La Mia Tela è la Tua Morte
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Info su questo ebook
Una tranquilla vacanza di una coppia si trasforma in una vera e propria caccia all’assassino in questo libro di Claudio Hernandez. Recatisi a Barcellona per trascorrere alcuni giorni lontani dalla stressante quotidianità, questa coppia, di cui la donna è una poliziotta, si ritrova per caso di fronte a un inquietante dipinto di un pittore mendicante. Questo episodio dà il via a una serie di macabri ritrovamenti di quadri e cadaveri che daranno filo da torcere ai due, che dovranno quindi abbandonare l’idea delle tanto attese vacanze per risolvere il caso.
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La Mia Tela è la Tua Morte - Claudio Hernández
LA MIA TELA È LA TUA MORTE
Claudio Hernández
Manuel Delprieto
Prima edizione dell’ebook: gennaio 2019.
Titolo: La Mia Tela è la Tua Morte
©2018 Claudio Hernandez
©2018 Manuel Delprieto
©2018 Copertina: Higinia Maria
©2019 Tradução: Matteo Serrago
––––––––
Tutti i diritti riservati.
Codice di registro: 1901049523064
Opera registrata.
Nessuna parte di questa pubblicazione, inclusa la copertina, può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcun modo e con nessun mezzo, che sia elettronico, chimico, meccanico, ottico, di registrazione, a mezzo internet o tramite fotocopie, senza permesso previo dell’editore o dell’autore. Tutti i diritti sono riservati.
Questa volta posso dedicare il libro a un amico. Si tratta di Manuel Delprieto, anch’egli scrittore. Dalla sua mente è nata questa storia, poi io l’ho scritta. Ci siamo divertiti insieme. Spero che piaccia anche a te, lettore, a cui la dedico anche. Lo dedico anche alla mia famiglia, specialmente e mio padre: Angel... aiutami in questo pantano... e a mia moglie Mary, che mi sopporta tutti i giorni...
Il miracolo di un romanzo scritto da due mani
Che oggi si possa leggere un romanzo scritto da due scrittori, non è cosa di poco conto. Poche volte si ha il lusso di trovare un’opera, nella quale due autori si rimboccano le mani e lavorano per uno stesso progetto, per l’esigente lettore.
Come è venuta quest’idea? Bene, prima di tutto mi presento. Il mio nome è Manuel Delprieto e mentre partorivo un thriller romantico, bussò alla porta un nuovo gruppo di muse creative con una storia tra le mani. Lasciai da parte la storia che stavo mettendo su e iniziai a scrivere la trama di un romanzo poliziesco futuristico, dove i crimini erano il grosso della storia. Le scene, i contesti e la trama fluirono tra le dita, creando una brillante scaletta nel giro di qualche minuto; per alcuni istanti apparve il fantasma che aleggia tra qualche scrittore e che mi sussurrò ogni dettaglio e ogni pista da seguire della bozza di questo nuovo thriller.
Avevo quindi con me un buon argomento, solido e originale. Però avevo bisogno di una narrativa sublime che creasse l’atmosfera adeguata, per far sì che questo thriller basato sull’opera d’arte, si convertisse in un pezzo da collezionista per i buongustai della lettura; qui entra in azione Claudio Hernandez.
Cercai possibili candidati, però riflettendo sull’opera precedente a due mani con Maria G. Pineda, seppi che sarebbe stato un onore proporgli il lavoro. Pensando negativamente ma con la speranza che volesse tornare a lavorare come coautrice, le presentai la storia che avevo sviluppato e gli piacque così tanto che accettò la mia proposta.
L’accordo risultò semplice, ma parliamo di un contrasto di gusti di generazioni diverse. Claudio Hernandez è uno scrittore di 50 anni, con oltre 100 romanzi pubblicati. Io, invece, ho 36 anni e 7 libri pubblicati. L’esperienza di uno scrittore consacrato, contro la scintilla creativa di uno scrittore indipendente... In ogni caso, il risultato è stato eccellente.
Con lo schizzo di scene ed episodi, non ci restava che riuscire nella creazione di un’atmosfera inquietante che esigeva la storia, e di questo Claudio Hernandez è un maestro. Uno studioso delle opere di Stephen King, che distilla inquietudine in ogni metafora o simile che plasma con il suo polso. Ogni frase, dialogo o descrizione incapsula il lettore in una bolla di orrore e panico.
La sua narrativa avanza e si sviluppa cercando l’equilibrio tra il ritmo tenebroso e la pressione fobica. Ogni frase è uno spuntino con molte sfumature, dove le sue metafore e i suoi dettagli, prendono attraverso il narratore onnisciente una dimensione stratosferica. Con una visione che affascinerebbe gli eruditi dei thriller criminali.
