WHENEVER - Ogni volta che vorrai
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Anteprima del libro
WHENEVER - Ogni volta che vorrai - Roberta Salvatori
633/1941.
1.
Finiva sempre nello stesso punto. Quei compagni di classe non conoscevano la sensazione piacevole che si può provare nel rispettare una persona. Così non avevano mai evitato, in tanti anni di scuola, di far sbattere quel maledetto pallone sul naso di Connie, che se ne stava come suo solito nel suo angoletto preferito durante la ricreazione, sulla panchina del cortile, una delle poche, che trovava riparo sotto il grande tiglio che a Connie piaceva tanto. Per questo appena la campanella suonava, si poteva assistere all'unico momento in cui lei correva per potersi accaparrare quel posto. Era l'unica cosa su cui riusciva ad averla vinta sugli altri, che però si scontavano su lei tirandogli il pallone addosso ogni volta. Era molto raro che non capitasse, era qualcosa che evidentemente stava a cuore a quei geni della sua classe e che non solo non lo evitavano, ma cercavano il modo per farlo accadere quanto prima.
Connie rimaneva lì sola soletta con il naso rosso e dolorante, senza poter replicare più di tanto, visto che loro ridendo facevano finta di scusarsi, e in ogni caso lei quel posto non lo avrebbe cambiato per niente al mondo, nonostante quelli continuassero a prenderla di mira.
Allo stesso tempo doveva abbozzare i risolini delle compagne, divise in vari gruppetti, in nessuno dei quali però era compresa Connie.
Non era riuscita mai ad entrare a far parte di quelle piccole sette: non faceva parte del gruppo delle ragazze popolari, quelle i cui interessi principali erano come vestirsi e acconciarsi e di quale ragazzo accettare la corte quella sera; non faceva nemmeno parte dei secchioni, che difficilmente accettavano qualcuno di non totalmente nerd; e nemmeno del terzo gruppetto, che non si capiva bene di che pasta fosse fatto, ma comunque non aveva accettato Connie. Anche perché nemmeno lei voleva essere catalogata in uno di quei gruppi, lei era semplicemente Connie e con quelle persone in carne ed ossa non riusciva a stare insieme.
Il problema era proprio quello, che fossero proprio fatti di carne ed ossa. Connie andava d'accordo solo con un tipo di persone: quelle descritte nei libri che leggeva.
Con loro riusciva a instaurare amicizie durature, loro non la giudicavano, erano sempre fedeli e presenti quando ne aveva bisogno, e di alcuni di loro si era innamorata e con loro aveva vissuto le sensazioni più belle del mondo.
Non aveva bisogno di altre persone, se non di una: Serena.
Sua sorella era di quindici anni più grande di lei,si occupava di Connie da quando aveva sette anni e solo a lei poteva ritenersi affezionata, se si trattava di persone vere. Fino a quell’età per fortuna c'era ancora il suo adorato papà, che dopo la morte della madre Barbara, le aveva fatto passare gli anni più sereni della sua vita. Non ricordava tutto di quel periodo, sapeva solo di aver provato un senso di sicurezza che dopo la scomparsa si Stephan non aveva mai più riprovato.
Solo lui riusciva a rassicurarla quando piangeva o sentiva la mancanza della mamma, e si ricordava ancora quella frase che gli diceva spesso 'Non è colpa tua, stai tranquilla'.
Sapeva perché glielo diceva sempre: da quando aveva sentito una volta, sbirciando dalla porta, una Serena ventenne e suo padre parlarne, aveva capito il motivo della morte di Barbara. Aveva vissuto un parto difficile e alla fine, dopo aver dato alla luce Connie, non ce l'aveva fatta. Fino a quel momento non aveva mai saputo il vero motivo della mancanza di quella fondamentale presenza nella sua vita. A volte aveva pensato che fosse normale vivere quella situazione, e quando vedeva alcuni suoi compagni d'asilo pensava che fosse strano averla, una mamma, e non il contrario.
Per lei era normale il suo tipo di famiglia, lei, suo padre e sua sorella maggiore. Loro non le avevano mai fatto mancare niente, dandole tutto l'affetto possibile ma senza mai viziarla.
