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Sollevami
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E-book220 pagine2 ore

Sollevami

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Info su questo ebook

Sollevami, appassionante primo romanzo della trilogia di Etoile, la ragazza dall'iride a forma di stella, ambientato in una Francia futuristica e dalle tinte post-apocalittiche.
Jours de Pluie, "I giorni della pioggia": misteriose nubi violacee abbracciano il pianeta, annientandolo con una pioggia incessante.
Nel Laboratorio //S.Zero// la piccola Etoile cresce al sicuro, insieme alla sua adorata madre Ciel, ignara degli orrori che si verificano oltre quelle mura.
Ma è destinata a viaggiare, come una stella, lasciando dietro di sé una scia che, in modo indissolubile, è legata ai misteri di quel mondo in rovina.
LinguaItaliano
Data di uscita9 giu 2017
ISBN9788826451336
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    Anteprima del libro

    Sollevami - Matthew M. Lapin

    l’autore.

    Prologo

    Ciel correva sconvolta all’interno del Laboratorio //S. zero//.

    L’eco assordante dell’allarme faceva da sottofondo alla sua fuga e le urla dei suoi colleghi erano come spilli sul cuore.

    Ma non poteva fermarsi.

    Udì un fragore e l’incubo sopraggiunse alle sue spalle.

    S’infiltrava tra i corridoi, i condotti dell’aria, le porte automatizzate e le stesse pareti.

    Acqua nera.

    Un’onda scura prendeva vita insieme a grida, pianti e ringhi famelici, assumendo la forma di decine di mani artigliate.

    Al suo passaggio tutto si tramutava in cenere.

    Ci fu un’esplosione e miriadi di gocce bucherellarono il camice bianco della scienziata come proiettili, obbligandola a gettarlo e vederlo incenerire.

    Cambiò direzione e aumentò il passo.

    La donna stringeva al petto la sua ragione di vita.

    La sua bambina.

    «Étoile, ci siamo quasi…»

    Entrambe avevano capelli di un colore innaturale: azzurro chiaro la madre, legati in una lunga coda di cavallo, verde acqua e corti la piccola.

    «Mamma… ho paura.»

    Ciel non voleva che assistesse a quel massacro.

    «Ricorda quello che ti ho detto, non aprire gli occhi per nessuna ragione.»

    Il corridoio si estendeva verso l’oscurità, le luci d’emergenza si accendevano e spegnevano a intermittenza, rivelando pezzo per pezzo la via.

    D’un tratto un gorgoglio, seguito da un sussurro indecifrabile, e il soffitto iniziò a ingrigirsi.

    Le pareti esplosero e una cascata d’acqua nera cominciò a sgorgare.

    Bastò un istante e si precipitò verso un altro corridoio.

    Passo dopo passo Ciel osservava quell’incubo: superò le stanze degli esperimenti, i simulatori e la mensa.

    Decine di corpi ridotti in cenere sporcavano i posti che aveva imparato ad amare.

    Sapeva dove dirigersi e sperava che almeno quella stanza fosse integra.

    Poi qualcosa cadde a terra.

    Un ciondolo argentato.

    Nella foga le era sfuggito di mano.

    Si precipitò a riprenderlo, pur sapendo che l’acqua nera l’avrebbe raggiunta.

    Il liquido si avvicinava e tutto sembrò rallentare.

    Quando afferrò il ninnolo si trovò di fronte all’inevitabile: centinaia di mani liquide erano a pochi centimetri dal suo viso.

    Prima di essere travolta strinse a sé la piccola.

    Ma accadde qualcosa.

    Le mani liquide s’infransero contro un muro di pura energia apparso dal nulla, era come sabbia di un azzurro cosmico, lucente e chiarissimo, che modellandosi prendeva quella forma resistente.

    Tentavano in ogni modo di scalfirlo, graffiando e picchiando, sussurrando e ringhiando, ma quella difesa non cedeva.

    Disobbedendo alla raccomandazione della madre, Étoile aveva aperto gli occhi.

