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The Bad Boy
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E-book507 pagine6 ore

The Bad Boy

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Info su questo ebook

The Storm Series

Dall’autrice del bestseller Nonostante tutto ti amo ancora

Trudy Bennett aveva solo quattordici anni quando il suo migliore amico e primo amore, Jake Wethers, si trasferì dall’Inghilterra negli Stati Uniti lasciandola con il cuore spezzato. Dodici anni dopo, Jake è diventato il leader dei Mighty Storm, una rock star famosa in tutto il mondo, e fantasia proibita di ogni donna. Di ogni donna tranne Tru. Giornalista musicale di successo, Tru ha imparato a unire l’utile al dilettevole. Ma quando le viene assegnato l’incarico di intervistare in esclusiva Jake prima che parta il nuovo tour mondiale, si ripromette di mantenere l’incontro su un piano strettamente professionale. Purtroppo nessun proponimento può metterla al riparo dalle scintille che scoccano nel momento in cui i loro occhi si incontrano di nuovo. Ora Jake vuole che Tru si unisca alla band per il tour, offrendole un’occasione unica per cui qualsiasi altro giornalista pagherebbe oro. C’è solo un piccolo problema: il fidanzato di Tru, Will. Può sopportare che la sua donna rischi di finire tra le braccia di quell’incallito playboy? O sarà lei a rischiare tutto e dare una seconda possibilità a colui che già in passato ha infranto tutte le sue speranze?

Il primo amore finito male
Un incontro inaspettato
L’incredibile serie che ha conquistato gli Stati Uniti

«Ho letto questo libro in un giorno, e considerando che sono stata a lavorare otto ore diciamo che mi ha tenuto davvero incollata. Leggetelo, ma solo se amate vivere di passioni.»

«Non ho potuto letteralmente staccarmene. Che emozioni, wow!»

«Adoro questa serie!!!»
Samantha Towle
ha iniziato a scrivere mentre aspettava il primo figlio. Ha finito Nonostante tutto ti amo ancora cinque mesi dopo e da allora non ha più smesso di scrivere. The Bad Boy è il primo capitolo della serie bestseller The Storm. Vive con il marito e i figli nell’East Yorkshire.
LinguaItaliano
Data di uscita19 apr 2016
ISBN9788854195868
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    Anteprima del libro

    The Bad Boy - Samantha Towle

    1279

    Questo libro è un’opera di fantasia.

    Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione

    dell’autrice o sono usati in maniera fittizia.

    Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone,

    reali, viventi o defunte è del tutto casuale.

    Titolo originale: The Mighty Storm

    Text copyright © 2013 Samantha Towle

    All rights reserved

    This edition made possible under a license arrangement

    originating with amazon Publishing,

    www.pub.com

    Traduzione dall’inglese di Alice Peretti

    Prima edizione ebook: giugno 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9586-8

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Progetto grafico: Sebastiano Barcaroli

    Foto: © Elisabeth Ansley / Arcangel

    Samantha Towle

    The Bad Boy

    The Storm Series

    Questo libro è per te, Jenny Aspinall.

    Senza di te non avrei potuto scriverlo.

    Sei luminosa come le stelle.

    Capitolo uno

    Rispondo al telefono mentre sono seduta alla scrivania a bere il primo sorso di caffè della giornata.

    «Trudy Bennett».

    «Tru, sono Vicky… Porta subito il tuo bel sederino nel mio ufficio. Dobbiamo parlare».

    «Okay, dammi cinque minuti». Riattacco.

    Vicky è il mio capo e la proprietaria della rivista per cui lavoro, «Etiquette».

    Sono una giornalista musicale. «Etiquette» è… be’, una rivista di moda.

    Quindi in pratica sono una giornalista musicale che lavora per una rivista di moda.

    È il primo e unico lavoro che ho trovato dopo la laurea. Mi sono laureata in giornalismo musicale.

    I due amori della mia vita sono e sempre saranno la musica e la scrittura, in questo preciso ordine, quindi non ho mai avuto dubbi sui corsi universitari da frequentare dopo la fine delle superiori.

    Questo lavoro doveva essere un tappabuchi finché non avessi trovato un posto da giornalista, magari al «

    NME

    » o al «Rolling Stone», invece sei anni dopo sono ancora qui.

    Il mio compito all’«Etiquette» consiste nello scrivere recensioni su album appena lanciati, parlare di band e cantanti famosi e condurre interviste bizzarre. Insomma, questo tipo di cose.

    Me la cavo bene con le parole e con la musica vado anche meglio. Sono cresciuta con la musica, perché mio padre è un musicista. Mi ci ha nutrito dal giorno in cui sono nata.

    Lavorare per una rivista di moda non è il mio sogno, ma Vicky mi piace molto. Siamo diventate ottime amiche. Quando ho iniziato, scrivevo solo una rubrica, poi lei ha voluto tenermi, e grazie alla sua stima e al mio assillo costante ha lasciato che trasformassi la mia rubrica in una pagina intera.

