché nella mia casa? Voglio vedere mia madre e i miei fratelli!». E istintivamente tentai di liberarmi dalle sue braccia per correre al villaggio.

    «Non devi tornare nella tua casa, gli Utsi potrebbero tornare e questa volta non ti salveresti. Ti ucciderebbero come hanno ucciso la mia famiglia, la tua, e tutti i nostri amici, tutti. Hanno sterminato l’intero villaggio a causa di questa assurda battaglia, che né io e né te sappiamo quando è cominciata, perché e come finirà. Ci siamo salvati solo perché noi siamo due spiriti liberi e in quel momento non eravamo al villaggio». Disse Nicholas mentre mi teneva stretta e mi bagnava con le sue lacrime.

    «E ora che ne sarà di noi?».

    «Per il momento resteremo nascosti e, se vorrai, potrai venir via con me. È da qualche tempo che pensavo di fuggire via, di vivere la mia vita altrove. Io non passerò il resto dei miei giorni a programmare la vendetta, ad armarmi per uccidere, io voglio sentire il profumo dell’alba, voglio vedere la luce del sole, voglio sentire la pioggia sulla mia pelle, io voglio vivere».

    «Dove andremo? Come faremo e cosa mangeremo?».

    «Te lo ricordi il figlio di Joan che con altri amici è partito dal villaggio? Bene, prima di partire mi ha mostrato una carta in cui c’era segnato il percorso che avrebbe fatto, io l’ho copiato su pergamena. Dovremo raggiungere le foci del Nilo Bianco poi seguire il fiume fino al grande lago e, da lì ci imbarcheremo per la Francia».

    «Come la presenti tu sembra facile, ma hai pensato alle insidie che potremmo incontrare, a come ci nutriremo? Si tratta di un fiume lunghissimo, quando arriveremo? E poi una volta arrivati, come vivremo, non conosciamo nessuno!».

    «Hai detto bene. Viaggiando potremmo trovare insidie, ma restando sicuramente ne avremo, perché quello che abbiamo visto, non promette nulla di buono. Credimi, partire è l’unica soluzione. Seguendo il fiume avremo da bere e da mangiare; quando arriveremo non lo so, ma puoi star sicura che arriveremo. Ora vado nel villaggio a prendere qualcosa che potrà esserci utile per il viaggio e, poi partiremo. Tu non muoverti da qui e aspettami, tornerò presto».

    «No, voglio venire anch’io, voglio rivedere la mia casa, la mia famiglia. Non possiamo abbandonare tutto così. Non possiamo non dare una sepoltura ai nostri morti».

    Il pianto e i singhiozzi non mi permisero di dire altro.

    «Non sappiamo se ancora qualcuno si aggira per il villaggio. In due non ce la faremmo a scappare. E poi è tutto inutile, dobbiamo lasciare questo posto immediatamente. Fidati di me».

    Nicholas detto questo, uscì dalla grotta e si allontanò a passo svelto, lasciandomi da sola con i miei pensieri.

    Come si può essere così crudeli? Uccidere persone che non conosci, senza sapere la loro storia, le loro pene, i loro sentimenti. Torturare, uccidere donne, bambini, uomini, solo perché non sono della stessa etnia. Gli animali farebbero questo? Come possono tornare alle loro case, abbracciare i figli con le mani ancora insanguinate? Dio, come puoi permettere tutto questo?.

    I pensieri si accalcavano nella mia mente, la testa mi girava vorticosamente, sentii che le forze mi abbandonavano e caddi svenuta.

    CAPITOLO II

    Sono le dieci del mattino e il caldo è già insopportabile. Nell’aria si respira la polvere del deserto e quei pochi ciuffi d’erba che le mie capre stanno brucando, sembrano piccole macchie in un mare giallo. Per fortuna che con me ho il mio violino, non saprei cosa fare senza il mio compagno di sempre. A volte, penso di essere nato suonato, non mi riesce di pensare a nient’altro; del resto mia madre vorrebbe mandarmi a scuola, ma mio padre dice che serve più allenare il corpo, che imparare a leggere e scrivere perché con le parole non si mangia. Mia madre che invece aveva studiato di nascosto da mio padre, mi aveva insegnato a leggere a scrivere e a far di conto. Si sfruttava la sera, dopo che lui, spesso ubriaco, cadeva addormentato. Mia madre cercava di stargli vicino il meno possibile perché mio padre non perdeva occasione per picchiarla: se il cibo era salato o se era insipido, se non era pronto al suo ritorno o se mia madre parlava di me, del mio futuro. Lui non l’ha mai detto, ma sia io che lei avevamo capito che cosa voleva fare di me, cosa aveva in mente per il mio futuro. Voleva che mi addestrassi alla guerra e, la sua massima aspirazione era quella di avere un figlio martire, poter dire agli amici che l’attentato di cui parlavano tutti i giornali, era opera di suo figlio, che si era fatto saltare in aria per tutti.

    Poi quel giorno tornando a casa l’avevo vista distesa per terra, gli occhi sbarrati a guardare il nulla, con un grosso ematoma sulla tempia, la bocca ancora aperta, quasi che da un momento all’altro dovesse uscire quell’urlo, che da sempre avrebbe voluto inviare al mondo e, che non aveva mai fatto, perché qui nessuno può raccogliere l’urlo d’aiuto lanciato da una donna.

    Mio padre, inginocchiato vicino a lei, alzò lo sguardo quel tanto che bastava per terrorizzarmi, come sempre, poi con voce distaccata mi disse: «È caduta, ha battuto la testa nell’angolo del camino,

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