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Vita beata in tempi duri. Dallo stoicismo al coaching i 5 passi per una vita migliore
Vita beata in tempi duri. Dallo stoicismo al coaching i 5 passi per una vita migliore
Vita beata in tempi duri. Dallo stoicismo al coaching i 5 passi per una vita migliore
E-book245 pagine3 ore

Vita beata in tempi duri. Dallo stoicismo al coaching i 5 passi per una vita migliore

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Info su questo ebook

Si tratta di una rilettura delle principali opere dei filosofi stoici Seneca, Marco Aurelio ed Epitteto, inserite in un modernissimo percorso teorico e pratico di coaching, dedicato ad appassionati di crescita personale e self help, amanti della letteratura e della filosofia antica e, in particolar modo, dello stoicismo, filosofia per tempi duri. Il libro è diviso in due sezioni che lasciano il lettore libero di scegliere come procedere nella lettura. La prima parte è composta da una serie di domande e risposte sulla filosofia stoica e su come la si possa applicare ancora oggi per vivere una vita migliore. Chi legge potrà scegliere da quale domanda partire, quale saltare, su quale tornare in caso di bisogno. La seconda parte è un percorso di crescita personale, realizzato raccogliendo i suggerimenti dei grandi stoici del passato e intrecciandoli, in maniera più o meno velata, con le tecniche del coaching e della Programmazione Neurolinguistica (PNL).In entrambe le sezioni, il testo è intervallato da domande aperte rivolte a chi legge in modo tale da consentire di fermarsi a riflettere e svolgere anche specifiche attività su quel particolare argomento trattato e acquisire la giusta consapevolezza, primo passo verso il cambiamento interiore.
LinguaItaliano
Data di uscita16 nov 2020
ISBN9788831699426
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    Anteprima del libro

    Vita beata in tempi duri. Dallo stoicismo al coaching i 5 passi per una vita migliore - Giovanna Di Carlo

    5)

    A domanda rispondo su…

    Tutto ciò che è utile sapere su questo libro e su che uso farne

    Com’è strutturato questo libro?

    Il libro è diviso in due sezioni ed è concepito in modo da consentire al lettore di procedere liberamente nella lettura.

    La prima parte è composta da una serie di domande che permettono di capire la genesi del lavoro, di conoscere più da vicino la filosofia stoica, di fermarsi a riflettere sull’attualità e spendibilità di certi temi. Nelle risposte invito a meditare sull’utilità del vivere una vita da stoici oggi. Il tutto è sotto forma di domanda e risposta così chi legge potrà scegliere da quale domanda partire, quale domanda saltare, su quale tornare in caso di bisogno e sarà anche più facile trovare l’argomento che, a distanza di tempo, eventualmente, intenderà rileggere.

    La seconda parte è un percorso di crescita personale,realizzato raccogliendo i suggerimenti dei grandi stoici del passato e intrecciandoli, in maniera più o meno velata, con le tecniche della mindfulness¹, del coaching² e della PNL³. L’intero libro è volutamente innervato da citazione e stralci di opere per le ragioni che ho spiegato in una delle risposte che seguiranno.

    In entrambe le sezioni, il testo è intervallato da domande aperte rivolte a chi legge. Il lettore avrà così modo di fermarsi a riflettere su quel particolare argomento trattato e acquisire la giusta consapevolezza, primo passo verso il cambiamento interiore.

    Chi è il lettore ideale?

    Funziona un po’ come per Seneca⁴: diciamo pure che il destinatario è stratificato, interconnesso. Seneca parla in primo luogo a se stesso, confronta continuamente il gap, il divario tra le sue aspirazioni e la realtà e dice a Lucilio, destinatario delle sue lettere: Pertanto ascoltami immaginando che io parli a me stesso; ti lascio entrare nel segreto della mia anima ed alla tua presenza discuto con me stesso. (Ep.27,1) . Ed è quello che faccio anch’io, in fondo, ogni volta che aggiungo una parola a questo libro.

    Saggia è pure la risposta di quel tale, chiunque sia stato - infatti si è incerti riguardo l’autore- il quale, interrogato a che mirasse attendendo con tanta cura ad un’opera destinata ad essere conosciuta da pochissime persone disse: Mi bastano pochi lettori, me ne basta uno solo o anche nessuno". (Ep.7,11) quasi a voler ribadire che la stesura delle sue opere ha se stesso come destinatario d’elezione.