    Quella sì che è stata una giornata felice.

    Va avanti da un anno ed è stata ben accolta dai lettori.

    L’unico lato negativo del mio lavoro è che devo seguire le tendenze dominanti, perché sono quelle che piacciono alle lettrici di «Etiquette».

    La musica da femmine non mi piace molto, be’, eccetto Adele, la adoro, ma io sono più un tipo rock, da musica indipendente. E nei miei articoli vorrei parlare solo di band rock, metal, indie, o nuove di zecca: quelle che nessuno conosce e che scovo nei club. Band che meritano un’occasione per sfondare.

    Per fortuna ultimamente per entrare nella Top 40 le rock band più famose si sono adeguate alle tendenze più popolari rispetto ai primi album, e ora chi legge «Etiquette» le ascolta, quindi ho l’opportunità di parlarne. Ma è comunque roba convenzionale, e vorrei uscire dal sentiero battuto.

    Per ora sono rassegnata a scrivere di musica facile.

    Ma non si sa mai, magari un giorno…

    Accendo il mio Mac, bevo un altro sorso di caffè bruciandomi la lingua e mi appresto ad attraversare l’open space, diretta all’ufficio di Vicky.

    La porta è già aperta e lei è al telefono.

    Con un ampio sorriso smagliante mi invita a entrare. Mi siedo sulla poltrona davanti alla sua scrivania.

    Vicky è fantastica. Direi che ha circa quarantacinque anni – anche se non sono mai riuscita a scucirle la sua età e, credetemi, ci ho provato. Ma qualunque essa sia, sembra una trentenne e spero solo di avere la sua fortuna un giorno.

    Vicky ha i capelli biondi che le arrivano alle spalle, tagliati in un caschetto ordinato. È in perfetta forma e non sono sicura che sia tutta vera, e poi la adoro. È coerente, divertente, ed è una fantastica donna d’affari e scrittrice.

    Quando ha iniziato, faceva la giornalista per una rivista. Poi ha incontrato suo marito, un ricco uomo d’affari più vecchio di lei. Molto vecchia scuola, le donne che lavorano non gli piacevano: una donna è fatta solo per stare a casa e crescere i figli. Vicky lo amava e per lui ha rinunciato alla carriera.

    Si sono sposati, poi Vicky ha scoperto che non poteva avere figli. E da quel momento il loro matrimonio non è stato dei più felici.

    Lei è diventata la moglie trofeo. Lui un traditore compulsivo.

    È morto dieci anni fa d’infarto, e Vicky si è ritrovata ricchissima. L’azienda di lui è ancora florida; non ne so molto, ma penso abbia a che fare con acquisizioni. Credo che neanche Vicky ne capisca granché. Ci sono una commissione e un

    CEO

    a mandarla avanti, perciò quando il marito è morto lei ha deciso di starne fuori, ha preso una parte dei soldi che lui le aveva lasciato ed è tornata al suo primo amore, le riviste, fondando «Etiquette».

    È un economico mensile, con circa cinquecentomila lettori. Chiude a malapena in pari. Vicky non ci guadagna molto: lo fa per passione e per tenersi impegnata.

    È determinata a renderla un successo, e dato che mi ha concesso un’occasione offrendomi un lavoro quando nessun altro l’ha fatto, e considerato che la adoro alla follia, sono decisa a vedere il suo sogno realizzarsi.

    È una donna brillante, piena di vita, che ha avuto parecchi problemi e merita felicità. Il successo della rivista la renderebbe felice.

    E non si sa mai, se un giorno la rivista dovesse spaccare, magari potrà anche lasciarmi il mio spazio e creare un inserto di musica.

    Okay, be’, posso sognare, no?

    Finisce la telefonata, riattacca e mi sorride, i suoi occhi color nocciola accesi, e io capisco subito che ha in mente qualcosa.

    «Cosa?», chiedo sospettosa.

    «Jake Wethers», dice, praticamente canticchiando il suo nome.

    Il cuore mi esplode nel petto. Faccio un debole sospiro.

    Jake Wethers, una delle rockstar più famose al mondo, cantante della rock band di successo, i Mighty Storm.

    Un tempo era anche il mio migliore amico.

    Siamo cresciuti insieme, vicini di casa. Andavamo a scuola insieme, facevamo tutto insieme, finché lui non si è trasferito in America con la sua famiglia quando aveva quattordici anni.

    Era anche il grande amore indiscusso della mia vita, non che lui l’abbia mai saputo, ovviamente, e dopo la sua partenza ero devastata.

    Non ho neanche un ricordo della mia infanzia senza Jake.

    Quando si è trasferito con la famiglia a migliaia di chilometri di distanza, ci siamo ripromessi di tenerci in contatto. Ma si trattava di dodici anni fa, quando i ragazzini non usavano internet o i cellulari. Quelle erano cose riservate esclusivamente agli adulti, di solito con più soldi di quanti ne avesse la famiglia di Jake o la mia.

