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Fritto misto
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E-book305 pagine3 ore

Fritto misto

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Info su questo ebook

FRITTO MISTO è un libro di otto portate (metafisiche e immanenti) apparentemente eterogenee ma frutto della stessa mano; piatti cucinati artigianalmente, attingendo alle diverse esperienze, con materie prime di dubbia qualità ma certamente a km zero!

Niente preparazioni raffinate o soluzioni da gourmet, il fritto è un piatto onesto che scivola facilmente nell'indigesto e va preparato con cura.

La pastella e l'architettura del racconto, l'olio utilizzato e la cremosità della narrazione, la mano più o meno leggera del cuoco o dello scrittore, conducono a risultati diversi e spesso basta poco per soddisfare o deludere il lettore crapulone.

Mentre con il fritto di calamari sai a cosa vai incontro e con autore, titolo e trama, puoi immaginare che libro hai davanti (quello di racconti crea già maggiori incertezze), il fritto misto composto da alimenti ed elementi di dubbia natura e provenienza (gastronomica o letteraria) ti getta sovente nel panico, è come ordinare al ristorante senza consultare il menù!

24 Racconti e un'opera teatrale conditi da 18 foto e 3 illustrazioni impreziosiscono un testo che si lascia leggere (degustare) e ammirare.
LinguaItaliano
Data di uscita3 feb 2021
ISBN9791220313841
Fritto misto

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    Anteprima del libro

    Fritto misto - Riccardo Belli

    vizio)!

    Racconti

    Foto Joanes Andueza

    TRA I DUE LITIGANTI...

    IL TERZO GODE?

    Racconti

    Foto Joanes Andueza

    TRA I DUE LITIGANTI...

    IL TERZO GODE?

    Marco aveva l’ennesimo pomeriggio libero.

    Più si lambiccava sul come riempire le sue giornate, meno capiva perché gli altri non trovassero mai il tempo per completare un lavoro, una ricerca, vivere una relazione, giocare una partita di calcetto, fare le parole crociate sulla tazza del cesso. E soprattutto non gli era chiaro se era lui che si rifiutava di vivere la vita così come altri l’avevano impostata, o se era la vita che si dimenticava sistematicamente di lui.

    Marco era solo, ma anche lì, per scelta sua o degli altri? Anche questa era una pericolosa incertezza...

    La strada che stava percorrendo disponeva di un cinema posizionato più o meno alla metà del margine sinistro e quando Marco lo raggiunse, le domande che oramai si affastellavano disordinatamente nella sua testa, avevano raggiunto il punto di massimo scontro, ed egli giudicò saggio entrare per vedersi un film, una diversione opportuna per uscire dall’impasse.

    Entrò dunque nel cinema che il film era appena cominciato. I suoi occhi si abituarono lentamente all’oscurità.

    Muovendosi a tentoni nel buio della sala e sollevando le proteste di coloro che calpestava o costringeva ad alzarsi, faticosamente riuscì a conquistare un posto in penultima fila, proprio mentre la protagonista del film, che sembrava essersi accorta del suo arrivo, lo salutava affettuosamente.

    Una comoda poltroncina di velluto rosso e davanti a sé lo spazio sufficiente per distendere le gambe, dimostravano come la quota-parte del biglietto relativa alla struttura che lo ospitava era stata ben spesa, rimaneva da capire quanto lo fosse quella per il film.

    E mentre ora la protagonista gli girava le spalle e chiamava insistentemente un tipo magro e spettinato che sembrava disinteressarsi a lei, Marco intuì di essersi involontariamente posizionato tra due presenze negative, una alla sua destra, l’altra a sinistra. Il tipo A, quello di levante, era un uomo corpulento, con i capelli brizzolati e un ghigno beffardo; il tipo B, quello di ponente, era invece una giovane donna sui trenta, che indossava occhiali, tailleur e tacchi a stiletto.

    Un primo Stronza sibilò da levante a ponente cogliendolo di sorpresa e investendolo solo parzialmente, ma non fece in tempo a girarsi per capire quali danni avesse prodotto, che un Parli tu, figlio di puttana proveniente dalla sua destra lo colpì in pieno viso, prima di scaricarsi addosso al tipo A.

