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Il Programmatore Di Sogni
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E-book381 pagine5 ore

Il Programmatore Di Sogni

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Info su questo ebook

"Provate a immaginare di governare qualcosa che non avete mai pensato di controllare prima. Avete mai pensato di controllare i sogni?"
Sarebbe incredibile se qualcuno fosse in grado di programmare un software che permetta di manipolarli.
Tyler è un ragazzo che l’incredibile lo ha realizzato. Grazie al suo programma, può vivere fantastiche avventure, in un mondo dove è possibile cavalcare farfalle dalle ali di vetro, bere birra con un folletto o innamorarsi di una ninfa.

Tuttavia, l’ombra di un misterioso forestiero minaccia di oscurare la magia del regno e la sua avidità ne sta facendo richiudere i confini, impedendo agli umani di sognare ancora. La magia con cui opera è qualcosa di sconosciuto ai maghi della contea, ma non a Tyler. Serviranno le sue abilità di programmatore per fronteggiare l’hacker che interferisce con i sogni.

Il programmatore di sogni è il primo romanzo dove i sogni lucidi incontrano l'informatica, le profezie si intrecciano con la strategia, nella continua battaglia tra istinto e razionalità.

LinguaItaliano
Data di uscita8 set 2020
ISBN9781098756598
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    Anteprima del libro

    Il Programmatore Di Sogni - Riccardo Pagano

    Prologo

    Il bagliore della luna accendeva le acque di un piccolo lago, in una valle incavata tra le rocce scoscese di un monte. I suoi raggi centravano perfettamente lo spiraglio tra le facce dell'altura, che ne incanalava la luce, valorizzandone lo splendore. Riusciva a penetrare in quell'angolo di intima pace, laddove nessuno poteva entrare a disturbare. Chi aveva avuto la fortuna di conoscere quel posto, sapeva di non poter trovare preoccupazioni lì. Sentiva la fiducia degli alberi, che ne custodivano la quiete, e la pace gli era trasmessa dalla terra sotto i piedi. I raggi di luna si infrangevano contro le rocce lucide e si scomponevano nelle tonalità più luminose, per ricomporsi nell'albeggiare del lago.

    Una giovane era sdraiata su un fianco, ai suoi margini, e con la mano le sembrò di toccare la luce oltre che l'acqua. Si era recata alla valle per fare un bagno, ma era rimasta incantata da quel raro fenomeno: non sembrava la luna ad essere riflessa, piuttosto sembrava nascere dal fondo del lago, pronta ad alzarsi da un momento all'altro dalle sue acque e a portarsi in cielo. Tutta la luce che sarebbe bastata a illuminare la notte, adesso era concentrata nella valle e solo gli occhi puri della ragazza potevano goderne senza restare accecati.

    Teneva alta la testa, tirandosi su con i gomiti, facendo forza sulla soffice erba sotto di lei. I vestiti erano gettati alle sue spalle, appesi ai rami di un albero; il suo seno premeva sul terreno ed i suoi capelli liberavano ciocche che, come fiumiciattoli, si gettavano nel lago a bagnarsi le punte. Il riflesso nell'acqua sembrava la vera luna e gli occhi della fanciulla il lago in cui specchiarsi. Occhi grandi e castani, riuscivano a contenerla tutta, a dare un suo cielo a una finta luna che sembrava dipinta ad acrilici su una tela, tanto era calmo lo specchio dell'acqua.

    Mentre la fanciulla giocava con i capelli, arricciati dall'umidità, qualcosa cambiò nel suo sorriso. Il lago iniziò a incresparsi, la luna disegnata al suo interno fu cancellata dalle onde e ne restò solo il ricordo. Si guardò intorno. Non una traccia di vento, una foglia mossa sui rami. Era il suono gentile di un flauto, che giungeva a valle, a smuovere le acque. Il suo sguardo si rivolse subito a nord, la melodia lo accompagnò tra le insidie del bosco ripercorrendo la sua strada e le sue stesse note fino all'origine della musica. C'era un sentiero abbandonato da anni che portava ad antiche miniere in cima alla collina, inaffidabile, impraticabile. Un carro l'aveva risalito fin lassù e si era accostato per una sosta. Appoggiato al suo vagone, un mago suonava la sua malinconia. Il carro era il suo sostegno, il buio non gli metteva ancora premura di tornare a casa.

