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Il ricordo che ho di te: Romanzo
Il ricordo che ho di te: Romanzo
Il ricordo che ho di te: Romanzo
E-book724 pagine6 ore

Il ricordo che ho di te: Romanzo

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Info su questo ebook

Charlie è una giovane e solare ragazza di quindici anni, ma a seguito della morte di suo padre si troverà costretta a trasferirsi nella piccola città di Charleston, nel South Carolina. Tragico evento che la stessa Charlie dubitava di poter superare. Eppure, questo repentino cambiamento la farà imbattere in una realtà a lei familiare: i famosi rodei di cavalli. Dove incontrerà Davis, e la loro amicizia si tramuterà facilmente nel loro primo amore. Davis e Charlie passeranno l’intera adolescenza insieme, fino al momento in cui il padre di Davis muore in Afghanistan, durante la guerra. D’un tratto, lui si ritroverà a dover fare i conti con una realtà troppo dura da affrontare. Deciderà quindi di partire per il college, e di lasciare per sempre Charlie.
Dopo sei anni, Charlie conduce una vita normale; ha una figlia, e gestisce il negozio di fiori di sua madre.
Davis invece ha perseguito il suo sogno, diventando l’avvocato che ha sempre sognato di essere. Si è trasferito a Manhattan e, in seguito all’assunzione da parte di un potente studio legale, lavora al fianco di Greg, suo migliore amico. Il suo lavoro si complica nel momento in cui lo studio accetta come cliente uno dei più importanti uomini di affari della città; le richieste perpetuate negli ultimi mesi da parte dei soci, lo costringono a una scelta scomoda, che lo porteranno a dubitare del suo mestiere di difensore.
Un evento inaspettato che vede coinvolto proprio il fratello di Charlie e stravolgerà i loro destini: un misterioso incidente in cui Jason perde la vita, e che costringerà Davis a fare ritorno a Charleston, malgrado siano sei anni che non vede la sua famiglia… e Charlie, la ragazza che lui ha amato.



Dalla quarta di copertina

Biografia dell'autore:

Francies M. Morrone ha vissuto in Italia, suo paese di origine, fino all’età di diciotto anni. Si è diplomato presso l’istituto psico-pedagogico e, dopo aver concluso gli studi, ha deciso di trasferirsi all’estero e viaggiare per il mondo: in Australia, Francia, Nuova Zelanda e Regno Unito. Durante i suoi numerosi viaggi ha continuato a coltivare la passione per la scrittura.

Il suo libro d’esordio, Le decisioni della nostra vita, è stato pubblicato da Il seme bianco (2019), seguito da Il ricordo che ho di te (Francies Morrone Production - 2020).
Vive immerso nella natura, ama la musica, leggere e il mare.

Una storia d’amore che s'interseca nel tempo. Erano solo due ragazzi, ma il destino ha dato loro un’altra chance.

Nei negozi dal 29/09/2021.
ORDINA ORA una copia con autografo dell'autore.
Visita il sito www.franciesmorrone.it per maggiori informazioni.
LinguaItaliano
Data di uscita1 mag 2020
ISBN9791220230032
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    Anteprima del libro

    Il ricordo che ho di te - Francies M. Morrone

    http://write.streetlib.com

    Francies M. Morrone

    Francies M. Morrone

    I L RICORDO CHE HO DI TE

    Questa storia si ispira a fatti reali. Qualunque avvenimento riconducibile alla vita vera è puramente casuale.

    Il ricordo che ho di te

    di Francies M. Morrone© 2020 – Francies Morrone Production

    ISBN 9798686511330

    Senza regolare autorizzazione è vietata la riproduzione anche parziale o a uso interno didattico, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia.

    I edizione settembre 2020

    news@franciesmorrone.it

    www.franciesmorrone.it

    Francies Morrone Production è un marchio distribuito da Francies M. Morrone, co. con Sede operativa: V.le G. Rossa, Zona industriale 11/A , 54011, Aulla

    Questa pubblicazione è stata prodotta da Francies Morrone Production (www.franciesmorrone.it/contattaci)

    Ringraziamenti

    Ovviamente, ringrazio profondamente la donna che amo.

    In secondo luogo, vorrei ringraziare Lara Morrone, mio personale editor e agente, che continua a consigliarmi, durante tutto il processo di lavorazione dei miei romanzi .

    Questo romanzo, come tutti quelli che scrivo, è una possibilità di crescita, e lo è sempre stato tanto per me quanto per i miei lettori, e ogni mio libro mi da la personale possibilità di maturare e comprendere meglio il mondo che mi circonda.

    Ringrazio la produzione, e tutte le persone coinvolte nel progetto di sviluppo del mio romanzo, Il ricordo che ho di te .

    E, ovviamente, non per ultimo, ringrazio infinitamente ogni mio singolo lettore.

    alla donna che amo,

    ispirazione instancabile dei

    miei sogni più vividi e fervidi.

    È nel canto notturno che riscopro la quiete doverosa che mi libera

    dallo struggente rumore della vita odierna.

    (Cit. Una notte da riscoprire, Francies M. Morrone)

    Prologo

    Charlie

    Sei mesi prima dall’incidente di Jason...

