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I castelli delle tartarughe
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I castelli delle tartarughe
E-book296 pagine4 ore

I castelli delle tartarughe

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Info su questo ebook

I Castelli delle Tartarughe è un romanzo che rievoca un’avventura straordinaria vissuta in un mondo leggendario e arcano. I protagonisti si ritrovano, loro malgrado, a vagare in un mondo ignoto che li sospinge a visitare dodici castelli al tempo del Medioevo.
Un viaggio oltre il tempo. Un’infinita cavalcata nel mondo della fantasia, verso la conoscenza di personaggi misteriosi, indomiti dispensatori di magia e riti indecifrabili.

Saverio Marcante nasce a Piossasco nel 1950, dove risiede tuttora. È autore di due romanzi: I monaci di Fontebrad e, tratto da una storia vera, Fratelli Alpini.
LinguaItaliano
Data di uscita4 mar 2021
ISBN9791220273107
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    Anteprima del libro

    I castelli delle tartarughe - Saverio Marcante

    lettori

    1.

    La mostra

    Regnava il silenzio. Il sole aveva già superato il picco del mezzogiorno e nel parco della casa, in mezzo al verde sulla collina di Perugia, la pittrice Michela Nardi passeggiava fra le rose e i gelsomini. Da lassù si vedeva l’incantevole panorama che si sviluppava nella verde vallata del Tevere, per tutta la vita il ricordo di quel luogo fiabesco, costellato da intatti paesaggi naturali, aveva aleggiato nella mente di Michela. Passeggiava in un silenzio pieno di solitudine, cercò una pietra su cui sedersi, poi osservò il panorama attorno a lei, mentre il suo sguardo spaziava oltre la strada che, come un confine che delimitava il suo intimo territorio, cercava le radici del suo mondo.

    Viveva sola, Michela – i suoi genitori l’avevano lasciata a seguito di un incidente stradale – e lei in quel luogo si sentiva ispirata da quel panorama ricco di colori. Dal profondo del suo animo, era nata un’aspirazione artistica spontanea che, durante il corso dell’infanzia, era diventata una modalità esplorativa di se stessa e del mondo che la circondava, e in seguito, col passare degli anni, l’aveva portata a sentire esplodere la necessità di farne una scelta di vita consapevole. La pittura sembrava essere la via che meglio si adattava al suo pensiero e al suo modo di essere e di esperire il mondo; tutto ciò l’aveva ispirata alla creazione di opere geniali.

    Un giorno, mentre la luce solare filtrava dalla finestra, i suoi occhi caddero sulla scrivania: c’erano dei pastelli, alcuni libri e moltissimi ritratti; in quel momento, Michela aveva posato lo sguardo su un’istantanea che la ritraeva davanti alla scuola, scattata quando frequentava le elementari. Si ritrovò a pensare a quel periodo e, presa dalla nostalgia, dai suoi occhi scesero alcune lacrime.

    Aveva deciso quindi di uscire e di fare una breve passeggiata nel parco della sua abitazione.

    Il silenzio che regnava in quel luogo fu interrotto dall’abbaiare di alcuni cani a guardia dei casolari confinanti. In quel preciso momento giunse il vento dalla montagna vicina e lei, facendosi smuovere i suoi capelli biondi, si fermò a porgere il viso.

    Il giorno seguente decise di uscire quando le ultime ombre della notte si erano dileguate e spuntava l’alba. Portò tutto il necessario per un momento di pittura, e durante il percorso, poiché la salita era alquanto faticosa, si fermò svariate volte per riprendere fiato. Quando giunse finalmente alla meta, portò una mano sulla fronte per proteggersi dai raggi del sole.

    Decise di cercare un palcoscenico che le avrebbe permesso di osservare senza ostacoli il panorama, e per il resto del giorno, nonostante fosse stanca dal lungo cammino, dipinse riportando sulla tela il paesaggio naturale che si sviluppava attorno a lei.