Quando però era venuta a sapere che proprio lei era stata la causa della scomparsa di Barbara, aveva cominciato a chiudersi in sé stessa, rideva molto meno, e spesso riusciva a sfogarsi solo attraverso infinite lacrime.
Da quel momento il padre le aveva ripetuto quella frase, alla quale ancora adesso molto spesso pensava per non piangere e per non pensare che se non fosse stato per lei tutto avrebbe potuto essere diverso: Serena avrebbe avuto ancora una mamma e suo padre avrebbe avuto sua moglie con sé, così anche lui avrebbe sofferto di meno lo stress di portare avanti la loro famiglia da solo e quell'infarto non avrebbe portato via così presto neanche lui.
Se ci si metteva a pensare, la sua vita le sembrava una piccola tragedia. Per questo aveva cominciato ad ubriacarsi delle parole dei libri, per non pensarci troppo.
Attraverso le storie di quei personaggi poteva sentirsi meno sola, solo così riusciva ad aprirsi al mondo capendo che le cose succedono, che tutti vivono delle situazioni che li hanno segnati e devono trovare anche loro il modo di reagire. Connie prendeva la forza da quelle persone immaginarie e poteva trovare comprensione e conforto solo attraverso la loro compagnia.
Per questo ogni giorno, anche e soprattutto a scuola portava con sé il suo libro, che leggeva sotto l'ombra o i rami del tiglio, a seconda della stagione, e varie ne erano passate da quando frequentava quel posto. Solo una cosa non era cambiata. Quel pallone che ogni volta la colpiva in piena faccia e la distoglieva dalla sua lettura.
Sapeva che da quel momento sarebbero iniziate le battute verso quel mondo a cui Connie teneva tanto. Tutti quei compagni sapevano della sua quasi ossessione per i libri e vederla a volte parlare tra sé e sé, o meglio con i suoi amici immaginari provenienti da quei libri, non migliorava la situazione.
Fatti portare in infermeria dal tuo amico immaginario!
, esclamavano ridendo in coro.
Non preoccuparti, ti consolerà il tuo amico immaginario!
, continuavano così per un po', giusto il tempo di umiliarla davanti a tutti.
Connie ormai non rispondeva nemmeno più, ci aveva provato qualche volta ma aveva notato che quelli ci prendevano ancora più gusto a prenderla in giro.
Sapeva che si trattava di vero e proprio bullismo, ma molto spesso veniva preso alla leggera anche tra i professori che non si disturbavano più di tanto ad intervenire e porre rimedio, con la scusa che al mondo c'erano cose peggiori.
Così Connie aveva solo due soluzioni da adottare: prima di tutto rifugiarsi ancora di più in quei mondi irreali di carta, e secondo confidarsi con sua sorella Serena, l'unica persona reale per la quale provava ancora stima e fiducia.
Sapeva quanto Serena, da quando aveva ventidue anni e Connie sette, ce l'avesse messa tutta per sopperire alle mancanze affettive di Connie, calcolando il fatto che il suo non riuscire a socializzare normalmente aggravava le cose.
Così si era inventata anche lei un modo per far sognare la sua adorata sorellina.
Aveva cominciato a leggerle le favole prima di dormire quando era ancora piccola, e in seguito le era venuto in mente di inventare lei stessa dei racconti, visto che all'inizio non poteva permettersi di comprare troppi libri.
Così aveva notato di essere abbastanza portata per quei racconti inventati ed era iniziata in quel modo la sua carriera di scrittrice, portata avanti sempre più professionalmente fino a permetterle di lasciare il lavoro da cameriera che aveva trovato subito dopo la morte del padre.
Dopo la pubblicazione del suo secondo libro, si era definitivamente affermata come autrice contemporanea, e questo poteva permetterle di prendersi cura di lei e Connie in modo adeguato, anzi poteva anche permettersi una certa tranquillità economica, collaborando anche con alcuni giornali locali di Fairfield attraverso la pubblicazione di alcune recensioni letterarie.