    Charlie era seduta su una panchina di fronte il piccolo porto di Charleston.

    Il sole lentamente calava dietro le alte montagne dalla parte opposta del molo, facendo capolino fra le due colline di fronte alla città e al piccolo porticciolo.

    Era rimasta lì seduta per quattro ore, soltanto ad osservare le persone, mentre i gabbiani volavano sulla baita.

    Aveva i fogli sulle gambe, richiusi in una cartellina gialla plastificata, e non aveva quasi avuto il coraggio di aprirli, non dopo ciò che il dottor Leonard, il medico che curava sua madre da un paio d’anni, le aveva riferito. Sembrava quasi che il destino avesse voluto prendersi gioco di lei. E nonostante nel corso della sua vita avrebbe potuto affermare di riuscire a sopportare qualsiasi genere di dolore, un senso di sgomento le aveva attanagliato lo stomaco fin dal momento in cui era uscita dall’ospedale, quel giorno.

    Suo padre era morto di cancro, uno di quelli che si ereditavano geneticamente. Più precisamente, aveva colpito stomaco, intestino e pancreas. Si era sviluppato dopo anni, ma non appena lo aveva fatto era cresciuto, e si era lentamente divorato uno dopo l’altro, gli organi vitali interni.

    Aveva da sempre avuto un’alta opinione di suo padre, e lei lo aveva conosciuto come un uomo buono, e un eccezionale cowboy di talento.

    Era stato lui a darle il nome che portava, Charlotte Avery Johnson , e la sua passione verso i cavalli era nata proprio per via di suo padre. Era stato lui a farle amare i rodei.

    Dopo che suo padre morì, lei d’un tratto decise che non avrebbe più cavalcato. E aveva onorato quella promessa. Fin quando, non aveva incontrato per la prima volta Davis, il quale era riuscito a farle amare di nuovo tutto ciò che riguardava i rodei e la sua passione di cavalcare, nel momento in cui si era trasferita a Charleston. Ma erano anni che lei non rivedeva più Davis.

    Ormai, entrambi erano andati avanti con le loro vite, e lei non aveva neppure idea di che aspetto avesse adesso. D’altra parte, dopo la sua partenza, lui non si era più fatto né vedere né sentire, ed esattamente com’era entrato nella sua vita, d’un tratto, se n’era andato, quasi come se fosse sparito nel nulla.

    Non sentiva la sua voce da anni, anche se la ricordava ancora chiara e limpida, e non credeva che avrebbe mai potuto dimenticarla.

    Forse, non era un caso, se Davis era stato l’unico in grado di spingerla a riavvicinarsi ai rodei, ciò che lei di fatto amava di più, ma ripensare di nuovo a lui, anche se dentro di sé aveva accettato da tempo, ormai, il fatto che si fossero detti addio, sapeva ugualmente che per lui aveva provato un amore ancora più profondo. O forse, il motivo per cui aveva di recente cominciato a pensarci, era per via della sua decisione di partecipare al campionato di rodeo ad agosto. Oppure, poteva essere che ogni tanto, quando si sentiva più triste e malinconica, e di recente era successo molto spesso, non poteva fare a meno di immaginarsi come sarebbe stata la sua vita se Davis non fosse mai partito.

    Si sorprese di scoprire come, quando provavi un amore simile, in passato, era quasi impossibile dimenticare i particolari più importanti di quella persona. Come se la vita senza di lui, non avesse lo stesso gusto o sapore. L’unica cosa che sapeva di Davis, adesso, era il fatto di essere diventato un avvocato.

    Questo, lo aveva saputo per via di quando la sua amica Brìana aveva parlato con la madre di Davis, un giorno che la signora Northon era passata al negozio di fiori un giorno che stava tornando dal turno dell’ospedale.

    Al tempo, ricordò di essersi messa a riflettere sulla sua vita, e, in effetti, la sua di vita era ciò che potevi considerare quanto di

    più comune c’era al mondo; difatti, aveva passato gli ultimi anni a Charleston, e dopo aver finito il liceo aveva iniziato a lavorare nel negozio di fiori a tempo pieno, dopo che sua madre si era ammalata.

    Fortunatamente, c’era Jason con loro, o lei non sapeva come avrebbe potuto fare. D’altra parte, lei era stata da sempre fermamente convinta del fatto che non bisognava mai arrendersi, e lei non l’aveva mai fatto, neppure adesso. Proprio perciò, non si era mai buttata giù in questi anni e aveva sempre combattuto, in questi ultimi anni. Anche dopo che a sua madre le avevano diagnosticato l’Alzheimer, lei non si era persa d’animo e aveva continuato a prendersi cura di lei, insieme all’aiuto di Jason.

    Le salirono improvvisamente le lacrime, e neppure seppe spiegarsi il motivo. Forse, aveva solo paura di affrontare la sua vita, completamente da sola.

    Anche se, in effetti, Brìana, suo fratello Jason, e molte altre persone le erano sempre rimaste vicino.

    In quell’esatto istante, le tornò in mente suo padre.

