La devozione di Turi
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Tempi bui e nivuri furono quelli che Turi e compari vis- sero; tempi bui e nivuri per quei contadini...
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Anteprima del libro
La devozione di Turi - Antonino Cicero
Il libro
I titoli, spesso, sono come i bambini che si rincorrono per strada: l’uno richiama l’altro, in una catena di rimandi che non sempre è facile trattenere. Questo libro ne ha abbozzato più di uno. Turi, contadino, uomo semplice e parecchio timorato, si agita tra la devozione religiosa e il suo amore per Maria, promessa in sposa a un forestiero. Accanto a loro ci sono taverne, bari e sacerdoti che serbano misteri; c’è un tesoro – che è la truvatura di tante leggende e di tanti cunti: e allora, per onesto che sia lo scopritore, il libro diventa il tesoro degli onesti
– e ci sono storie umane immerse in una narrazione che si snoda nell’arco di una sola notte. E quella notte venne e cantò
, mormorò e sospirò tra i miracoli e le rivolte della povera gente e dei soldati a difesa delle pance piene. In quella notte, tra Cinque e Seicento, sullo sfondo di una società siciliana arcaica e diseguale, Turi vide scorrere più accadimenti che in tutta la sua esistenza: e gli incanti
furono mutevoli
al pari del vento che sfronda rami e certezze. Come in un cerchio che mette dentro amore, superstizione e fede, con‐ vinzione e smarrimento, alla fine si torna al punto da cui si era partiti; ma più ricchi di prima, come solo un viaggio riesce a fare.
L'autore
Antonino Cicero, giornalista e scrittore, già docente di materie giuridiche ed economiche, ha collaborato con l’ateneo palermitano in qualità di cultore e ha curato testi e progetti (su tematiche differenti, come i linguaggi dell’arte o la legalità) messi in scena anche in collaborazione con le istituzioni scolastiche del comprensorio madonita. Autore ed editor per Edizioni Arianna, ha conseguito premi e riconoscimenti nell’ambito di concorsi letterari nazionali e internazionali.
«Se un uomo parte da certezze, terminerà con i dubbi; ma se si contenta di cominciare con dubbi, terminerà con certezze»
FRANCESCO BACONE
«La credulità è propria degli ignoranti, l’incredulità ostinata dei mezzi-dotti, il dubbio metodico dei saggi»
JEAN-FRANCOIS MARMONTEL
«Sappiamo di persone molto religiose che arrivarono a dubitare di Dio quando furono colpite da una grande sventura, benché loro stesse ne avessero colpa, ma non abbiamo mai visto nessuno perdere la fede in seguito a una fortuna immeritata»
LUDWIG BORNE
Prologo
Ai viaggiatori che hanno visto quanto le colonne fossero pezzi di legno nella mente; ai profeti che hanno udito i passi del mistero e poi il divino infrangersi di cammini mai sopiti; ai semplici che hanno conosciuto la verità del giorno e i dubbi del giardino capovolto, tra la notte e le luci dell’alba; a loro il mondo ha sempre cercato di dare risposte, scontentandone tanti e accontentando i pochi che hanno avuto il coraggio di entrare nelle viscere e poi esplodere in superficie. Come le piccole larve che sfrondano e graffiano la terra umida, penetrandola in quel buio corposo che sa di notte senza fine, mungendone le mammelle e cavandone umori e forti odori. Scavano lentamente, come le gocce che rimpiangono l’armonia e ingravidano le rocce, fino a togliere loro consistenza. Larve puntute, cornute, gonfie. Tronfie, perché capaci di deprimere la madre terra fino alla luce, per esplodere in superficie. Ancora.
Nei secoli dove tutto s’è preso, dall’idea che il mondo finisse alla puntura di nuovi insetti, a quel varco che non fu India ma fu Merica; nei secoli che seguirono – bui e con torti nella notte dei processi, che gravavano sulle teste dei cristiani come i tetti delle case dipinte d’oro e di peccato – ci furono scoperte, fedi arrugginite, cavalli di parata, musici d’aborto, capitani di avventure e baroni effeminati. Ci furono arti e parti, mosaici sbozzati e materie animate, peste avida e attrezzi di innovazione. Nei secoli che precedettero unità e stati nuovi, moderne vie e liberali intrecci; nei secoli in mezzo, nei tempi bui e di luce, nelle terre di mezzo dove tutto taceva e nulla s’acquetava; in quei secoli, a scendere per il buco picciolo di una ballata d’amore, in un punto preciso di quell’isola che aveva per confini mari nostri e alle spalle la violenza del fuoco sulle ringhiere dei monti scrostati; in quei secoli, a scendere scendere, sotto sotto, per trovare servi, umili e signore, donne di cuori e fimmini di borgata; nei secoli che s’affacciarono nel mezzo del millennio, in quel posto che fu contea e che narrò miracoli e poi pascoli, pacenzia e vossia, che nascose tesori e pigiò leggende dentro al tino come i gracili cocci di uva; in quel posto che è ovunque, che è posto preciso e dovunque compreso, lì uomini e donne piansero sulla terra che fu sistema.
Ogni sistema inghiotte sempre le ultime ruote di un carro che sbraita all’aria. Cigola, annaca, arranca, ma chi è portato sopra non è ruota. Che sta in basso, giù, a contatto con il fetore ammansito. Chi è portato è signore o scaltro, ricco o arricchito, nobile o pollastro. Ma sempre sopra è e ci resta per tutto il viaggio. Un viaggio – quello che della terra fece sistema