    Proprio allora una luce misteriosa brillò dal suo occhio destro, la stessa luce di cui splendeva quella barriera, la stessa luce che avvolgeva il suo corpo e anche il ciondolo argentato.

    L’azzurro chiarissimo dei suoi occhi.

    L’azzurro ancora più chiaro della sua iride destra…

    A forma di stella.

    Grazie a lei si stavano salvando.

    Ciel non perse tempo e rincominciò a correre, serrando la presa sulla bimba e sul ciondolo.

    Il muro energetico iniziava a scricchiolare e a stridere e la bambina sembrava soffrire come se fosse stata colta da una fatica immane.

    «Mamma!»

    La luce dell’occhio e quella del ciondolo si affievolirono e il muro si ruppe come centinaia di vetri infranti al suolo, inghiottiti poi dall’avanzare delle acque.

    Ma nel frattempo erano arrivate di fronte a una grossa porta blindata e la scienziata non riuscì a nascondere un sorriso di sollievo.

    Sfiorò un pannello che, rientrando nel muro, lasciò lo spazio a una serie di numeri olografici.

    Inserì una combinazione e una voce cibernetica diede conferma della password.

    La porta si aprì ed entrarono.

    Avevano poco tempo prima che le acque dissolvessero la porta.

    Lo scintillio causato dai fili elettrici spezzati illuminava la stanza, la camera di una bambina: il soffitto sembrava un cielo stellato, un ologramma che si accendeva a intermittenza rivelando una grande luna a falce nel suo centro perfetto.

    Decine di libri caduti da una libreria erano sparsi a terra, insieme a peluche e giocattoli d’ogni tipo, come soldati intrappolati sotto le macerie.

    Ciel spostò il letto, liberando la parete.

    Si chinò alla ricerca di qualcosa, un bip, e il muro rivelò una capsula simile a un bocciolo di rosa bianca.

    «Vieni amore…»

    La piccola la abbracciò mentre il cuore le batteva forte.

    Ciel tentò di trattenere il pianto e afferrò la piccola adagiandola nella poltroncina dentro la capsula. Adesso nei suoi occhi non c’era più timore.

    Poi un boato.

    La porta iniziò a tremare e si udì un rumore come di artigli su una lavagna.

    Étoile singhiozzò. «Mamma… ho paura…»

    Fu allora che Ciel prese un album di foto caduto a terra.

    Madre e figlia indossavano cappotti invernali, la bimba portava i capelli legati, e irritata sembrava alle prese con una sciarpa troppo grande che le copriva il viso, lasciando alla luce solo gli occhietti.

    «Ti ricordi, Étoile? Quel giorno eri così carina, con le guance arrossate, e quella sciarpa cattiva che ti pizzicava il collo… avevi il raffreddore, ma volevi a tutti i costi un ghiacciolo al limone. L’abbiamo cercato per tutta la città e quando l’abbiamo trovato…»

    «Mi è caduto…» disse la piccola.

    L’acqua iniziò a corrodere la porta, ma Ciel le mostrò un’altra foto.

    «E qui? Eri arrabbiata perché non riuscivi più a trovare il tuo coniglietto, come si chiamava?»

    «L… Lune.»

    «Esatto, proprio lui… poi hai scoperto che era rimasto nascosto dalle coperte per tutto il tempo…»

    Il fragore divenne più vigoroso e la porta si tinse di grigio, decine di sussurri riecheggiarono nella stanza, il metallo man mano diventava cenere, sbuffando e scoppiettando.

    Ma Ciel non si fermava.

    In un’altra fotografia Étoile spegneva le candeline del suo quinto compleanno.

    «Amore mio… Ricordi? Ricordi quanto era buona…»

    La voce era spezzata.

    Lasciò cadere la foto, che si posò leggera al suolo.

    «Tesoro mio…»

    Si abbracciarono piangendo.

    Desideravano solo che il tempo si fermasse, diventasse immobile, intoccabile.

    Étoile si strinse a lei, cercando per un’ultima volta quel senso di protezione.

