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Note di gestione: Il silenzio, la meditazione e il canto gregoriano come strumenti per la formazione nelle organizzazioni
Note di gestione: Il silenzio, la meditazione e il canto gregoriano come strumenti per la formazione nelle organizzazioni
Note di gestione: Il silenzio, la meditazione e il canto gregoriano come strumenti per la formazione nelle organizzazioni
E-book107 pagine1 ora

Note di gestione: Il silenzio, la meditazione e il canto gregoriano come strumenti per la formazione nelle organizzazioni

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Info su questo ebook

Il Canto Gregoriano visto da una prospettiva ecclesiastica è un canto liturgico, in un'altra prospettiva, più culturale, è un evento spirituale con caratteristiche precise. Nell'ottica dello sviluppo della persona e di un buon rapporto con ciò che ci trascende, esso può essere di grande aiuto come elemento di crescita per la personalità.
La formazione che utilizza nel suo complesso il silenzio, la meditazione e il canto gregoriano può offrire alla persona un'intuizione che illumina un aspetto della propria affettività o della propria professionalità.
Sensibilizzare le persone a trattare la spiritualità come un aspetto delle propria personalità del quale occuparsi e prendersi cura è il motivo che mi ha spinto a scrivere questo libro e molti sono gli spunti culturali che il lettore vi troverà.
Il libro tuttavia vuole essere anche uno strumento per la formazione. In altre parole, chi vuole e né ha le competenze, può usare la metodologia descritta nel presente volume e, quindi, può utilizzare il silenzio, la meditazione e il canto gregoriano come leve di sviluppo per la formazione personale ed organizzativa.

Bernardino Manzocchi è psicologo del lavoro e delle organizzazioni, ha studiato musica e diretto dei cori. Ha lavorato nella sanità, nelle aziende ed ora anche all’università (Anselmianum).
LinguaItaliano
EditoreChorabooks
Data di uscita31 gen 2021
ISBN9789887529422
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    Note di gestione - Bernardino Manzocchi

    SITOGRAFIA

    NOTE PRELIMINARI DELL’AUTORE

    Ø La presente pubblicazione è una rielaborazione della Tesi di Specializzazione «Il canto gregoriano strumento di sviluppo - Appunti e pratiche per una metafora formativa» dell’Autore al termine dei corsi frequentati presso la Scuola Romana di Psicologia del Lavoro; Relatore: Carlotta Rizzo; anno accademico 2012-2013.

    Ø Il presente scritto utilizza elementi di cultura cristiana a scopo formativo.

    L’autore intende precisare che, con la presente pubblicazione, non intende trattare o sollevare in nessun modo questioni di carattere: dottrinale, teologico o magisteriale di qualunque credo religioso.

    LA REGULA BENEDICTI INTRODUCE, CON QUINDICI SECOLI DI ANTICIPO, IL MODELLO DEI FRATTALI COME PARADIGMA GESTIONALE SISTEMICO.

    Sergio Bini

    È, per me, un vero piacere poter presentare questo interessantissimo ed efficace lavoro dell’amico e collega prof. Bernardino Manzocchi dedicato al Canto Gregoriano e alle lezioni che ne possono trarre tutte persone di buona volontà attratte dal bisogno di intraprendere un percorso di crescita interiore, a partire dalla dimensione spirituale (che potremmo dire di ascesi, nell’accezione etimologica, storica ed esperienziale del termine).

    È un volume che amplia l’orizzonte scientifico di quel filone della letteratura tecnica dedicata alla migliore gestione delle organizzazioni che trae spunto dalla rielaborazione delle lezioni impartite dall’applicazione dei principi della Regola di san Benedetto e dalla millenaria esperienza del monachesimo occidentale.

    L’« habitare fratres in unum» è uno dei pilastri fondanti del paradigma organizzativo della visione cenobitica della comunità monastica secondo il Patriarca Benedetto da Norcia [1] che caratterizza la «stirpe fortissima dei cenobiti» che «vivono in monastero, militando sotto una regola e un abate» [RB, I] secondo una modalità permanentemente, corale e stabile.

    Attilio Stendardi nella sua preziosa " Introduzione" all’edizione del 1975 della Vita di San Benedetto e la Regola sottolinea che: «… per esaltare ancora una volta il dato positivo del pluralismo di forme, tutte egualmente legittime, e l’inesauribile ricchezza spirituale di cui Benedetto è tuttora la fonte. Una cosa peraltro ci sembra certa, e in questo crediamo di concordare con la famosa asserzione di Viollet-le-Duc (La Regola di san Benedetto è forse il più grande fatto storico, anche considerato dal solo punto di vista filosofico), che il coro benedettino ha giocato il ruolo più determinante nella strutturazione delle forme liturgiche e del gregoriano, condizionando gli sviluppi successivi della musica, sì da poter affermare con buona approssimazione di verità che senza i Benedettini, oggi non avremmo neppure un J. Sebastian Bach così com’è». [2]

