Barcelona desnuda
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I quartieri barcellonesi e gli episodi salienti nella vita della città e dei suoi abitanti, le Esposizioni universali, le rivolte anarcosindacaliste e la guerra civile compongono un iridescente rosone gaudiano non solo letterario ma artistico, storico e culturale. Frequenteremo personaggi amati o saremo sedotti per la prima volta da scrittori e grandi classici della letteratura novecentesca catalana e castigliana: da Carlos Ruiz Zafón a Josep Pla con "Un signore di Barcellona"; e poi Joan Sales, Salvador Espriu, Mercè Rodoreda con il suo "La piazza del Diamante", Eduardo Mendoza, i romanzi polizieschi di Manuel Vázquez Montalbán e Alicia Giménez-Bartlett.
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Anteprima del libro
Barcelona desnuda - Amaranta Sbardella
Scritti Traversi
BARCELONA DESNUDA
Fuga nella città: letteratura, luoghi comuni e insoliti cammini
di Amaranta Sbardella
BARCELONA DESNUDA
Fuga nella città: letteratura, luoghi comuni e insoliti cammini
di Amaranta Sbardella
con le foto di Emiliano Maisto
© 2018 - Edizioni Exòrma
Via Fabrizio Luscino 73 - Roma
Tutti i diritti riservati
www.exormaedizioni.com
Progetto editoriale Orfeo Pagnani
Collana Scritti Traversi
ISBN 978-88-31461-10-8
Impaginazione omgrafica, roma
A Emiliano
Al piccolo Leonardo
…E amo
con dolore disperato
questa mia povera, sporca, triste e sventurata patria.
Salvador Espriu
ANTEFATTO
~
DI COME UN GIOVANE STAGISTA BIBLIOTECARIO NON TROVI PIÙ CERTE SUE SCHEDE DI CATALOGO, A LUI SOTTRATTE DAI PERSONAGGI DI ALCUNE OPERE SU BARCELLONA — DI COME QUESTI SI DISPERDANO PER LE VIE DELLA CITTÀ, CHE TORNERÀ A VIVERE NEI LORO OCCHI E NELLE LORO VOCI.
Barcellona. Raval. Il sole, sorto da poco, entra di traverso dalla finestra rotta e scivola su una fotografia in bianco e nero di Joan Colom, quindi su un ciuffo di polvere, su una decina di fogli scritti, unti di grasso, e sulla zampetta di uno scarafaggio in fuga.
L’insetto corre lungo le assi del pavimento logoro verso l’altra estremità della stanza, si infila in mezzo a torri di manuali impilati, antologie, florilegi ed enciclopedie. In castigliano, catalano, francese, inglese, italiano. Un paio in rumeno, russo e svedese. Vecchie cartoline. Mappe della Barcellona di ieri, oggi e domani. Fotografie. Un mare di carte, di foglietti adesivi fitti di annotazioni, ghirigori e scarabocchi. Schede della biblioteca compilate a metà con una grafia incerta. E ancora maniche di magliette, gambe di pantaloni e calzini solitari, che pendono naufraghi dalle cataste dei volumi.
Il biondino magro e nervoso dorme, dorme e sussulta. Forse sogna baci strappati tra le ninfee di Montjuïc. Forse vorticosi balli gitani. Forse torridi tramonti sulla sabbia di Barceloneta. O forse non sogna. Nel dormiveglia ha come intravisto un baleno di rosso, un vestito attillato, un rivolo di sangue, una bugia accesa nella stanzetta di un’indovina. Abbandonati da un lato, gli occhiali se ne stanno scomposti sul letto, tra un posacenere pieno e una bottiglia quasi vuota.
«C’è davvero un’aria irrespirabile qui dentro, sono ormai mesi che ve lo faccio presente».
«Non lo dica a me. È un girone infernale questa stamberga… Non se ne può più! Quel ragazzo è un disastro».
Il biondino si sveglia di soprassalto, sudato, e non per le voci, che in realtà non sente. Non riesce a dormire con quei quattro romanzi di Mercè Rodoreda e quel tomo di Ruiz Zafón conficcati tra costole e vertebre. Si alza di scatto. Un rapido inventario delle cicche, della bottiglia e dei fogli sparsi per la camera. Afferra uno dei tre pacchetti accartocciati sul tavolo e si accende la prima sigaretta. Al lavoro. Rimette insieme gli appunti, spalanca tre libri e comincia a scorrere con il dito una riga del primo e poi un’altra del secondo. Afferra una penna e appunta parole ossute su una scheda immacolata. Si ferma.