    Rimase lassù fino a sera, attorniata dai cespugli, in quel luogo impervio in cui non c’era anima viva. Circondata dalla solitudine, Michela continuò a dipingere e, quando il sole aveva cominciato a declinare lasciando spazio al tramonto, la tela era risultata terminata. Stanca, la donna chiuse gli occhi e quando li riaprì si accorse che il sole era già da tempo tramontato oltre le alte catene montuose.

    Quella sera si levò improvvisamente un vento freddo che interruppe bruscamente quei dolci momenti e, mentre il vento le scompigliava i capelli, Michela decise di tornare a casa: si era fatto tardi. Sulla via del ritorno, scendendo il sentiero tortuoso del pendio, incontrò l’aria fredda e pungente e quando le stelle scintillavano nella notte già da tempo giunse finalmente alla sua abitazione.

    Aveva quarant’anni appena compiuti, Michela, era alta un metro e settanta, i suoi occhi verdi scaturivano dalla profondità del suo sguardo luminoso che allietava il cuore di chi aveva la fortuna di incontrarla, la sua voce dolce come l’amore lasciava vedere tutta la sua determinazione. Unica figlia di genitori molto anziani, già nella sua giovane età aveva lavorato presso un convento di suore, dove era rimasta per un decennio; in gioventù non aveva frequentato i suoi coetanei e si era trovata lontana dagli affetti dei famigliari. Nel convento, aveva trovato il conforto delle sorelle, la sua esistenza diventò routine, in quel luogo aveva trovato la fede religiosa che l’aveva spinta a frequentare assiduamente la cattedrale cittadina, nella quale a volte, finite le funzioni, sostava per molto tempo a contemplare le magnifiche vetrate da cui aveva avuto modo di trarre l’ispirazione per i suoi quadri.

    Le avventure sentimentali erano diventate per lei un desiderio lontano, in quanto nutriva il timore di perdere la propria libertà. Tutto ciò aveva rappresentato quasi un pericolo, durante la sua gioventù aveva resistito a molte proposte amorose.

    Quando lasciò il lavoro, accentuò la sua passione che la portò a un’intensa produzione pittorica.

    Michela aveva continuato nel suo percorso, distinto in diverse fasi. I suoi quadri erano caratterizzati da temi paesaggistici ed emergevano dal movimento della sua mano magica. La natura l’aveva sempre interessata perché credeva fosse la verità, l’essenza dell’esistenza, da contemplare. Dipingeva dal vero e usava la tela come fosse un vetrino, su cui ingrandire attraverso il pennello la concretezza delle cose che esistono, delle cose che restano. E cercava di capire di cosa fosse fatta la vita, la terra.

    Col passare degli anni aveva raffinato il suo stile personale e trasferito sulla tela un’intensa ricerca sul colore, privilegiando le forme astratte e indefinite e, tramite il pennello, intonando dolci armonie mettendo in luce i segreti della natura. Durante il suo primo periodo pittorico aveva dato il meglio di sé, creando dipinti ispirati a paesaggi immersi nella vita agreste, filtrati attraverso un genuino amore per i soggetti riportati.

    Numerosi quadri da lei dipinti erano stati analizzati, selezionati e catalogati da esperti periti. Un giorno aveva visitato una collezione e aveva avuto l’occasione di conoscere il perito Silver, al quale aveva espresso il desiderio di partecipare a delle esposizioni per valorizzare il suo percorso artistico e, nello stesso tempo, per ampliare il cerchio delle conoscenze nell’ambito delle mostre. Silver non era sposato; sulla cinquantina, capelli brizzolati e occhi scuri, aveva modi eleganti che lo avevano distinto dai suoi coetanei. Di statura media, nel suo sguardo profondo ci si perdeva nel colore nero dei suoi occhi. La sua passione per l’arte era iniziata negli anni Ottanta; poiché le condizioni economiche della sua famiglia non erano delle migliori non aveva frequentato studi d’arte, aveva perso la madre molto giovane e il padre aveva lavorato come operaio in una fabbrica di frigoriferi.

    Per sua fortuna aveva incontrato un grande ritrattista e da quel momento prese forma il sogno della sua vita, che si era dimostrato molto diverso da quello a cui era destinato dalla sua sfera sociale.