    Un senso di nausea la colpì, improvvisamente, e continuò per un bel po’, prima di attenuarsi e andarsene. Strinse le cartelle cliniche che aveva in mano, e cercò di calmarsi.

    Ripensò a Brìana, e considerò il fatto che in realtà non era totalmente sola, e quella mattina, poco prima che si recasse in ospedale, proprio Brìana l’aveva chiamata, ed erano state al telefono per parecchio tempo, nonostante l’amica vivesse nella sua stessa città, e se avesse voluto vederla avrebbe potuto farle visita quando desiderava.

    Si conoscevano fin da quando lei si era trasferita a Charleston e la loro amicizia era sorta quasi subito, nonostante ne ignorasse il motivo, per via delle loro differenze caratteriali.

    Brìana era sempre stata una ragazza molto solare e confidente verso gli altri, mentre lei, al contrario, era una ragazza timida e molto riservata, tanto che aveva avuto difficoltà, all’inizio, a fare amicizia a scuola.

    I tempi cambiavano, certo, e adesso lei era quasi una donna, non più una ragazzina. Aveva compiuto ventiquattro anni un paio di mesi prima, verso l’inizio della primavera. E insieme a Brìana

    ‒ e a qualche suo amico ‒, avevano festeggiato nella tavola calda di Sam, quella di fianco il negozio di fiori.

    C’erano stati anche Emily, sua madre e suo fratello al suo compleanno, e lei ricordò di essersi divertita molto.

    In quel momento, rifletté sulle sue scelte, e sperò che esse l’avessero portata nella giusta direzione.

    Strinse ancora una volta le cartellette che aveva in mano, e una profonda paura l’assalì.

    Si sarebbe iscritta ai rodei quell’estate, e avrebbe vinto il primo premio, e lo avrebbe fatto per pagare le cure necessarie a sua madre, ma soprattutto avrebbe vinto per Emily.

    In fondo, avrebbe fatto qualunque cosa pur di rendere felice sua figlia.

    Si alzò dalla panchina sulla quale era rimasta seduta per l’intero pomeriggio, e rivolse un breve sguardo agli ultimi sprazzi di tramonto, dopodiché si incamminò verso casa.

    Arrivò poco più tardi, aprì la porta di casa ed entrò nel modesto salotto con le solite due poltrone rivolte verso il televisore. Diede un’occhiata lungo il corridoio, mentre nel frattempo si tolse la giacca e la appese all’appendiabiti.

    La luce della cucina era accesa, e questo voleva dire che sua madre era in casa. Entrò, e infatti la vide impegnata a lavorare a maglia. La salutò con un bacio sulla guancia, e prese la pentola

    per cucinare. Emily era rimasta a casa di Elizabeth, una sua amica dell’asilo, e dopo, Melissa, la madre di Elizabeth, l’avrebbe riportata a casa. Una volta che ebbe messo la pentola sul fuoco, sua madre si rivolse a lei.

    «Tesoro, stai bene?» chiese sua madre, continuando a lavorare a maglia. «Mi sembri un po’ strana ultimamente.»

    Forse era la luce della lampada della cucina, ma in quel momento sua madre le parve più pallida e fragile che mai.

    D’altra parte, come poteva essere altrimenti. Con il tempo, probabilmente, avrebbe dimenticato molte delle cose preziose che racchiudeva nella sua mente.

    In quel momento, lei si chiese come avrebbe reagito, se,

    alzandosi una mattina, non fosse stata più in grado di riconoscere sua figlia.

    Era vero, però, che la sua malattia non era ancora arrivata a quei livelli, ma prima o poi questo sarebbe accaduto.

    Il dolore allo stomaco le comparve ancora una volta, e distrattamente il suo sguardo cadde sulla cartellina che aveva appoggiato sul tavolo della cucina, mentre sua madre le chiese cosa fossero quei fogli.

    Osservò a lungo sua madre negli occhi. Alla fine, sorrise alla donna che fino ad ora l’aveva cresciuta con amore, e le tornò in mente il momento in cui scoprirono la malattia.

    Fu proprio lei a scoprirla, circa un anno prima. Inizialmente, cominciò a notare che in sua madre c’era qualcosa che non andava.

    Per prima cosa, dimenticava spesso molti degli ordini che faceva al negozio, o non riusciva più a tenere a mente i conti come una volta.

    Lei e Jason, all’inizio, non ci fecero molto caso.

    Fino a quando, una sera, non trovando sua madre in casa, lei, Jason e Brìana, di ritorno da una normale serata fra amici, erano andati a cercarla.

    Dopo circa un’ora di giri a vuoto, alla fine, la trovarono lungo la strada principale che collegava Charleston a South Bouns, la città vicino.

    Non appena la videro, ovviamente scesero tutti e tre dall’auto.

    In quel momento, ricordò che sua madre era in una sorta di stato confusionale, ed era convinta di stare andando a un rodeo di James, suo padre.

    Con il senno di poi, avrebbe potuto accorgersene molto prima, ma l’Alzheimer era una di quelle poche malattie di cui non si notavano i sintomi, finché non si mostravano chiaramente.

    Quasi come il cancro allo stomaco di suo padre.