    1

    University of Maryland, College Park, 4 luglio

    -Sbrigati Tyler, o farai tardi alla presentazione- lo avvertì il suo amico Bryce, mentre raccoglieva i fogli della tesi, che il vento gli strappava via.

    -Non vorrai laurearti senza avermi prima salutato-

    Per nulla al mondo avrebbe mancato a quel confronto. In ogni momento importante Tyler era con lui a supportarlo.

    -Ti stupirò, vedrai- rispose, chinandosi ad aiutarlo con i fogli.

    -Non ne dubito. Non mi hai nemmeno accennato di cosa parlerai- convenne Bryce in una smorfia d'orgoglio. -Lavori da troppo tempo alla tua tesi. Dovresti uscire qualche volta- insistette Bryce, ma Tyler non sembrava dargli retta.

    Si alzò, si aggiustò la tunica e si grattò la schiena per il gran prurito che gli provocava.

    -Ne riparleremo domani- evitò la questione, come sempre faceva negli ultimi tempi.

    -Sei teso adesso? Il lavoro sporco è stato fatto, ora devi solo preparare un bel sorriso per le foto e fare qualche ringraziamento-

    Tyler sorrise un po' beffardamente e i due si avviarono al palco delle presentazioni. Lo rallegrava la sicurezza che dimostrava il suo amico in ogni occasione, come se fosse già preparato a qualunque evento universitario. Non aveva nessuna delle paure dei suoi coetanei, sembrava aver vissuto i venticinque anni decine di volte.

    Il palco si trovava sul dolce pendio del colle su cui sorgeva l'Università, sui resti di un antico teatro dalla forma semicircolare. Il sentiero che conduceva al teatro si faceva strada testardamente tra il fitto dei pini che popolavano il terreno intorno alla collina, accompagnato dalle mille composizioni delle siepi. Tyler accarezzò i fiori che si affacciavano coraggiosi dalla staccionata di legno, con la mano aperta, cullando i suoi pensieri con la morbidezza dei loro petali.

    Il fitto del bosco ombreggiava il sentiero, con i pini che intrecciavano i loro rami in una copertura impenetrabile dai raggi del sole. Un venticello leggero faceva compagnia al cammino silenzioso dei due amici, distraendoli dalle loro preoccupazioni; la sua dolce brezza saliva da sotto la tunica, ritemprando la schiena di sollievo.

    Oltre il silenzio dei pini si apriva lo spettacolo della cerimonia delle lauree. Il sole aveva appena raggiunto a fatica la vetta della collina, concedendo il permesso di iniziare la giornata. Il dormiente aspetto del teatro durante le stagioni di lezioni, oggi si tingeva del rosso degli stendardi della Maryland e dei colori dei fiori. Sui gradoni di pietra, corrosi dal tempo e lavorati dalla pioggia, erano stati installati per la cerimonia dei sedili più comodi e moderni e i suoni della natura erano sommersi dal brusio dei preparativi e lo scalpitare delle famiglie.

    -Guarda quanta gente c’è! - esclamò Tyler.

    Vi era il pienone quell'anno per un evento che a suo parere era valutato più di quanto non meritasse. Di tutti gli spettatori, in effetti, erano pochi quelli veramente interessati, gli altri approfittavano della giornata per sfoggiare un abito nuovo o confondersi con l'alta società. Erano invitati ogni anno personaggi dello spettacolo per dare uno spessore alla cerimonia. Era un circolo vizioso, dove tutti ambivano ad assistere all'evento e l'evento era ambito perché c'erano tutti quelli che contavano. In tutto ciò, sembrava che l'Università si nascondesse dietro una maschera per apparire al pari degli altri grandi college. Era un sistema piuttosto precario, che non solo aveva resistito negli anni, ma si era cementificato attorno alla solidità di una falsa reputazione. Per mantenere l'illusione si doveva ripetere di anno in anno, nella costante dipendenza di non accettare di essere una modesta realtà, senza mai sforzarsi di crescere veramente. Era una controfigura che fingeva di essere l'attore, in un film che era al di sopra della sua portata.

