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Cronache nere (Vol. I)
Cronache nere (Vol. I)
Cronache nere (Vol. I)
E-book204 pagine2 ore

Cronache nere (Vol. I)

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Info su questo ebook

"Donne altrimenti amate": L'incanto della Riviera è turbato dal ritrovamento di Stefania, giovane universitaria e giornalista freelance, uccisa come un animale in un tranquillo pomeriggio di un giorno qualsiasi. Per Nusca, maresciallo dei carabinieri, l'assassino può essere solo un serial killer. Per lui il caso è chiuso. Ma il giornalista Fabio Riccò non si dà pace: Stefania era la collega che sapeva di sapone di Marsiglia, tutta studio, casa e chiesa. Chi ha potuto volere la sua morte? Fra lo scetticismo del maresciallo e la professionale contrarietà del magistrato, Fabio comincia a indagare. Si imbatte così in un sordido mondo fatto di prostituzione, ambizioni politiche, ipocrita perbenismo e sogni frustrati.

"Al limite del buio": Una tiepida notte di maggio un insospettabile pensionato viene pugnalato: Giovanni Battista Bernabò ha un passato che non offre nessun indizio agli inquirenti ma due farfugliate parole sussurrate a un carabiniere prima di morire permettono a Fabio Riccò di svelare un mistero che risale a un secolo prima. Un noir che lega drammaticamente uomini e donne, passato e presente, bene e male. Un finale inaspettato che conduce il lettore attraverso la storia di un misteriosa landa di confine fino ad arrivare all'impero russo al tempo degli zar.
LinguaItaliano
Data di uscita8 lug 2022
ISBN9791280100245
Cronache nere (Vol. I)

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    Anteprima del libro

    Cronache nere (Vol. I) - Aldo Boraschi

    Indice

    Copertina A

    Copertina B

    Trama A

    Trama B

    Autore

    Collana

    Frontespizio

    Copyright

    QR Code

    Donne altrimenti amate

    Mercoledì 14 febbraio

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    CAPITOLO 15

    CAPITOLO 16

    CAPITOLO 17

    CAPITOLO 18

    CAPITOLO 19

    CAPITOLO 20

    Al limite del buio

    Mercoledì 11 maggio

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    LA (BREVE) STORIA DI UNA RAGAZZA

    QUESTO È L’ULTIMO…

    DONNE ALTRIMENTI AMATE

    L’incanto della Riviera è turbato dal ritrovamento di Stefania, giovane universitaria e giornalista free lance, uccisa come un animale in un tranquillo pomeriggio di un giorno qualsiasi. Per Nusca, maresciallo dei carabinieri, l’assassino può essere solo un serial killer. Per lui il caso è chiuso. Ma il giornalista Fabio Riccò non si dà pace: Stefania è la collega che sapeva di sapone di Marsiglia, tutta studio, casa e chiesa. Chi ha potuto volere la sua morte? Fra lo scetticismo del maresciallo e la professionale contrarietà del magistrato, Fabio comincia ad indagare. Si imbatte così in un sordido mondo fatto di prostituzione, ambizioni politiche, ipocrita perbenismo, sogni frustrati.

    AL LIMITE DEL BUIO

    Una tiepida notte di maggio un insospettabile pensionato viene pugnalato: Giovanni Battista Bernabò ha un passato che non offre nessun indizio agli inquirenti ma due farfugliate parole sussurrate ad un carabiniere prima di morire, permettono a Fabio Riccò di svelare un mistero che risale ad un secolo prima. Un noir che lega drammaticamente uomini e donne, passato e presente, bene e male. Un finale inaspettato che conduce il lettore attraverso la storia di una misteriosa landa di confine fino ad arrivare all'impero russo al tempo degli zar.

    L'AUTORE

    ALDO BORASCHI è nato nel 1964 ed è giornalista, scrittore e blogger. Ha lavorato per oltre vent’anni in redazioni giornalistiche di emittenti televisive, settimanali e quotidiani. Ha pubblicato: Donne Altrimenti Amate (2012), Al limite del buio (2012), L’enfasi eccessiva (2013), Dalidà (2014), Il Funambolo e altre vite (2016), La parte sbagliata del tappeto (2016), Storie da osteria (2017), Onorarono (2019). Ha curato La congiura del Conte Gian Luigi Fieschi (2015). Con la casa editrice I Libri di Emil ha pubblicato L’arte della solitudine (2019). Ha tradotto dall’inglese l’opera della scrittrice libanese Joumana Haddad Humanus - Il terzo sesso (2017). Del 2019 è La Donna Francese (Panesi Edizioni). Con AltreVoci ha pubblicato: Il tempo che faceva (2020), La voce del geco (2021), I Fieschi. Storia di una Famiglia (2022).

