La pensione su misura: Pensarla, costruirla, gestirla
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Anteprima del libro
La pensione su misura - Marco lo Conte
Capitolo 1
Dieci passi per costruire la propria pensione
di Marco lo Conte
1. Due o tre cose da sapere
C’è una volta la pensione: quella che scattava a beneficio di chi aveva lavorato per alcuni decenni e che spettava al raggiungimento dei requisiti di legge. «Mi spetta», «ne ho diritto»; per decenni il legislatore – ossia i rappresentanti dei partiti in Parlamento, in un sapiente gioco di marketing del consenso – è intervenuto sulla materia forzando di frequente i criteri di sostenibilità del sistema pensionistico italiano, introducendo in particolare norme per consentire salvaguardie e garanzie per un pensionamento il più possibile precoce. Occasioni per consolidare la propria popolarità degli elettori, la cui età media è in continua ascesa, a scapito di deficit e debito pubblico in capo alle generazioni più giovani, alcune delle quali ancora non ancora in età per votare. Prima di illustrare le mutate esigenze dei lavoratori italiani e della legittima aspettativa di una pensione, è il caso di indicare i punti cardinali per inquadrarne le coordinate. Ci ha pensato anni fa l’Ocse, quando nei suoi confronti internazionali ha analizzato i sistemi nazionali attraverso tre criteri: la sostenibilità, ossia la capacità di disporre di risorse nel tempo messe in campo da un Paese (evitando in sostanza di ricorrere al debito); l’adeguatezza delle prestazioni, ossia la confrontabilità delle rendite erogate con il reddito da lavoro (tasso di sostituzione) e, infine, la modernità dei sistemi previdenziali. Ovviamente il rischio è che si crei un trade off tra sostenibilità e adeguatezza: più alte saranno le prestazioni, più bassa la sostenibilità e viceversa. A equilibrare i due fattori, la modernità dei sistemi previdenziali che attraverso l’articolazione in più pilastri, incrociando obbligatorietà, volontarietà e semi automatismi punta a individuare le soluzioni migliori a vantaggio sia degli aderenti sia degli assetti normativi.
Tralasciando la cronistoria della previdenza in Italia, è appena il caso qui di sottolineare il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo che ha rappresentato una vera rivoluzione: innanzitutto se in passato il sistema retributivo prevedeva che la pensione spettava
, era cioè dipendente in larga misura da un calcolo fissato in sede normativa, oggi è invece in misura maggiore frutto di un insieme di azioni e in particolare del versamento dei contributi previdenziali al proprio ente di previdenza obbligatorio di primo pilastro e a uno strumento di previdenza complementare (di secondo pilastro). Ciò ha reso il sistema sostenibile, visto che mette le prestazioni pensionistiche in funzione dei contributi versati, ma scarica sull’aderente – il lavoratore – l’onere di compiere le scelte più corrette; le quali, in assenza dell’erogazione di strumenti adeguati come la famosa busta arancione
, saranno in molti casi errate. Sull’altare della sostenibilità previdenziale viene così sacrificata l’adeguatezza delle prestazioni: chi ha carriere lavorative discontinue e con versamenti contributivi ridotti va incontro al rischio di ottenere prestazioni inferiori alla metà dell’ultimo stipendio, inadeguate alle esigenze individuali ma soprattutto di poco superiori alla cosiddetta pensione minima. Il che riduce enormemente l’utilità e il valore della propria carriera lavorativa.
Se una volta lo diceva la legge quando scattava il fatidico momento del pensionamento, oggi è fondamentale una carriera lavorativa ricca di versamenti e oggetto di opportuna manutenzione
, completa magari di unificazione di contributi versati in più enti, riscatto degli anni di laurea e attenzione al rischio dell’evasione contributiva da parte del proprio datore di lavoro. Per oggi l’ammontare della pensione dipende per una parte non trascurabile da quanto l’individuo ha fatto personalmente per il proprio futuro. Un impegno non da poco e su cui la preparazione degli italiani è particolarmente bassa: solo il 37% conosce i concetti chiave di quella che viene chiamata educazione o alfabetizzazione finanziarie, almeno secondo le più recenti indagini internazionali organizzate sotto l’egida Ocse.