    All'uscita del sentiero tra i pini, i laureandi erano accolti dai lunghi tappeti rossi, che conducevano al palco delle presentazioni. Alle spalle, un grosso telo degli sponsor nascondeva un camerino improvvisato con qualche sedia e una copertura per il sole, una modesta saletta d'attesa per curare gli ultimi dettagli. L'impeccabile sicurezza che mostravano gli studenti al pubblico era del tutto dimenticata in quel posto: il prezzo da pagare, per chi aveva sprecato il suo tempo in distrazioni era la lotta con l'angoscia e il nervosismo di trovarsi impreparati al confronto con i possibili finanziatori del loro lavoro.

    Quando fu chiamato per la presentazione, Tyler salì i gradini che portavano al piccolo palco rialzato, aggrappandosi al corrimano, senza mai voltare lo sguardo verso il pubblico. Solo quando fu al centro del palco alzò gli occhi sull'oceano di gente che si stagliava in altezza e in larghezza di fronte a lui. Il sole adesso si era portato alto sulla collina e picchiava forte a mezzogiorno sulle pietre del teatro.

    Tra il caldo e l'emozione la sua fronte grondava di sudore. L'asciugò con un fazzoletto di seta, si schiarì la voce, stropicciò gli occhi ancora pieni di sonno e uscì dalle tasche un foglio di carta scarabocchiato.

    -Il mio nome è Tyler Mclearn e sto conseguendo la laurea in informatica- esordì il ragazzo. Alzò lo sguardo e di fronte a lui trovò solo le facce ostili dei professori e quelle delle madri stolte, che non avevano l'idea di cosa significassero gli strani discorsi di informatica che avrebbe potuto propinare loro.

    -Mi ricordo la prima volta che vidi questa università, sapevo che questo era quello che volevo diventare. Da ragazzo mi sono sempre guardato intorno e ho visto una società piena di errori e politici che non sapevano come risolverli. I programmatori, invece, mi hanno sempre affascinato con la loro sicurezza e la capacità di costruirsi tutto da sé. Loro sanno sempre cosa fare, che decisioni prendere. Perché la vita non è altro che un linguaggio che noi non siamo in grado di studiare. Tuttavia, i programmatori non si fermano di fronte a nessun ostacolo, perché la vita ci sfugge via se non ci alleniamo a controllarla- Abbassò gli occhi sulla prima fila.

    -Controllo... Provate a immaginare di controllare qualcosa che non avete mai pensato di governare prima. Avete mai pensato di controllare i sogni? - Allora il silenzio che aveva accompagnato le parole di Tyler si spense in un mormorio contagioso che si propagò come un'onda per tutte le file. -Tutti noi andiamo a dormire, chiudiamo gli occhi e diventiamo burattini del nostro subconscio. Io odio perdere il controllo della mia mente. I sogni sono un mondo incontaminato di cui non siamo padroni. Ma perché lasciarsi correre via la notte? Perché essere preda degli incubi? Se noi siamo il gioco preferito dei sogni, allora io voglio scrivere le regole di questo gioco. Sto studiando un modo per poterne alterare il corso usando la programmazione. Mancano i finanziamenti per poter proseguire gli studi, ma se me ne darete l'opportunità potremo cambiare la notte, potremo entrare nei sogni e averne il controllo come se fosse il giorno-

    Uscì tra gli applausi che il pubblico riservava ad ogni nuovo laureato ma le sue parole avevano diffuso un po’ di perplessità. Una tesi sui sogni? Gli studenti di informatica dovevano parlare dei loro programmini e di tutte quelle istruzioni complicate che il pubblico non avrebbe mai compreso, ma a cui avrebbe annuito senza porsi problemi. La gente non era abituata a certe novità sconvolgenti, quel giorno era una tradizione che doveva ripetersi ogni anno senza variazioni. Era proprio la mancanza di novità a renderla una tradizione.