    In seconda istanza si rivolge ai suoi amici, in primis a Lucilio, che ha già iniziato un suo percorso di perfezionamento, anzi il filosofo lo invita ad accelerare per godere quanto prima dei frutti, ma si rivolge anche agli altri interlocutori fittizi dei suoi dialoghi, Novato, Sereno. Ecco la conferma: Degno di considerazione è il terzo pensiero che Epicuro, scrivendo ad un suo compagno di studi, enunciò dicendo: queste cose scrissi non per la folla, ma per te; perché l’uno costituisce per l’altro un pubblico abbastanza numeroso". (Ep.7,12)

    In ultimo, parla alla folla, ai più, ai posteri e dunque a noi. È nato per pochi, chi pensa agli uomini della sua età. Molte migliaia di anni, molte migliaia di uomini verranno: ad essi tieni rivolto il tuo sguardo (…) in verità per nulla ci riguarderanno i discorsi dei posteri: tuttavia essi ci onoreranno e parleranno spesso di noi, anche se non ne avremo coscienza. (Ep.79,17)

    Ha un tono quasi profetico questo passo dell’epistola 79, in cui Seneca ha il sentore che sarà ricordato nei millenni e così è stato.

    In realtà non esiste un lettore ideale per questo libro. Esiste quel qualcuno che cerca una strada per vivere meglio e quel qualcuno non ha una carta di identità che ne fissi dati somatici, anagrafici né, tantomeno, sociali e culturali. Anzi ognuno può leggerlo e trarne il proprio giovamento: Non c’è da meravigliarsi se ciascuno dalla stessa materia trae quel che è conforme alle sue inclinazioni: nel medesimo prato il bue cerca l’erba, il cane la lepre, la cicogna il ramarro. (Ep.108,29)

    In effetti è così. Sono millenni che si legge Seneca con tutti gli altri autori del passato e ogni volta ciascuno cerca quel che più si addice alla propria sensibilità, alla propria formazione, ai propri bisogni, ai propri obiettivi di studio e di ricerca. Nel mio caso il tessuto connettivo di questo lavoro è rappresentato dalla mindfulness, dalla crescita personale e dal coaching.

    È un libro per tutti, giovani e vecchi. Non aspetti il giovane a darsi alla filosofia e non si stanchi il vecchio di coltivarla. Nessuno, infatti, è troppo giovane o troppo vecchio rispetto alla salute dell’anima.

    Finalmente, essendo vicino alla morte, impegnati a questo: a far sì che i tuoi vizi muoiano prima di te: come contraddire il filosofo Epicuro che scrive queste parole nella Lettera a Meneceo sulla felicità? A distanza di tempo, Seneca, nel De brevitate vitae, 9, gli fa eco dicendo: Protinus vive, vivi adesso e, perché sia una vita degna di essere vissuta, dedicati alla filosofia.

    Da giovani possiamo imparare, possiamo rivolgere verso la virtù l’animo ben disposto e ancora pieghevole; perché questo tempo è adatto all’attività intensa, intenta a tener desta l’intelligenza con lo studio, ad esercitare il corpo con l’attività fisica; quel che resta del tempo è caratterizzato da maggiore fiacchezza ed è più vicino alla fine. Pertanto adoperiamoci con tutta l’anima e, trascurando quanto ci distrae, miriamo ad una cosa sola, a far sì che, rimanendo indietro, non ci accorgiamo troppo tardi della celerità di questo tempo velocissimo, che non possiamo arrestare. Amiamo i primi giorni come migliori e ricaviamone profitto. Bisogna afferrare ciò che fugge. (Ep.108,27). Adesso è il momento giusto: se sei giovane, ne troverai giovamento più a lungo; se sei vecchio gestirai meglio quanto accadrà.

    Inoltre, se lo stoicismo⁵ del quale intendo parlare, ha dei pregi, uno di questi è il fatto di essere una filosofia interclassista, che non fa distinzioni di sorta, quindi questo è veramente un lavoro per tutti:Seneca era un uomo di Stato, Epitteto⁶ un ex schiavo liberato, Marco Aurelio un imperatore. È una ulteriore garanzia che questo libro, per il suo contenuto, è quanto di più inclusivo possa esserci; è davvero per tutti. E chiamo volgo sia quelli che indossano la clamide (mantello n.d.r.) che quelli che portano la corona; io non guardo al colore delle vesti con cui la gente si copre; non credo ai miei occhi nel giudicare un uomo, ho una luce migliore e più sicura con cui distinguere il vero dal falso; è l'animo che deve trovare il bene dell'animo. (De vita beata, 2).

    Quindi possiamo dire che il metro di giudizio per indicare il lettore ideale è il bene dell’animo.