    " Il contegno durante la Salmodia" è il titolo del capitolo XIX della Regula Benedicti che fissa: «Noi crediamo che Iddio è presente dappertutto, e che in ogni luogo gli occhi del Signore osservano i buoni e i cattivi: ma più che mai e con piena fede dobbiamo crederlo quando stiamo all’Opera di Dio. Perciò ricordiamo sempre ciò che dice il Profeta: Servite il Signore con il timore. E ancora: Salmeggiate con sapienza. E: Ti celebrerò alla presenza degli Angeli!. Riflettiamo dunque come dobbiamo stare innanzi a Dio e agli angeli e cantiamo in modo che la mente si accordi con la nostra voce». [GM - RB, p. 161]

    Merita di essere ricordato che nella Regula uno spazio importante è stato consacrato all’«Ufficio Divino», al quale è dedicato – direttamente e/o indirettamente – un considerevole numero di capitoli; soprattutto i seguenti: Gli Uffici Divini nella notte [RB, VIII]; I Salmi dell’Ufficio notturno [RB, IX]; L’Ufficio notturno nell’estate [RB, X]; L’Ufficio notturno nelle domeniche [RB, XI]; Le Laudi mattutine [RB, XII]; Le Laudi nei giorni feriali [RB, XIII]; L’Ufficio notturno nelle feste dei Santi [RB, XIV]; In quali tempi si dice l’Alleluia [RB, XV]; L’«Opera di Dio» durante il giorno [RB, XVI]; Numero dei Salmi da recitarsi nelle ore del giorno [RB, XVII]; In quale ordine devono recitarsi i Salmi [RB, XVIII]; Il contegno durante la Salmodia [RB, XIX]; Riverenza nella preghiera [RB, XX]; I ritardatari all’Opera di Dio e alla mensa [RB, XLIII]; Quelli che sbagliano nell’Oratorio [RB, XLV]; Il segnale dell’Opera di Dio [RB XLVII]; Il lavoro manuale quotidiano [RB, XLVIII]; L’osservanza della Quaresima [RB, XLIX]; Fratelli al lavoro lontano dall’Oratorio o in viaggio [RB, L]; L’Oratorio del monastero [RB, LII] …

    Tra questi sembra particolarmente interessante richiamare il testo del capitolo XLVII dedicato a " il segnale dell’Opera di Dio": «Sia cura dell’abate annunziare egli stesso, di giorno e di notte l’Opera di Dio, oppure dia questo incarico a un fratello puntuale, perché tutto si faccia alla sua ora. Per ordine, dopo l’abate, intoneranno i salmi e le antifone coloro ai quali sarà comandato e non ardisca cantare e leggere se non chi può farlo con edificazione di quelli che ascoltano. Si faccia con umiltà e gravità e riverenza e solo da chi ne ha ordine dall’abate». [GM – RB, p. 197]

    La coralità dell’armonia avanza con la logica del «giogo».

    È nel capitolo RB, LVIII che si trova incastonata – come una pietra preziosa – una regola logica molto importante: «(…) quod ei ex illa die non liceat egredi de monasterio, nec collum excutere de sub iugo Regulae (…)» cioè: «(…) da quel giorno non potrà più uscire dal monastero, né scuotere il collo di sotto il giogo della Regola, (…)»; [GM – RB, pp- 214-215].

    Il concetto di " giogo" – pur comparendo in maniera quasi trafelata nelle pagine della Regula – rappresenta plasticamente come deve essere immaginata la vita corale del monaco all’interno del cenobio. Questo concetto, in particolare, viene evidenziato dall’evangelista Matteo che: «identifica nel Cristo il mite per eccellenza e anzi sia Cristo stesso. In quel passo, ad attribuirsi le doti della mitezza e dell’umiltà come propriamente sue: "Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero" (Mt 11,29-30). Cristo è mite e umile di cuore in quanto confida nel Padre (…), ciò va inteso nel senso della fede come fiducia e della speranza come certezza che ogni evento s’inscriva in un più ampio orizzonte (…)» [3].

    Il " giogo costituisce un concetto particolarmente interessante e riporta al passaggio del libro della Genesi quando venne affidato ad Adamo ed Eva – e la loro discendenza – il compito di soggiogare la terra. Al riguardo, infatti, merita di essere ricordato che il giogo è quello strumento antico che, posto sul collo dei buoi, consentiva al coltivatore di farli avanzare uniformemente – con lo stesso passo anche se i due buoi dovevano affrontare contesti differenti; uno calpestava il terreno duro da arare e l’altro il terreno già arato, quindi smosso che opponeva maggiore resistenza – per arare la terra realizzando dei solchi diritti. Nasconde, quindi, un principio formidabile: chi pone mano all’aratro", oltre a guardare avanti ed a non voltarsi indietro [4] ha bisogno del " giogo – che è uno strumento tangibile per i buoi ed intangibile per gli uomini appartenenti ad una comunità – che assicura un avanzamento di pari passo di tutti i componenti per la realizzazione del disegno del dominus" che governa il vomere.

    Al riguardo non si può non ricordare un passaggio della Lettera Enciclica Laborem Exercens, dedicata dal pontefice Giovanni Paolo II

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