    AltreOmbre

    Aldo Boraschi

    Cronache Nere

    Volume I

    Lato A

    Donne altrimenti amate

    Lato B

    Al limite del buio

    Proprietà letteraria riservata

    ©2022 AltreVoci Edizioni srls

    ISBN: 9791280100245

    Prima edizione digitale: giugno 2022

    Realizzazione grafica: Creativita Agency

    I fatti e i personaggi riportati in questi romanzi sono frutto della fantasia dell’autore. Pertanto ogni somiglianza a persone reali e ogni riferimento a fatti accaduti sono da ritenersi puramente casuali.

    Per accedere ai contenuti extra di Cronache Nere - Vol. I fai la scansione del codice o visita il seguente indirizzo:

    www.altrevociedizioni.it/qr/cronache-nere-vol1

    Donne altrimenti amate

    Lato A

    Mercoledì 14 febbraio

    Ore 15:30. Chiavari, Piazza della Madonna dell’Orto. Passa una donna elegante, molto elegante. Sa di essere osservata. Accentua l’ancheggiamento. Poi incontra quella che sembra essere una sua amica; forse è solo una conoscente. Si soffermano a parlare. Parlano in modo sommesso, guardandosi continuamente intorno. No, non c’è complicità. Sembrano insofferenti alla fermata costretta e inaspettata. Il cellulare di una delle due trilla con una buffa musichetta sincopata. Poi si staccano con un gesto svogliato. Lei riprende ad ancheggiare fino a sparire dietro la piazza.

    Ore 15:41. Un uomo osserva l’interno della sua ventiquattr’ore. Una bella borsa di cuoio. Fatta artigianalmente, probabilmente in qualche conceria di uno sperduto paesino della campagna toscana. È consunta e vissuta. Sta per due minuti abbondanti in una posizione innaturale: con la gamba destra alzata in modo tale da formare con il tronco un angolo di novanta gradi. Un fenicottero metropolitano. Non trova ciò che cercava all’interno della borsa. Il viso si contrae in un’espressione di rabbia mista a costernazione. Appoggia la gamba destra fino a farle toccare il suolo. La borsa è ancora aperta, qualche foglio bianco fa capolino dall’orlo trapuntato. Un post-it di color giallo sfugge dall’ellisse formata dai due lembi della cerniera e plana sul selcio (sembra una farfalla). Cerca con gli occhi un bar, una pasticceria, un caffè; una sosta per riordinare le idee. Scorge il bar Pippo, di fianco alla cattedrale. È incerto se entrare o tirare avanti. Poi prende coraggio ed entra nella luce.

    Ore 16:11. Ripassa la donna elegante. Ha un paio di borse di plastica aggrappate alle dita oramai esangui. La prima è griffata da una gastronomia del carruggio. È mezza vuota: cibarie per due, tre persone. Forse per lei e la figlia, oppure per lei e il marito. Sorregge quella borsina di plastica trasparente con distacco per niente malcelato. Le pesano le faccende domestiche; l’apparecchiare la tavola, lo sbarazzare, il riordinare: il dovere in qualche modo servire un’altra persona. Sogna una vita da signora con domestica e giardiniere, vacanze al mare e settimane bianche, parrucchiere ed estetiste: benessere. L’altra borsa è di carta fine, colorata. Appena visibile la ragione sociale della ditta, una boutique di grandi firme nascosta in una stradina secondaria, tra il pescivendolo e il ferramenta. Niente di voluminoso all’interno: una camicetta, una gonna di lino purissimo, forse un completino intimo. Questa borsa è messa a coprire l’altra, quella di plastica riciclabile e finissima di spessore. La ragione vera dello shopping deve essere ben in vista. Attraversa disinvolta la piazza nella parte più centrale dell’emiciclo, come a calpestare un’invisibile passerella. È contrariata dal fatto che nessuno si volti a guardarla. Gli anni passano, anche per lei. Ma non si rassegna. Improvvisamente si slaccia anche il quarto bottone della camicetta che spunta sotto la pelliccia ecologica. Ancheggiando, scompare dietro la sagoma di un autobus in sosta.