    Ci siamo scritti, scambiati qualche bizzarra telefonata, e poi le chiamate da parte sua si sono interrotte e le lettere sono diminuite finché non sono svanite del tutto.

    Io ho continuato a scrivergli per un po’, ma lui non ha mai risposto e quindi ho rinunciato.

    Il mio cuore è rimasto legato a lui per molto tempo. A essere onesta non penso si sia mai ripreso del tutto.

    E non l’ho mai più visto né sentito. Be’, fino a sei anni fa…

    Avevo iniziato l’università da due anni e convivevo con quella che è tutt’oggi la mia migliore amica, Simone, e lei stava guardando uno show musicale che trasmettevano a quel tempo. Io mi stavo riprendendo da una sbornia, come capitava spesso, arrivavo in sala con una tazza di caffè in mano ed eccolo là, Jake, in

    TV

    che mi fissava.

    Ovviamente era cresciuto, era un po’ diverso ma pur sempre lo stesso.

    Mi sono coperta la bocca con entrambe le mani e la tazza è caduta a terra, caffè dappertutto, ma non mi importava. Sono rimasta in piedi incantata, a guardarlo cantare con la sua band.

    Avevo sentito parlare di questa nuova band di successo, i Mighty Storm. Avevo anche sentito le loro canzoni alla radio, ma fino a quel momento non avevo visto nessuna fotografia dei membri.

    Simone ovviamente voleva sapere perché avevo appena ricoperto la sala di caffè, quindi mi sono seduta e le ho raccontato della mia storia con Jake. Poi siamo corse in camera mia a cercarlo su Google.

    Aveva senso che Jake fosse diventato un musicista. Amava la musica quanto me.

    Sapevo che era capace di cantare, ma non mi ero mai resa conto che fosse tanto dotato.

    Seguo la sua carriera da anni. L’ho visto raggiungere livelli stratosferici.

    E ho visto anche i suoi periodi di depressione.

    Mi importa ancora di lui, certo: per la maggior parte della mia vita è stato il mio migliore amico. Condividevamo tutto.

    Ma non sono più innamorata di lui. L’amore è finito anni fa. E comunque cosa ne sai dell’amore quando sei solo un’adolescente?

    Non racconto mai a nessuno che io e Jake siamo cresciuti insieme.

    Di solito sono una persona molto riservata, mi sembrerebbe di vantarmi. Se i miei amici e colleghi sapessero che eravamo così vicini, vorrebbero sapere i dettagli e ci sono cose del passato di Jake che so non vorrebbe fossero rese pubbliche, quindi per paura di commettere scivoloni fingo di non averlo mai conosciuto e di essere solo una fan come un’altra.

    A parte ciò, e so che sembrerò sciocca a dirlo… parlare di lui sarebbe come condividerlo con altri.

    Il mondo ha il Jake di adesso, e io non voglio condividere il Jake passato con nessuno, perché ora… da quel che vedo e che leggo, non è più lo stesso Jake che conoscevo.

    È diventato la personificazione della rockstar che dovrebbe essere.

    L’unica persona che sa di Jake è Simone, a parte ovviamente mia mamma e mio papà. Oh e… l’ho detto anche a Vicky, un clamoroso errore da ubriaca.

    L’anno scorso mi sono ubriacata alla festa di Natale dell’ufficio, e per qualche sconosciuta ragione dettata dall’alcol ho commesso l’errore fatale di raccontare a Vicky che conoscevo Jake.

    E quando dico fatale non è perché lei lo sia andata a spifferare a qualcuno. Oh no, è perché da quando ha scoperto che stavamo insieme mi sta col fiato sul collo per contattarlo, per fare un’intervista esclusiva per la rivista.

    Quello che Vicky non riesce ad afferrare è che noi non siamo più amici, da ben dodici anni. Non è che posso semplicemente chiamarlo per proporgli un’intervista.

    Lei pensa di sì. Pensa che Jake sarebbe felice di sentirmi. So che lo dice solo per spingermi a contattarlo.

    Io però non lo farò mai. Penso che se avesse voluto rivedermi mi avrebbe già contattata lui da tempo.

    A dire il vero penso che si sia scordato di me. È passato a grandi cose, cose migliori, e ripiombare nella sua vita per chiedergli un’intervista sarebbe alquanto strano per entrambi.

    Ho fatto il possibile per spiegarlo a Vicky, ma lei non lo vuole proprio capire, quindi sono arrivata al punto di evitare l’argomento appena viene fuori il suo nome.

    «Ehi, hai sentito una parola di quello che ho detto?». Vicky schiocca le dita riportando all’istante la mia attenzione su di sé e io mi accorgo di essermi incantata.

    Arrossisco. «Uhm, no, scusa». Mi mordo il labbro inferiore. «È solo che questa cosa di Jake… So che vuoi che lo contatti, ma non posso…».