    Questa seconda bordata, meno potente della prima, era stata tuttavia assai più tagliente ed egli ne portava i segni.

    Per un tempo indeterminato le ostilità cessarono, tant’è che Marco pensò a una tregua ma quella calma apparente si dimostrò essere la classica quiete prima della tempesta.

    Il tipo A partì al contrattacco, accompagnando questa volta la parola con i fatti e al seguito di un A te e quel bastardo vi spezzo le gambe partì un ceffone a mano aperta diretto al tipo B; certamente la balistica era una scienza ignota all’uomo, tant’è che i calcoli si dimostrarono errati e il ceffone si arrestò più o meno a metà del suo percorso, finendo violentemente contro la nuca di Marco che annaspò vistosamente accusando la botta.

    D’un sol colpo tutte le domande, che ora ristagnavano quiescenti nella sua testa, furono sbalzate fuori, infrangendosi rovinosamente sulla spalliera della poltroncina davanti a lui.

    Non ebbe il tempo di godere di questo ritrovato stato di leggerezza, che il fendente da destra, una borsetta di pelle borchiata, arrivò potente e preciso, abbattendosi funestamente contro la bocca del suo stomaco.

    L’urto lo lasciò senza fiato e lo costrinse a piegarsi in avanti, permettendogli così di evitare l’ultimo colpo di bazooka partito da B e diretto al tipo A Potevi pensarci prima di scoparti quella troia .

    Beh... per quel pomeriggio poteva bastare!

    Si alzò barcollante cercando di guadagnare rapidamente l’uscita, nella speranza di evitare omaggi ulteriori dai suoi vicini di sedia.

    Una selva di improperi al suo indirizzo si sollevarono dalle file circostanti a causa del rumore provocato da quella fuga precipitosa, e proprio mentre era in vista dell’uscita, la protagonista del film, alla quale evidentemente non sfuggiva alcuno dei suoi movimenti, si girò verso di lui e con la voce ridotta a un soffio gli disse: Non andartene, sei tu l’uomo della mia vita, io non amo che te!.

    Troppo tardi, era già fuori, nel buio freddo della notte.

    Marco torna a casa di buon passo, ha le mani nelle tasche dei pantaloni e il cappelletto calato sugli occhi; ogni tanto si tocca lo stomaco ancora dolente... e pensa.

    Pensa che i rapporti tra un uomo e una donna, tra un uomo e un uomo, tra una pecora e un cane, finiscono bene solo al cinema, mentre nella vita le relazioni umane sono soggette a troppe variabili e qualche volta finiscono così, come per i suoi vicini di sedia.

    Marco ora sembra contento e anche sollevato, non crede più che la vita si dimentichi di lui, anzi è convinto che evitandogli di cacciarsi nei guai, il suo angelo custode gli sta gentilmente parando il culo... ancora per un po’!

    Marco ha quindici anni.

    SIRENE

    Volle rifare due volte lo stesso percorso.

    Risolse quindi di tornare sui suoi passi, ma incalzato dalle grida dei presenti che lo incitavano a spingersi in avanti, fu costretto, suo malgrado, a rinunciare.

    Questo subitaneo ripensamento però non era dovuto tanto al timore di ciò che lo attendeva oltre l’asse di legno e che credeva ormai di conoscere intimamente; l’aveva incontrata vis-a-vis diverse volte nella vita, senza tuttavia cedere al suo fascino.

    No, la decisione di tornare indietro era stata istintiva e dovuta a una specie di apparizione improvvisa che lo aveva sorpreso al termine della sua strada.

    Sentiva distintamente lo sciabordio delle onde frangersi contro le fiancate della nave, così come percepiva le contrazioni del suo cuore abbattersi rovinosamente contro le tempie.

    I legacci che serravano piedi e mani non gli consentivano slanci troppo generosi ed egli era costretto ad avanzare a piccoli passi verso la fine: aveva tutto il tempo di godersela quella voce melodiosa che lo chiamava e gli chiedeva di raggiungerla.

    Per mare di storie se ne raccontano tante e quella delle sirene era una di queste: creature mitologiche che ammaliavano i naviganti, per metà donne e per metà pesci.

    Non credeva di doverne incontrare, perlomeno non sui legni marciti di quella vecchia carretta; e invece era lì, davanti a lui, esattamente come l’aveva sempre immaginata: occhi di velluto, bocca di rugiada e seni di marzapane.