Che stava facendo poche ore prima? Se non ricorda male, non stava prendendo appunti… Raccoglie un libro da terra e va dritto verso quella specie di schedario che si è costruito da solo, con le assi che ha recuperato il martedì sera, quando le strade di Barcellona si popolano di materassi vecchi, mobili mutilati e ricordi dell’infanzia. Cerca una scheda, la scheda numero centotrentasette. Il numero l’ha segnato la sera prima sul libro che ora tiene in mano. Le labbra strette sulla sigaretta, scorre tutte le schede. Niente. Non c’è. E vicino a quella ne mancano altre.
«Ha proprio ragione, mia cara. I libri andrebbero bruciati, tutti. Come facevo pure io, nel mio camino».
«Ma no! Cos’ha capito? Io parlavo del fumo. E di queste orribili schede. Le sembra giusto che mi si debba catalogare con una misera e scialba sinossi su una schedina bianca, su un foglietto volante? È davvero inaccettabile! Per fortuna…».
Il ragazzo è alla terza o quarta sigaretta, e continua a frugare nel piccolo casellario. Le ha compilate lui le schede, lui le ha ordinate. Lo sa che ci sono. Ci devono essere. Figuriamoci, è il lavoro di sette mesi fatto per la biblioteca, per il suo stage. Ormai ha perso il conto dei giorni, delle ore spese a catalogare, archiviare, classificare, inventariare: tutte le opere su Barcellona, di Barcellona, con Barcellona. Non è possibile che le schede siano svanite nel nulla, eppure non ci sono, ne mancano alcune. No. È sicuro di averle scritte e messe al loro posto. Qualcosa non quadra.
Qualcosa non quadra, certamente, ma prima di farsi prendere dal panico sarà meglio controllare ancora ogni singolo libro, ogni volume, ogni enciclopedia. Chissà, potrebbe avercele infilate per sbaglio. Si affretta ad accendersi l’ennesima sigaretta.
«Ho sempre detto che questo ragazzo è un gran babbeo, non è d’accordo con me, Fermín? Su, un ultimo saluto alla stanza e alziamo i tacchi».
«Sì, sì, finalmente. Ah, signorina Petra, mia salvatrice. Da donna a donna: non ne potevo più, in quelle schede mi sentivo soffocare, senza vita, una reclusa. Mi sembrava di tornare indietro nel tempo, a quando Marc…».
«Cecília mia cara, benissimo, ci fa piacere che si senta meglio, però si dia una mossa. Ha preso la sua scheda, vero? La numero centotrentacinque?».
«Certo, signor Carvalho. L’ho presa, è lei. Guardi, c’è scritto: "Prostitute nel Raval: Via delle Camelie di Mercè Rodoreda". E ho preso pure quelle delle mie compagne di sventura, la numero centotrentasette e la numero centotrentotto. Non mi sembra vero, dopo il cuore rotto di tisi, dopo Eusebi…».
«Su, su, cara, andiamo, si muova. E faccia attenzione a non pestare la coda di Belzebù: lo conosce fin troppo bene. Se le graffia il suo bel vestitino, non potrà più tornare sulla Rambla».
Nel frattempo le sigarette sono diventate sei, poi sette, mentre il ragazzo continua a rovistare freneticamente. Le torri di libri franano, i fogli decollano e ricadono sul pavimento galleggiando nella polvere sospesa, le enciclopedie si rovesciano sugli scarafaggi che battono in ritirata. Niente. Le schede sono scomparse. Si appoggia incredulo e vinto al davanzale della finestra, con l’ultima sigaretta che penzola ancora e, sfinita pure lei, si spegne.
Giù in strada una donna con un vestito a fiori sembra uscita da una foto d’epoca. Si allontana in compagnia di un uomo dall’aria grave e di un altro signore sulla sessantina, paffuto e con i baffi. Li precedono una donna matura, volitiva, che potrebbe essere bionda ma pure mora, e una cieca senza bastone, e perfino un guardingo gatto nero. Sopra di loro un colombo disegna volute nel cielo. La donna dal passo deciso tiene in mano una scheda bianca e verde: una scheda che la riguarda, la sua. Vi si legge: Barcellona nei romanzi di Petra Delicado
. È una di quelle che il biondino sta invano cercando.
La donna dal vestito con i ranuncoli in fiore si volta, scambia uno sguardo con il ragazzo alla finestra. L’uomo paffuto al suo fianco le sorride e la scuote gentilmente.
«Non si faccia prendere dai rimorsi, cara Cecília. Se la caverà. E ora andiamo: ci aspetta Barcellona, la nostra Barcellona, la città che conosciamo, che raccontiamo e che vedremo di nuovo, ma forse per la prima volta».