Io e Claudio, Toulouse e Jerez de la Frontera, ispirazione ed esperienza; immaginazione e narrativa si danno la mano per creare un lavoro diverso, un esperimento letterario del presente e il futuro delle parole... Tutto, per fare una cultura più ricca della finzione scritta e, perché no, lasciare il segno nel nostro pubblico... voi.
Semplicemente, godi, soffri e rifletti sulla storia genuina nella quale stai per immergerti... E, ovviamente, si astengano le persone sensibili, perché il terrore è servito...
Manuel Delprieto
La mia tela è la tua morte
1
––––––––
La luna che apparve dal nulla ore prima, in quel cielo indaco della Rambla di Barcellona, ora era di fianco al sole, intrappolata tra i suoi raggi. Era limpida, perfettamente rotonda; come se il santo Jordi gli avesse conficcato la lancia in cielo, per poi dissanguarsi lentamente all’orizzonte, a causa di un’emorragia al costato fino a macchiare le montagne.
Però, questo era accaduto molte ore prima che il culo ossuto di quell’artista mendicante si abbattesse al suolo, liscio ma a volte ruvido. Gli uomini della nettezza urbana avevano erano già passati con i loro pesanti macchinari per riempiere d’acqua La Rambla dei Fiori, chiamata anche così grazie alla grande quantità di vasi di fiori lì presenti.
Quel vagabondo malnutrito e disidratato sarebbe potuto passare inosservato se non fosse stato per l’ombra che abitava al suo fianco, seduto per terra, quando il sole apparve accarezzandogli l’aspetto trasandato. Barba folta, spessa e di un colore giallognolo. Le labbra consumate nelle sue profondità. Capelli crespi e pieni di pidocchi. Il suo cappotto, annerito, perché una volta era bianco, lo copriva dal freddo mattutino.
E il quadro.
Quella tela coperta da pennellate maestre.
La Rambla che era conosciuta anche per i chioschi, le cucce per gli animali domestici e per gli artisti che riempivano il suo lungo passaggio, fino al dito indice della statua di Cristoforo Colombo indicando qualche luogo nel mare. Eretta nel porto, dove riposavano le grandi imbarcazioni con l’insigne della città di Barcellona.
Ma adesso, che il sole sdoganava come voleva al posto della luna piena, propizia per creare animali selvaggi tipici delle leggende e far uscire di testa un malato mentale, c’erano loro: quelli di colore. In una città cosmopolita in cui abbondavano tutte le razze, quelli che più risaltavano all’occhio erano proprio loro: gli antichi schiavi, i neri, che si tostavano sotto il sole dalle prime ore del mattino. Senza documenti e con gli occhi stanchi che si spalancavano nelle conche appena percepivano qualsiasi suono o qualsiasi maglietta brillante che fosse spuntata a un chilometro di distanza.
Ora che quel pittore iniziava la sua opera maestra sulla tela, anche loro erano lì.
Le bancarelle sui marciapiedi, che sembravano lenzuola dimenticate, formavano un amalgama di colori e in alcuni casi esprimevano veri e propri talenti. Sempre affollata di passanti e turisti che tutti immortalavano con i loro cellulari. Quell’immensa arteria catalana... era la vena principale di Barcellona.
Quel giorno era il 23 aprile; giorno del libro in cui anch’essi erano presenti. Presto si sarebbe trasformato in un trambusto di libri di autori famosi e perché no, anche di negozianti che vendevano quelle cazzo di rose in quel fottuto giorno di san Jordi.
L’arte, la vita, la realtà e il marketing, unite in una sola via. Questo significava respirare qualcosa di magico e talvolta di speciale. Di notte, un travaso di culi e prostitute. Di giorno, un ripieno di vita, di arti e di magie.
Così era La Rambla di Barcellona, nella quale nessuno poteva di dire di non essere mai stato lì.
Il vagabondo teneva tra le sue dita un pennello troppo lungo, scheggiato e ricoperto da migliaia di tonalità di colore. Nell’altra mano, le sue dita si erano introdotte nella tavolozza di colori, specialmente in quello più arrossato. E ogni pennellata era una nota di musica, una parte da mostrare, una pista di ciò che stava creando.
Era il principio di tutto.
D’altronde, quella era la tela della morte
2
Un’ora dopo, la vice ispettrice Lola Guzman percorreva La Rambla come parte del primo giorno delle sue vacanze pianificate mesi prima. E, sebbene la data non fosse casuale, così come la destinazione, perché lei e suo marito Gines erano di Malaga, non sembravano una coppia felice dato che camminavano separati. Come se fossero distanti. Nel centro di riproduzione assistita IVIS li avevano invitati a fare un viaggio per consentirgli di partorire un figlio, per distrarsi dal loro lavoro, dallo stress e dalla vita di routine.