    Non trovò al momento nessun motivo valido per rinunciare a quella crostata di mirtilli che prometteva la salvazione eterna e dopo l’incertezza iniziale, arrancò determinato lungo quei due metri di vita che ancora gli restavano.

    Al momento di lasciarsi cadere tra le braccia della bella pescettona, fu grato al pungolo della fiocina che conficcandosi più volte nelle sue spalle, lo mise al riparo da ogni residuo ripensamento.

    Si convinse anche di possedere dell’ironia, forse un po’ malinconica, quando accolse con un sorriso amaro l’ultima verità: la vecchia signora, il cui fascino aveva sempre fuggito con grande abilità, era infine riuscita a sedurlo con il più clamoroso e sorprendente dei travestimenti.

    Fu un anno balordo quel 1595; ben 32 marinai furono giustiziati per diserzione dalla passerella di ponte della Botafogo, l’ultima vecchia carretta di Capitan Drake.

    DON’T DISTURBE

    Siamo soli in questa stanza, tu ed io.

    A cavallo di due sedie logore ci confrontiamo. I due specchi posti esattamente dietro le nostre spalle ci guardano e le immagini delle mie e delle tue solitudini si ripetono senza soluzione di continuità.

    Siamo soli in questa stanza tu ed io, più centinaia di uomini e donne che si replicano all’infinito, pronti a riprendere ogni nostro gesto, ogni respiro... e quando alzo la mano infastidito da questo affollamento, ognuno dei miei pari, mostra lo stesso gesto d’impazienza e si dice infastidito quanto me.

    Tu passi al contrattacco e mi accusi di misantropia, di non voler incontrare nessuno, forse addirittura di chiudermi al mondo; eloquenti sono le tue mani serrate una contro l’altra.

    Ma ecco che non sei la sola a lamentarti della mia dubbia socialità, alle tue spalle centinaia di donne contrariate e che invero ti somigliano un po’, manifestano tutte insieme la stessa stanchezza.

    Vorrei spiegarti che ti sbagli, che io e i miei amici, quelli che vedi dietro di me, siamo qui a testimoniare il contrario.

    Ora c’è di nuovo il tuo dito puntato contro di me, a cui fanno seguito centinaia di altre dita che inequivocabilmente mi indicano, tutte seguite dalla stessa accusa: incapace di aperture vere, me la faccio solo con quelli simili a me; evidenti i tuoi gesti e anche quelli delle altre, che riproducono certi miei atteggiamenti, alcuni miei peculiari modi di fare.

    Comunque, mi vien da dire, Tutte uguali voi donne! Provo a informarti che la somiglianza che cogli negli atteggiamenti e nel modo di essere è dovuta al club al quale tutti noi apparteniamo e che seleziona i suoi soci sulla base di caratteristiche comportamentali ed estetiche.

    Incredibilmente questa notizia produce in te una fragorosa risata, invero non so se divertita o di scherno; ma una ne sento e cento ne vedo; le tue amiche hanno perlomeno il pudore di ridere in silenzio.

    A questo punto noi maschietti ci consultiamo rapidamente, ma sono io il capo e quello che faccio io fanno anche gli altri; assumiamo tutti un atteggiamento tra il diffidente e il risentito, perché ognuno di noi, è questa un’altra caratteristica del club, è un po’ permaloso e tra il divertimento e la canzonatura, dietro quella tua risata, ha intravisto proprio quest’ultima.

    Ma ecco che, esattamente a questo punto, capita un fatto nuovo: tu e le tue accolite vi alzate dalla sedia, tutte nello stesso momento, una tale contemporaneità sa di prove fatte e rifatte, ma ancor più sorprendente è l’espressione del viso, la stessa dipinta su ogni volto e allora qualcuno dei miei azzarda che i cromosomi permettono a voi donne di rispondere emotivamente allo stesso modo, soprattutto quando viene stimolato il senso materno, quel prendersi cura di che seppur a volte sopito, tuttavia imperioso alberga nel profondo di ognuna di voi.

    Ora ti avvicini e... non credo ai miei occhi, mi fai una carezza. La tua mano è quella di tutte le altre.