    Alza un dito dall’unghia perfettamente smaltata per interrompermi.

    «Be’, se mi fossi stata a sentire, mia cara, sapresti che alla fine non ho bisogno del tuo aiuto per ottenere un’intervista con Jake Wethers».

    È tutta un sorriso, come una bambina che pensa di avere appena visto Babbo Natale a Harrods.

    Dannata me e la mia disattenzione.

    Mi raddrizzo sulla sedia. «Hai… ottenuto un’intervista con Jake?».

    Annuisce orgogliosa.

    «Come?», chiedo, sbalordita.

    Sanno tutti che Jake non rilascia interviste. Altra ragione per cui Vicky insisteva tanto affinché ci provassi. Un’esclusiva.

    Jake è molto riservato. Parla della sua musica quand’è obbligato per pubbliche relazioni, certo, ma non parla mai di se stesso. Il che è ironico, dato che vive la sua vita in maniera pubblica: l’alcol, le droghe… le donne.

    Vicky cambia posizione sulla sedia e fa un debole sorrisino. «Be’, non importa come l’ho ottenuta. Ce l’ho fatta e basta, e la gestirai tu».

    «Cosa!?». Per poco non cado dalla sedia.

    «Non fare tanto la sorpresa. Sei la mia giornalista migliore, Tru, e be’… sei la mia unica giornalista musicale. E hai questo grande legame con Jake. Siete cresciuti insieme, santo cielo! Si aprirà con te più che con chiunque altro. Ci procurerai un’esclusiva».

    «Oh, no». Scuoto in fretta la testa. «Non penso che sia una buona idea».

    Posso anche essere una giornalista, ma ho una cosa che si chiama etica. Non spargerò le budella di Jake sulla rivista per amore delle notizie.

    «È un’idea eccellente e ne abbiamo bisogno, Tru». I suoi lineamenti di solito levigati si increspano. «Le vendite vanno da schifo al momento, questa esclusiva con Jake Wethers ci darà la spinta che aspettavamo».

    Uffa. Ha ragione. Ci farebbe un gran bene. No, anzi, sarebbe fantastico.

    Tutto quello che devo fare è una superintervista con Jake, rispettando allo stesso tempo la mia etica professionale.

    Cazzo! Sta succedendo davvero? Rivedrò davvero Jake dopo tutto questo tempo?

    Una scarica di energia nervosa mi trapassa.

    Probabilmente non si ricorderà nemmeno di me. Sono passati dodici anni.

    «Okay. Ci sto».

    «Ecco la mia ragazza». Vicky sorride battendo le mani.

    «Quando e dove?»

    «Domani mattina alle dieci, al Dorchester».

    «Domani?». Ecco un’altra scarica di adrenalina nelle vene, più forte della prima.

    «È in Inghilterra solo per pochi giorni. È l’unica finestra che abbiamo».

    «Okay… devo chiedere a Jim di accompagnarmi?». Jim è il nostro fotografo.

    Scuote la testa. «Niente foto. Ne useremo di vecchie. Ci vai da sola, bambola».

    Merda. Speravo in un sostegno.

    Deglutisco il nodo che mi stringe la gola. «Okay».

    «Non essere così nervosa, andrà benissimo, Tru. Oh, eccoti una copia dell’album per la recensione», prende una custodia di

    CD

    dalla scrivania e legge, «Creed… ahhh», mormora compiaciuta. «Ascoltalo prima dell’intervista. Non è ancora stato pubblicato, quindi ricordati…».

    «Difendilo a costo della tua vita». Prendo il CD e faccio per andarmene.

    «Scommetto che sarà felicissimo di vederti», canticchia alle mie spalle.

    Mi volto e faccio una smorfia e la linguaccia.

    Ride. «Be’, forse con quella faccia non lo sarà».

    Le sorrido e con il mio CD dei Mighty Storm e il peso dell’intervista sulle spalle esco a passo lento dall’ufficio.

    Okay. Domani alle dieci del mattino vedrò Jake per la prima volta dopo dodici anni.

    Jake Wethers, l’uomo che un tempo era il ragazzo che amavo.

    Jake Wethers, la più grande rockstar, l’uomo più desiderato al mondo, domani siederà di fronte a me per un’intervista, e non ho la più pallida idea di cosa gli chiederò.

    Inserisco l’album di Jake nel mio Mac, mi metto le cuffie e inizio ad ascoltare.

    Tiro fuori l’inserto della copertina e leggo i titoli delle canzoni. Poi volto la pagina e leggo le dediche.

    C’è solo una persona che conosco, senza dubbio, a cui l’album è dedicato: Jonny Creed.

    Jonny era il migliore amico di Jake, chitarrista della band e suo socio, ed è morto in un incidente poco più di un anno fa.

    La macchina di Jonny ha urtato contro una barriera prima di finire in un burrone non lontano da dove viveva a Los Angeles.

    Ho visto le fotografie sul giornale il giorno successivo all’accaduto. La macchina era distrutta.