    Di nuovo il potente boato le fece sobbalzare, spezzando quel fragile momento.

    Non c’era più tempo.

    Ciel si liberò da quell’ultimo abbraccio, posò il ciondolo nelle sue manine e chiuse lo sportello della capsula.

    «Mamma, mamma, cosa fai?!» urlava, sbattendo i pugni contro il vetro, tanto da farsi male.

    Ciel respirò a fondo, non voleva che la figlia la ricordasse così, mentre piangeva.

    «Mi dispiace, amore mio, mi dispiace tanto…»

    «MAMMA! MAMMA! TI PREGO VIENI CON ME. MAMMA!»

    Ciel poggiò la fronte al vetro.

    E lo stesso fece Étoile.

    Poi disse quello che la sua bambina non avrebbe mai dimenticato.

    «Prendi il mio ciondolo, tra dieci anni portalo sotto il nostro albero, quello vicino alla casa dove andavamo in vacanza… Tienilo sempre con te… non perderlo mai… e non mostrarlo a nessuno… so che puoi farcela amore mio.»

    Mise in azione la capsula che si sollevò attraverso un lungo tubo, portando la figlia fuori da quell’incubo.

    «MAMMA! MAMMA! MAMMA!»

    In quell’istante la porta cedette e l’acqua, come mille mani dalle unghie affilate, si scagliò su Ciel.

    Ti voglio bene, Étoile…

    La piccola andò sempre più in alto, accelerando.

    Attraversò un’oscurità che pareva infinita, stringeva a sé il ciondolo piangendo, ma aveva ancora negli occhi l’immagine dell’ultimo sorriso della madre.

    Poi una luce.

    La vide avvicinarsi a grande velocità, si rispecchiava nell’iride a forma di stella.

    Ci fu un boato, chiuse gli occhi e rimase senza respiro.

    Capitolo 1

    La mezzanotte più importante.

    La prima goccia di pioggia s’infranse sull’oceano.

    Una sottile onda concentrica alla ricerca della riva venne spezzata da una barchetta in legno bianco.

    Un tendone ben steso con un cavo e due bastoni, riparo di fortuna dopo un brutto temporale a mare aperto, faceva intravedere la sua ombra.

    Dormiva. Il cullare delle onde l’aveva abituata a perdersi in un’infinità di sogni.

    Sognava vette innevate, tesori sommersi, uccelli migratori e i loro nidi al di sopra del manto d’acqua.

    La seconda goccia di pioggia cadde sulla sua fronte, scendendo lieve lungo il giovane viso, bianco come luce, svegliandola lentamente.

    Si alzò cercando di non calpestare le decine di libri che aveva raccolto durante i suoi viaggi, i suoi tesori.

    La terza goccia di pioggia le bagnò il vestito bianco, scollato, senza maniche né spalline.

    La quarta finì sulla spalla correndo giù sull’esile corpo di adolescente.

    D’un tratto qualcosa si mosse e le parve di vedere una luce, la nave iniziò ad avanzare senza che nessuno toccasse il timone o accendesse un motore.

    Aprì gli occhi contemplando la quinta, la decima, la centesima e le altre infinite gocce cadere su quel che rimaneva del mondo.

    Le nuvole danzavano su un interminabile oceano oltre l’orizzonte, perse come isole emergevano le punte delle montagne.

    Un paesino non poco distante si specchiava sull’acqua, uno di quelli situati in alto, gli unici rimasti.

    I tetti delle case fuoriuscivano dall’oceano, ormai troppo vecchi e sommersi da anni, dimora d’ogni sorta di animali.

    La barchetta raggiunse la riva e la fanciulla toccò il sentiero di ghiaia.

    La pioggia divenne violenta.

    Strinse qualcosa. Una catenella d’argento sorreggeva un ciondolo, abbassò il capo e si perse nei ricordi, consapevole che la sua storia sarebbe iniziata in quel momento.

    La barchetta bianca galleggiava indisturbata mossa dal venticello mattutino, e di lì a pochi passi si estendeva il sentiero di ghiaia in lieve pendenza, in mezzo alle case abbandonate del villaggio montano.