Lola non era tipa da fiori e suo marito lo sapeva; le sue passioni erano la lettura e l’arte.
All’improvviso lei si fermò e guardandolo negli occhi chiese: <
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Gines sembrava aver ignorato le sue parole e disse: <
Il pittore sembrava scioccato dalla reazione della folla che contemplava qualcosa su un lenzuolo steso per terra. Una tela quasi finita. Anche questa reazione non era propria di lui.
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Gines prese per mano Lola e la guidò in mezzo al tumulto, dove la gente si faceva avanti, si abbassava, toccava la superficie della tela e mostravano la pelle di gallina delle loro braccia.
<
C’era qualcosa in quella tela dipinta che era differente dagli altri quadri dipinti finora. Lola si fece strada per vedere il ritratto e arricciò le labbra facendo una smorfia di sconcerto.
Era sbalordita.
Quando l’ammasso di gente liberò quell’ampia strada, la vice ispettrice e il pittore rimasero a guardare con attenzione il dipinto che aveva attirato tanti spettatori.
Lola deglutì saliva e sentì come se un herpes zoster le stesse abbracciando il collo, togliendole il respiro o come se la stessero strangolando con una stola fatta con uno di quegli alberi che fiancheggiavano l’ampia strada che si perdeva alla vista.
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Ora c’erano solo loro due. Lola e Gines. Con gli occhi desorbitati e con sciocchi sorrisi disegnati sul volto: Lola di ringraziamento e Gines aveva il sorriso di un lunatico che finalmente aveva trovato ciò che cercava da tanto tempo.
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Gines, un grande affezionato all’arte della pittura, alunno spodestato, ma con l’ansia di conoscere il mistero delle tele e delle pitture, aveva gli occhi spalancati e parte della sua mandibola in un sorriso quasi diabolico. Gli brillavano gli occhi. Mentre quel mendicante continuava a dare pennellate, alieno di tutto.
<<È un ritratto realista.>> Disse Gines entusiasmato. Le sue mani sembravano pale di un mulino che si rivoltavano nell’aria quasi inesistente in quel momento. <
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Gines rimaneva lì fisso, come un albero. E dentro di sé sentiva, mentre i secondi passavano, come un formicolio intenso che partiva dalle sue interiora fino ad arrivare alla testa, e che sembrava dovesse esplodere di tanta energia positiva.
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Gines si muoveva appena. Lei poteva sentirgli addirittura il battito cardiaco sulle mani. Sembrava un tamburo che rimbombava dentro di lui. Si impaurì, perché sapeva che tutto quello sfiorava la follia. Un desiderio quasi irrefrenabile simile alla libido sessuale.
I piccioni allertati dalla sua inquietudine iniziarono a volare, producendo un forte rumore con le loro ali, che sembravano sul punto di smembrarsi.
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Il mendicante non rispose, ma si fermò per dare pennellate. I suoi capelli scompigliati nascondevano la merda di piccione.
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Gines la allontanò con una leggera spinta, ma lei si sentì ferita nell’animo.
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Il mendicante alzò lo sguardo. Aveva un’espressione seria, sofferente. Teneva sopracciglia folte e dalle sue labbra scappò qualcosa che a Gines sembrò una follia.
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Lola lo guardò di traverso con un certo stupore.
Gines era rimasto senza parole.
Ma il peggio venne dopo.
Quando il gioco sarebbe definitivamente iniziato.
3
Ma prima Lola voleva ciò di cui necessitava. Comprare un paro di bei libri e ovviamente avere l’autografo del suo autore preferito: Enrique Sierra. Aveva registrato vendite super. I suoi libri si vendevano a milioni e solo a Barcellona si contavano più di 500.000 copie vendute. Un sogno che Lola avrebbe tenuto a mente per il resto dei suoi giorni.
La lingua dorata del sole avanzava sulla Rambla che iniziava a riempirsi di gente, lettori e anziani che andavano a comprare al mercato La Boqueria
ubicata a metà percorso tra la statua di Cristoforo Colombo e l’uscita della Metro, che conduceva a due linee: la line verde, la L3 e la linea rossa, la L1.
Lola si stava strofinando le mani di fronte al teatro Liceu, dove anche lì c’era una fermata della metro. E non dava credito all’immensa fila di stand che attraversava i due chilometri e duecento metri della Rambla. Il trambusto era intenso e non si poteva vedere oltre i dieci metri occupati dai primi vagabondi che aveva di fronte a sé.
Gines con una faccia sofferente aveva ceduto ai desideri di sua moglie, però in fondo stava rimuginando su come fare con quel quadro, che lo aveva posseduto sin dal primo momento.
Il mormorio presto si alzò, trasformandosi in urlo costante