    L’ufficio di Silver si trovava nei pressi dell’Accademia delle belle arti di Perugia, ed era per pura coincidenza localizzato accanto a un negozio di quadri chiuso per il pensionamento del titolare. Al suo interno, una scrivania sul pavimento di legno intarsiato, numerose ampie finestre che assicuravano un’ottima illuminazione e alcuni mobili in stile impero completavano l’arredamento.

    Era un venerdì del mese di giugno quando Michela, impegnata nel suo studio a dipingere, sentì il suo cellulare squillare. Rispose di buonumore come era solita fare.

    «Buongiorno Michela, sta bene?» chiese Silver.

    «Buongiorno» disse lei con una voce infinitamente dolce.

    «Possiamo vederci?»

    «Quando vuole lei» rispose Michela molto sorpresa.

    «Bene, allora ci vediamo domani alle ore undici nel mio studio» confermò Silver traendo un profondo respiro.

    «D’accordo» esclamò lei con una certa agitazione.

    Quel sabato stava per diventare un giorno speciale per Michela: alle nove del mattino era uscita dalla sua abitazione, davanti ai suoi occhi apparve una magnifica giornata. Accecata dai riflessi dei raggi del sole, infilò le mani nella borsa ed estrasse un paio di occhiali hi-tech con le lenti gialle. Rimase alcuni istanti in attesa del taxi e, quando giunse, si sedette come era abituata fare, sul sedile posteriore. Il taxi, continuando la sua corsa, percorse alcune strade in discesa, poi si tuffò nel traffico caotico del centro e proseguì fino a quando non inforcò il viale che conduceva all’Accademia delle belle arti. Poiché era sabato, si trovarono immersi in un traffico intenso, con i marciapiede gremiti di persone impegnati ad ammirare le vetrine.

    Michela era una donna affascinante e non dimostrava i suoi quarant’anni; mentre camminava nel tratto pedonale aveva messo in mostra il meglio di sé, si era presentata all’appuntamento con una camicetta bianca su dei pantaloni neri attillati. Dopo alcuni minuti giunse al palazzo che ospitava lo studio di Silver: la porta risultava chiusa, si guardo intorno indecisa, poi guardò ansiosa l’orologio – erano le undici passate – lo rigirò attorno al polso, infine mise una mano nella borsa e si accinse a recuperare il cellulare; con un gesto spinse via i capelli dalla fronte, e mentre era intenta a comporre il numero si sentì toccare sulla spalla. Era Silver che la stava salutando.

    Michela si scostò ed esitò un momento, poi Silver con un radiante sorriso le diede il primo bacio.

    Rimasero a conversare per alcuni minuti e, mentre la voce di Silver scuoteva i suoi pensieri, Michela esordì: «Dove andiamo?».

    «Giù oltre quell’incrocio a destra c’è un bar» rispose Silver traendo un respiro.

    Proseguirono mantenendo un passo veloce. Nonostante si conoscessero da poco tempo, Michela aveva avuto modo di scoprire le qualità di Silver, un uomo tenace e onesto che secondo lei meritava completamente la sua fiducia. Fra i due era nato un grande rispetto.

    Avevano camminato veloci per alcuni minuti e raggiunsero la zona bar, dove un giardino ordinato pieno di fiori colorati abbelliva l’entrata del locale, il sole proiettava i suoi raggi sulle pareti del palazzo.

    Silver sorridente, appoggiando una mano sulla spalla di Michela, aprì la porta; cercarono un tavolino libero, subito si avvicinò il cameriere e loro ordinarono due aperitivi. Un ventilatore appeso al soffitto diffondeva un’aria leggermente fresca che avvolgeva ogni cosa.

    «Finalmente possiamo parlare con tranquillità» disse lei con un sospiro di sollievo, mantenendo un’aria rilassata.

    Con un gesto si era sistemata i capelli, poi con la mano li strinse.

    Il cameriere posò gli aperitivi, compreso un calice contenente delle olive e delle piccole cipolline.

    Gli occhi verdi di Michela si addolcirono per un istante: «È quello che desideravo» disse e Silver le sorrise.