    Se avessero capito prima che era malato, avrebbero fatto il possibile per salvarlo. Purtroppo, non era andata così.

    Dopo aver fatto la prima diagnosi medica, il medico spiegò loro che, all’inizio, poteva partire tutto da semplici dimenticanze, come il nome dei luoghi che sua madre aveva visitato, o magari non riusciva a ricordare dove aveva messo un oggetto prezioso.

    La fase successiva consisteva nell’aggravarsi dei vuoti di

    memoria della persona affetta dalla malattia; non ricordare cosa si aveva appena letto, dopo soli pochi minuti, o dimenticarsi delle persone che ti stavano vicino.

    E infine, le ultime fasi si riscontravano con la totale perdita di memoria. E ciò stava a significare che, in pochi anni, sua madre avrebbe dimenticato, ogni giorno sempre di più, e avrebbe avuto solo sprazzi di ricordi che le giravano in testa senza una linea temporale logica.

    Per esempio, si sarebbe alzata una mattina, avrebbe pensato di avere ancora vent’anni, e convinta di stare ancora con suo marito, avrebbe iniziato a cercarlo, rendendosi conto che lui, però, non c’era più.

    Il peggio era che non si avevano dei veri e propri riscontri medici, poiché una malattia simile non si mostrava a livello clinico, se non quando era al suo stadio finale, ovvero l’inizio della

    malattia vera e propria.

    Ovviamente, sia lei che Jason sapevano che non esisteva una cura per quel genere di malattia.

    Loro ci avevano provato lo stesso a cercarne una, ma l’Alzheimer non poteva essere curato. Difatti, la persona, arrivata al suo più grave stato di demenza, poteva solo essere accudita e

    controllata a vista, come quando ci si prende cura di un bambino piccolo, in modo che non arrechi danno agli altri, o a se stesso, con le sue stesse mani.

    In quel momento, lei guardò sua madre, mentre la luce della cucina la faceva apparire più stanca e affaticata del giorno precedente.

    Si rivolse alla donna con un sorriso, e avvicinandosi a lei, l’abbracciò.

    Dopodiché, aprì la cartellina che le aveva consegnato il dottor Leonard, quel giorno, e la informò che aveva monitorato le sue condizioni fino ad oggi, e diceva che adesso stava meglio, e che ci sarebbero voluti almeno una decina d’anni, prima che l’Alzheimer

    potesse dimenticarsi addirittura di avere una figlia.

    Sapeva di stare mentendo… ma cos’altro avrebbe potuto fare? Si chiese, in quel momento.

    Sua madre sorrise, e lei fu sorpresa nel sapere che, nonostante tutto, non aveva perso quello spirito combattivo, e la gioia per la vita. D’un tratto, si domandò come facesse. E si accorse, che

    avrebbe dovuto prendere molto di più da sua madre, sotto certi aspetti. Anche se a sua madre piaceva ricordarle sempre quanto somigliasse, in realtà, a suo padre. Più di quanto lei stessa sapesse.

    Dopo che Emily fu tornata a casa, lei la mise a letto nella sua stanzetta, piena di giochi e album da colorare e si mise di fianco a lei, seduta sul letto. In quel momento, si ritrovarono solo lei e la piccola Emily, mentre lei le raccontava una favola per addormentarsi.

    «Mamma.» le disse d’un tratto Emily, mezza assonnata. «Sembri triste.» affermò poi, la bambina, continuando a guardarla negli occhi con il suo fare innocente, insito in un bambino di quell’età.

    Lei guardò sua figlia un po’ stupita, non aspettandosi una tale affermazione da parte sua, anche se, in effetti, fra loro due c’era da sempre stato un legame forte, essendo la sua bambina. Emily era la sua gioia più grande, e non c’erano parole per descrivere l’amore che provava nei suoi confronti.

    A quel punto, Charlie, rilassò appena lo sguardo e sorrise.

    Dopodiché, le parlò con una tonalità di voce dolce, in modo da rassicurarla, se mai avesse avuto qualche genere di preoccupazione.

    «Sono solo un po’ stanca per via del lavoro, tesoro.» Sorrise, e accarezzò la guancia di sua figlia.

    «Sei sicura di farcela a cavalcare i cavalli?» insistette Emily, e dallo sguardo che lei lesse negli occhi di sua figlia, riuscì a intuire la sua preoccupazione.

    «Certo, piccola.» rispose lei, sorridendo spontaneamente. «Tu non lo sai, ma sono una delle più brave cowgirl , in città. Anzi, forse anche di più.

    Sono una delle più brave al mondo, e ti voglio troppo bene per permettere che t i succeda qualcosa .» la rassicurò, Charlie.

    Detto ciò, la bambina chiuse gli occhi, e lei uscì dalla stanzetta, lasciando la porta aperta, in modo che Emily sentisse il suono del televisore mentre sua nonna guardava uno dei soliti talk show , giù al piano di sotto.

    Si diresse verso la sua camera, proprio di fronte quella di Emily, e non appena fu lì, si stese sul suo letto, sentendosi stanca e distrutta.

