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IL LUSSO, SECONDO ME
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IL LUSSO, SECONDO ME
E-book339 pagine4 ore

IL LUSSO, SECONDO ME

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Info su questo ebook

Ci sono cose che ci piacciono istantaneamente, altre che impariamo ad apprezzare e a fare nostre, altre ancora che riconosciamo preziose, importanti, persino eccezionali, ma al cui fascino restiamo indifferenti.
Che cos'è il lusso? Quanto è legato al gusto personale e quanto al racconto sociale?
In che misura contribuiscono valore economico e valore simbolico?
Dare una definizione astratta del lusso è impossibile: le declinazioni del desiderio sono tante quanto è varia la dialettica fra senso di sé e immagine pubblica.
La domanda si allarga da "che cosa ti piace" a "per cosa vorresti avere più tempo".
Su questo terreno si misurano scrittori, scienziati, registi, filosofi, teologi, sociologi, economisti: la sfida è provare a definire
per cosa vale davvero la pena di spendere le proprie risorse, dove orientare il proprio investimento emotivo, mentale e materiale.
Una serie di incontri che esplorano la bellezza e il privilegio, il lato piacevole della vita.
LinguaItaliano
Data di uscita17 dic 2019
ISBN9788863456523
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    IL LUSSO, SECONDO ME - Nicoletta Polla Mattiot

    MARGARET

    —MAZZANTINI

    << IL LUSSO È SAPERE QUELLO CHE SI VUOLE >>

    Avere tutto il tempo. Tempo di desiderare, di vivere attraverso scelte che raccontano una storia coerente con noi. Il lusso come tempo per essere se stessi. A questo sto pensando mentre raggiungo Margaret Mazzantini nel suo studiorifugio, cercando in mezzo agli oleandri il campanello che la farà affacciare alla finestra, agitare la mano in un saluto vigoroso, come la voce, sempre un mezzo tono più fondo di quanto ti aspetteresti guardandola. Questo è il primo di una serie di incontri che intendono andare al cuore di How to spend it: il lusso, il piacere, il lato morbido della vita. Comincio da lei perché è quel genere di persona che sembra avere tutto, con un surplus di fortuna: l’esatto dosaggio. Non troppo di qualcosa e troppo poco di altro, ma tutto in equilibrata abbondanza, pubblico e privato, bellezza e discrezione, talento e successo, famiglia e lavoro, ricchezza e misura. Per questo credo possa rispondere alla domanda più semplice e cruciale: che cosa ti piace? Le chiedo la spontaneità di una risposta soggettiva: siamo anche ciò di cui amiamo circondarci, quel sistema di oggetti, spazi, valori, legami, che possiamo definire nostro e a cui dedichiamo attenzione e investimento personali. Dunque, che cos’è il lusso, Margaret? Per cosa vorresti avere sempre (più) tempo?

