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Mio figlio mi ha insegnato
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E-book168 pagine2 ore

Mio figlio mi ha insegnato

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Info su questo ebook

1986. Fabio, giovane ragazzo di 24 anni, viene ricoverato all'ospedale: ex tossicodipendente, è malato di AIDS e gli restano poche settimane di vita. E così, una mattina, ecco la richiesta che cambierà per sempre la vita di Dino, suo padre: "Papà, promettimi che questa cosa ce la gestiamo io e te, da soli”. Da quel momento il loro rapporto si trasforma. I due si vedono ogni mattina e si confidano come mai prima. Dino si mette in discussione come uomo e genitore, comprende i suoi errori e cosa può spingere un ragazzo verso una dipendenza. Ma da Fabio riceve anche un'altra richiesta: aiutare dopo la sua morte i ragazzi che come lui sono caduti nel tunnel della droga. E così Dino ribalta la sua vita: rinuncia al lavoro e, partendo dagli amici di Fabio, comincia a dedicarsi esclusivamente ai ragazzi, che con il passaparola aumentano sempre più. Il suo unico obiettivo diventa liberarli dalla droga. Dino scende nelle strade, va nelle carceri, perora le loro cause con i giudici e le comunità, trova loro un lavoro, mette a disposizione la sua casa. Presto soldi e risparmi finiranno, ma nonostante l’indigenza Dino non rinuncerà mai a quella missione che dal 1986 coincide con la sua vita.
LinguaItaliano
Data di uscita29 ott 2020
ISBN9788831660440
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    Anteprima del libro

    Mio figlio mi ha insegnato - Dino Scaldaferri

    Di­no

    Introduzione

    Ho co­no­sciu­to Di­no nel­la pri­ma­ve­ra di 9 an­ni fa. Ero a ca­sa dei miei non­ni e sta­vo sfo­glian­do Set­te­gior­ni, set­ti­ma­na­le di cro­na­ca lo­ca­le. Mi cad­de l’oc­chio su un ti­to­lo: Ha aiu­ta­to tan­ti ra­gaz­zi, ora è sul la­stri­co. Quell’ar­ti­co­lo par­la­va di Di­no e nar­ra­va per som­mi ca­pi la sua vi­cen­da. All’epo­ca ave­vo 18 an­ni ed ero uno dei Rap­pre­sen­tan­ti d’Isti­tu­to del Li­ceo Cle­men­te Re­bo­ra di Rho; do­po aver let­to l’ar­ti­co­lo or­ga­niz­zai su­bi­to un’as­sem­blea d’isti­tu­to (co­me rap­pre­sen­tan­te ave­vo la fa­col­tà di con­vo­car­ne una al me­se) in­vi­tan­do Di­no a rac­con­ta­re la sua sto­ria, che col­pì pro­fon­da­men­te i miei com­pa­gni di scuo­la, dai più pic­co­li ai più gran­di. Da quel mo­men­to è na­ta e si è sem­pre più ce­men­ta­ta una pro­fon­da ami­ci­zia, che si è este­sa an­che a Ma­ria ed al­la mia fa­mi­glia, e in que­sti an­ni Di­no ha an­che ascol­ta­to tan­te vol­te i miei pro­ble­mi di ado­le­scen­te e poi di gio­va­ne che si af­fac­cia al­la vi­ta.