    Sospirò per l’ennesima volta, e cercò di scacciare tutti i pensieri brutti che le stavano arrovellando il cervello da quella mattina.

    ***

    Erano appena passate le due, e Jason non era ancora rientrato.

    Forse, non aveva motivo di preoccuparsi. L’indomani avrebbe visto Brìana al negozio, e vedendola, tutto si sarebbe risolto.

    Aveva assunto la sua migliore amica Brìana a lavorare con lei al negozio di fiori, dopo che sua madre non era più stata in grado di mandarlo avanti. Così, insieme alla sua migliore amica, lavoravano insieme ogni giorno, da circa un anno a questa parte.

    Si impose di calmarsi, e che tutto sarebbe andato bene, anche se una parte di sé non ne era affatto convinta. Era come una sensazione, e da quella mattina aveva il presentimento che qualcosa nella sua vita era cambiato, e che le cose sarebbero andate anche peggio.

    Tirò un profondo respiro, e si disse che ogni cosa aveva una sua ragione, quindi era inutile stare lì a rimuginarci sopra.

    Continuò a ripeterselo, mentre guardava il cielo stellato dalla

    finestra di camera sua. Improvvisamente, senza sapere bene perché, le tornò in mente Davis, senza che ci fosse una ragione precisa. Da quella mattina, in effetti, aveva ricominciato a pensare di nuovo a lui, e questo le aveva lasciato addosso un senso di nostalgia. Fatto stava, che non era riuscita a togliersi quei pensieri dalla mente, da quella mattina.

    Erano passati circa cinque anni, o poco più, eppure non le sembrava fosse cambiato nulla, a parte Emily,

    ovviamente... magari per Davis era cambiato tutto. L’unica cosa che sapeva di lui era che era diventato un avvocato, e questo lo aveva saputo tramite Brìana, la quale lo aveva saputo da Margarét, che a sua volta lo era venuto a sapere proprio dalla madre di Davis.

    Non sapeva dove fosse o cosa stesse facendo, o se si rendeva conto di aver lasciato una parte di sé, proprio lì a Charleston.

    1

    Davis

    Davis era seduto sul sedile del treno diretto a Charleston e aveva lo sguardo rivolto verso le montagne e il paesaggio che in quel momento sfrecciavano veloci.

    Era successo tutto così in fretta.

    Quasi non aveva avuto il tempo di avvertire Greg, riguardo questa improvvisa partenza per Charleston; lasciando la sua solita routine di città a Manhattan, il suo lavoro, lo studio legale e la Fordham .

    Prima di diventare a tutti gli effetti associate della Fordham, la famosa compagnia legale per cui lavorava da un anno a questa parte, Greg gli aveva affidato un ultimo incarico.

    Ma quell’imprevisto, aveva fatto ritardare la faccenda, e così, adesso, si trovava su un treno diretto verso l’aperta campagna, in un viaggio che sarebbe durato non meno di quindici ore.

    Aveva ricevuto la chiamata da parte di Kate giusto un paio di giorni prima, anche se lui aveva già saputo dell’incidente di Jason.

    Sua sorella Kate, però, aveva voluto informarlo ugualmente.

    Era stata una notizia che lo aveva colpito particolarmente.

    Venire a sapere che il fratello di Charlie era deceduto a seguito di un brutto incidente non era ciò che si sarebbe aspettato di sentire la mattina in cui si era svegliato, in una giornata qualunque, per recarsi in ufficio.

    Per essere del tutto sinceri, la notizia di Jason lo aveva colpito così profondamente, a tal punto che aveva fatto fatica a dormire, e anche nei giorni successivi era stato tenuto sveglio da terribili incubi nei quali si trovava a dover salvare Jason, ma alla fine non ci riusciva mai.

    Aveva pensato molto spesso anche suo padre, ultimamente,

    nonostante non pensasse a lui da anni, ormai.

    Suo padre, Walter Finn Northon era morto in Afghanistan sei anni prima, per via di una guerra che perdurava ancora oggi. La morte di suo padre, che volesse ammetterlo o meno, gli aveva creato una ferita che non si era rimarginata del tutto.

    E questa era stata la ragione principale che lo aveva spinto a ad andarsene da Charleston; e non per via dell’Università. Anche se in effetti ciò gli aveva portato, nel corso di quegli ultimi sei anni, ad avere grandi soddisfazioni a livello professionale e nella sua carriera.

    In quel momento, mentre il treno si dirigeva verso Charleston, ricordò di una ragazza che aveva conosciuto subito dopo essersi trasferito nell’appartamento di Manhattan, dopo aver firmato il contratto con la Fordham.

    Lei era una psichiatra, e aveva uno studio in città.

    Si erano conosciuti nel bar all’angolo, vicino l’appartamento di Davis. Lei aveva insistito per salire, e alla fine, lei era riuscita anche a convincerlo a sottoporlo a una seduta di analisi. Così, soli nel salotto di casa, con in mano un bicchiere di vino, lei lo aveva fatto parlare per un’ora, per arrivare alla conclusione che lui soffriva di forte trauma dovuto all’abbandono.