    "Uno dei vantaggi che presenta la filosofia è appunto questo, che essa non si cura dei titoli nobiliari: tutti gli uomini, se sono ricondotti alla loro prima origine, discendono dagli dei (…) la saggezza è accessibile a tutti, rispetto ad essa siamo tutti nobili. La filosofia non respinge né sceglie alcuno: splende per tutti. (Ep.44,2)

    Chi è nobile? Chi dalla natura è stato ben disposto alla virtù. (Ep.44, 51). In fondo lo dicevano anche Dante e i poeti stilnovisti che la nobiltà vera non era quella del lignaggio ma quella dell’animo, che altro non era se non l’elevatezza del pensiero, la disposizione del carattere verso la virtù, la sensibilità e la delicatezza, la capacità di provare sentimenti profondi. Poi, con lo scorrere dei secoli, ce lo siamo dimenticati. Il metro di giudizio più usato, di generazione in generazione, è stato il possesso o meno di quel determinato status symbol, quell’orologio di marca, quell’automobile, quella borsa firmata e così via.

    Le pagine che stai leggendo nascono anche per questo, per condividere con tutti quei contenuti che, troppo a lungo, sono stati un patrimonio esclusivo del liceo classico e dei suoi studenti. Ebbene, volevo rendere accessibile queste pagine anche a chi è completamente a digiuno di latino, greco, filosofia.

    Mentre scrivo mi tornano in mente alcune pagine di Dante Alighieri tratte dal primo capitolo del Convivio e mi tornano in mente così come le lessi da studentessa tanti anni fa, non come le ho rilette successivamente da prof.

    Mi affascinò l’idea di apparecchiare un banchetto della cultura e farlo non più in latino ma in volgare perché tutti potessero partecipare, anche i non colti. Nell’aprire l’opera Dante cita il filosofo Aristotele che sostiene che tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere.

    Mi sembra un’ottima presupposizione di base da cui partire. Dante spiega, però, che molti non sono nelle condizioni di sapere per ragioni interne o esterne. Le ragioni interne all’uomo, che ostacolano il sapere, sono fisiche e mentali, limiti del corpo o della mente, problemi che oggettivamente limitano la possibilità di conoscere, sapere, apprendere.

    Quelle esterne sono legate alla mancanza di tempo, perché si è impegnati in faccende familiari e di lavoro o anche il vivere lontano da stimoli culturali. Certo le cause interne sono giustificabili, quelle esterne meno, anzi per niente a detta di Dante, perché legate alla pigrizia. Fatto sta che Dante rende accessibile a molti il banchetto che prima era riservato a pochi.

    Lo sforzo è quello di rendere accessibile anche ai non grecisti e latinisti un patrimonio di umanità dal valore inestimabile.

    Il mio mantra da prof l’ho mutuato da Jerome Bruner, uno psicologo statunitense che si è occupato di psicologia cognitiva e psicologia dell’educazione: si può insegnare tutto a tutti- altra convinzione potenziante- certamente rendendo accessibile il tutto. Perché farlo? Perché il sapere rende liberi, lo dice anche Seneca.

    Bisogna attendere agli studi filosofici e vivere in dimestichezza con i maestri della sapienza, per imparare quanto è stato scoperto, per cercare quanto non è ancora stato trovato: così l’animo, che deve essere tolto da uno stato di tristissima schiavitù, ottiene la libertà. (Ep.104,16)

    Perché questo libro?

    Ciò che mi ha spinto a lavorare su questo progetto, nato per pochi ma ben presto diventato per tutti, è stata la rilettura fatta in classe, qualche tempo fa, di un passo di Cicerone, tratto dal De divinatione, II, 1,4: Quale dono più grande e più importante posso offrire allo Stato che istruire ed educare la gioventù? Soprattutto in questa temperie e in questi momenti, quando essa è scivolata tanto in basso da dover essere tenuta a freno energicamente, con gli sforzi di tutti.

    Un’iniezione di energia per un’insegnante di latino in una scuola statale, che ha davanti a sé una generazione Z di post millenial. In fondo è questa la sfida del mio mestiere di insegnante di liceo, docere et erudire, formare e istruire quindi l’idea iniziale era quella di avvicinare i miei studenti al messaggio stoico, attualizzandolo, servendosene per vivere meglio e farlo in modo diverso dalla canonica ora di lezione di latino che, per quanto gradita, porta sempre con sé il concetto di verifica e valutazione e desideravo che l’eco di certi momenti arrivasse anche a tanti altri studenti, non solo ai miei.

    Poi, con il tempo, attingendo ulteriori risorse da anni di letture, studi, corsi di crescita personale, mindfulness, coaching e Programmazione Neuro Linguistica (PNL), quel progetto iniziale è diventato altro.

    A spingermi a lavorare ancora di più su questi temi è stato il continuo confrontarmi con storie di fragilità dei miei alunni. Lo dice Seneca, del resto: Vive chi si rende utile a molti, vive chi mette in opera le sue facoltà; ma chi sta appartato e inattivo, è nella sua casa come in un sepolcro. Sulla soglia puoi incidere nel marmo questa iscrizione: è morto prima di morire. (Ep.60, 4). E io voglio vivere, ovviamente.