    «L’amore. La capacità di saperlo ricevere e restituire. Lì è la chiave. Il talento è un privilegio, ma è anche una dannazione, è un dono che va reso nella maniera più onesta e ci vuole disciplina. Io faccio una vita monacale. Per me il lusso è potermi ritagliare un tempo mio, bianco, vergine, per pensare, scrivere, lasciarmi attraversare dal mondo e dalle sue storie. Se c’è una cosa che mi ha insegnato la scrittura è stare. Sprofondare e stare. Una capacità che non appartiene a questa epoca. Siamo tutti connessi dalla mattina alla sera, c’è sempre uno schermo fra noi e gli altri, una via di fuga per essere qui e contemporaneamente altrove. Ma se hai bisogno di scappare, è perché sei in prigione. Senza snobismo e nessuna ideologia, io diffido della tecnologia. So che è necessaria, ma la facilità e velocità di contatto ci abitua alla superficialità e non ci fa bene, ci spoglia della nostra essenza. Il nostro costante senso di impotenza è incardinato nel non aderire a niente, sfiorare tutto senza soffermarsi. I Greci avevano almeno tre modi diversi di chiamare il tempo: aiòn (l’eternità, l’intera durata della vita), kronos (che è passato presente e futuro) e kairòs, il momento propizio, legato al senso delle circostanze, del contesto e delle relazioni. L’attimo da cogliere e in cui stare. Un tempo presente che non è quantitativo, ma qualitativo, lo spazio lasciato alle cose di accadere. È questa occasione di sospensione inattiva e feconda, che va aspettata, ascoltata, cercata. Quando ero piccola, ricordo che, finita la scuola, venivo abbandonata a me stessa in campagna, non c’erano attività organizzate, corsi, campi estivi. In quel tempo vuoto, avevo solo la mia immaginazione per giocare. Solo così puoi sviluppare quello che sei realmente. Io ho una grande famiglia e una vita ricca e complicata affettivamente. Quattro figli, un marito e un carattere che mi obbliga a farmi carico di tutto: non riesco a delegare, cucino io, accompagno io il piccolo a scuola, do retta a tutti e tutti mi si aggrappano, non smetto mai di preoccuparmi, il mio tempo è follemente pieno e arrivo alla sera tramortita. Ma la vita creativa è un gran risarcimento. Credo che nessuno di noi sia mai davvero soddisfatto di quel che è e quel che fa. Navighiamo in acque basse, afflitti da urgenze mediocri, corriamo e affannosamente cerchiamo di mettere insieme un’esistenza alla bell’e meglio, come possiamo. Scrivere mi consente di stare in piedi. Parte da una mancanza, da una fame che io sento di dover colmare, forse quella nostalgia della vita che passa, proprio nel momento in cui è lì. Nell’istante in cui tocchiamo una cosa, già non è più con noi. Attimi di meraviglia e splendore, repentinamente tolti. Io ho una sensibilità esagerata, potente e fragilissima, ma sono riconoscente di aver trovato, a un certo punto, questa vena aperta, che mi trasporta, mi mette in connessione con gli altri. Mi vengono in mente quelle spiagge d’inverno in cui tornano tutti i resti dell’accaduto, si depositano sulla spiaggia e tu li raccogli, li metti insieme. Materiale riciclato. Il mare ti restituisce sempre qualcosa, come l’immaginazione. Viviamo in un clima di forte preoccupazione, c’è una dura crisi economica, si percepisce il senso di un accasciamento collettivo. Io sono madre e vedo continuamente ragazzi le cui energie dovrebbero esplodere e invece si spengono, in un Paese che non offre prospettive. Mi ritengo fortunata, ma se sei una persona che vive con un respiro partecipe, non puoi pensare Io sto bene, degli altri che importa?. Quindi il lusso per me è il tempo di tenere insieme tutti i pezzi di quel grande mosaico che è la vita. Poi certo, ci sono anche piaceri più frivoli. Ho imparato da bambina a dare il giusto valore al desiderio. Ho avuto un’infanzia all’osso e ho desiderato tanto. Dopo non mi sono più negata il gusto di potermi permettere un regalo, né mi sono trattenuta dal comprarmi una cosa bella. Mi piacciono le scarpe, mi tolgo molte soddisfazioni. Però il problema è il tempo. Non ne ho abbastanza per andare in giro e farmi venire delle idee. E poi non mi piace la città, io starei sempre all’aperto, a camminare col mio cane, a correre nella natura. Dunque appena posso vado nella nostra casa di campagna, un posto dell’anima. In fondo il lusso è sapere quello che si vuole. Capire i nostri veri desideri, liberi dall’abbaglio della corsa quotidiana. A volte occorre proprio resettare per tornare a capire. Rischiamo di essere sbadati con le persone migliori e attenti a chi non ci interessa affatto, rincorriamo quel che ci fa star male e perdiamo di vista quel che ci sta a cuore. A un certo punto, il senso di costrizione prevale, la vita diventa dura e stretta, fatta solo di doveri, di bollette, di scadenze. Per questo occorre fermarsi e aprire, spalancare. Non sottrarsi. Dopo, è come se la musica del mondo fosse dentro di te, e suonasse attraverso di te».