    Ad accoglierlo sotto al palco c'era il suo amico Bryce che lo stava aspettando, con un sorriso che celava una certa preoccupazione. -Ti avevo detto che restava la parte facile. Dovevi sfilare e salutare con la manina, riciclare un progetto di terza mano e stringere la mano a qualche professore. Quale parte del piano non ti era chiara? –

    Le sue parole erano scandite male, pronunciate con i denti serrati per trattenere i commenti più audaci. Fece un respiro profondo e buttò fuori con l'aria tutta l'energia negativa, che non faceva altro che peggiorare la situazione. Prendendosi Tyler sotto spalla, lo accompagnò verso un posto più riservato. Sfuggirono gli sguardi di ghiaccio degli altri studenti attraverso una strada secondaria e, appena fuori dal teatro, accelerarono i passi scanditi dalla lunga tunica.

    -Le prime opinioni non sono buone e sai che col tempo non possono che peggiorare-

    -Al mondo ci sono troppe opinioni e poche idee- sentenziò Tyler.

    Bryce capì che era una questione che gli avrebbe preso tempo, anche se adesso si sarebbe dovuto trovare vicino al palco per la sua discussione. Si mise comodo, si sfilò la tunica e l'appese ad un albero del grande giardino, rimanendo con la sola canottiera. Al passaggio dallo scollo gli rimasero i capelli disordinati e il volto accaldato, che stava per esplodere per la rabbia di non riuscire a far ragionare l'amico.

    -Un'idea... Qual era la tua idea? Distruggerti la carriera? - disse, scuotendo la testa, capendo che le due parti erano ancora troppo lontane per poter discutere. -Non è più un gioco, Tyler. Oggi era importante-

    -Pensavo che almeno tu capissi che non ho voglia di giocare il giorno della mia laurea-

    -So che non ci sarà modo di farti cambiare idea. Ma potresti ancora tornare dagli altri e improvvisare una ricerca sul palco. Puoi prendere la mia, se vuoi. Noi siamo migliori degli altri, ma dovevamo sfruttare questa cosa per avere la vita più facile, non per sbatterci contro-

    -Finiresti solo per evitarla la vita, non puoi scappare a lungo. Tu non sei così-

    -Mi dispiace, Tyler. Oggi sono con loro e lo puoi essere anche tu, se lo vuoi- Gli tese la mano. -Torna di là e dici a tutti che era uno scherzo. Tu sei Tyler McLearn, nessuno ti rifiuterà un'altra occasione-

    -Non tornerò indietro- gli rispose.

    Bryce si fermò, stanco di rincorrerlo e si mise rassegnato le mani nelle tasche. Era come parlare a un muro, pensò che forse lasciarlo solo l'avrebbe aiutato di più a riflettere.

    -Sognerai per il resto della tua vita di aver buttato quest'occasione al vento e lo sai. Come te la cavi a riprogrammare gli incubi?- lo schernì Bryce con un sorriso ironico.

    Le sue parole riecheggiarono nella testa di Tyler, coprendo i rumori della cerimonia. Sembravano rimbalzare e ritornare alla sua attenzione, senza riuscire mai a toglierle dalla testa.

    2

    Per la festa, come da tradizione, veniva allestito un grandissimo banchetto nel giardino dell'Università. C'era un soffice prato verde che si distendeva sul dolce pendio e che conduceva al teatro antico, accompagnato dai giochi di cascate delle fontane. Era uno spettacolo da lasciare senza fiato, che visto dal basso sembrava protendersi verso l'infinito e perdersi nel cielo. Ma durante il periodo di studi le fontane rimanevano spente, perché non si riuscivano a sostenere le spese per l'acqua e il povero bidello Tino non poteva occuparsi da solo dell'immenso giardino. Soltanto in prossimità della cerimonia il personale dell'università veniva raddoppiato.