Adesso che era più grande e vista la sua passione per i libri, Connie si definiva la più grande fan di Serena. Era a lei che faceva leggere le prime stesure e se non passava sotto l'approvazione di Connie, sapeva che qualcosa mancava nella trama o nello stile.
In quel periodo era giunto il momento di cominciare a scrivere il suo terzo libro, ma non era ancora riuscita a trovare la giusta ispirazione, così invece di continuare a pensarci testardamente senza alcun risultato, decise di non pensarci più di tanto e aspettare che le arrivasse spontaneamente un’idea.
2.
Lavorava quotidianamente da casa, la casa dove Serena aveva abitato con entrambi i genitori fino alla nascita di Connie, nella cittadina di Fairfield. Il suo lavoro le avrebbe potuto anche permettere un trasferimento in una città più popolata e alla moda, ma non voleva causare alla sorellina uno sradicamento dalle sue radici, visto che la casa era l'unica cosa rimasta del suo passato. E nonostante fosse stata la stessa Connie a chiederle spesso di cambiare città, perché non sopportava la sua scuola e i suoi compagni che spesso si prendevano gioco della sua fragilità, Serena aveva cercato di convincerla a voler restare.
Ti prego, lo hai detto tu stessa che potremmo benissimo trasferirci in una città più grande. Non potremmo andare, che so, a New York? O Miami?
Tu dici così adesso Connie, ma questa casa è tutto ciò che ci è rimasto del nostro passato. Credo proprio che ti sentiresti spaesata ad andare in un posto totalmente diverso
Non è vero. Anzi, questo posto mi mette talmente tanta nostalgia addosso che non so ancora come riesco a non piangere ogni secondo
Qui sono le nostre radici. E poi tu vuoi andare via a causa di quegli stupidi compagni di scuola, ma non devi permettergli di rovinarti la vita
Ti sembra facile
, disse Connie stringendo tra le braccia il cuscino rosso del divano, che la faceva sentire davvero a casa.
Non lo è. Ma nelle altre città di cui parli, di persone ce ne sono molte di più, e se tu credi che riuscirai a gestirle meglio di quelle che conosci qui ti stai sbagliando. Se stai male non dipende da quelle persone, ma da come affronti quel tipo di persone. Se non ci riesci non potrai farlo né qui né da nessun'altra parte
Serena aveva visto una lacrima bagnare il cuscino che Connie stringeva a sé rannicchiata sul divano, si avvicinò a lei e l'abbracciò.
Lo sai che lo dico per il tuo bene
Un singhiozzo fu la risposta.
Perché invece di continuare a scappare da loro, non provi a parlarci di più? Dovrà pur esserci qualcuno di accettabile, non possono essere tutti così meschini
Io ho già i miei amici
Serena la guardò storcendo un sopracciglio in un sorriso interrogatorio.
Stai parlando dei personaggi dei tuoi libri?
Connie alzò lo sguardo.
Si, che c'è di male?
Non c'è niente di male, se non il fatto che non sono persone reali! E di certo non puoi avere un rapporto serio con loro
Perché no? Loro rispondono a tutte le mie domande, basta solo che continui a leggere. E se ne ho bisogno apro il libro e loro sono lì. È li che ho incontrato la mia migliore amica
Intendi dire Alice in Wonderland?
No, quella era tanti anni fa. Adesso è Elizabeth
Bennet?
Si
Non ti sembra troppo diversa da te?
Però mi piacerebbe essere come lei.
Ma non avevi iniziato a fare amicizia con Kate, voglio dire quella compagna di classe?
Ci ho provato due giorni. Fino a che l'ho sentita parlare con gli altri e dirgli di puntare il loro pallone direttamente sulla montatura dei miei occhiali
Addirittura? E che cosa le avevi fatto?
Niente. Mi aveva chiesto di farle copiare il compito di italiano e ho rifiutato. Le ho detto che se avesse provato a farlo da sola avrebbe provato molta più soddisfazione
Beh, hai detto la cosa giusta
Si, lo so. E te la sto dicendo anche ora. Dobbiamo trasferirci!