MEMORIE DI UN GATTO
BARCELLONA TRA INDUSTRIE, ANARCHICI E SPLENDORI
(Liberamente ispirato a Teresuccia-che-scendeva-le-scale
in Arianna nel labirinto grottesco di Salvador Espriu, 1935; La città dei prodigi di Eduardo Mendoza, 1986; Un signore di Barcellona di Josep Pla, 1951)
~
SULLE SETTE REINCARNAZIONI DI UN GATTO BARCELLONESE. PRIMA: DI COME CONTEMPLI LA NOTTE NEGLI ANNI OTTANTA DELL’OTTOCENTO — SECONDA: DI COME PARLI A UN SUO SIMILE SUL CONTO DI TERESUCCIA E DEL CAPITANO — TERZA: DI COME ATTENTI ALLA VITA DI ONOFRE BOUVILA, PROTAGONISTA MENDOZIANO — QUARTA: DI COME RISPONDA ALL’INTERROGATORIO SULLE SORTI DI SANTIAGO SALVADOR FRANCH, AUTORE DELL’ATTENTATO AL TEATRO LICEU, IL 7 NOVEMBRE 1893 — QUINTA: DI COME OSSERVI IL BALLO TRA UN UOMO E UNA MUMMIA — SESTA: NON PERVENUTA — SETTIMA: DI COME, ASSIEME AI SUOI SIMILI, ACCOLGA IL RICCO BORGHESE RAFEL PUGET AL RITORNO DALL’INAUGURAZIONE DELL’ESPOSIZIONE UNIVERSALE DEL 1929.
Due fanali nel buio. Un’ombra leggera sul muro. Rapidi passi. Un salto. La capanna scricchiola, il fango secco non regge. Meglio allontanarsi in fretta, prima degli strilli, sgusciando sotto le gambe di un ubriaco barcollante, e poi rasente alla bimba dai calzini logori, la cui mano accenna una carezza. Veloce. In equilibrio sul filo delle tute blu da lavoro, dei berretti in frangia stesi ad asciugare. Un altro salto. Dabbasso qualcuno mastica a bocca aperta sardine e baccalà, ne riconosce il profumo. L’arco della costa sporca abbraccia la luna vitrea sul mare, una scodella biancastra pronta a farsi inghiottire dai flutti. Le urla silenziose della marea, i borbottii di una vecchia, un mugolio sordo, di rabbia o d’amore.
Si arrampica sulle casette basse di legno, dove il mattino si accuccia a scrutare le barche e i pescatori, nella speranza di qualche testa di muggine o di qualche lisca. A pochi metri scorge il Grigio: divora la carcassa di un gabbiano, mentre lo osserva serio un bimbetto smagrito.
Lascia la sabbia, si addentra per Barceloneta, tra le viuzze mute, i palazzi corrosi dalla salsedine, i balconi arrugginiti. Salta su un carro, dal carro al balcone, poi a un secondo balcone, e a un terzo. Fino al tetto a terrazza, bianco, deserto, silenzioso come lui.
Il piatto di luna con gli avanzi di cibo è lì dietro, splendente. Il mare ora tace. Il Grigio avrà divorato il gabbiano. Un seno scavato avrà ripreso il bambino.
Barcellona, di notte, è la magia. I monti lontani, i lumini fiochi. I fumi bianchi che salgono dalle ciminiere, da una, da due, da tre fumaioli in mattone. Proprio davanti a lui, a Barceloneta, lo stabilimento della Maquinista Terrestre i Maritima, con l’arco sotto cui passano gli uomini, i carri e i cavalli. A destra, a Poblenou, un’altra struttura massiccia, ma più recente, della Maquinista. Sulla sinistra, contro la collina ancora spoglia e buia del Tibidabo, si stagliano le volute delle possenti fabbriche di Sants e di Les Corts e, non troppo lontano, quella del Vapor Nou di Gràcia. Ciminiere alberi, con colonne di fumo opalescente, tronchi di una foresta incantata, nelle cui radici fremono forni, rulli, macchinari e telai industriali.
La brezza di primavera porta sul tetto i canti mesti degli operai, il rumore meccanico del loro lavoro, gli inviti delle prostitute sulla Rambla, nel Raval o nella Ciutat Vella, gli echi di fisarmoniche, i pianti dei bambini affamati nelle baracche, gli spergiuri dei condannati nelle carceri. Porta anche i sogni delle migliaia di spagnoli giunti a Barcellona a costruire l’impero economico della città, a morire per lei. I sogni di alcuni, le Americhe, e i sogni di altri, l’uguaglianza.
La notte sublima Barcellona, il