Abbandonato a se stesso l’aspirante pensionato se si scoraggia («tanto la pensione non la vedrò mai»), non si fida di ciò che non conosce e quindi non risparmia, oppure compie scelte talvolta casuali e poco correlate con le proprie esigenze. Per cercare di colmare almeno in parte questo gap, vogliamo qui indicare i passaggi chiave per costruire in modo consapevole la propria pensione futura. Quello che leggerete qui di seguito è un percorso a tappe, dall’ingresso nel mondo del lavoro fino al pensionamento, ciascuna delle quali sarà analizzata per capire bene cosa occorre fare per arrivare a destinazione. Una sorta di gioco dell’oca in cui, ci auguriamo, si prosegua spediti verso la destinazione finale, evitando i trabocchetti che ci riportino indietro.
2. Raccolta e monitoraggio dei contributi
Il primo passo per costruirsi la propria pensione consiste nel tenere d’occhio i versamenti contributivi: ogni anno è necessario verificare che il proprio datore di lavoro abbia versato correttamente i contributi al nostro ente previdenziale; i lavoratori autonomi professionisti partite Iva, devono fare da soli, in autonomia, facendosi aiutare in caso di necessità da un professionista del settore. Questa attenzione non è motivata solo da scrupolo: in caso di inadempienza, un buco contributivo
corrisponde a una fetta più o meno grande di pensione in meno. C’è un dettaglio da tenere in grande considerazione: il mancato versamento dei contributi previdenziali va in prescrizione dopo cinque anni. In altre parole, cinque anni dopo l’inadempienza, non sarà più possibile rivalersi giuridicamente nei confronti di chi ha omesso di versare il dovuto nella vostra posizione previdenziale. Basta qualche minuto di attenzione, una volta l’anno, per scongiurare questa eventualità. Ciò vale sia per il primo pilastro, ossia per le pensioni obbligatorie, che per il secondo pilastro, quindi per i fondi pensione, ad adesione volontaria.
È appena il caso di ricordare che il sistema italiano incentiva una sana concorrenza tra strumenti di previdenza complementare, permettendo a ciascun iscritto di trasferire la propria posizione da un fondo a un altro, trascorsi due anni di iscrizione nel primo. La tutela del principio di portabilità
spinge le forme negoziali, così come anche gli aperti e i Pip, a tenere sotto controllo i costi, per evitare di perdere iscritti. Confrontare gli oneri, insieme a tutti gli altri fattori – i rendimenti, le prestazioni principali e quelle accessorie – può rappresentare l’opportunità di prendere in mano e analizzare con un po’ di attenzione la propria strategia previdenziale e, in caso, correggerla. Per questo è importante che ci sia una comunicazione completa, dettagliata e chiara di quello che è il nostro conto previdenziale, in modo da comprendere a che punto siamo del nostro cammino e se dobbiamo modificare qualcosa.
3. La stima della pensione futura
Periodicamente, dunque, occorre verificare l’effettivo versamento dei proprio contributi. Il passo successivo consiste nel guardare al futuro: non si tratta di azzardare previsioni, quanto piuttosto di calcolare le conseguenze di ciò che stiamo facendo. Ci sono infatti delle circostanze nella nostra vita economica, in particolare, in cui è necessario avere una rappresentazione anche quantitativa di ciò che si sta generando, sulla base di una pluralità di fattori da tenere in considerazione. La pensione fa parte di questo tipo di circostanza e in particolare la pensione accumulata secondo il sistema contributivo che lascia all’individuo l’onere, la responsabilità e il rischio di compiere una scelta previdenziale, compresa quella di non scegliere nulla, il che è una decisione anch’essa.
Per questo la legge sin dal 1995 obbliga gli enti previdenziali a fornire ogni anno agli iscritti una rappresentazione
quanto più affidabile possibile di quello che è il cammino in essere, fino alla determinazione di una rendita finale. Purtroppo questa è una norma che è stata in gran parte disattesa. Perché? Perché come detto in precedenza, la politica ha usato il tema pensioni per raccogliere consenso e quando a conti fatti le notizie da dare agli iscritti rischiavano di non essere positive, ha preferito rinviare e ostacolare l’implementazione di una vera comunicazione moderna, come accade negli altri principali Paesi industrializzati. Ancora oggi viviamo nel paradosso per cui i fondi pensione di secondo pilastro – ossia quelli volontari – per legge forniscono stime articolate su quello che è il prodotto della propria contribuzione, offrendo sul proprio sito web tool molto dinamici per i calcoli degli aderenti. Gli enti previdenziali che obbligatoriamente raccolgono i contributi degli iscritti in larga misura non lo fanno. Negli ultimi anni ci sono stati tentativi di accelerare questo processo, prontamente frenati.
