Una rosa di donne
Di Anna Lajolo
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Info su questo ebook
Sono parole della protagonista del primo racconto di Una rosa di donne, una visione augurale, felice di una realtà nuova, dove le donne padrone della loro identità e dignità sono libere di amare, essere riamate, rispettate nei rapporti umani e di lavoro.
I racconti di Una rosa di donne ci dicono come questo mondo nuovo della donna sia tuttora dolorosamente lontano. Con fine sensibilità femminile e una scrittura leggera, che lega e rende scorrevoli le diverse storie come quadri di un’unica rappresentazione, l’autrice ci parla della condizione della donna in modo originale, fuori dagli schemi di un facile, scontato femminismo. Raccontando semplicemente la vita quotidiana, gesti, parole, sentimenti, comportamenti, fatti, alcuni momenti drammatici, qualche spunto esilarante, all’interno dei rapporti famigliari.
Una rosa di donne sottomesse, maltrattate, abbandonate, sofferenti, impaurite, insicure, figlie, fidanzate, mogli di uomini sbagliati.
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Anteprima del libro
Una rosa di donne - Anna Lajolo
COLOPHON
Tutti i diritti riservati
Copyright ©2016 Gammarò edizioni
http://www.gammaro.eu
ISBN 9788899415129
Titolo originale dell’opera:
Una rosa di donne
di Anna Lajolo
Collana * Le opere e i giorni / Letteratura e storia *
diretta da
Vincenzo Gueglio
progetto grafico:
Sara Paganetto
Prima edizione giugno 2016
Indice
La normalità
Meglio una torta due volte l’anno
Mi piaceva perché mi faceva ridere
Lei è piccola bruna minuta
Tea
Secondo il vecchio Freud
Quella scena
Angela
Mariconcia
Dare alla luce
La carta da pane
La donna che voleva viaggiare
La visitatrice
Quando passeggiavano insieme
Fascino e miopia
Jean e la donna dai capelli rossi
Il segreto
Deve solo aspettare che arrivi la sera
Il giardino sopra la città
La donna della 36
Un fiore per un altro fiore
Rosso e nero
La normalità
Si sveglia subito, come tutte le mattine, appena sente la musica della radiosveglia, regalo di Mimmo per il suo ultimo compleanno.
Va in cucina e accende il gas sotto la caffettiera preparata la sera prima, apre la finestra, si affaccia e guarda in strada.
Si annuncia una bella giornata, con il sole ma fresca. Dalla finestra sul giardino osserva due merli, maschio e femmina, che danno spettacolo con il rituale di corteggiamento tra i rami del noce. Come in una danza sincronizzata, ogni mossa eseguita dal grosso e nero maschio è prontamente imitata in ogni dettaglio dalla femmina, un po’ più piccola e dal piumaggio bruno. Una meraviglia per iniziare la giornata. Eppure si accorge di non essere di buon umore. Strano, perché la mattina da un po’ di tempo si sveglia che è veramente allegra.
Voglio una vita spericolata, la voglio piena di guai
, ecco, dev’essere quella canzone assurda che sta trasmettendo la radio a scatenarle l’inquietudine, con quella voce da sballato, lo prenderebbe volentieri a schiaffi, lui e i suoi miti da diverso. Come si può desiderare una vita piena di guai?
L’aroma del caffè risveglia tutti i sensi, l’acqua della doccia è piacevole, la biancheria presa nel cassetto ha un buon odore di pulito. Rifà il letto per Mimmo che sta per rincasare, questa settimana fa il turno di notte, il suo Mimmo, così tranquillo, moderato, così normale.
La normalità che gran bella cosa! L’ha sempre desiderata, fin da piccola, quando il padre spariva per intere settimane e la madre malata di nervi che entrava e usciva di continuo dalla clinica.
Toccava a lei, l’unica femmina, occuparsi dei fratellini e di ogni cosa, e quando il padre ricompariva in casa tutti si tenevano alla larga, impauriti dalle sue violente scenate, e dalle botte.