    Fecero tintinnare i due bicchieri esprimendo un buon auspicio per il lavoro che doveva iniziare. Si parlarono a bassa voce e Silver le chiese cosa fosse il tempo per lei. Gli occhi di Michela si spalancarono nel suo viso bellissimo, mentre raccontava.

    «Ho uno strano rapporto con il tempo. Con la pittura cerco di tenere insieme presente, passato, futuro. In un certo senso lo combatto».

    La conversazione continuò spaziando sugli aspetti pittorici, era giunto il momento di presentare i risultati dei suoi lavori a un ampio pubblico.

    Michela in quei giorni era riuscita a convincersi sempre di più che si trovava sulla giusta strada.

    Silver conosceva personalmente il direttore dell’Accademia delle belle arti, un uomo fermo e risoluto, impegnato nel suo ruolo che riusciva a svolgere con la massima eccellenza ed entusiasmo. Dall’alto della sua carica distribuiva preziosi consigli e la sua scuola era il ritrovo di giovani talenti a cui non disdegnava distribuire incoraggiamenti.

    Quando il bar si affollò di clienti assiepati davanti al bancone della macchina del caffè e tutto diventò un farneticare rumoroso, decisero di uscire dal locale e di fare una passeggiata nel parco dove, all’ombra di un magnifico tiglio verdeggiante, trovarono un certo ristoro. Si sedettero sulla panchina del chiosco dipinto di viola, oltre la zona d’ombra il sole toglieva il respiro, a quel punto lui si alzò e ordinò due bottigliette di acqua minerale. Si dissetarono e ripresero la conversazione, lei aveva ascoltato con attenzione e lo fissò con i suoi occhi vivaci.

    «Il direttore che ho sentito pochi giorni fa mi ha invitato a far parte di una commissione, che si dovrà interessare della preparazione di una mostra già confermata il prossimo mese».

    «Che bella notizia» disse Michela rallegrandosi con Silver.

    Subito dopo, pensarono alla promozione pubblicitaria necessaria.

    «Tutto dovrà essere seguito da un buon management e da interessanti vernissage» disse Silver e in quel momento decise di confermare l’invito formulato dal direttore.

    A quel punto Michela trasse un respiro, mentre l’aria torrida del pomeriggio era diventata afosa costringendola ad asciugarsi il viso con un fazzoletto.

    «Sarò in ufficio domani verso le dieci e mi farò vivo con il direttore, sono molto felice di poterti aiutare» disse Silver trattenendo una certa emozione.

    I loro occhi s’incrociarono per un attimo, poi lei distolse lo sguardo per alcuni lunghi secondi, non sapendo proprio cosa dire in quel momento; probabilmente era giunto un momento molto importante, uno di quelli che ti porti nei ricordi per tutta l’esistenza. Così scelse una carezza con la mente socchiudendo gli occhi. C’era stata una pausa.

    «Andrà benissimo, sarà una bella rassegna, puoi starne certa» aveva continuato Silver.

    Michela si era sentita un po’ smarrita e confusa, in quanto non era riuscita a capire perché Silver fosse stato così comprensivo e disponibile nei suoi confronti; lo trovava diverso da tutti gli altri uomini che aveva conosciuto, senza dubbio era l’amore per l’arte che li accomunava.

    Lasciarono il parco e percorsero il resto del viale sino alla pensilina dell’autobus, lei diede un’occhiata all’orologio e trasse un sospiro. La città a quell’ora appariva semideserta, alla fermata c’erano numerose persone che protestavano in quanto, nonostante sul cartello degli orari non ci fossero avvisi, la corsa era stata eliminata. A quel punto non rimaneva che chiamare un taxi.

    Nell’attesa si allontanarono di una decina di metri dalla pensilina e continuarono a passeggiare sul marciapiede. C’era speranza nei suoi occhi, mentre splendevano come dei raggi di sole, lui era ancora al suo fianco e lei si sentiva sicura, consapevole e rassicurata sul suo futuro.

    «La strada è stata dura» disse lei.

    Quando raccontava non si vantava, ma parlava della sua vita con una sorta di stupore.