    C'era un gran da farsi in quei giorni e un costante viavai nei corridoi; ogni dettaglio veniva curato affinché fosse perfetto e tutto doveva procedere da copione nella cerimonia. Venivano montati lunghi gazebi per ripararsi dal sole cocente di luglio: non si sa perché le lauree avvengano di questo periodo, ma nessuno abbia mai messo in discussione la tradizione delle tonache. Lunghe tonache rosse sgargianti, di spessissima seta, sul petto ben in vista il logo della Maryland. Gli studenti potevano sembrare degli stupidi così conciati, eppure tantissimi imprenditori accorrevano da ogni parte dell'America per poter ascoltare le loro parole.

    Quel giorno gli studenti dovevano mostrare serietà e educazione per farsi considerare dalle grandi società. Tanti piccoli perfetti studenti prodotti in serie con la massima cura. Ma la Maryland era così, aveva bisogno di apparire nelle giornate importanti perché tutti la considerassero al pari degli altri grandi college.

    Proprio come l'università era anche il preside Carter, una macchietta d'uomo sia per il caratterino che per la statura. Era basso suppergiù un metro e cinquanta, ma si gonfiava di parole e di conoscenze. Nonostante la sua statura, in queste giornate si faceva notare sempre. Aveva un abito elegante confezionato da un sarto su misura e il nero sempre lucido delle scarpe abbagliava sotto i raggi del sole di luglio. Ti accorgevi del suo arrivo perché non si muoveva mai senza i suoi uomini: il segretario della facoltà Stuart e il professor Ferguson di analisi. Gli stavano incollati dietro quando si muoveva e annuivano ad ogni sua affermazione. In realtà al preside Carter non importava affatto la loro opinione, ma si sentiva sollevato a sentirsi dare ragione.

    Al banchetto si faceva immortalare con tutte le celebrità cercando di catturare la loro simpatia e qualche finanziamento, ma doveva reggersi in punta di piedi o su un rialzo per riuscire ad arrivare al petto degli ospiti. L'unica cosa che veniva immortalata in ogni foto era il suo volto, con su stampato sempre lo stesso identico sorriso di facciata.

    Trovò un momento per mettere da parte il suo sorriso falsissimo e fare un discorso in privato a Tyler. Lui lo seguì fino ad una piccola pinetina nascosta tra le siepi, dove non avrebbe creato troppo scompiglio una discussione più accesa. Il preside sembrava comunque abbastanza disteso, accolse Tyler come avrebbe fatto con gli altri stimati ospiti della serata, facendosi strada tra i rami più bassi delle siepi.

    Il ragazzo iniziò a sperare che avesse preso bene l'accaduto. Forse aveva capito la potenzialità del suo progetto e avrebbe voluto supportarlo, convincendo qualche finanziatore. Era un lato umano e piuttosto coraggioso che non aveva neanche considerato prima. Quel confronto sembrava proprio aver preso la piega giusta: non una parola, solo alcune occhiate distratte. Non sembravano aver fretta di arrivare al punto. Era come se il signor Carter condividesse lo stress della giornata di Tyler e lo avesse invitato in un momento di relax, lontano dalla cerimonia. Quanto di tutto quello era il vero signor Carter e quanto faceva ancora parte della recita?

    Il preside era tanto abituato a fingere con gli ospiti che non si riusciva più a cogliere la distanza tra le due cose. Si allentò il nodo della cravatta, estrasse dal taschino interno della giacca un accendino di metallo e si accese una sigaretta.

    -Non sapevo che fumasse, signor Carter- lo ammonì Tyler.