    Il gior­no del mio pri­mo in­con­tro con lui in un bar di Lai­na­te, per co­no­scer­ci di per­so­na ed or­ga­niz­za­re l’as­sem­blea d’isti­tu­to, Di­no mi espres­se quel­lo che ve­de­va co­me un pic­co­lo so­gno lon­ta­no: "Un gior­no, con l’aiu­to di qual­cu­no, mi pia­ce­reb­be scri­ve­re un li­bro sul­la mia sto­ria. Il ti­to­lo vor­rei che fos­se Mio fi­glio mi ha in­se­gna­to". Gli ri­spo­si su­bi­to e con en­tu­sia­smo che lo avrei aiu­ta­to io, con­qui­sta­to dal­la sua sto­ria ed an­che da quel ti­to­lo co­sì bel­lo e per­so­na­le, e più co­no­sce­vo Di­no e più cre­sce­va in me la vo­glia di man­te­ne­re quel­la pro­mes­sa, an­che se pro­ba­bil­men­te lo stes­so Di­no se ne era di­men­ti­ca­to e ave­va ri­col­lo­ca­to su­bi­to l’idea del li­bro fra quei so­gni nel cas­set­to che si rac­con­ta­no agli al­tri tan­to per e che ta­li ri­man­go­no; tut­ta­via, a cau­sa de­gli im­pe­gni con­nes­si al­lo stu­dio uni­ver­si­ta­rio e so­prat­tut­to per quel­li sem­pre cre­scen­ti le­ga­ti al mio la­vo­ro nel­le te­le­vi­sio­ni re­gio­na­li, non riu­sci­vo a tro­va­re il tem­po ed il mo­men­to giu­sto per de­di­car­mi con la do­vu­ta at­ten­zio­ne a que­sto pro­get­to. Lo scor­so an­no, pe­rò, in oc­ca­sio­ne dei suoi 80 an­ni, mi so­no det­to: Ba­sta, ora Di­no me­ri­ta di ave­re il suo li­bro, ab­bia­mo aspet­ta­to fin trop­po!. E co­sì gli ho ri­cor­da­to quel­la mia pro­mes­sa e ci sia­mo mes­si all’ope­ra.