    Ore 16:38. Spunta una ragazza grassoccia dall’angolo della piazza che dà sulla canonica. Cammina sfiorando i muri, saltellando, ogni tanto, per evitare qualche rifiuto organico animale. I capelli raccolti a metà della nuca, la peluria nascosta dal bavero della giacca rialzato. Tiene gli occhi in basso, fintamente assorta, riuscendo a eludere tanto gli occhi dei passanti quanto le merde spalmate per terra. Va verso la cattedrale. Sgancia qualche spicciolo ai questuanti appostati davanti all’ingresso. Si ferma anche a parlare con loro. Fa come un cenno di ringraziamento in risposta a un ipotetico complimento. Solo qualche secondo, però. Ha fretta, una fretta maledetta. Si stacca da quel dialogo ed entra nella cattedrale.

    Ore 16:42. Rientra in scena l’uomo della ventiquattr’ore. Esce dal bar con il viso paonazzo. Ha in mano un foglio, ben stretto dai due lati, tra il pollice e l’indice della mano sinistra. Non vuole rovinarlo, è troppo importante. Appoggia la borsa su un tavolino all’aperto. Cerca una carpetta per preservare il foglio da potenziali spiegazzamenti. Ha l’espressione soddisfatta di chi ha trovato ciò che cercava dopo essere stato quasi certo di averlo perso per sempre. Si guarda per un attimo la punta delle scarpe di gran classe che indossa. Scarpe inglesi, finemente rifinite e comode come un guanto. Prima di prendere la via dei parcheggi custoditi, si sbarazza di qualche briciola di tramezzino vellicando con la punta delle dita il loden blu. Forse era forfora.

    Ore 16:45. La ragazza grassoccia esce dalla cattedrale. Sembra impaurita. Prende la via laterale che conduce alla canonica. Affretta il passo fino a raggiungere l’intensità del trotto. Non si accorge nemmeno del saluto caloroso che prova a rivolgerle un prevosto appena uscito dalla libreria delle Paoline. Qualche ciuffo di capelli esce dallo chignon. Il bavero si affloscia. Se ne accorge e lo rialza, prima di scomparire tra il buio della viuzza.

    Ore 16:48. Spunta la donna elegante. Non ha più le borse tra le mani. Ora ha una valigetta nera, di quelle impermeabili. Ripercorre la piazza, però questa volta decide di perimetrare il tragitto, scegliendo il percorso più nascosto. Per un attimo si infratta dietro le colonne del porticato della cattedrale. Riappare pochi istanti dopo, proprio di fianco alla statua del papa che veniva dall’Est. Pochi passi ed è inghiottita dalle porte del bar Pippo. Sceglie un tavolo visibile anche dall’esterno. Ordina, si siede. Apre la valigetta, raccatta qualche cosa per terra. Sorseggia l’aperitivo facendo tintinnare il ghiaccio. Un giovanotto seduto un tavolo più in là ammira il suo décolleté con occhiate lunghe e profonde. Sono ancora una bella donna, pensa lei. È soddisfatta; il compiacimento traspare dagli occhi leggermente bistrati. Improvvisamente si alza, lasciando il bicchiere – un tumbler – a metà. Non tocca i salatini, ma fa incetta di patatine prima di uscire dalla porta laterale, proprio di fronte all’entrata secondaria della cattedrale. Il giovanotto pensa che ha perso una buona occasione e si rituffa nella birra media.

    Ore 16:50. La Volvo del signore grassoccio si ferma davanti alla cattedrale. È parcheggiata in doppia fila, le quattro frecce illuminate. Esce dalla macchina con una velocità inattesa e insospettabile. Rallenta il passo appena sale il gradino marmoreo dell’andito della cattedrale. Si è accorto di attirare gli sguardi dei passanti. È senza cappotto. I bottoni della camicia sollecitati al limite della sopportazione meccanica dall’adipe prorompente. La cravatta, una regimental nera e gialla, allentata all’altezza del collo taurino. Prima di entrare nella cattedrale, allontana con rabbia la mano del questuante.