    Non aveva possibilità di salvarsi.

    Nell’incidente non erano coinvolte altre macchine, e l’autopsia aveva rivelato che Jonny era ben oltre il limite consentito di alcol, e il livello di droghe che aveva assunto sarebbe bastato ad ammazzare un cavallo. Almeno stando alle notizie.

    L’incidente era avvenuto a tarda notte e la polizia aveva detto che Jonny poteva aver deviato bruscamente l’auto per evitare un animale, oppure che per via dell’alcol e delle droghe poteva essersi addormentato al volante, anche se non c’erano prove per dimostrare queste ipotesi.

    La stampa disse che si trattava di suicidio. Ma i portavoce della band lo negarono strenuamente e non ci fu modo di dimostrare che Jonny era depresso.

    La sua era una bella vita. Era al top. Aveva tutte le ragioni per vivere.

    La band aveva preso male la notizia della sua morte. Soprattutto Jake. E il suo dolore era stato sbattuto sulla stampa perché il mondo lo vedesse.

    Jake ha preso ad abusare di alcol e droghe. Otto mesi dopo la morte di Jonny, ha commesso un’azione terribile sul palco in Giappone.

    Era la prima esibizione della band dopo la morte di Jonny. Jake era a pezzi. Riusciva a malapena a parlare, figuriamoci a cantare. Quando la folla si è spazientita per la performance scarsa, lui li ha rimproverati. Il pubblico ha incalzato, allora lui si è sbottonato i jeans e ha urinato sul palco.

    Lo hanno arrestato per atti osceni in luogo pubblico.

    Quando ho visto le registrazioni dello show mi ha fatto male al cuore.

    Era così distante dal Jake che avevo seguito sui giornali negli ultimi anni, lontanissimo dal Jake che ricordavo e amavo.

    Era perso nel dolore, cercava di seppellirlo con le droghe e con l’alcol. E da quel momento ha perso il controllo.

    Avrebbe potuto rovinarsi la carriera.

    Per fortuna non è successo. Anzi, è diventato ancora più famoso e l’ossessione del mondo nei suoi confronti è schizzata alle stelle.

    È il cattivo ragazzo del rock per eccellenza.

    Jake è stato multato per il suo comportamento in Giappone e sbattuto fuori dal Paese. Poi è entrato in riabilitazione.

    Ha passato quattro mesi in clinica ed è uscito da quattro settimane. Ha mantenuto un profilo basso.

    Ma sapevo che la cosa sarebbe cambiata presto, ecco la ragione dell’intervista: promuovere l’album che lui e Jonny hanno scritto insieme.

    Per un po’ di tempo i fan hanno temuto che dopo la morte di Jonny la band si sarebbe sciolta, ma una dichiarazione rilasciata alla stampa un mese fa, poco dopo l’uscita di Jake dalla clinica, ha riferito che la band era la vita e l’amore di Jonny e che quell’album, il suo ultimo e dunque la sua eredità, era il migliore di sempre. Hanno aggiunto anche che se l’album non fosse uscito Jonny sarebbe tornato a dargli un calcio in culo per aver mollato.

    Non voglio fare la cinica, ma capisco il mondo della musica e… in pratica la band è quella che tiene a galla la casa discografica, e il proprietario della casa discografica dei Mighty Storm è Jake.

    Se fallisse per lo scioglimento della band, un sacco di gente rimarrebbe senza lavoro.

    All’inizio della loro carriera, i Mighty Storm facevano parte di una piccola casa discografica, la Rally Records, ma quando iniziarono a crescere, esplodendo come poche altre band e sorpassando i record mondiali trasformandosi in un fenomeno, anche Jake crebbe.

    E presto lui e i ragazzi erano più grandi della piccola casa discografica che li ospitava.

    È risaputo che Jake sia un accorto uomo d’affari nonostante la giovane età, e un serio professionista, eccetto per la sua dipendenza da droghe e alcol e per l’incidente della pisciatina. Si sa anche che è un tipo difficile con cui lavorare.

    Pare che una volta abbia dichiarato alla stampa: «Quando sei il migliore come me, e dai solo il meglio, è così sbagliato aspettarsi che gli altri facciano lo stesso?».

    Posso credere a queste parole. Mi ricordano il Jake che conoscevo. Uno che non esita a dire quel che pensa.

    Dunque, quando la band si considerò troppo grande per la Rally, lasciarono la casa discografica acquisendo il proprio contratto.

    Non si sa di che cifra si sia trattato. Ma non dubito che se lo potessero permettere.

    Si dice che Jake valga trecento milioni di dollari e più, e che solo nell’ultimo anno abbia guadagnato novanta milioni.

    Quando hanno lasciato la Rally, lui e Jonny hanno fondato la Mighty Storm insieme, inserendo anche la loro band e accettandone di nuove.

    Almeno finché non è morto Jonny.