    (How to Spend it settembre 2014)

    MARGARET MAZZANTINI Attrice, scrittrice, vive e lavora a Roma con Sergio Castellitto e i loro quattro figli: Pietro, Maria, Anna e Cesare. Il suo esordio letterario è del 1994 con Il catino di zinco (premio Campiello), a cui sono seguiti, fra gli altri, Non ti muovere (premio Strega) e Venuto al mondo (premio Super Campiello), entrambi diventati film diretti da Castellitto; Nessuno si salva solo (premio Flaiano), Mare al mattino (Premio Cesare Pavese), Splendore. Ha ricevuto il Dante d’oro all’opera omnia.

    GIUSEPPE

    —TORNATORE

    << LUSSO È UNA PAROLA ASINCRONA, SEMBRA NON COINCIDERE CON L’EPOCA CHE STIAMO VIVENDO >>

    Ci muoviamo febbrilmente avanti indietro intorno, nella normale quotidianità, nutrita di bilanci e progetti. Eppure il tempo è una linea. Passato presente futuro, in questa esatta sequenza. Anche se infinite volte, col luogo comune del senno di poi, avremmo fatto le cose diversamente e altrettante volte, a sapere come andrà a finire, lasceremmo perdere o smetteremmo di preoccuparci e affannarci tanto. Questi pensieri si affacciano in ordine sparso, mentre salgo a piedi, trascurando l’ascensore, la grande scalinata bianca, che mi porterà al sorriso garbato di Giuseppe Tornatore. Ho voluto questo incontro per esplorare, ancora una volta, il bello, il piacere, la scelta di inquadrare il dritto della vita. Vado cercando nello sguardo di un regista quel rovescio, quel dietro le quinte che, in due ore, compone un mondo e il suo senso compiuto, scartando tutto il resto. Come in un lungo piano sequenza, gradino dopo gradino, mi chiedo se la differenza fra girato e montato è quella che fa il valore di un film. Tornatore, è così anche per la vita? Per le cose che ci piacciono e per tutte quelle che sarebbe bene, invece, lasciarci alle spalle?