    Non è sta­to un la­vo­ro fa­ci­le: per la pri­ma vol­ta in as­so­lu­to mi so­no tro­va­to ad ascol­ta­re i ri­cor­di di una per­so­na, a pro­va­re a da­re lo­ro for­ma in un li­bro e rior­di­nar­li in ba­se al fi­lo­ne espo­si­ti­vo se­gui­to, a ri­guar­da­re e mo­di­fi­ca­re più vol­te al­cu­ni pas­si già scrit­ti, a por­re nuo­ve do­man­de in cer­ca di qual­che det­ta­glio in più, do­po aver ri­let­to ed es­ser­mi mes­so nei pan­ni di un let­to­re. Ma ci te­ne­vo tan­tis­si­mo: Di­no lo me­ri­ta­va per­ché è uni­co. Cer­to, non è si­cu­ra­men­te l’uni­co vo­lon­ta­rio che do­na gra­tui­ta­men­te tem­po ed ener­gie a per­so­ne bi­so­gno­se di aiu­to, ma gli al­tri vo­lon­ta­ri, in qua­lun­que am­bi­to, lo fan­no nel tem­po li­be­ro, ed aven­do qua­si sem­pre un la­vo­ro o un red­di­to, od es­sen­do­ne co­mun­que in ri­cer­ca; al­tri in­ve­ce di­ven­ta­no vo­lon­ta­ri di qual­co­sa una vol­ta rag­giun­ta l’età del­la pen­sio­ne, do­ve bi­so­gna re-im­pie­ga­re il tem­po e dal pun­to di vi­sta eco­no­mi­co si ha ten­den­zial­men­te una sep­pur mi­ni­ma si­cu­rez­za. An­che que­ste per­so­ne me­ri­ta­no un gra­zie enor­me, ma Di­no è di­ver­so. Non è in­se­ri­to in una strut­tu­ra o in un en­te, non fis­sa ap­pun­ta­men­ti ma va a tro­va­re per­so­nal­men­te i ra­gaz­zi, op­pu­re li ri­ce­ve nel­la sua ca­sa, tan­to pic­co­la quan­to ac­co­glien­te; non fa ora­ri, ap­pe­na lo chia­mi cor­re (an­che in car­ce­re, co­me suc­ces­so an­co­ra qual­che set­ti­ma­na fa) e per tan­ti an­ni, co­me ve­dre­te, il suo im­pe­gno non ha avu­to nem­me­no li­mi­ti geo­gra­fi­ci. Non si li­mi­ta ai col­lo­qui con i di­ret­ti in­te­res­sa­ti, ma coin­vol­ge le fa­mi­glie, i col­le­ghi, an­che le Au­to­ri­tà. Non van­ta ti­to­li, ma un mae­stro spe­cia­le: suo fi­glio Fa­bio. Un’al­tra co­sa che mi ha col­pi­to fin da su­bi­to di Di­no è co­me si pre­sen­ta e rac­con­ta la sua vi­ta quan­do vie­ne chia­ma­to a da­re una te­sti­mo­nian­za in in­con­tri pub­bli­ci. Al­tre per­so­ne, in cir­co­stan­za ana­lo­ghe, spes­so uti­liz­za­no vi­deo e sli­de po­wer point con il pro­iet­to­re, o sca­let­te con do­man­de e ri­spo­ste. Non c’è nul­la di ma­le, for­se lo fa­rei an­che io. Ma Di­no no. A lui non ser­vo­no ne in­te­res­sa­no ef­fet­ti spe­cia­li da fi­go o sca­let­te pre-con­fe­zio­na­te, gli ba­sta sem­pli­ce­men­te un mi­cro­fo­no per rac­con­ta­re la sua sto­ria e ri­spon­de­re al­le do­man­de (e ma­ga­ri un faz­zo­let­to per quan­do si com­muo­ve par­lan­do di Fa­bio). Ec­co per­ché ho vo­lu­to for­te­men­te che la sto­ria di Di­no ve­des­se la lu­ce e per­ché spe­ro che que­sto li­bro pos­sa al­me­no in par­te tra­smet­te­re la sua pas­sio­ne e ca­ri­ca uma­na. Tut­ta­via, for­se, al­cu­ne sfu­ma­tu­re pos­so­no es­se­re col­te so­lo da chi co­no­sce di per­so­na Di­no ed il suo mo­do di fa­re, di par­la­re, di tran­quil­liz­za­re e può quin­di im­ma­gi­na­re o ri­cor­da­re per­so­nal­men­te ge­sti o azio­ni. Ge­sti o azio­ni che Di­no nel cor­so del li­bro non ha rac­con­ta­to e che non rac­con­te­reb­be mai pub­bli­ca­men­te ed in pri­ma per­so­na, ma che me­ri­te­reb­be­ro di es­se­re co­no­sciu­te. Un po­me­rig­gio, per esem­pio, ero an­da­to da lui per ri­ve­de­re al­cu­ni pas­sag­gi del li­bro, e quan­do ar­ri­vai lo tro­vai mol­to fe­li­ce: al­la mat­ti­na ave­va avu­to un col­lo­quio di due ore con un ra­gaz­zo che sta­va se­guen­do che era an­da­to par­ti­co­lar­men­te be­ne; quel ra­gaz­zo ave­va co­min­cia­to ad aprir­si e ad ab­bas­sa­re la guar­dia, e Di­no nel rac­con­tar­me­lo era dav­ve­ro com­mos­so, con il vol­to il­lu­mi­na­to. Vol­to il­lu­mi­na­to che ho ri­vi­sto an­che qual­che gior­no fa, quan­do una mam­ma lo ha chia­ma­to per dir­gli che suo fi­glio, gra­zie a lui, sta­va tor­nan­do se­re­no. Di­no è co­sì, vi­ve in ma­nie­ra to­ta­le quel­lo che fa e non si ri­spar­mia mai: pen­sa­te che qual­che me­se fa, a 80 an­ni suo­na­ti, si è al­za­to al­le 4.30 di mat­ti­na per ac­com­pa­gna­re la ra­gaz­za di un gio­va­ne agli ar­re­sti do­mi­ci­lia­ri che sta­va se­guen­do (non ave­va qua nes­su­no e do­ve­va pren­de­re l’ae­reo per un im­pe­gno di la­vo­ro). Po­trei an­da­re avan­ti e ci­ta­re tan­tis­si­mi al­tri epi­so­di, ma que­sta in­tro­du­zio­ne di­ven­te­reb­be trop­po lun­ga. Ne rac­con­to pe­rò an­co­ra uno, a cui so­no mol­to af­fe­zio­na­to per­ché mi ri­guar­da per­so­nal­men­te. Era l’au­tun­no di tre an­ni fa e un gior­no Di­no mi tro­vò ab­bat­tu­to e mol­to pen­sie­ro­so. Dal me­se di gen­na­io, in­fat­ti, avrei do­vu­to co­min­cia­re su Grp (sto­ri­ca emit­ten­te pie­mon­te­se, la pri­ma a cre­de­re in me e a dar­mi del­le op­por­tu­ni­tà) la pri­ma sta­gio­ne del mio pro­gram­ma Ju­nior Gol, quiz sul cal­cio per bam­bi­ni e ra­gaz­zi; in ogni tv lo­ca­le, pe­rò, per pro­dur­re nuo­vi pro­gram­mi im­pe­gna­ti­vi co­me Ju­nior Gol ser­vo­no spon­sor (cioè pub­bli­ci­tà), al­tri­men­ti non si par­te. In quel­le set­ti­ma­ne au­tun­na­li la rac­col­ta pub­bli­ci­ta­ria, in­te­ra­men­te a mio ca­ri­co co­me an­che la pre­pa­ra­zio­ne dei con­te­nu­ti del­la tra­smis­sio­ne, non sta­va pro­ce­den­do co­me spe­ra­to ed era sot­to la quo­ta ri­chie­sta (com­pli­ce an­che il fat­to di abi­ta­re in un'al­tra re­gio­ne). Di­no ca­pì su­bi­to quan­to la co­sa mi stes­se pe­san­do ed il gior­no do­po, sen­za dir­mi nul­la, pre­se la mac­chi­na e an­dò a pro­por­re la spon­so­riz­za­zio­ne ad una gros­sa azien­da per la qua­le ave­va la­vo­ra­to (e la cui se­de si tro­va­va a 50 km da ca­sa sua). Or­mai non ave­va più con­tat­ti in­ter­ni, ma fa­cen­do le­va sul suo pas­sa­to di rap­pre­sen­tan­te dell’azien­da e sul­la quel­la te­na­cia di cui lui so­lo è ca­pa­ce, riu­scì a par­la­re con una del­le re­spon­sa­bi­li del­la par­te mar­ke­ting e co­mu­ni­ca­zio­ne, per pe­ro­ra­re la mia cau­sa. Dav­ve­ro in­cre­di­bi­le! La spon­so­riz­za­zio­ne poi non an­dò in por­to per­ché per po­li­ti­ca azien­da­le era­no pre­vi­ste so­lo part­ner­ship isti­tu­zio­na­li o con pro­get­ti di be­ne­fi­cen­za, ma il ge­sto di Di­no re­sta e re­ste­rà per me sem­pre in­di­men­ti­ca­bi­le.