    Poi la sua metà è finita ovviamente ai suoi genitori. Si dice che Jake abbia acquisito le loro quote perché era troppo doloroso per loro essere coinvolti dopo aver perso il figlio.

    Quindi ora Jake è a capo della

    MS

    da solo. E ha continuato a gestirla anche in riabilitazione, da quel che ho sentito.

    Ma nonostante la combinazione di talento di musica e affari di Jake, purtroppo non è per questo che si parla di lui la maggior parte delle volte.

    A parte la scenata sul palco in Giappone, Jake è oggetto di attenzione dei tabloid per le bevute, le feste e le donne. Lavora duro e gioca pesante. Per lui le donne valgono come monetine. È uscito con alcune delle donne più belle del mondo. Attrici, modelle, cantanti… una lista infinita.

    Di recente si è tranquillizzato molto. Ma ora è tornato, ed è pronto a reclamare il suo posto sulle riviste e nelle classifiche.

    Forse è così che Vicky ha ottenuto l’intervista.

    Jake avrà voglia di far vedere che è tornato e che è motivato a darsi da fare. Sorprendentemente la popolarità di Jake e della band è aumentata dopo l’incidente del Giappone.

    I fan adorano il suo comportamento eccentrico. Gli uomini lo invidiano, le donne vogliono farselo… la maggior parte vorrebbe essere colei che riesce a domare l’indomabile Jake Wethers.

    Quella sera in Giappone Jake non ha fatto altro che immortalarsi come il Dio del rock che la gente aveva sempre creduto che fosse, facendosi strada alla giovane età di ventisei anni.

    È folle: ha lasciato l’Inghilterra a quattordici anni. Quattro anni dopo, a soli vent’anni, la band aveva un contratto ed erano star.

    Un’ascesa velocissima. Se ha realizzato tutto questo in soli otto anni nell’industria della musica, chissà cosa potrebbe fare in venti.

    Ma a parte ciò, ignorando le apparenze e i soldi, tutto quello che vedo quando guardo le sue foto è il mio vecchio amico, Jake Wethers. Il ragazzo con cui uscivo a mangiare la pizza e con cui andavo al cinema. Il ragazzo che mi ha aiutata a seppellire Fudge, il mio coniglio, quand’è morto. E che è rimasto seduto a tenermi la mano tutto il giorno quando ho pianto per la sua perdita.

    È passato così tanto tempo, le nostre vite hanno preso strade tanto diverse… cosa potremo mai raccontarci? Si ricorderà di me?

    Il mio telefono inizia a squillare interrompendo i miei pensieri. Mi tolgo gli auricolari e rispondo.

    «Trudy Bennett».

    «Ehi, tesoro».

    Il mio cuore si scioglie un po’. È il mio adorabile, fantastico, intelligente ragazzo biondo dagli occhi blu, Will.

    Stiamo insieme da due anni. L’ho incontrato all’università, ma fra noi non era mai successo niente, poi dopo la laurea non l’ho rivisto per altri due anni finché non l’ho incontrato una sera, quando ero fuori con Simone. È da allora che siamo insieme.

    «Ehi a te».

    «Ti ricordi della cena di stasera?»

    «Certo». Sorrido.

    «Fantastico, passo a prenderti a casa tua alle sette».

    «Ci vediamo dopo».

    Riattacco e fisso lo schermo del computer. Apro la pagina di Google e cerco fotografie di Jake.

    Clicco su una, allargandola. È a petto nudo, ed è incredibilmente bello.

    Jake è magro ma muscoloso, scolpito, con bellissimi fianchi esili. Ha i capelli neri, rasati sui lati, più lunghi in cima. Li porta a spazzola, disordinati.

    Uno stile che sembrerebbe ridicolo su chiunque altro, ma non su di lui. Su di lui è perfetto. E in contrasto con i capelli neri, i suoi occhi sono blu. Assurdamente blu, come il colore dell’oceano.

    Ha sempre avuto una spruzzata di lentiggini sul naso, e ora rendono ancor più evidente quell’aria da ragazzaccio.

    Jake è anche coperto di tatuaggi. È famoso per i tatuaggi quasi quanto lo è per la sua musica e per i suoi modi.

    Il braccio destro è rivestito completamente. Tatuaggi sull’avambraccio sinistro e

    MS

    in corsivo all’interno, ma quello più evidente, almeno per e, è sul petto. Lo attraversa tutto, proprio sotto le scapole, e dice…

    PORTO LE MIE CICATRICI, NON SONO LORO A PORTARE ME.

    A volte mi chiedo quanto questa affermazione sia vera.

    Non so in che momento mi sono innamorata di Jake. Forse lo ero sempre stata.

    Mia mamma dice che quando eravamo bambini lo seguivo dappertutto come un cagnolino.

    Io e Jake eravamo migliori amici, i migliori che si possa immaginare. E sapevo che mi avrebbe sempre vista in quel modo. È sempre stato fuori dalla mia portata.