    «Il mio maestro diceva che la memoria è come un recipiente. Inizi a versarci dentro esperienze, incontri, oggetti, progetti e in un attimo è colma. Non è che, a quel punto, ti fermi e non puoi più continuare ad aggiungere. Solo che, per ogni goccia nuova che entra, da qualche parte, un’altra se ne va e si perde. Tutte le volte che mi innamoro di un’idea, penso anche a quelle che sto dimenticando o abbandonando. Così, quando incontro una persona che non sa dire no, ho la chiara sensazione che mi farà perdere tempo. La mancanza di coraggio è un grande spreco, l’incertezza determina incompetenza. Sono convinto che la nostra predisposizione a fare qualcosa, e a farla bene, sia direttamente proporzionale alla capacità di amarla e volerla fortemente. Se manca la passione, il desiderio, il piacere di realizzare, manca anche l’abilità. Eppure è tutta questione di prospettiva, di taglio di sguardo. Einstein diceva che a 80 anni rompere uno specchio non ti procura la stessa paura che a 20. E non perché sei diventato più saggio e meno superstizioso, ma perché la certezza che avrai davanti almeno altri sette anni (sia pure di guai) non è affatto una brutta garanzia. Il punto di vista fa la differenza. È così anche per gli oggetti che scegliamo, che desideriamo, a cui diamo peso e ci appartengono perché punteggiano la nostra storia. Ci sono cose del tutto insignificanti a cui io attribuisco un valore smisurato rispetto a quello reale, perché mi sono diventati amici, sento che non mi tradiranno, fanno parte di me. Non sono un collezionista maniacale, con l’attitudine a conservare per il puro piacere di possedere, ma mi ritrovo a mettere da parte una vecchia macchina da presa, un obiettivo, una certa lente per la storia che abbiamo percorso insieme. La dimensione del tempo, per quanto ineffabile sia, è tutto, nel cinema come nella vita. Averne a disposizione tanto è un lusso maiuscolo e un valore. Nei periodi di forte tensione, quando devo prendere decisioni importanti, m’impongo di sospendere, di fare un po’ di vuoto. Esco e mi chiudo in un negozio di libri usati. Ci posso stare dentro anche tre ore a girare, inconcludente, e solo così mi placo. Poi torno e faccio quel che devo. Lusso è una parola asincrona, sembra non coincidere con l’epoca che stiamo vivendo. Anche se il nostro Paese ha un grande passato, sono in molti a parlare di tramonto inarrestabile e a non vedere un futuro. Io non ci credo: non esiste crepuscolo senza alba, e viceversa. La natura ci ricorda continuamente che non c’è mai un guadagno assoluto e neanche una perdita assoluta. Da questo punto di vista, è una bilancia perfetta e infallibile. Pensiamo a come, proprio in un momento in cui il tempo a nostra disposizione si è dilatato e differenziato, e abbiamo la possibilità di spostarci velocemente, ottimizzando e godendo di mille occasioni contemporanee, siamo schiacciati dalla sensazione di correre come dei forsennati e di non avere mai abbastanza spazio per noi. Mio nonno in una vita intera non ha fatto le esperienze o incontrato le persone che io vedo in meno di un anno, ma il tempo non gli mancava mai. Io ne vorrei di più, sempre di più, soprattutto per raccontare le mie storie. Ma sono consapevole anche del fatto che proprio quando hai la sensazione di non concludere nulla, il flusso di desideri, sogni, disegni, calcoli è continuo. Il tempo della vita produce opere inafferrabili. Io ho sperimentato che più è lungo il periodo che impiego a rimuginare un’idea, a macerarla, a giocarci e un po’ covarla, senza impormi subito la responsabilità di darle concretezza, più diventa facile e corta la fase di realizzazione. Per esempio, ho pensato a Nuovo Cinema Paradiso per dieci anni prima di decidermi a scrivere anche solo una riga, ma quando ho iniziato la prima pagina della sceneggiatura in poco meno di due mesi era finita. È la forza dell’incubazione... Se il desiderio di realizzare qualcosa, ciclicamente si ripresenta nella mente, magari nei momenti meno opportuni e logici, vale la pena di chiedersi perché continua a tornare. Quando un’idea, a distanza di anni, non si rassegna a sparire, probabilmente vuole dirci qualcosa e vale la pena di seguirla. Anche perché, dei tanti piaceri che la vita ci può riservare, purtroppo il tempo non è un lusso infinito. Vale la pena di ricordarselo e di sapere che anche un frammento infinitesimale di un 24esimo di secondo può avere il suo peso nel montaggio finale. Il bilancio di un’esistenza si fa un fotogramma alla volta».

    (How to Spend it ottobre 2014)

    GIUSEPPE TORNATORE Regista, premio Oscar nel 1988 per Nuovo Cinema Paradiso, ha collezionato David di Donatello: nel 1996 per L’uomo delle stelle, nel 1999 per La Leggenda del pianista sull’oceano, nel 2007 per La sconosciuta e nel 2013 per La migliore offerta. Ha pubblicato le sceneggiature di Nuovo Cinema Paradiso (1990), Baarìa (2009) e del film mai realizzato Leningrado (2018); inoltre: La migliore offerta (2013) e La corrispondenza (2016). Fra gli altri libri: La menzogna del cinema (2011), Io lo chiamo cinematografo. Conversazione con Francesco Rosi (2014), Diario inconsapevole (2017).