Eppure la tecnologia ci mette a disposizione strumenti che ci consentono di avere una rappresentazione molto dettagliata dell’esito di una serie di fattori che concorrono a costruire la pensione futura: sono numerosi i calcolatori e software che permettono di inserire i dati anagrafici e contributivi di un soggetto e di conseguenza ipotizzare nell’arco di anni o anche decenni una rendita futura.
È evidente che si tratta di una stima, di una elaborazione e non di una promessa o dell’indicazione di un risultato garantito. Il risultato finale di questi pensionometri
corrisponde all’effetto prodotto dai contributi versati periodicamente dai lavoratori al proprio ente previdenziale, il quale è chiamato a rivalutarli sulla base di una percentuale di rivalutazione (la media quinquennale del Pil, per il primo pilastro, il rendimento delle gestioni previdenziali in caso di fondi pensione), considerando la possibile crescita della retribuzione e quindi della contribuzione, considerando inoltre l’impatto dell’inflazione e dell’eventuale costo sostenuto dagli enti privati per questo tipo di operazione.
Tenendo conto di tutte queste premesse, è possibile ipotizzare un montante finale
, ossia un valore corrispondente alla somma dei contributi rivalutati e detratti dai costi, che andrà poi convertito in rendita, secondo una serie di calcoli parametrati all’aspettativa di vita del futuro pensionato. Come potete immaginare sono molti i fattori in gioco la cui variabilità è ampia e in grado di modificare il risultato finale anche in misura importante. Secondo alcune scuole di pensiero, meglio sarebbe fornire una forchetta
di calcolo, ossia un range tra due valori, uno minimo e uno massimo, entro cui calcolare un’alta percentuale di probabilità che il risultato finale venga prodotto. In tutti i casi è fondamentale poter disporre di una rappresentazione di questo tipo e tenerla sotto controllo periodicamente, ogni anno come detto, in modo da avvicinarsi con sempre maggiore approssimazione e precisione al risultato finale. Ossia, la pensione. Ciò permette di vivere il proprio percorso previdenziale in modo consapevole, con la possibilità di modificarlo e renderlo più efficiente in caso di necessità: ad esempio aumentando i versamenti, riducendoli, trasferendo la propria posizione tra un comparto e un altro di differente grado di rischio. Seguire questa bussola previdenziale
permette di strutturare il proprio futuro con una certa approssimazione, riducendo le incertezze anche del presente. Come detto, strumenti come questi sono presenti sui siti internet di tutti i fondi pensione ma ci sono numerose altre versioni, alcune più dettagliate altre più semplificate. Quello che vi indichiamo qui è quello presente sul sito web del Sole 24 Ore: http://s24ore.it/HJVxDB.
Provate a utilizzarlo più volte, modificando profili di rischio, l’ammontare della contribuzione, le stime di crescita del reddito futuro e quant’altro. È importante realizzare questo esercizio sia in termini di valori assoluti, sia in termini percentuali a partire dal cosiddetto tasso di sostituzione: consiste nel rapporto tra il primo assegno pensionistico e l’ultimo stipendio e ci offre la misura di quanto lo stile di vita di un lavoratore (e delle persone a lui legate dal punto di vista economico e affettivo) può mutare al momento del pensionamento. È anche l’indicatore più chiaro della differenza tra il sistema retributivo e quello contributivo: il primo assicurava un tasso di sostituzione dal 70% in su, per chi poteva far valere almeno 35 anni di contribuzione, mentre il secondo, mettendo in funzione la rendita con i contributi versati, può ridurre la percentuale anche sotto il 50 per cento.
Utilizzare un pensionometro
per realizzare queste elaborazioni – ciò che in inglese si chiama what if
– è un esercizio molto utile non solo per avere evidenza dell’effetto che i diversi fattori producono sul risultato finale, comprenderne il peso e il ruolo, in definitiva usare la tecnologia per un’operazione di educazione previdenziale; ma anche per dare struttura al futuro, ridurne l’incertezza rispetto al futuro e di conseguenza l’ansia vissuta nel presente, e in definitiva costruirsi un percorso