    Forse la cosa triste per me, o con il senno di poi la migliore, è che appena ho iniziato a rendermi conto della profondità dei miei sentimenti per lui, se n’è andato.

    Trovo divertente come Jake si comporta con le donne ora, praticamente un gigolò. Quand’era giovane, le ragazze non gli sono mai interessate.

    Allora pensava solo alla musica. Credo che sia ciò che ci ha uniti di più. Insieme alle cose brutte della vita di Jake.

    A lui la musica è sempre interessata, così come a me, grazie a mio padre.

    Mio papà era chitarrista in una rock band squattrinata degli anni Ottanta, i Rifts.

    Io sono cresciuta a pane e musica. Papà aveva contagiato anche Jake. Penso che lui fosse il figlio maschio che non aveva mai avuto.

    La mia vita era un po’ diversa da quella degli altri bambini: quando i loro genitori gli insegnavano a cantare Brilla brilla la stellina, mio padre mi insegnava le parole di (I can’t get no) Satisfaction.

    Sono cresciuta ascoltando i pezzi dei Rolling Stones, dei Dire Straits, dei Doors, di Johnny Cash, dei Fleetwood Mac, degli Eagles e così via.

    Mia madre, poverina, cercava di compensare, ma mio padre vive e respira musica, ed è una tale forza nella mia vita che la mamma non ha mai avuto una chance. Amo mia mamma, certo, ma adoro perdutamente mio padre.

    Quindi a causa delle mie differenze e, credetemi erano tante, non mi sono mai trovata con i bambini a scuola. E nemmeno Jake.

    Eravamo sulla nostra isola privata, e quando è partito sono andata alla deriva per molto tempo.

    Mio padre mi ha insegnato a suonare il piano. Ha provato con la chitarra, ma non ci sono mai riuscita granché. Jake invece sembrava nato per suonarla. Papà regalò la sua prima chitarra a sei corde a Jake quando aveva sette anni. Ripeteva sempre che Jake era nato per diventare un musicista, quindi non è una sorpresa per lui che ce l’abbia fatta.

    Papà è davvero orgoglioso della carriera di Jake.

    Mi ha sempre detto di ricontattarlo, ma io lo liquido regolarmente, quindi non lo chiamerò di certo per raccontargli che incontro Jake domani. Cercherebbe sicuramente di venire con me.

    Rivedere Jake dopo tutto questo tempo sarà surreale.

    Chiudo la fotografia e ne apro un’altra, un primo piano del suo viso. Con lo sguardo traccio la linea della cicatrice sul suo mento. Non è evidente com’era un tempo: forse oggi la copre con il trucco.

    Conosco Jake più di chiunque altro. Conosco una parte del suo passato che è riuscito a tenere nascosta al resto del mondo.

    Poi un pensiero mi balena in testa. Forse non mi vorrà vedere. Forse si è lasciato alle spalle la vita che aveva qui ed è per questo che non mi ha più scritto.

    Forse io e casa sua gli ricordiamo un periodo che preferirebbe dimenticare.

    Jake ha avuto un’infanzia piuttosto difficile: suo padre, Paul, finì in prigione quando lui aveva nove anni. Susie, sua madre, si risposò qualche anno dopo con un uomo adorabile di nome Dale. Era un architetto e si era trasferito dall’ufficio di New York per lavorare su un progetto a lungo termine a Manchester, dove noi vivevamo. Poi, quando Jake aveva quattordici anni, a Dale venne offerta una promozione nel suo vecchio ufficio di New York e lui accettò.

    Sei settimane più tardi, Jake era sparito. E il mio cuore era spezzato.

    Con un sospiro rassegnato, chiudo la finestra di Google e Jake scompare dal mio schermo.

    Mi sforzo di aprire un documento Word per annotare le domande per domani prima di uscire a cena con Will.

    Non mi presento mai impreparata a un’intervista. Specialmente se è con il mio vecchio migliore amico, quello che un tempo era l’amore della mia vita.

    Capitolo due

    Torno a casa dal lavoro, dopo essere riuscita in qualche modo a compilare una lista di domande adeguate per l’intervista di Jake, lascio cadere la borsetta sul tavolino da caffè, lancio la giacca sul bracciolo della poltrona e mi tolgo le scarpe.

    Simone è in cucina.

    Condividiamo un appartamento con due stanze da letto al piano terra a Camden, che affittiamo dal cugino di Simone, imprenditore edile. Il nostro affitto è davvero ragionevole, perché Marc e Simone sono in buoni rapporti. Altrimenti non ce lo saremmo mai potuto permettere.

    Entro in cucina al suono gorgogliante del bollitore.

    «Vuoi?», chiede, alzando il barattolo del caffè.

    «Sì, ti prego».

    Prendo i biscotti dalla credenza, poi Simone mi allunga la tazza, e coi biscotti sotto braccio la seguo nella nostra piccola sala.

    Mi siedo accanto a lei sul divano e appoggio il pacco dei biscotti fra noi.