Questa volta cerca di capire che è meglio restare, prima o poi troverai qualcuno che fa al caso tuo
Certo, se mi regali un nuovo libro
Anche se non sembrava Connie era testarda quanto un mulo. Forse aveva provato a socializzare, ma non ci era riuscita ed aveva rinunciato troppo presto.
E nonostante Serena continuasse a suggerirle di riprovarci, lei non voleva sentire ragione. Continuava ad immergersi in mari di parole e a trovare un contatto umano solo nella sorella maggiore. Il giorno dopo, mentre pensava seduta alla scrivania del vecchio studio dei genitori che ora era diventato il suo, Serena sentì suonare il campanello. Era ancora mattina presto, quindi non poteva essere Connie che si trovava a scuola, e poi lei avrebbe aperto con le chiavi di casa. Andò ad aprire, era Jeremy.
Come mai così presto?
Vedo che sei contenta di vedermi
, disse in tono sarcastico.
No, è che è molto presto, non sei a lavoro?
La salutò con un bacio sulle labbra.
Tu sei anche il mio lavoro, non ricordi? Hai avuto qualche idea per il libro? Non puoi continuare a rimandare
Aveva sempre più spesso un'aria di rimprovero, ma non riusciva a biasimarlo.
Lui era il suo agente e il suo lavoro era incitare Serena a cominciare a scrivere il suo nuovo libro. Erano già passati due anni dall'uscita del suo ultimo romanzo, che aveva venduto molto bene sul territorio nazionale. Ora Jeremy puntava ancora più in alto, voleva sbarcare all'estero con quella che anche per lui era un'autrice di punta in quel periodo, ma Serena non si sentiva più in grado di sostenere le sue aspettative, non finché non avesse avuto una nuova idea sulla quale scrivere.
Apprezzava la stima che Jeremy aveva di lei, ma se lei deludeva le sue aspettative lui cambiava atteggiamento nei suoi confronti, e così si incrinava anche il loro rapporto.
All'inizio era tutto diverso. Lo aveva conosciuto ad una cena di gala della sua casa editrice e da allora lui l'aveva voluta sotto la sua ala nelle vesti di agente editoriale. Insieme avevano fatto molti passi avanti.
Lui era riuscito ad intravedere al meglio il suo potenziale e aveva trasformato il suo talento rendendolo noto al grande pubblico, partendo dalle città locali per arrivare agli interi Stati Uniti d'America.
La chiamava sempre più spesso per parlarle dei vari appuntamenti che avrebbe dovuto tenere per la presentazione del romanzo. Poi una sera l'aveva romanticamente incastrata.
Ma non c'è nessuna presentazione qui? Perché siamo in questo ristorante... solo noi due?
, ricordò di quanto si sentì colta in fallo quel giorno, col cuore che le batteva in gola mentre viveve un momento desiderato già molte volte prima.
Hai mai sentito parlare di una presentazione alle otto di sera?
, disse con la sua voce pastosa, vestito in tight nero abbinato ai suoi capelli color carbone e scansando la sedia dal tavolo invitandola a sedersi, in vista di una cena in uno dei ristoranti più chic della città. Per fortuna, in vista della presunta presentazione del libro, si era vestita in modo elegante, sotto l'ulteriore suggerimento di lui, e lo era davvero in quel vestito lungo e azzurro con ricami bianchi luccicanti di strass, incorniciato da uno chignon castano che evidenziava la sua altezza ma anche la sua corporatura non troppo esile.
In effetti, lo sospettavo che mi avessi teso una trappola!
, sibilò Serena con gli occhi che brillavano nella luce soffusa, quasi quanto la candela accesa sul loro tavolo apparecchiato di bianco.
Lui le aveva teso la mano poggiandola sulla sua.
"Mi sembrava il modo giusto per dirti quanto io ti stimi e apprezzi il tuo lavoro. Ma che qualcosa dentro di me va oltre questo. So che lo hai sentito anche tu, ho ragione? L'altra volta, quando mi hai visto parlare con Florence...?