    Come Cicerone Non spero certo che possa accadere quel che non si dovrebbe nemmeno pretendere, che tutti i giovani si volgano a questi studi. Siano pure pochi! Il loro impegno si manifesterà comunque nella vita pubblica (De divinatione, II, 1,4). Non si può pretendere che tutti, giovani e meno giovani, siano sensibili a queste tematiche.

    Resta il fatto che interessarsene fa spesso la differenza. È certo che di fronte a determinati discorsi, a certe tematiche, anche l’alunno più riluttante drizza le orecchie. Non te lo dà a vedere. Ti stupirà quando ti dimostrerà di aver colto, di aver capito e lo farà quando meno te lo aspetti.

    Quale migliore eredità delle mie lezioni, ho pensato, se non quell’impulso a superare il piano della quotidianità e cercare una felicità stabile, non soggetta alle alterne vicende della vita.

    E cos’è questa felicità? Quel vivere secondo natura e secondo ragionee qual è, dunque, l’errore che si compie dacché tutti desiderano la felicità? Scambiano i mezzi per conseguire la felicità con la felicità stessa e mentre la ricercano se ne allontanano (Ep.44, 7).

    Ed è purtroppo quello che capita spesso anche a noi uomini del ventunesimo secolo, giovani e meno giovani: il dare importanza a cose di poco valore, l’inseguire chimere, il puntare tutto sull’esteriorità perdendo di vista troppo spesso i valori e il senso dell’oggi, lasciando la nostra barca in balìa di ciò che non possiamo controllare, per finire con il perdere il controllo anche di quello che avremmo potuto controllare.

    Cos’altro mi ha spinto a dare definitivamente corpo a questo lavoro? La consapevolezza che il perfezionamento interiore non è un possesso per sempre, uno κτῆμα ἐς αἰ∊ί (ktema es aiei), per dirla alla greca, ricalcando quell’espressione cara a Tucidide quando parlava di storia.

    Il perfezionamento interiore finisce con la vita di ciascun individuo che abbia intrapreso questo lungo cammino.E forse è un gran peccato. Ogni individuo dovrà ripartire da capo. Non c’è la possibilità che un anziano ci lasci in dono, in eredità, il suo pacchetto di saggezza. Al massimo spetta a noi raccogliere le briciole di saggezza che cadono dal suo tavolo mentre si alza dal banchetto della vita come un commensale sazio, come direbbe Orazio. Purtroppo, oggigiorno, quelle briciole le disprezziamo, le disperdiamo.

    Credo sia importante, quindi, lasciare una traccia ai posteri, un percorso iniziato più di duemila anni fa e mai interrotto, e credo che, in qualche misura, il miglioramento del singolo individuo possa contribuire a migliorare il mondo. Certo è che andrebbe fatta una campagna di sensibilizzazione sulle tematiche della crescita personale, a partire dalla scuola, colleghi compresi, e nelle famiglie per poter dire uno per tutti, tutti per uno, unus pro omnibus, omnes pro uno. Ecco, ogni consiglio contenuto in questo libro, è come uno dei sassolini bianchi che consentì al Pollicino di Charles Perrault di tornare a casa. Queste pagine riportano indietro su quei passi, per poi poter andare avanti, molto avanti.

    Che senso ha scrivere un libro su Seneca, Epitteto e Marco Aurelio⁷ se hanno scoperto già tutto?

    È Seneca a dirlo e non c’è molto da aggiungere a riguardo, basta solo dargli la parola e ascoltarlo: C’è ancora molto da fare e molto ce ne sarà nell’avvenire e nessuno, anche fra mille secoli, sarà privo della possibilità di aggiungere ancora qualcosa. (Ep.64, 7).

    Le scoperte fatte non sono di intoppo a quelli che intendono farne altre. Inoltre chi vien per ultimo è nella condizione migliore: trova le espressioni pronte, che diversamente disposte acquisiscono un valore nuovo. E di esse non si impadronisce come se appartenessero ad altri: sono di dominio pubblico. (Ep.79,6)

    Dunque, io non seguo le orme di quelli che mi hanno preceduto? Sì, le seguo; ma mi permetto la libertà di scoprire qualcosa di nuovo e di mutare questo e di tralasciare quello: non sono di fronte ad essi in atteggiamento di servile sottomissione, pur approvandone i principi fondamentali (Ep.80,1)

    Si potrebbe obiettare che non c’è molto altro da scoprire ma se gli antichi hanno scoperto tutto prosegue Seneca l’applicazione, la conoscenza e la coordinazione delle scoperte altrui, costituiscono sempre una novità.

    La logica sottesa a questo lavoro è proprio questa: rileggere qualcosa di valido ma che rischia di andare irrimediabilmente perduto, renderlo più fruibile, più concreto e quindi più applicabile.

    Mi incoraggiano le parole di Seneca che parla di coordinazione delle scoperte altrui. Sarà stata la

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