    «Com’è andata la giornata?», chiedo mentre rumino.

    È il mio esordio al discorso di Jake.

    Com’è andata la giornata, Simone? La mia, chiedi? Be’, domani mattina intervisterò Jake Wethers. Seguono le urla di Simone e forse un pochino anche mie.

    «Bene». Sorride e si mette una ciocca di capelli dietro le orecchie. «Benissimo, a dire il vero». Si volta a guardarmi, infilandosi le gambe sotto il sedere. «Ci siamo accaparrati i Penners».

    «Davvero?»

    «Sì! E subito dopo Daniel mi ha portato nel suo ufficio per dirmi che mi promuovono a senior executive!».

    «Ahhhh!», grido.

    «Lo so!», fa eco lei.

    «È fantastico, Simone! Sono così felice per te! E superorgogliosa!».

    La stringo con un braccio solo, cercando di non rovesciarle addosso il caffè.

    Simone lavora per un’agenzia pubblicitaria. Ha lavorato al caso Penners per secoli, quindi so quanto questo affare sia importante per lei. Ama il suo lavoro ed è anche molto brava.

    Con i suoi lunghi capelli biondi, i suoi occhi blu e la pelle chiara, è davvero mozzafiato, eppure non ha idea dell’effetto che fa agli uomini.

    È dolce, gentile e supermagnifica, e io la adoro alla follia.

    «Stasera dovremmo festeggiare», dico entusiasta, gasandomi sempre di più all’idea. «Dovrei uscire a cena con Will, ma rinuncerò. Possiamo tirarci, andare al Mandarin a bere cocktail…».

    «No», mi interrompe. «Non puoi rimandare con Will».

    «Eccome se posso». La mia battuta mi fa ridere.

    «Sei un’asina». Mi dà un colpetto alla gamba con il piede, ridacchiando.

    «E non ti piacerei in nessun altro modo». Rido.

    «Hai ragione».

    «Non preoccuparti, capirà. Will è un uomo molto comprensivo». Mangio un altro morso di biscotto e mi sporco la maglietta di briciole. «Sul serio: dobbiamo uscire a festeggiare. Chiamerò Will domani».

    Onestamente un po’ di alcol mi verrà utile stasera, dato che sono un fascio di nervi per l’intervista con Jake e Simone è la mia migliore compagna di bevute.

    «Sicura?»

    «Sicurissima». Sorrido.

    «Allora facciamolo».

    Appoggio la tazza di caffè e mi allungo per prendere il cellulare dalla borsa.

    C’è un messaggio di Vicky:

    Buona fortuna per domani, ragazzina. Appena hai finito con Jake vieni dritta nel mio ufficio, voglio

    TUTTI

    i dettagli ;-)

    Una faccina che fa l’occhiolino. Cristo, lo fa sembrare un dannato appuntamento.

    Un fremito mi scuote.

    Ripigliati, Tru.

    A

    ) Jake è comunque fuori dalla tua portata e lo è sempre stato.

    B

    ) È davvero solo un’intervista.

    C

    ) Hai un ragazzo adorabile che si chiama Will. Quello con cui stai per annullare un appuntamento.

    Mi appoggio allo schienale del divano e seleziono il numero di Will.

    «Ehi, piccola», tuba. «Tutto bene?»

    «Tutto bene… Mi chiedevo solo… Ti infurieresti se stasera cancellassi? È solo che Simone ha scoperto oggi che si è accaparrata quel grosso cliente per il quale ha lavorato per mesi e che la promuoveranno a senior executive! Quindi ho pensato di portarla fuori a festeggiare».

    «Certo, non importa. Uscite e divertitevi. E falle le mie congratulazioni. Rimandiamo a domani sera, tesoro?»

    «Benissimo».

    «Ti amo».

    «Anch’io».

    Chiudo la comunicazione e getto il cellulare sul tavolino.

    «Sistemati al meglio», dico, sorridendo a Simone. «Perché stasera io e te festeggiamo».

    Faccio una doccia veloce e mi lavo i capelli. Li asciugo e passo la piastra per lisciarli.

    Ho i capelli scuri, spessi, ricci… praticamente ribelli. Li porto lunghi, cercando di stemperare i riccioli. Ho ereditato i capelli selvaggi da mia madre. È portoricana. Mio padre è inglese.

    E no, prima che lo chiediate, non somiglio per niente a J.Lo. Magari.

    Be’, forse solo il sedere: è grande quasi quanto il suo.

    Mio padre e mia madre si sono incontrati mentre lui girava l’America in tour con i Rifts. Mamma era al primo anno d’università. Era una cosa grossa per lei e per la sua famiglia: era la prima ad andare all’università.

    Mio padre fece un concerto alla sua università e si innamorarono a prima vista. I primi quattro giorni di mio padre a San Francisco li passarono insieme.

    Quando mio padre partì per continuare il tour, si tennero in contatto. E sei settimane dopo mia

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