    Non era stato molto convinto, riguardo la diagnosi. Ci aveva riflettuto a lungo, ma era giunto alla conclusione che stava bene.

    Insomma, lavorava, e usciva con Greg, e incontrava occasionalmente qualche ragazza, anche se le relazioni negli ultimi anni non si erano mai addentrate tanto in profondità.

    Solitamente, duravano al massimo un paio di settimane, non di più.

    Neppure con i suoi attuali colleghi, a dire il vero, aveva mai stretto un vero e proprio legame, ma a lui andava bene così.

    Era normale, in fondo, non legarsi a qualcuno fin da subito.

    In effetti, aveva qualche eccesso d’ira ma non come ci si aspetterebbe, e infatti, non era nulla di preoccupante per gli altri, anche se tendeva a tenere il suo passato nascosto, e molto probabilmente ciò era perché non voleva affrontare il fatto che l’ultima volta in cui aveva visto suo padre, fu anche l’ultima che lo vide in vita.

    Fu il giorno prima che suo padre partì per tornare in Afghanistan.

    Lui e suo padre avevano avuto una forte discussione, e il motivo era chiaro a entrambi ormai.

    Forse, Davis era troppo giovane per capire, al tempo. Ma da quando aveva compiuto quindici anni, aveva cominciato a vedere suo padre con occhi diversi, pieno di vulnerabilità e senza spina dorsale per affrontare le sue responsabilità.

    Quando compì diciotto anni, esattamente pochi giorni dopo il suo compleanno, suo padre sarebbe dovuto partire ancora, e Davis riusciva a scorgere la tristezza negli occhi di sua madre ogni volta che ciò accadeva.

    Forse, era ciò che sentiva dentro e il fatto di non aver mai avuto il padre che aveva desiderato più volte quando aveva solo quindici anni. Fatto stava, che arrivò ad avere una forte discussione con suo padre.

    Ancora riusciva a ricordare l’espressione delusa di suo padre.

    Dopodiché, lui uscì dalla porta principale è Davis non ebbe più sue notizie, nonostante fin da quando era nato suo padre gli aveva mandato le sue lettere, quelle che lui non aveva mai aperto, e che sua madre aveva riposto in uno scatolone pieno di suoi oggetti è poggiato in fondo il suo armadio, nella sua vecchia camera nella casa in cui era cresciuto a Charleston.

    Qualche settimana dopo, qualcuno bussò alla porta di casa, e un colonnello informò sua madre, mentre lui era all’ultima partita della stagione di football della scuola, che suo padre era morto in seguito a un bombardamento aereo, provocato da un B-52 nemico.

    Era sulla strada verso il campo d’addestramento, quando dal nulla il campo base del generale Northon venne raso al suolo.

    Non sapeva cosa pensare, ma se c’era qualcosa in grado di ricordare erano proprio i momenti passati insieme a suo padre ad aggiustare la vecchia Harley rossa, tenuta nel capanno degli attrezzi, sul retro della casa.

    D’altra parte, Davis non aveva mai smesso di chiedersi se avesse potuto fare qualcosa per evitare che accadesse.

    Eppure, fino ad oggi non riusciva a perdonarsi per via delle ultime parole che aveva detto a suo padre.

    Erano passati sei anni da allora, ma quando aveva saputo di Jason, ciò gli aveva riportato alla mente, inevitabilmente, gli ultimi attimi insieme a suo padre.

    Poco dopo quell’accaduto, partì per il collage, senza voltarsi indietro, lasciandosi alle spalle tutto quanto, il passato, suo padre e… Charlie.

    Adesso era tornato, e lui non riusciva neppure a immaginare come doveva sentirsi Charlie.

    Forse, per via di ciò che era successo, negli ultimi giorni non aveva smesso per un secondo di pensare a lei.

    Davis sapeva bene che decidendo di tornare a Charleston, l’avrebbe rivista, ma aveva anche considerato il fatto che, adesso, erano passati sei anni, ed entrambi erano andati avanti con le loro vite.

    Davis non era sicuro che Charlie avesse continuato con i rodei oppure no, ma sapeva quanto amasse cavalcare e chiederle di seguirla, al tempo, in modo che lui avesse potuto perseguire la strada per diventare un bravo avvocato, era stato da codardi. Anche se, poi, ciò non era successo, e dopo la morte di suo padre, lui era sparito e non aveva lasciato notizie di sé.

    Occasionalmente, sentiva sua madre e sua sorella Kate, ma aveva deciso di vivere la sua vita lontano da lì.

    Aveva lasciato Charlie, con una semplice lettera recapitatole da suo fratello Jason, proprio di fronte casa. E questo, perché Charlie era troppo impegnata a piangere nella sua stanza.

    In quegli anni, aveva avuto modo di formare il carattere alla Fordham.

    In tutti gli anni in cui aveva vissuto da solo, aveva dovuto scendere a patti con se stesso, e molte volte per via del lavoro che faceva, aveva dovuto adattarsi e lasciare da parte i suoi valori, quelli che sua madre gli aveva insegnato.

    Era un avvocato.

    Ma non era un semplice avvocato, con un piccolo studio in centro Manhattan, bensì, nell’ultimo anno, aveva lavorato per una delle più grandi sedi legali della città, la Fordham.