    FRANCESCO

    —PICCOLO

    << IL LUSSO È ANDARE A DUE VELOCITÀ. CON UNA MANO BISOGNA COLLEZIONARE ATTIMI, CON L’ALTRA PROGETTARE SENZA FINE >>

    Esiste un lusso della quotidianità? La favola edificante della ripetizione zen non può essere l’unica risposta. Confido piuttosto nell’arte del cesello che costruisce significato. Se il meglio è ciò a cui aspirare e ispirarsi, ci dev’essere una vocazione al bello temperata dalla dedizione, dalla ricerca. Quel giorno per giorno che, anziché logorare e banalizzare, aggiunge valore all’irrilevante. Voglio parlarne con Francesco Piccolo perché i suoi libri sembrano il contrario dell’esclusività. C’è, nel desiderio di essere come tutti, un’apparente filosofia dell’accontentarsi, di fermarsi a quei momenti di trascurabile felicità alla portata di chiunque. E invece a me sembrano custodire il segreto rarissimo di appartenere, a qualcosa o a qualcuno. Non è forse un lusso estremo la libertà di fidarsi e affidarsi? Francesco, è quasi un esercizio di felicità? «È piuttosto un’intenzione di vita, l’idea di poter gustare con più godimento e facilità, con più tempo e concentrazione, semplicemente la vita che fai. Sono convinto che, sia sul piano individuale sia sul piano pubblico, dovrebbero esserci due sguardi divaricati sul tempo. Uno è quello del frammento, dell’attimo, la capacità di godersi esattamente l’ora in cui sei e tentare di averne un’attenzione minuziosa. L’altro è quello dei programmi a lunghissima scadenza. Ogni essere umano deve poter dire: Oggi è un giorno in cui devo produrre sentimenti, energie, felicità in me e negli altri... e poi dire: L’arco della mia vita deve avere un senso. Questi due estremi valgono ancor più per un Paese. La prospettiva non è quella dei risultati immediati, il presente si cambia adesso, pensando alla generazione successiva, a chi ci seguirà, programmando una società progredita e più civile tra trent’anni. Io detesto l’intellettualismo catastrofista. Dire che tutto sta andando malissimo, che il passato era migliore, che quello che ci aspetta è terribile, non costruisce nulla. Annunciare che il mondo finirà significa deresponsabilizzarsi. Essere apocalittici è peggio che essere pessimisti, perché è più riposante. Potrà sembrare conformista aderire al presente, ma significa mettersi sulle spalle una responsabilità: quest’epoca non è diversa da tutte le altre epoche, è solo quella dentro cui viviamo e con cui dobbiamo fare i conti per garantirci un futuro migliore. Per quanto mi riguarda, ho un rapporto molto metodico col tempo, faccio continui programmi e sono nevrotico nel cercare di anticipare le scadenze, però ho anche imparato a non avere un copione interiore. Divagare è un modo per prendere a pieni polmoni aria nuova. In questo il cinema è maestro: quando lavori su una sceneggiatura, lo fai insieme ad altre persone e tutto quello che succede attorno a un tavolo, mentre si parla, si discute, ci si scambiano idee, anche un po’ casualmente, prende senso poco a poco. Magari mesi dopo può diventare una storia, un personaggio, è un dettaglio che torna utile allo svilupparsi della vicenda. Ma apparentemente si perdono ore a inseguire pensieri insignificanti, a confrontarsi su temi che non c’entrano niente con l’argomento principale, a ripetere percorsi già fatti infinite volte. Se, in quei momenti, pensi solo di dover capitalizzare, se vuoi essere sempre produttivo, fattivo, efficace, se ragioni per traguardi, metti in scacco la creatività. Un processo che, per sua natura, si ciba di giri a vuoto, di passi indietro, di materiale di scarto, di fallimenti e perdite. È così anche per il denaro. Io non do un valore preciso ai soldi, non penso che a ogni oggetto, esperienza, vacanza, debba corrispondere un numero. E se riesci ad aggiudicartelo a meno, sei un furbo, se ci investi più del dovuto, sei un fesso... Personalmente, mi va bene consumare tutto, ma non più di quello che ho. Seguo il precetto di Dickens: se spendi un soldo in più di quello che guadagni sarai infelice, se spendi un soldo in meno di quello che guadagni sarai felice. Insomma, ho un rapporto poco attento solo con il denaro che possiedo già. Mi sono concesso moltissimi acquisti e piaceri sproporzionati a quello che valevano oggettivamente e non lo rimpiango affatto. Per esempio, ho un debole per i grandi alberghi, luoghi sospesi, di passaggio, dove hai tutto a disposizione e tutti fanno qualcosa per te. Dove hai quello che desideri, nel momento esatto in cui lo desideri, senza dover pensare a come procurartelo. Basta chiederlo. È l’illusione di una o due notti, un tempo ludico fuori dal tempo, ma i giochi sono fatti per spingere i propri piaceri fino in fondo. Quindi se penso al lusso, non mi vengono in mente né le barche né le auto, ma gli alberghi stellati. E la seduzione di passarci tutta la vita».