    -E infatti non lo deve sapere nessuno, visto che dovrò essere testimonial di una campagna contro il tumore ai polmoni. Se lei ne fosse il responsabile, darebbe quest'opportunità ad un fumatore?-

    -Direi di no- rispose, preoccupato che le domande retoriche fossero appena cominciate.

    -Allora è davvero brillante come dicono, signorino McLearn. È un onore per me poter tenere una discussione con l'allievo della Maryland più promettente di quest'ultima generazione- disse sarcastico.

    -Forse sta esagerando, signor Carter-

    -No signorino. Non sono io a dirlo, sono i dati, le statistiche, le recensioni dei suoi lavori. Gli osservatori hanno un profilo più che aggiornato sul suo conto e le loro previsioni non sbagliano mai. O per meglio dire, non hanno mai sbagliato, ma oggi sembra che il mondo giri nell'altro verso, quindi non mi sorprenderebbe che sia stata una svista. In tal caso lei non avrebbe colpa, non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi qui quest'oggi. La Maryland non è frequentata da sviste-

    Il sarcasmo era solo un preludio dell'aggressività del preside Carter. La voce delle sue ramanzine era diffusa da chi vi aveva avuto la disgrazia di imbattersi. Tyler deglutì per buttare giù le parole, che gli salivano in gola. In questi casi, gli era stato suggerito di rimanere immobile e aspettare che finisse il fiato nei piccoli polmoni logorati dal fumo. Ora avrebbe iniziato una lunga digressione sulla storia della facoltà e non doveva far altro che fingere interesse, annuendo a intervalli di alcuni secondi. Il preside rivolse lo sguardo al cielo e sputò via il fumo dalla sua bocca, circondando Tyler di una sgradevole nuvola dell'odor del catrame.

    -La nostra facoltà sforna le migliori teste d'America. Chi esce dalla Maryland ha un futuro assicurato nel mondo del lavoro. Ma è un duplice rapporto in quanto noi vi forniamo tutti mezzi per studiare e voi allievi ci ripagate con le vostre carriere. Ogni anno che passa serve a confermarci e a migliorare questo rapporto, solo con la costanza riusciamo ad essere catalogati come una università di qualità...-

    Tyler non seguì il lungo discorso del signor Carter. Le sue parole sembravano spegnersi lentamente.

    Fin quando lo guardò in faccia il preside non ci fece caso, ma quando distrattamente spostò lo sguardo sull'orizzonte divenne furibondo. Odiava non essere ascoltato e tutti i comportamenti che non gli andavano a genio li riteneva provocazioni per la sua bassa statura. -Che c'è, non le interessa, signorino McLearn?-

    -No, signore, non deve fraintendere, io...-

    Il preside non gli diede il tempo di prendere le sue difese e divenne paonazzo in volto, dimenticando il proverbiale autocontrollo che adoperava nelle giornate dove tutto doveva sembrare perfetto. D'un tratto non gli interessò più che gli invitati potessero sentire il loro diverbio o le inutili conseguenze di un'aggressione ad un allievo. Dimenticò tutte le sue responsabilità e di essere troppo basso per fare a botte. Era fuori di sé.

    -Signorino, lei dovrebbe preoccuparsi di più del giorno che della notte- lo provocò il preside Carter. Non aveva mai visto il preside in questo stato, era fuori di sé.

    -Preside Carter- lo chiamò una voce affannata da dietro le siepi. -Ecco dov'era finita-

    Per fortuna vennero interrotti appena in tempo dall'arrivo del professor Ferguson, che invitò il signor Carter a tornare ai suoi doveri, visto che gli ospiti si chiedevano che fine avesse fatto. Si voltò come una belva allontanata dalla sua preda, quando già ne stava pregustando il sapore della paura. Si passò una mano sul volto, come se stesse lavando via la rabbia dal suo sguardo e rimettesse il suo sorriso del tutto va bene.