    Adesso, era in procinto di tornare laddove tutto era nato, la sua passione e il sogno di diventare avvocato, ma anche dov’era nato il suo amore per Charlie.

    Le persone avevano sempre detto che il suo senso di giustizia, e il fatto di fare l’avvocato fossero due cose nettamente diverse. Ma lui, inconsapevole del funzionamento di un grande studio legale, come la Fordham, aveva sempre creduto, fin da ragazzo,

    che il modo migliore di difendere le persone, non era usare la violenza, ma sconfiggere il potente attraverso l’uso di un dibattito appositamente strutturato .

    Eppure, era capitato che anche lui venisse meno a questo suo principio, e modo di agire.

    A ogni modo, era stato il suo enorme senso di giustizia, e la passione di difendere la verità e chi non poteva permettersi di farlo da solo.

    Aveva sempre combattuto per i più deboli, e per tutti coloro che non avevano la forza di difendersi.

    Ma con gli anni, questi suoi concetti dovettero adattarsi alla società, composta non solo da persone buone, e di buoni propositi. Certo, non era uno sprovveduto, e sapeva benissimo che il mondo non era fatto solo di persone buone; non nel suo mondo, e nello spietato mondo degli affari, dove c’erano capi d’industria che ti avrebbero tormentato, solo per averla vinta, e ciò perché erano stracolmi di potere, e le persone che intendeva lui, e con cui aveva dovuto avere a che fare fino ad oggi, facevano leva sulle tue paure, solo per poterti manipolare. Conosceva bene il trucchetto, e in determinate occasioni, aveva giocato allo stesso modo, soprattutto quando esaminava le persone con cui aveva a che fare con il suo lavoro, e Davis pensava fossero delle persone cattive. A quel punto, trovava ogni tecnica valida per far venire fuori la verità, o eventualmente per trovare un appiglio che gli tornasse utile, nel momento in cui un giudice avrebbe emesso la sua sentenza.

    Il suo lavoro consisteva nelle cause civili, e non penali. Ma aveva preso per conto suo questa decisione di occuparsi solo di casi che non riguardavano reati penali gravi.

    Quello che avrebbe voluto fare lui, sarebbe stato aiutare le persone, tutte le persone non in grado di potersi difendere da sole. Anche se la sua carriera, nell’ultimo periodo aveva preso una piega che non si sarebbe mai aspettato.

    Aveva decollato velocemente, su questo non c’era dubbio.

    Tanto che, dopo il suo studio aveva deciso di farlo diventare un associate .

    Un associate, non era nient’altro che una persona come lui, che veniva promossa di qualche grado direttamente. E ciò, avrebbe aumentato di tanto il suo salario annuo.

    Ma l’associate non era solo questo.

    Diventare socio dello studio, seppure sarebbe stato un j unior all’interno, gli avrebbe permesso di prendere grandi decisioni all’interno della società.

    Questo, era di fatto ciò che lui aveva sempre sognato, e la sua recente promozione gli avrebbe dato libero accesso a qualsiasi caso speciale, e importante, che gli altri soci più in alto di lui, come Greg, gli avrebbero assegnato.

    Greg sarebbe stato il suo mentore, e ogni volta non la smetteva, soprattutto nell’ultimo periodo, di congratularsi con lui. Anche se Greg sapeva da dove veniva Davis, e conoscendolo, sapeva anche che a lui, la gloria e la fama, non erano mai importati granché.

    Difatti, ciò che lo rendeva più felice in tutta quella storia, era solo il fatto che nessuno gli avrebbe più dato compiti che lui non voleva svolgere.

    Più andava avanti nella Fordham, e più si rendeva conto che continuando a percorrere quella strada, sarebbe dovuto scendere a patti, con i suoi valori e principi.

    Gli ultimi avvenimenti, gli avevano fatto tornare in mente un vecchio episodio successo ai tempi dell’università.

    Fu quando fece a pugni con Evans Coleman, il quale frequentava la sua stessa università.

    Faceva parte di una confraternita chiamata Gli Eletti, e a lui non era mai stato troppo simpatico. Una sera, si era tenuta una grande festa al campus, una consuetudine che ricorreva in quegli anni.

    C’era una ragazza molto minuta di costituzione e con un paio di grossi occhiali; non era molto popolare, ma lui la ricordava bene.

    Molte persone all’interno del campus tendevano ad evitarla, ma a lui era sempre sembrata una brava ragazza, tanto che aveva scambiato con lei quattro chiacchiere, di tanto in tanto, quando gli capitava di incontrarla ai corsi di letteratura o di storia.

    C’era stato qualcuno che la definiva strana, a quel tempo, solo perché se ne stava per la maggior parte del le sue giornate per conto suo. In effetti, non aveva molti amici.

    Ma Evans, la sera della festa, iniziò a prenderla di mira peggio del solito.

    C’erano molte persone quella sera , ricordò lui, proprio mentre il treno passava lungo un’enorme distesa d’erba e di campi dove alcuni cavalli correvano liberi vicino un mulino poco distante.