    (How to Spend it novembre 2014)

    FRANCESCO PICCOLO Scrittore e sceneggiatore ha vinto il Premio Strega con Il desiderio di essere come tutti e il Nastro d’Argento per il film Habemus papam. Fra i suoi libri: La separazione del maschio (2008), Momenti di trascurabile felicità (2010), Storie di primogeniti e figli unici (2012), Momenti di trascurabile infelicità (2016), L’animale che mi porto dentro (2018). Ha firmato sceneggiature per Nanni Moretti, Paolo Virzì, Francesca Archibugi, Silvio Soldini. Ha sceneggiato la serie tv L’amica geniale. È stato autore di molti programmi televisivi come: Vieni via con me, Quello che (non) ho, Viva il 25 aprile e Falcone e Borsellino.

    SIMONETTA

    —AGNELLO HORNBY

    << POTREI RINUNCIARE A TUTTO, MA NON AL LUSSO DI BERE DA SOLA, IN SILENZIO, UNA BUONA TAZZA DI CAFFÈ LA MATTINA APPENA SVEGLIA >>

    Non so cucinare e quindi non conosco quella predisposizione d’animo paziente alla lentezza del gusto. Chi come me si siede a tavola e mangia qualcosa di meravigliosamente cucinato da altri, o di frettolosamente comprato fatto, non ha il dono di veder crescere con gli occhi, gli manca il piacere dell’approssimarsi. Conosce il risultato, ma non il percorso, e dunque tutto quel dosare, assaggiare, aggiustare, prefigurare e attendere che accompagna e plasma il sapore delle cose buone. Per questo voglio parlare di tempo e di lusso con Simonetta Agnello Hornby che del cibo ha fatto metafora, memoria e materia, impasto autobiografico e scrittura sentimentale. Qual è il privilegio del saper fare, quella meravigliosa capacità di sognare con le mani che ha chi prepara e crea? «La testa vuota. Cioè, la possibilità di svuotarla. Non avevo compiuti i sedici anni. Ero in cucina con Mamma; silenziose stendevamo insieme, col pennello, la velata sulle cassatine. Tutto a un tratto, lei disse: Lavorando non si sta mai male. Soprattutto in cucina. Passano subito i mali pensieri, ricordatelo quando sarai tu la padrona di casa. Ho appena finito, proprio un attimo fa, di fare la torta al caramello, la dobos tart, che è la ricetta dei compleanni di casa nostra. Mentre sbatto le uova, il tempo è tutto mio. Più vado avanti a mescolare, più l’impasto migliora e io non devo pensare a niente. Con l’albume no, è più rischioso, a un certo punto devi fermarti, ma con zucchero e uova puoi continuare all’infinito. È tutto mio il tempo, anche quando cammino per strada da sola, guardandomi in giro, oppure quando rammendo, un lavoro che mi piace tanto: permette ai pensieri di affiorare liberamente, senza ordine. Il tempo non è un lusso, è una necessità. Abbiamo tutti bisogno di stare con noi stessi, di trovarci. Io, per esempio, amo il caffè, vivrei male senza. Potrei rinunziare a tutto il resto, ma soffrirei senza il lusso di stare, la mattina, in vestaglia, con la mia tazzina, a cui tengo immensamente. Non riesco a berlo se non ho anche il piattino, è una questione di equilibri. Mi siedo in salotto, davanti a una pianta o a un vaso di fiori e guardo nel vuoto. Piano piano mi sveglio ed è bello, con la casa ancora immersa nel silenzio. Poi il secondo, il terzo, il quarto caffè posso anche prenderlo in compagnia. Ho sempre ospiti e

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