    Ed ecco che involontario quanto inopportuno un melodrammatico senso di struggimento mi sale improvviso dal fondo dell’anima; meno male che tra le regole del club c’è l’autocontrollo, altrimenti saremmo tutti qui a piangere e questa stanza diverrebbe presto una tinozza.

    Afferro deciso la tua mano, così come fa il mio compaesano dietro di me e anche quello alle nostre spalle e via via tutti gli altri.

    La tua carezza è il tocco di un angelo di un qualche paradiso, è morbida e calda, è l’opportunità che offri, a una selva di permalosi come noi, di uscire dignitosamente da una farsa che rischia di diventare tragedia.

    Ed io la bacio quella mano, tutti noi pazzi sensuali, affondiamo la nostra faccia in essa, respirando avidamente il profumo leggero della pelle, grati, nonostante tutto, per questa scialuppa di salvataggio che ci viene inaspettatamente offerta. Horrible! direbbe l’old english tutor del nostro club, con la bocca contratta dal disgusto, alla vista di questo deplorevole spettacolo.

    Forse hai vinto tu, ma chi se ne frega... mi alzo e ti abbraccio e così fan tutti, una moltitudine di mani e di visi, di denti e di sorrisi, affolla lo spazio che infinito si replica alle nostre spalle. Ed è qui che accade, nel tempo di uno sguardo rapido di intese, qualcosa che gli altri non potevano immaginare.

    «Prendi la sedia e fai la giravolta, lo specchio in frantumi produce la svolta»

    Due graziose figurine, sul fondo di un bianco sipario, si girano danzando, sulle note di un vecchio carillon; l’uomo e la donna imbracciano le sedie che sono loro accanto e al termine di un’ardita piroetta, le lasciano andare contro gli specchi alle loro spalle che ovviamente fanno crash!

    Mille immagini si spezzano, le tue amiche vanno via senza salutare, i miei commilitoni abbandonano improvvisamente la mia vita: è forse l’ora di chiusura del club?

    Siamo di nuovo soli in questa stanza, tu ed io, c’è la nostra storia qui dentro e soffre maledettamente la presenza di testimoni.

    L’amore è un gioco esclusivo.

    Nel lasciare questa stanza, il vostro Cupido arretra silenziosamente verso la porta mentre sul fondo del bianco sipario, le due figurine nere incrociano ardentemente i loro baci.

    Sono fuori dalla stanza dell’amore, ho posato l’arco e la faretra con le frecce e chiuso la porta alle mie spalle; ora mi allontano, non prima però di aver girato il cartello appeso alla maniglia e che a tutela dell’intimità ritrovata, opportunamente intima: non disturbare!

    RIDE BENE CHI RIDE ULTIMO

    (GIOCO D’AZZARDO)

    Era una delle care, vecchie serate da Seth: il poker del venerdì; praticamente una consuetudine alla quale nessuno di noi avrebbe rinunciato.

    Seth, gran personaggio! Avvocato di cause perse ma socialmente rilevanti.

    Grande teatralità e senso della scena. Aveva dentro di sé il ritmo.

    E aveva un attico a Roma in via dei Coronari, regalo si dice, di una vecchia fiamma, ma se ne dicono tante...

    A casa di Seth non mancavano mai nell’ordine: la musica di Dave Brubeck, una o due bottiglie di Chianti Classico BROLIO Riserva e un mazzo di carte francesi ancora da sbollare.

    Cos’altro dalla vita? E poi c’erano gli altri:

    - Bruno detto Tarzan, ambientalista e animalista convinto, proprietario del Ranch, un piccolo maneggio sulle colline senesi che non disdegnava pantagrueliche cene a base di funghi e selvaggina;

    - Raffaele detto Raf per via della somiglianza con un cantante di leggera e per una certa tendenza a vocalizzare di frequente, era un apprezzato artigiano del cuoio con tanto di laboratorio a Tolfa, nei dintorni di Roma;

    - Federico Della Torre, con cognome dichiarato per via del blasone, era invece specializzato in chirurgia ricostruttiva della mano, grande naso e molte donne, un binomio praticamente inscindibile.