    D’altra parte, però, non nessuno mai si era preso la briga, o aveva il coraggio di farsi avanti e difendere quella povera ragazza, un po’ perché temevano Evans e un po’ perché alcuni di loro trovavano divertente il fatto che quella povera ragazza venisse presa di mira in continuazione.

    Lui era seduto proprio di fronte l’enorme arco in pietra, vicino a Washington Square Park, dove si stava tenendo la festa. Un evento piuttosto normale, per quei tempi, e lui non riusciva a ricordare un fine settimana all’università in cui non si era tenuta una festa simile.

    Evans era insieme al suo solito gruppo di amici, quella sera, tra i quali c’erano anche Lance e Cookemerk, due giovani figli di papà che, esattamente come Evans, si comportavano come dei giovani ricchi e viziati.

    Tendevano a prendere di mira quelli che loro consideravano meno popolari, o i più deboli, e non riusciva a sopportarli per questo.

    Evans era praticamente il capo lì in mezzo, e solitamente avrebbe lasciato perdere, conoscendolo.

    Ma quella sera, il ragazzo non si limitò a prendere in giro quella povera studentessa, con le sue solite battute da perfetto imbecille, bensì, tutto a un tratto, si era avvicinato alla ragazza e le aveva versato la birra addosso.

    In quei pochi istanti non ci vide più, e prima che Larry e Tracy ‒ i suoi vecchi amici di college ‒ lo fermassero, si gettò addosso a Evans.

    Una volta a terra, cominciarono a prendersi a pugni, fino a quando la vigilanza del campus non li fermò.

    Il giorno seguente, lui fu convocato dal rettore e fu ammonito. Ciò stava a significare che, se avesse commesso un altro errore, sarebbe stato sbattuto fuori. Mentre, invece, ad Evans non successe nulla, e, come sempre, ci sarebbe stato il paparino a tirarlo fuori dai guai.

    Nei giorni che susseguirono quell’evento, Davis rifletté molto, e anche i suoi amici Larry e Tracy gli dissero che non poteva continuare a fare così, finendo nei guai solo perché voleva cercare

    di fare la cosa giusta.

    Il mondo, a sentire loro, non funzionava in questo modo.

    Però, circa una settimana dopo l’accaduto, lui era in biblioteca a cercare qualche libro sulla Rivoluzione Francese, e incontrò per caso quella ragazza. Lei lo ringraziò, timidamente, e anche se sapeva che di ingiustizie ne era pieno il mondo, a lui quel gesto bastò per ripagarlo.

    Fu un momento strano, a dire il vero, perché rifletté molto su quella vicenda, a seguito dell’ultimo caso che Greg gli aveva assegnato.

    Dopo quel fatto, il suo unico intento, fu quello di affermarsi come grande avvocato, e quindi si concentrò esclusivamente a studiare, per passare gli esami in fretta.

    Gli anni passarono, e dopo aver ottenuto la laurea in una delle più prestigiose università di New York, fece il tirocinio in uno studio legale nel New Jersey, e dopo soli sei mesi, i suoi superiori iniziarono a notarlo.

    Non ci volle molto che la notizia di un giovane e talentuoso neo avvocato si spargesse.

    Poco tempo dopo, lo studio legale in cui stava svolgendo il tirocinio gli comunicò che un o dei più famosi studi legali di Manhattan voleva fissargli un colloquio.

    Il periodo di prova durò circa tre mesi e, anche se di solito uno studio come la Fordham aspettava almeno un anno prima di far firmare un contratto a un giovane avvocato venuto dal nulla, gli offrirono lo stesso un posto prestigioso.

    Conobbe Greg poco tempo dopo aver iniziato a lavorare per la Fordham.

    Greg sapeva quasi tutto su di lui.

    Gli aveva parlato anche di suo padre, nonostante all’interno della società nessuno fosse a conoscenza del suo passato.

    Di fatto, nessuno dei suoi colleghi conosceva la sua famiglia o la sua storia prima di Manhattan, probabilmente dovuto al fatto che lui stesso non vedeva la sua famiglia, dal momento in cui era partito per l’università.

    Ogni tanto si erano sentiti al telefono con sua madre, che gli raccontava sempre come cresceva Alyssa e il giorno in cui era nato Noah, l’ultimo figlio di sua sorella.

    Ma la sua famiglia conosceva la Fordham, e in qualche

    occasione avevano anche visto Greg. Riguardo gli altri colleghi, a Davis non era mai piaciuto raccontare tante cose sul suo conto, ma con Greg era diverso.

    Era come se, in qualche modo, riuscisse a leggergli dentro. E forse, era per via della sua età, ma era come se a Greg non potesse nascondere quasi nulla.

    Greg era stato il suo mentore durante il tempo trascorso alla Fordham, e in lui, Davis, aveva trovato una persona buona di cui potersi fidare.

    Il loro senso di giustizia era diverso dal resto delle persone che lavoravano per l’azienda, ma con il tempo ci avevano fatto entrambi l’abitudine.

    Nel tempo trascorso fuori di casa, si era dovuto arrangiare come meglio aveva potuto, costruendosi una sorta di difese

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