La scrittrice di quel romanzo rosa, si, mi ricordo
Sei entrata nel mio studio mentre io e lei parlavamo, e mi sei sembrata contrariata
Ma no, è solo che so come a volte Florence si comporti da civetta e, non volevo che ti adescasse con ridicole smancerie per poi farti soffrire. Sarà anche una brava scrittrice, ma le emozioni le fa provare solo ai personaggi di cui scrive, invece che a sé stessa
Jeremy emise una risatina, aveva capito che le parole di Serena derivavano da una sottile gelosia di cui lui andava fiero in quel momento.
In realtà quella sera stavamo discutendo del fatto che volevo mollarla
Ah.
. Si fermò un istante basita.
Perché stavate insieme?
No! Intendevo che volevo mollarla come agente, per dedicarmi completamente alla mia scrittrice preferita. Sai, Florence non è così in gamba nemmeno in quel campo
Oh. Beh, mi dispiace per lei
Per il fatto che non stia con me o per il suo lavoro?
Mi dispiace per la sua carriera se è vero quello che dici. Ma... ammetto che non mi dispiace che non ci abbia provato con te
Non ho detto questo. Ci ha provato eccome!
Bene, allora non ho più pietà per lei!
Ammise, pentendosene subito dopo. Lui colse quello che lei voleva dirgli, anche se non avrebbe voluto essere così diretta.
Vuoi dirmi che sei contenta che io sia libero da legami?
. La guardava ammiccando e sapendo già quale risposta aspettarsi.
Ormai si era buttata troppo avanti e non poteva negare e tirarsi indietro.
Annuì leggermente con la testa.
Ma non è sconveniente una relazione del genere? Penseranno che sono raccomandata e che non merito il mio posto di lavoro
Ma sei entrata a far parte dell'editore Books&books molto prima di me, e da molto tempo prima che ci conoscessimo. Quando ci siamo conosciuti a quella cena di gala tu avevi già pubblicato il tuo primo libro da due anni, e io invece ero appena entrato nello staff. Semmai penseranno che il raccomandato sia io
Questa prospettiva già mi piace di più
, esclamò Serena scherzando.
Avevano finito di cenare dopo varie portate composte di piccole porzioni compensate da piatti enormi. Una volta fuori dal ristorante, illuminati dalle luci del quartiere, lui l'aveva invitata a casa sua.
Non mi sembra il caso
Ti offro solo un bicchiere di vino
Non è questo. È che ho lasciato la mia sorellina a casa da sola
Ah, già. Tua sorella, me ne parli spesso. L'ho anche intravista due o tre volte. Ma non mi sembra piccola d'età
Ha sedici anni. Ma è molto sensibile. Abbiamo perso i nostri genitori molto presto. In realtà nostra madre non è riuscita a superare il parto di Connie e lei non l'ha mai conosciuta.
Si strinse nel cappotto dal momento che il freddo la faceva rabbrividire, o forse quei brividi dipendevano dalla tristezza che la invadeva ogni volta che doveva raccontare la loro storia.
Ma lui non sembrò molto colpito.
Si, ma ormai è grande. L'avrà superato
Serena lo guardò di traverso, ma cercò di non darlo a vedere.
È grande forse, ma è molto fragile. E io devo cercare in tutti i modi di non farla sentire sola. Anzi, in questo periodo con tutte le uscite per le varie presentazioni del libro non sono stata molto presente e ogni volta me ne pento. Anche stasera... Si è già fatto tardi
E va bene, ma promettimi che non sarà sempre così
Lei gli sorrise, sperando che davvero sarebbe riuscita a gestire meglio la sua preoccupazione per Connie.
Ma le cose, da quella sera di due anni prima, non erano cambiate di molto riguardo quell'aspetto. Connie era cresciuta, ma non aveva migliorato il suo modo di affrontare le relazioni umane, e Serena non poteva fare a meno di dedicarle sempre di più i suoi pensieri e le sue attenzioni, cercando però di non essere mai invadente per non evidenziare proprio davanti alla sorella quanto si preoccupasse per lei.
Quella mattina nello studio, Serena stava proprio pensando a come poter fare per spronarla ad uscire almeno un minimo dal guscio che si era creata, ma l'arrivo di Jeremy l'aveva distratta e la disturbò. Non lo aspettava così presto, ma soprattutto sapeva che quello che aveva da dirle non erano di certo dei complimenti per non essere andata avanti col suo lavoro.