    Que­sto è Di­no. E con que­sta per­so­na­le in­tro­du­zio­ne spe­ro di es­se­re riu­sci­to a tra­smet­te­re qual­co­sa di lui e far ca­pi­re quan­to lo am­mi­ro.

    Ales­san­dro Mu­lia­ri

    Per ra­gio­ni di ri­ser­va­tez­za e de­li­ca­tez­za ver­so i di­ret­ti in­te­res­sa­ti e le ri­spet­ti­ve fa­mi­glie, i no­mi rea­li dei ra­gaz­zi e del­le ra­gaz­ze di cui si par­le­rà nel li­bro so­no sta­ti so­sti­tui­ti da no­mi di fan­ta­sia, ec­cet­to che nel­le te­sti­mo­nian­ze di­ret­te, che tro­ve­re­te in par­te rag­grup­pa­te in un ap­po­si­to spa­zio pri­ma del­la con­clu­sio­ne ed in par­te in­se­ri­te all’in­ter­no del ter­zo ca­pi­to­lo.

    Nel li­bro, inol­tre, non tro­ve­re­te fo­to di Fa­bio, per espli­ci­ta scel­ta di Di­no.

    In­fi­ne, per quan­to ri­guar­da la strut­tu­ra del te­sto, la for­mu­la espo­si­ti­va scel­ta da­gli au­to­ri per rac­con­ta­re que­sta sto­ria è quel­la dell’in­ter­vi­sta. Di­no ha poi cu­ra­to e scrit­to per­so­nal­men­te il ca­pi­to­lo in­tro­dut­ti­vo sul­le dro­ghe, Il mio So­gno e la con­clu­sio­ne, Ales­san­dro Mu­lia­ri il ca­pi­to­lo del­le te­sti­mo­nian­ze.

    Prima di cominciare: uno sguardo sulla realtà

    Spes­so si par­la di dro­ga sen­za ave­re un’idea pre­ci­sa dei nu­me­ri rea­li del fe­no­me­no e del­le per­so­ne (e fa­mi­glie) in car­ne ed os­sa da es­so toc­ca­te. Pri­ma di pro­se­gui­re può al­lo­ra es­se­re uti­le for­ni­re al­cu­ni da­ti, re­la­ti­vi al con­su­mo di dro­ga in Ita­lia e all’in­ci­den­za del­la tos­si­co­di­pen­den­za a li­vel­lo eco­no­mi­co e car­ce­ra­rio, per da­re un’idea con­cre­ta di quan­to ri­le­van­te sia il pro­ble­ma.