È presto e c’è tutto il tempo per stirare prima di andare in ufficio. I jeans di Mimmo, poi quelli del bambino che bambino ormai non è più. Quanti pantaloni da uomo ha stirato in vita sua, mentre ci pensa ha un brivido di paura, per anni ha avuto paura degli uomini.
Il suo corpo era maturato presto, una ragazza appariscente, però dentro non era cresciuta, qualcosa l’aveva bloccata. Tra tanti ragazzi che le ronzavano attorno, a sedici anni aveva scelto il più mite, non che ne fosse innamorata, ma perché era l’opposto del padre. Giovane musicista di professione, ogni giorno si esercitava al pianoforte, studiava spartiti, componeva e lei costretta per ore ad ascoltare. Era una situazione a senso unico perché lui invece non ascoltava mai quel che lei gli diceva, come fosse sordo, e completamente immerso nella sua musica.
Con lui era rimasta incinta. Troppo giovani per la responsabilità di genitori e aveva abortito. Un brutto ricordo, sul tavolo di un appartamento squallido e chissà se era proprio un dottore. In famiglia era successo un putiferio, la madre di nuovo in clinica e il padre solito menefreghista. Quella penosa storia di aborto aveva messo fine al rapporto col musicista.
Si era messa con un altro ragazzo che dopo alcuni mesi, malgrado le precauzioni, era rimasta di nuovo incinta.
Non se l’era più sentita di abortire, non perché pensasse che quello fosse l’uomo della sua vita, era solo un rimandare il problema, perché anche di questo secondo compagno non era innamorata, solo come soggiogata, non era mai lei a scegliere. E lui non si mostrava per niente entusiasta di diventare padre, anche se non aveva usato alcuna cautela per evitarlo.
Per quella seconda gravidanza così poco desiderata, seguita da un matrimonio senza vero amore, in casa era riscoppiata l’ira di Dio, la madre di nuovo ricoverata in clinica. Anche quella storia era finita e nella sua vita è entrato Mimmo. Desiderava, cercava proprio uno come lui così tranquillo, moderato, così normale.
Sente la chiave girare nella toppa, è lui che rientra dal turno di notte.
«Ciao bella, tutto bene?»
«Tutto bene. Sei stanco?»
«Beh, sì, e tu non vai in ufficio?»
«Finisco di stirare e vado. Se esci ti ricordi di comprare il detersivo per i piatti che è finito?»
«Va bene.»
Le sfiora i capelli con un bacio affettuoso. «Buona giornata», dice.
Come è diverso Mimmo dal padre del suo bambino! Quello era uno che portava all’estremo qualsiasi cosa, uno svitato, beveva, e da ubriaco faceva le peggiori cose di questa terra, ma era il padre di suo figlio e le era sembrato giusto non rompere, rimanere insieme, proprio per evitare traumi affettivi al bambino. Per questo si erano poi pure sposati, però il matrimonio non era durato a lungo, lui era una persona che amava stare negli impicci, in ultima analisi un debole incapace di dare un qualsiasi aiuto, un irresponsabile. E poi, lei da piccola aveva già sofferto il cattivo esempio del padre che se ne fregava di loro e andava sempre in giro come se non fosse sposato, non avesse una famiglia.
Quando si erano divisi, il padre l’aveva ripresa in casa, non perché l’avesse perdonata, piuttosto con l’intenzione malevola di punirla. «Hai voluto fare di testa tua? E hai sbagliato. D’ora in poi la sconterai. Così impari a vivere.» Le ripeteva con esplicita brutalità.
Aveva vissuto così per anni, con quel padre disumano, la madre in clinica, i fratelli da accudire, la casa da rigovernare, e il bambino che solo su di lei poteva contare. Ed erano cresciuti insieme, sempre insieme, come un’anima sola, senza poter fare né l’uno né l’altra le cose che si fanno nell’età giusta.
In mezzo alla gente se ne stava immusonita tutto il tempo, come se fosse loro la colpa di tutti i suoi problemi, i suoi guai. Con le altre donne rapporti difficili, perché pensava stessero tutte meglio di lei, mentre degli uomini aveva solo paura, convinta che ogni uomo sarebbe stato un disastro, convinta che lei era un disastro, un’incapace, una depressa dall’esaurimento facile, come la madre. In presenza