Ti vedo abbattuta, che cos'hai?
Niente, è che non sono riuscita ad arrivare a capo di nulla
Non hai ancora idee? Non dirmi che invece di metterti di buona lena a lavorare ti sei messa a pensare ai problemi di tua sorella
Serena odiava quando prendeva quell'argomento, perché lo trattava con sufficienza non capendo il punto di vista della sua compagna.
Non usare quel tono quando parli di Connie
Lui si sedette sul divano blu, gettandosi di peso e sbuffando con le mani al cielo.
Ma possibile che non capisci? Non puoi risolvere i problemi di tua sorella da sola. Perché non la mandi da uno psicologo, una volta per tutte
Serena rabbrividì a quel pensiero.
Ti ho detto di non ripeterlo più. Connie non ha niente che non va, deve solo trovare la sua strada, e piano piano...
Ma ha diciotto anni! Non è più una bambina. I ragazzi della sua età partono per il college e affrontano il mondo da soli. Tu invece ti comporti come una mamma angosciata dai pericoliche le possono capitare.
Io non sono così ossessiva, anzi la lascio sempre molto libera e cerco di spronarla ad uscire e farsi degli amici. Ma lei non vuole saperne, si chiude in sé stessa, si rifugia nei libri e non vuole conoscere altro mondo che non sia quello
Però il tuo tempo lo passi sempre a preoccuparti per lei
Serena per prendere fiato bevve un sorso dalla tazza di caffè che ormai era diventato freddo.
Forse non sembra, ma sto cercando anche l'ispirazione per il libro. Fidati di me
Si sedette sul divano vicino a lui.
Una volta lo facevi, ti fidavi delle mie capacità
Una volta pensavi anche a te stessa, e a me. Ci pensi a me ogni tanto?
Ma allora il problema è che sei geloso!
. Serena tentò una risata, ma lui non la gradì, rimanendo serio. Evidentemente si sentiva troppo trascurato per prenderla alla leggera.
Serena non pensava più di tanto né al lavoro di cui lui era partecipe, né a lui come persona, o meglio come amante. Lei lo capì e cercò di rassicurarlo.
Ti prometto che mi impegnerò. Dammi solo ancora un po' di tempo. Non voglio cimentarmi in qualcosa in cui non credo davvero. E poi... ti assicuro che troverò anche più tempo per te, per stare insieme
Lui la guardò con lo sguardo più rilassato di un momento prima, voleva davvero crederle.
Va bene. Io ora vado
Sicuro?
Si, ti lascio sola così potrai concentrarti meglio. Ci sentiamo dopo
Serena sapeva di averlo deluso per l'ennesima volta, e doveva proprio trovare un modo per sbloccarsi e ricominciare a lavorare seriamente.
Ma nonostante si fosse rimessa alla scrivania dello studio in completo silenzio, non riuscì a pensare a nulla di buono e i pensieri si accavallavano solo su Jeremy e Connie.
Non riusciva neanche lei a gestire i suoi rapporti al meglio; Jeremy che la tormentava sul lavoro e la loro vita insieme, Connie che non riusciva ad uscire dal suo mondo che non includeva nessun altro oltre Serena.Passò il tempo e si stava quasi addormentando con la testa penzoloni sulle braccia poggiate alla scrivania, quando sentì il rumore di un mazzo di chiavi che tintinnava e la porta di casa aprirsi.
3.
Era Connie, ma Serena ridestandosi dalla sonnolenza vide che era ancora mezzogiorno, quando Connie sarebbe dovuta rientrare da scuola alle tre di pomeriggio.
Si alzò dalla sedia e corse in soggiorno, quando vide la sorella con in mano un libro sporco e ridotto quasi in brandelli, poi la guardò meglio in viso e vide il suo occhio sinistro circondato da un alone violaceo, la sua espressione afflitta e gli occhi lucidi che non nascondevano il fatto che avesse pianto molto.
Che cosa diavolo è successo?
Le prese lo zaino a fiori dalla spalla, mentre Connie rimaneva in piedi immobile, quasi senza forze per muoversi o sedersi.