    Tut­ti i da­ti che leg­ge­re­te so­no trat­ti dal­la Re­la­zio­ne an­nua­le al Par­la­men­to sul fe­no­me­no del­le tos­si­co­di­pen­den­ze in Ita­lia del 2018, e so­no quin­di ine­ren­ti all’an­no 2017. La re­la­zio­ne, a cu­ra del Di­par­ti­men­to del­le Po­li­ti­che An­ti­dro­ga del­la Pre­si­den­za del Con­si­glio dei Mi­ni­stri, ba­sa i suoi nu­me­ri su uno stu­dio con­dot­to dall’IP­SAD (Ita­lian Po­pu­la­tion Sur­vey on Al­co­hol and other Drugs). Lo stu­dio è sta­to rea­liz­za­to at­tra­ver­so un que­stio­na­rio ano­ni­mo in­via­to per po­sta dall’IP­SAD ad un cam­pio­ne ca­sua­le rap­pre­sen­ta­ti­vo del­la po­po­la­zio­ne ita­lia­na di età com­pre­sa tra i 15 e i 64 an­ni, co­sti­tui­to da cir­ca 40.000 per­so­ne e se­le­zio­na­to dal­le li­ste ana­gra­fi­che di 125 Co­mu­ni, a lo­ro vol­ta in­di­vi­dua­ti in ma­nie­ra ca­sua­le al fi­ne di as­si­cu­rar­ne la rap­pre­sen­ta­ti­vi­tà. Al 31 di­cem­bre 2017 ave­va­no ri­spo­sto cir­ca 13.000 per­so­ne: è quin­di ba­san­do­si sul­le lo­ro ri­spo­ste che so­no sta­ti ela­bo­ra­ti da­ti e per­cen­tua­li che tro­ve­re­te di se­gui­to. 

    -I con­su­mi to­ta­li

    I da­ti si ri­fe­ri­sco­no al­la po­po­la­zio­ne ita­lia­na 15-64 an­ni. La per­cen­tua­le tra pa­ren­te­si rap­pre­sen­ta la per­cen­tua­le di chi con­su­ma la dro­ga in esa­me sul­la  po­po­la­zio­ne to­ta­le  15-64 an­ni, cir­ca 40 mi­lio­ni di per­so­ne, che quin­di com­pren­de an­che chi non fa uso di so­stan­ze.  Il con­su­mo di una so­stan­za non si in­ten­de per for­za esclu­si­vo: ci pos­so­no es­se­re per­so­ne, e ci so­no, che con­su­ma­no più dro­ghe e che dun­que rien­tra­no in più ca­si­sti­che (per esem­pio, chi ha con­su­ma­to sia co­cai­na che eroi­na è con­teg­gia­to in en­tram­be le sta­ti­sti­che).

    Dai da­ti ri­sul­ta co­me il con­su­mo di can­na­bis sia net­ta­men­te al pri­mo po­sto, ma an­che che ol­tre 1,2 mi­lio­ni di ita­lia­ni ha fat­to uso di dro­ghe pe­san­ti (co­cai­na, eroi­na, sti­mo­lan­ti, al­lu­ci­no­ge­ni e me­tan­fe­ta­mi­ne) nell’ul­ti­mo an­no e al­me­no 400.000 nell’ul­ti­mo me­se, evi­den­zian­do quin­di una di­pen­den­za più pe­ri­co­lo­sa (da spe­ci­fi­ca­re an­che che il con­su­mo ma­schi­le è su­pe­rio­re a quel­lo fem­mi­ni­le in ogni fa­scia d’età). Nu­me­ri che fan­no ca­pi­re quan­to la dro­ga sia sem­pre un’emer­gen­za. Da evi­den­zia­re an­che il da­to ri­le­van­te di spi­ce e nuo­ve dro­ghe (NSP), che con­fer­ma quan­to que­ste nuo­ve so­stan­ze stia­no pren­den­do pie­de, so­prat­tut­to fra i gio­va­nis­si­mi (la spi­ce rag­giun­ge ad­di­rit­tu­ra il 12% fra gli stu­den­ti 15-19 an­ni, is­san­do­si al se­con­do po­sto do­po la can­na­bis fra le so­stan­ze con­su­ma­te in que­sta fa­scia d’età).

    In­fi­ne, va ri­cor­da­to che la ti­po­lo­gia di in­da­gi­ne (non scien­ti­fi­ca, ma

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