    Arrivò il taxi e sostò accanto al marciapiede, il tipo alla guida sbarbato di fresco chiese la destinazione.

    «Largo Cacciatori delle Alpi» rispose Silver.

    L’uomo al volante, dopo un gesto di conferma, diede un colpo di piede alla frizione innescando la marcia.

    La corsa durò una quindicina di minuti e, quando incontrarono una piazza affollata, il taxi rallentò per poi terminare la corsa. In quel momento Michela salutò Silver con un bacio sulla guancia.

    «Ciao, ci risentiamo appena ci sono delle novità» disse Silver mentre stringeva la mano della donna.

    «Arrivederci» rispose Michela con una dolcezza infinita.

    La vettura si fermò silenziosamente accanto a un’edicola, mentre il tassista fissava lo specchietto retrovisore Silver aprì la portiera e scese allontanandosi dalla piazza; Michela rimase sola, lo aveva guardato dal finestrino salutandolo con un gesto della mano. Poi il taxi aveva proseguito nel percorso imboccando le labirintiche stradine della periferia della città, incuneandosi fra gli stretti vicoli che si arrampicavano fino alla cima della collina.

    L’uomo al volante accese la radio e abbassò il volume: cercava una stazione che trasmetteva musica melodica. Diede un’occhiata allo specchietto.

    «Come mai ha scelto di abitare alla periferia della città?» chiese a Michela.

    Lei, assorta nei suoi pensieri, in quel momento sorvolò la domanda e diede una sbirciata fuori dal finestrino. Impiegarono trenta minuti per arrivare alla casa di Michela, poi la vettura si fermò in uno spazio accanto al muro di recinzione, il tassametro tacchettava lentamente sputando fuori il biglietto del conto da pagare, l’autista le aprì la portiera e balbettò qualche cosa che l’aveva fatta sorridere. Michela scese, salutò e si diresse al cancello, l’uomo la seguì ancora con lo sguardo, mentre Michela camminava con movenze perfette con le sue fantastiche gambe lunghe e snelle. Aprì la porticina del cancello e rimase per un momento a guardare in direzione della macchina che si stava allontanando.

    Trascorsero alcuni giorni, quando finalmente Silver si fece vivo; era il primo lunedì di luglio, alle undici del mattino Michela in piedi accanto al tavolino di mogano sollevò la cornetta del telefono, in quel momento apparve molto emozionata.

    «Pronto?» rispose con il suo classico tono di voce.

    «Buongiorno Michela, ti devo comunicare una bella notizia» Silver non perse tempo e, senza usare dei convenevoli, andò subito al sodo. «Ci sono delle novità».

    «Dimmi pure» rispose lei appoggiando una mano sul tavolino.

    «Poiché nel mese di agosto si svolgeranno delle mostre personali predisposte appositamente per pittori emergenti, mi sono accordato con il direttore ed è stato inserito anche il tuo nominativo» disse soddisfatto Silver.

    «Grazie!» rispose Michela emozionata.

    «Nei prossimi giorni mi farò vivo, così decideremo assieme come organizzare l’evento» disse Silver con un tono di voce tranquillizzante.

    «D’accordo Silver, va bene, è stato bello ascoltare le tue parole».

    Lui sorrise e salutò.

    Il luogo scelto per l’avvenimento era l’interno del Museo civico nel palazzo della Penna di Perugia; non riusciva quasi a crederci che tutto fosse vero. Michela estrasse le chiavi dal cassetto del suo comodino, aprì la porta della camera ventilata dove custodiva i suoi dipinti. Aveva spostato alcuni quadri appoggiati alle pareti e li aveva controllati a uno a uno, alcuni erano appesi e raffiguravano il profilo di alcuni noti personaggi. Fissò i dipinti con una speranza mista a ottimismo, non era facile scegliere, alla mostra non poteva di certo portarli tutti, anche se la tentazione prendeva il sopravvento l’impresa si presentava impossibile. Rimase ancora per alcuni minuti sola nella stanza con la porta socchiusa a riflettere in assoluta intimità, aveva appoggiato i dipinti significativi completi di cornice attorno al tavolo, alcuni vertevano sulla pittura paesaggistica, i frammenti di luce che si proiettavano nelle dolci aperture collinari davano la sensazione dello spazio aperto trasmettendo un’atmosfera particolare, erano forti di colore e di vibrazioni luminose, in uno c’era un fascio di luce che nella sua vivida lucentezza faceva trapelare un raggio di sole mentre una nube transitava velocemente spinta dal vento. In quei frangenti si emozionò, raggiunse le tende della finestra, le aprì e guardò fuori per allentare la tensione al pensiero di un traguardo per lei così importante. Qualche piccola luce brillava nella campagna mentre, oltre al debole chiarore del cielo, si poteva scorgere tutto il firmamento.