Connie le mostrò il suo libro aprendolo e facendo notare alla sorella come varie pagine fossero strappate.
Guarda che cosa hanno fatto!
Disse quasi piangendo ancora.
Lascia stare il libro. Che cos'hai all'occhio? Ti hanno picchiata?
Serena la abbracciò piano per evitare di farle male.
Stavo leggendo il mio libro durante la ricreazione, sulla panchina, e come al solito quelli che giocavano mi hanno tirato la palla in faccia
È per questo che hai un occhio viola? Oddio, non ti ho mai vista così
No. È che quando mi ha colpita la palla, mi è caduto il libro dalle mani. Uno di quelli è venuto lì davanti a me facendo finta di raccoglierlo per ridarmelo. Quando ho provato a riprenderlo lui lo stringeva forte tra quelle mani luride, io ho tirato ancora e anche lui, così si sono strappate quelle pagine, e quell'idiota mi ha detto 'E adesso come farai a parlare con i tuoi amichetti inesistenti?'. Si è girato verso gli altri e si sono messi tutti a ridere. Il libro lo aveva ancora lui, allora gliel'ho strappato dalle mani e lui come reazione mi ha colpito all'occhio, non ho capito nemmeno se fosse uno schiaffo o un pugno, so solo che ho sentito un dolore atroce, oltre al sentirmi completamente colta alla sprovvista e umiliata
. Serena era sconvolta da quel racconto, non riusciva a vederla in quello stato.
Hai ragione, sono degli idioti. Tieni, mettici su questo
Andò in cucina, mise dei cubetti di ghiaccio in un sacchetto e lo posò sull'occhio viola di Connie.
Ahi!
Lo so che fa male, ma tienilo così
Mi fa più male guardare il mio libro ridotto in quello stato
E poi te ne sei andata senza dire niente a nessuno?
, riprese il discorso Serena.
Io non ce l'ho fatta a restare là e sono dovuta scappare di corsa
Ma lo sai che non puoi uscire da scuola senza il permesso di un adulto, adesso ti staranno cercando…
Sentirono il telefono di casa squillare, facendo sobbalzare entrambe. Le colse di sorpresa, anche se già sapevano chi avrebbe potuto essere. Alzò la cornetta Serena.
Signorina Coldfire, sono il preside della Fairfield High School. Non so se ha notizie di sua sorella, ma è scappata dalla scuola durante l'orario delle lezioni e la avverto che questo avvenimento avrà delle gravi conseguenze. Siamo molto severi sul rispetto delle regole, dovrebbe saperlo, lei che è ormai una nota autrice e sa come funzionano certi ambienti professionali
L'uomo che le stava parlando lo aveva già visto altre volte e avevano già discusso sulle capacità, o meglio, incapacità di Connie di relazionarsi ai suoi compagni, e quella voce fine e snob le diede subito un senso di nausea. Connie, che dall'espressione di Serena aveva capito di chi si trattasse, spinse il bottone del vivavoce per poter ascoltare il loro dialogo.
Non appena sentì anche lei la voce del preside, ne rimase talmente infastidita che un prurito, derivante sicuramente da quel fastidio, le salì al naso e starnutì, come spesso le capitava quando si trovava di fronte a qualcosa che non gradiva, quasi fosse un'allergia.
La sorella la aiutò a far passare quella sensazione rispondendo a tono alle minacce di quel tale.
Ha detto bene. So come funziona, e so che in una scuola degna di questo nome gli alunni vengono prima di tutto, e se agiscono in un modo di sicuro c'è una spiegazione, e lei, signor Brownie dovrebbe sapere di che cosa sto parlando
Si chiama Brown!
, bisbigliò Connie, accennando una risatina ma smettendo subito per fermare il dolore dovuto al colpo subito che, se cambiava espressione, le circondava la faccia intera.
Si, so dei problemi sociali di sua sorella, e sinceramente rimango esterrefatto da come lei stia affrontando la cosa, anzi da come non la stia affrontando affatto
Serena vide lo sguardo di Connie incupirsi ancora di più al sentire quelle parole, ma avrebbe pensato a parlare con lei dopo aver finito la chiamata.