    -Mi deve scusare, signor McLearn, vado a recuperare la situazione. Noi possiamo continuare un'altra volta-

    Si ricompose e sistemò la giacca del suo vestito, per uscire dalle siepi della pinetina impeccabile, come sempre. -Quasi dimenticavo, signorino. Farebbe bene a trovarsi un finanziatore per il suo progetto, se vuole rimettere piede in questa università. Altrimenti lei è ufficialmente espulso per aggressione al principale- Richiamò l'attenzione del professor Ferguson, tirandolo dalla stoffa del suo vestito. -Lei ne è testimone, vero professore?- Annuì di gran fretta e rivolse a Tyler un ultimo sguardo disgustato, quello che avrebbe rivolto a un vero aggressore.

    Tyler capì che poteva solo stare alle loro condizioni, visto che il sistema non prevedeva che uno studente venisse ascoltato. L'orgoglio di Tyler accusò la ramanzina del signor Carter e in un primo momento quasi si convinse che la sua tesi sui sogni era una follia. Fece una passeggiata lungo il sentiero della collina. La vista di un po' di natura lo avrebbe rasserenato.

    Ormai la festa si era spostata nel giardino della Maryland e lui si stava isolando un po' da quel rumore per schiarirsi le idee. Pensò che in fondo, era successo tutto così in fretta dalla sua presentazione. La gente dell'università gli aveva dato subito addosso, senza lasciargli il tempo di prepararsi e a lui aveva l'impressione di essere rimasto immobile di fronte alle accuse. D'altronde non avrebbe potuto prevederlo, prima della presentazione. Tutti lo avevano messo con le spalle al muro, accusando il suo fallimento prima ancora di conoscere le sue intenzioni. Il preside gli aveva offerto la possibilità di trovarsi un finanziatore, ma solo perché si rendeva conto che sarebbe stato impossibile.

    Bryce era rimasto spiazzato dal suo progetto e aveva reagito forse troppo impulsivamente. In questo momento sicuramente si stava chiedendo se non fosse stato troppo aggressivo con Tyler, visto che lui sperava che almeno Bryce lo avrebbe supportato.

    Raggiunse la sua panchina delle riflessioni. Era un po' vecchia e malridotta, la pietra levigata in modo grossolano e non era tanto stabile, ma la vista era molto suggestiva. Era lì che andava quando aveva bisogno di stare solo per pensare. Era lì che era andato quando ebbe la sua prima delusione d'amore, o a volte nelle crisi di depressione prenatalizia. Si fermava a pensare e lanciare sassi sull'erba come se rimbalzassero sullo specchio dell'acqua. Era un posto tutto suo, che oltre a lui conosceva solo Bryce. Ad un tratto si sentì osservato alle spalle. Eppure, si era accurato di non essere seguito dai cacciatori di teste, così pressanti.

    3

    L'ombra di una strana figura coprì interamente Tyler e lo distolse dai suoi pensieri. Si voltò con aria interrogativa e vide un uomo sulla settantina, dalla posa fiera, con le braccia conserte e lo sguardo fisso nel vuoto. Quando si accorse che Tyler lo stava guardando, l'uomo si fece avanti e mentre gli veniva incontro anche i dettagli presero forma. Sulla testa un'improponibile coppola da mafioso sovrastava il volto dai tratti quasi germanici. Aveva una carnagione rosastra sul suo viso paffuto e le guance gli rendevano gli occhi stretti, come socchiusi, nascosti da piccoli occhialini da vista, dalla montatura sottile e leggera che gli davano un'aria intelligente.

    Era ustionato in viso quel giorno. Un po' incosciente ad andare in giro senza protezione solare in pieno luglio. Ma la cosa che più spiccava agli occhi erano i folti baffi biondi che scendevano sul volto a coprire quasi interamente le labbra. Aveva l'aspetto di un uomo saggio e buono, sicuro di sé.

    Gli istanti di silenzio che seguirono furono un po' imbarazzanti per entrambi, che avevano il vizio di cadere spesso nei loro pensieri. Poi l'uomo misterioso si presentò.

    -Tyler McLearn? Sono Jamie Hansen- Tyler intravide un sorriso amichevole sotto i folti baffoni cadenti.