    Scalza percorreva la via osservando quelle mura invecchiate: le finestre rotte lasciavano intravedere il mobilio ammuffito, vecchie foto, elettrodomestici rotti e muffa in abbondanza. Ogni anfratto era come la pagina di un libro, ricco di storia, ma dimenticato e usurato dal tempo.

    D’un tratto la sua iride destra s’illuminò di un azzurro purissimo e anche il ciondolo fece lo stesso.

    Étoile cominciò a cantare.

    Luna… sola decori il cielo e gelose le stelle danzano divise dalla tua luce.

    Pochi attimi e dal nulla si generò un’energia simile a sabbia azzurra che fluttuava al ritmo del canto di Étoile.

    Notte, non punire le tue sorelle, non rattristarti, superbe credono d’adornarti.

    Fece un balzo e iniziò a galleggiare sorvolando i tetti, lasciando dietro di sé una scia, come se fosse una stella cadente. Sorrise e l’energia prese forma: il villaggio si animò, le strade furono invase dai bambini che si inseguivano, le madri che spettegolavano, i mercanti che esponevano le merci e si sentiva l’odore di carne sul fuoco.

    Sole, non rubare l’attimo alla Luna, mostra la sua bellezza all’unica stella non gelosa di lei.

    Si alzò il vento che smosse le fronde degli alberi e le foglie le danzarono attorno.

    Le onde s’infransero sul sentiero e la pioggia, ritmica, diventò un’orchestra.

    Gli aquiloni volavano sopra di lei.

    D’un tratto si lasciò precipitare e, assaporando la sensazione della caduta libera, concluse il suo canto.

    Stella… protetta dalla luna, sogna il sole, ma non piangere l’azzurro cielo e insieme danzeremo eternamente con i nostri riflessi.

    All’ultimo istante si stabilizzò per poi, fluttuando, sfiorare il terreno come una piuma, voltandosi vide il sentiero di ghiaia alle sue spalle che portava alle porte del villaggio.

    Il ciondolo e l’iride persero la loro luce e tutto svanì come polvere mossa dal vento.

    Sorvolò un alto cancello per poi atterrare in una piazzetta sopraelevata, che si affacciava su una via secondaria verso i campi sprofondati.

    L’ombra di un palazzone malandato, forse il municipio, si proiettava sul terreno, il grosso orologio al di sopra dell’entrata, era fermo sul mezzodì.

    Ai margini della piazza si ergeva un vecchio arco di pietra ricoperto da rampicanti, più su c’era un boschetto e in cima una piccola cappella malridotta, spettrale.

    Ogni notte la campana suonava alla mezzanotte, anche se abbandonata da tempo.

    Distolse lo sguardo inquieta e riprese a camminare con passo spedito.

    Giunse a una biblioteca a pochi passi dal municipio e decise di restare lì, era il riparo più confortevole.

    L’insegna era caduta sulle piante morte di fronte alla vetrina. Per sua fortuna la porta non era chiusa a chiave.

    Era stato di certo un negozio di famiglia che guadagnava sulla solita clientela, c’erano libri d’ogni genere, alcuni dei quali, pur con un filo di rimorso, aggiunse alla sua collezione.

    Aveva trasportato davanti al bancone il materasso trovato al piano superiore; in quel modo avrebbe potuto avere a portata di mano tutti i libri che voleva.

    Afferrò uno dei tanti volumi.

    «Starò qui a leggere, a mezzanotte avrò sedici anni e sarò una signorina, e potrò fare tutto quello che voglio. Anche se in effetti lo faccio già…»

    Aprì il libro:

    Derek entrò nella stanza e vide Angelica, il grande amore che aspettava ormai da anni e, senza dir nulla, la strinse dandole il bacio che sognava da una vita.

    Arrossì.

    «Bacio… Ora che sono una signorina potrei anche pensare di poter… baciare… un…» sussurrò mordendosi le labbra, sognando.

    Poi chiuse il libro.

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