Mia sorella è una ragazza normalissima, e ha anche buoni voti. Ognuno deve affrontare nel modo migliore le proprie insicurezze, e le assicuro che noi ce la stiamo mettendo tutta. Quello che mi stupisce invece è che lei non prenda provvedimenti riguardo altri suoi studenti, per esempio quelli che prendono continuamente in giro Connie e che oggi l'hanno fatta tornare a casa con un occhio nero. In questo caso, sì che dovrebbe preoccuparsi e parlare con i genitori di quei ragazzi, se non con i ragazzi stessi, magari inserendo tra le lezioni di inglese e matematica anche l'insegnamento del rispetto degli altri
Ne abbiamo già discusso signorina, e non ho altro tempo da perdere con lei
Già, lo vada a perdere con qualcun altro. I suoi ragazzi avrebbero prima di tutto bisogno di un buon esempio di empatia e educazione, ma se lei è il primo a non avere questi requisiti non vedo come possano imparare loro. La saluto
. Riagganciò infuriata.
Ne avevano parlato altre volte, ma quell'individuo non si era mai messo nei panni di Connie, e faceva finta che tutto quello che le facevano fosse di poco conto, perché 'ci sono problemi più gravi da affrontare' le ripeteva, ma in realtà era più facile prendersela con una sola persona apparentemente più indifesa degli altri, che cercare di dialogare con un branco di genitori disposti a tutto pur di difendere a spada tratta i comportamenti sconsiderati dei loro figli cresciuti a pane e ignoranza. Perché se la colpa non era del tutto propria di quei ragazzi, ma partiva dalle loro famiglie, allora bisognava partire dalle basi e affrontare le persone che li avevano fatti crescere in quel modo, ma come al solito era più facile fare finta di niente.
Serena sapeva che anche Connie aveva le sue lacune, come lei stessa ne aveva, e nonostante potesse giustificarla facendo riferimento alla loro delicata situazione familiare, non lo accennava mai per suscitare compassione, né tantomeno comprensione. Ma non era giusto puntare il dito solamente su ciò che sbagliavano loro, e non anche su quello che di più grave facevano quei compagni di scuola, che le mancavano di rispetto ogni giorno.
Mi vedono solo come una persona problematica
sbuffò timidamente Connie.
Serena si mise seduta vicino a lei.
Ognuno ha i suoi problemi, e non credere che quei ragazzini solo perché hanno più amici di te siano tanto più felici. Comunque, noi non possiamo fare altro se non ignorarli e cercare di migliorare il nostro modo di affrontarli. Lo sai che in fin dei conti da una parte è vero che devi migliorare i tuoi rapporti sociali
Le fece un sorriso, come per evidenziare che non glie ne faceva una colpa.
Ma anche tu, non stai trascurando un po' troppo Jeremy? Vi vedo più distanti in questo periodo
Non preoccuparti. Tu resti sempre la mia priorità, e ora dobbiamo pensare a te e a far in modo che tu non venga più colpita né da un pugno né da un pallone.
Un'impresa ardua
disse Connie sconsolata.
Scommetto che se provi ad avvicinarti a qualcuno e ci diventi anche solo un po' amica, allora quelli ti prenderanno meno di mira. È troppo facile prendersela con le persone sole, che non hanno nessuno che le difenda, invece se provi a conoscere qualcuno... Per esempio, lasciamo stare per il momento le amiche. Non c'è nessun ragazzo che ti piace nella tua classe, o anche nella tua scuola?
Connie fece una smorfia contrariata, che subito fece capire a Serena la risposta.
In questo momento non riesco proprio a pensare a qualche essere umano che possa piacermi minimamente. Non vedi come sono ridotta? Tutto quello che posso provare è solo disgusto
Senti, tu pensaci un secondo. Io vado a prepararti un tè perché a quest'ora avrai fame. Quando torno mi dici chi potrebbe piacerti, ok?
Ok, ma non ho molto da dire
Serena si alzò per andare in cucina facendo un occhiolino di complicità a Connie, che cercò di ricambiarla con suo sommo dolore