    All'inizio credette che fosse uno di quei noiosi talent scout che girovagavano tra gli studenti. Ma a un secondo sguardo notò che non ne aveva per niente l'aspetto. Bizzarro era una parola che lo definiva in modo appropriato. La camicia bianca faceva risaltare il volto scottato, la coppola che portava non riusciva a coprirgli del tutto il capo, che rifletteva i raggi del sole. I corti pantaloni da cerimonia sembravano piuttosto un improponibile smoking tagliato alle ginocchia e indossava ai piedi delle scarpe da ginnastica di sottomarca. Infine, portava sempre con sé un bastone da passeggio, di resistente legno di mogano, intarsiato un po' casualmente. Non aveva problemi per camminare, lo utilizzava solo per sorreggersi in quelle stradine più pendenti dei giardini della Maryland.

    -C'è una bella vista da quassù, non trova signorino McLearn?-

    Tyler volse lo sguardo verso di lui, con gli occhi socchiusi in direzione del sole, che dipingeva uno sfondo accecante alle spalle dello strano tizio, tanto da renderne difficile la vista. -La migliore. È utile venire qui a pensare, senza che nessuno ti disturbi con le sue domande- rispose provocatoriamente.

    Tyler sapeva perfettamente che si stava prendendo gioco del povero signore, solo per poter scaricare la tensione della giornata. In fondo anche lui non si riteneva colpevole delle accuse del preside e allo stesso modo se la prendeva con il pover'uomo, che in fin di conti stava solo svolgendo il suo lavoro. La falla stava nel sistema, che prevedeva che la tensione passasse dal più forte al più debole, fino a scaricarsi sul più innocente. Stava semplicemente facendo il suo corso, eppure Tyler non riusciva a essere cinico nel trattar male la gente. I sensi di colpa andavano solo ad amplificare le sue già notevoli preoccupazioni.

    -Sei cocciuto e ambizioso, proprio come tuo papà-

    Tyler si pietrificò a sentire parlare di suo padre e rivalutò la compagnia del signor Hansen. Gli fece un posto sulla panchina accanto a lui e studiò più attentamente il suo volto, senza riuscire a capire chi fosse.

    -Signorino, lei mi ha frainteso. Io non incarico degli scout per vedere se uno studente è adatto a lavorare con me. Sono ormai tanti anni che mi occupo di farlo da solo, anche se, dopo tuo padre, non ho più avuto il piacere di trovare gente altrettanto brillante- si affrettò a continuare il signore. Tyler non aveva molta considerazione di chi non conosceva, ma il signor Hansen aveva messo in ballo un argomento che lo aveva sempre interessato. Non erano in tanti ad avergli parlato di suo padre, dalla sua scomparsa. Si sapeva poco di lui, era una persona piuttosto riservata. Di solito la gente si risparmiava di affrontare l'argomento per non ricordare a Tyler della sventura. Lui invece riusciva a mettere da parte la tristezza, se doveva scegliere con la curiosità di scoprire qualcosa sul suo conto.

    I pochi ricordi che aveva si erano annebbiati col tempo, sognarli la notte lo aiutavano a mantenerli vivi. Sarebbe voluto entrare nei suoi sogni per poterlo incontrare un'ultima volta. Questo lo spingeva a lavorare sempre più duramente per il suo obiettivo, ma a volte non bastava per superare le barriere che la società gli imponeva. Sarebbe stato stupido ignorarlo, ma la realtà richiedeva dei finanziamenti, perché potesse veramente dedicarsi giorno e notte al suo progetto. Questo era un cruccio che avrebbe ostacolato Tyler, ma al quale non si voleva arrendere. Non aveva mai accettato il sistema, non aveva mai accettato la scomparsa di suo padre, non avrebbe mai accettato nemmeno un fallimento.

    La realtà dei fatti lo vedeva solo, su una panchina, con tante speranze e altrettanti problemi. La gente lo riteneva un pazzo e lo

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