    E infine io:

    - Roberto Maria detto Roby Centogradi per via della carriera militare e per alcune rovinose speculazioni nel settore delle imprese di pulizia. Xenofobo e interventista con la passione per i fuochi d’artificio: praticamente una merda d’uomo!

    E poi c’era il tavolo verde: 5 giocatori per 36 carte.

    Di tutte le partite a mazzo ridotto, questa era senz’altro la migliore, nonché tecnicamente la più interessante e completa.

    E noi eravamo 5 per l’appunto, perlomeno abitualmente… ma non quella sera!

    E già, perché insieme a noi, proprio quella sera, c’era Deliah, un’amica francese di Seth: gambe lunghe e seno mozzafiato.

    Deliah sedeva al tavolo verde, ma non giocava, si limitava a guardare… a guardare le carte di Seth.

    Chi gioca a poker sa quanto sia fastidioso avere alle spalle qualcuno che sbircia il tuo gioco, ma Seth non sembrava preoccuparsene, anzi pareva che la cosa lo divertisse.

    La sorte quella sera aveva assegnato a Seth il posto di fronte al mio, cosicché ogni volta che alzavo lo sguardo, incrociavo fatalmente anche quello di Deliah e questo mi distraeva portandomi altrove.

    Il gioco ne pativa e la posta davanti a me si riduceva malinconicamente a tutto vantaggio di Seth e di Raf… finché accadde qualcosa!

    Notai sul volto di Deliah qualcosa che sulle prime non riuscii a decifrare, una contrazione delle labbra, una specie di smorfia che deformava impercettibilmente il suo viso.

    La cosa si ripeté nella mano successiva e non potei fare a meno di associare le smorfie con il risultato del gioco, identico nei due casi: Seth aveva vinto rilanciando forte dopo il cambio delle carte e sul cip degli altri giocatori.

    Una luce improvvisa si accese nella mia testa, Deliah mi stava segnalando qualcosa, forse un bluff del mio avversario.

    Possibile? E perché poi? Era la sua amica, non la mia, non riuscivo a capire le ragioni di questa delazione, eppure non potevo ingannarmi, le smorfie della mia dirimpettaia puntavano dritto verso di me.

    Decisi di ignorare la cosa e di concentrarmi sul gioco, ma inutilmente… trascorsi pochi minuti ero lì di nuovo a scrutare di sottecchi la morbida bocca di Deliah e quel bocciolo di rosa continuava dissennatamente a inviarmi segnali in codice che tra l’altro ora mi sembrava di cominciare a decifrare.

    Non so perché pensai che il mio fascino l’avesse stregata e mi convinsi che il suo aiuto fosse una conseguenza inevitabile di questa malia, fatto sta che smisi di pormi delle domande e accettai il suo gioco, assecondandolo.

    Le indicazioni che Deliah puntualmente mi forniva mutarono rapidamente l’andamento della partita, che adesso volgeva indiscutibilmente a mio favore.

    Tanto più l’avvocato si accaniva in continui bluff, forzando l’antico adagio dell’incudine e del martello (Se sei incudine statti, se sei martello batti), tanto meno questi andavano a buon fine e grazie all’aiuto di Deliah, io provavo un sottile e perverso piacere nello smascherarli senza fallo, uno dopo l’altro.

    La cosa andò avanti per un po’; avevo a questo punto accumulato una discreta fortuna, quando Seth, alleggerito ormai di numerose poste, capitolò; Tarzan, provato anche lui da una serata negativa ne approfittò per alzare le mani; Raf, dopo l’iniziale benevolenza della sorte, fu costretto a issare bandiera bianca e Della Torre a questo punto non poté fare altro che riconoscere la mia superiorità.

    Avevo sbaragliato il campo, messo in fuga gli avversari e fatto la conta del mio bottino: erano anni che non vincevo così tanto e dovevo tutto alle sapienti indicazioni di Deliah, che forse a causa del vino, ora mi sembrava non smettesse più di inviarmi.

    Decisi di ringraziarla evitando di farlo pubblicamente e cominciai ad avvicinarmi a lei con fare circospetto; quando ormai l’avevo quasi raggiunta, ella si alzò e rapidamente si congedò da noi con una stretta di mano leggera e piena di mistero.

    Vidi i suoi fianchi allontanarsi, ancheggiando sinuosamente e sparire dietro la porta della camera

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