    Ore 17:20. L’uomo grassoccio esce con passo misurato dalla cattedrale. L’ultimo bottone della camicia è rientrato nell’asola. La cravatta aderisce perfettamente al collo. Una cravatta di gran classe, modellata da una sartoria toscana. La lingua di stoffa gialla e blu nasconde il lavoro immane dei bottoni ventrali. Con passo deciso e cadenzato si avvia alla portiera della vettura. La apre e si accomoda. Non si accorge nemmeno della contravvenzione strozzata nel tergicristallo. Gli ammortizzatori si assestano, soddisfacendo la nuova taratura della vettura. La macchina imbocca il carruggio laterale. Si ferma poco dopo, all’altezza dell’entrata laterale della cattedrale. Sale una seconda persona, nascosta dall’ombra disegnata dal perimetro dei muri. La macchina sgomma e se ne va, dopo aver evitato il contatto tra gli pneumatici e il rivolo di sangue che esce dal portone della casa a fianco.

    CAPITOLO 1

    «La solita noia mortale: il sindaco che parla di sanità, fax dalla Regione, la recita dei bambini, tre minuti di sport. Tutto qua. Direttore, se non ci diamo una mossa, non ci guarda più nessuno, nemmeno i parenti più stretti.»

    Teletua è una piccola emittente che trasmette da Caperana; quattro case, un campo sportivo, una farmacia. Tutto qui. Fabio Riccò, trentasette anni, è il redattore del telegiornale, tutta la trafila giornalistica all’interno della piccola emittente: prima cameraman, poi praticante giornalista, infine, dopo tre anni, un esame a Roma e tanti curriculum spediti e presumibilmente stracciati dal destinatario, caporedattore di Teletua. Anche l’unico assunto, se si eccettua la segretaria di redazione, Augusta Siri, bella ragazza di fortissima raccomandazione da parte di un influente membro del Consiglio di Amministrazione dell’emittente. Spesso si fa vedere in redazione anche un giovane nerista, Gigi Sanguineti. Ma il lavoro del redattore di cronaca nera è etereo: Carabinieri, Polizia, Tribunale. Cinque minuti per la registrazione del pezzo e poi arrivederci al giorno dopo con le notizie della notte e della mattina seguente. Completa il quadro tutta una serie di collaboratori. Dieci euro a servizio, quindici per un filmato della partita di calcio, se include anche la telecronaca. Una serie di giovani e giovanissimi da avviare alla carriera giornalistica. Almeno così disse il direttore al momento del battesimo dei collaboratori. Fabio li prese da parte. A lui non piacevano le illusioni, specialmente se fatte a chi, su queste, basava le scelte di vita.

    Scordatevi di fare carriera, rimarrete solo e soltanto collaboratori. Un po’ d’esperienza, una buona spinta, un pizzico di fortuna. Se riuscirete ad accumulare tutto ciò, potrete sperare di ‘far carriera’ nell’ambito dell’informazione. Ma da qualche altra parte. Fidatevi. Questo disse a quei sette ragazzi che, intuiva, si vedevano già con impermeabile, cappello e matita consunta a scrivere di delitti, passioni e svolte epocali. Questo disse loro, di nascosto dal direttore responsabile, un vecchio marpione genovese che guadagnava il triplo di lui facendosi vedere in redazione una volta ogni venti giorni; alle undici, naturalmente, in tempo per l’aperitivo da Rico e il pesce del Nazionale. Poi, puff, sparito nel nulla. E guai a cercarlo sul cellulare: troppo impegnato.

    «Manda in giro i collaboratori, cazzo. Si devono consumare i tacchi delle scarpe. Mandali in giro per il Tigullio con la telecamera in spalla. Riunioni, dibattiti, ritratti di personaggi, mugugni dei cittadini», tuonò il direttore, dando un’occhiata impaziente all’orologio, un Rolex di gran classe. Si vestiva sempre casual quando si recava in missione umanitaria a Teletua. Davanti all’uscio con le briciole della brioche sulla bocca, guardava con rassegnazione quei muri medio-borghesi. Qualche volta indossava anche il cappello, un po’ per darsi un’aria da bohemien, un po’ per nascondere la scarsità pilifera craniale.

    «A proposito, direttore. I collaboratori

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