    Era tardi, decise di chiudere il suo scrigno segreto, uscendo dalla camera si soffermò in salotto per leggere i quotidiani.

    Il mattino seguente si svegliò presto, ancora stanca dalla notte trascorsa tra il dormiveglia; consumò la solita colazione e si mise in movimento. Quella mattina tutto sembrava diverso, la soddisfazione di aver incontrato Silver era immensa. Spinta dalla curiosità lo chiamò al cellulare e ottenne una forte rassicurazione; subito dopo si mise al lavoro, mancava poco alla mostra, solo un mese la separava dall’evento. La grande esperienza di Silver aveva accorciato i tempi delle indagini di mercato: quale conoscitore delle tendenze del momento, era già a conoscenza di molti dettagli possibili per agevolare l’eventuale successo che si era affacciato nella sua vita. Silver aveva insistito molto con lei sulle strategie promozionali e sulla pubblicità, aspetto da non sottovalutare, tutto era da programmare prima di iniziare l’allestimento per coinvolgere più persone possibili fra gli addetti ai lavori. C’era un’altro aspetto da non trascurare ed era l’inaugurazione, che doveva essere organizzata nei minimi dettagli. Non doveva mancare un buffet di bevande e cibo, anche la scelta della musica coinvolgente di sottofondo doveva essere piacevole. Acquistarono un registro da collocare su un tavolo all’interno del museo riservato ai visitatori, dove ognuno avrebbe scritto il proprio nome ed eventualmente la propria considerazione sui dipinti.

    Alcuni giorni seguenti Michela chiamò un taxi.

    «Destinazione città di Perugia, Palazzo della Penna» mormorò all’autista mentre saliva a bordo.

    Il viaggio era durato circa trenta minuti e giunse a destinazione alle nove del mattino, dove ad attenderla c’era Silver. Si trattava di definire gli ultimi dettagli. Durante la visita nei saloni interni del palazzo presero visione degli spazi interni e si concentrarono sulla possibilità di rendere necessaria una massima comoda fruibilità ai visitatori che avrebbero raggiunto la mostra. A tale scopo, controllarono il percorso dei mezzi e si preoccuparono di trovare un luogo per il possibile parcheggio. Incontrarono la curatrice e misero in risalto il problema di inserire dei fasci di luce nelle sale, accertandosi che fossero distribuiti uniformemente su tutte le tele esposte con la giusta intensità, così da mettere in risalto il più possibile le opere presenti nelle loro caratteristiche intrinseche. In un secondo tempo, si dedicarono alla precisa disposizione delle opere e valutarono la loro esatta distanza dallo spettatore, al fine di valorizzarne la visione. Non doveva mancare un vetro antiriflesso, cercarono inoltre di predisporre le opere evitando una luce diretta. Si trattava di partecipare a un’impresa impegnativa e iniziarono un percorso tutto in salita, consapevoli che i loro sforzi avrebbero alla fine ottenuto un certo successo. La mostra era un avvenimento troppo importante e non si poteva lasciare nulla al caso, quindi curarono i particolari in ogni loro minimo dettaglio, nella certezza di donare la giusta visibilità allo spazio espositivo.

    Erano le dieci del mattino di mercoledì quando, proprio davanti al cancello dell’abitazione di Michela, si fermò il furgoncino bianco del corriere incaricato al trasporto dei quadri; l’autista aveva suonato il clacson e si era fermato davanti alla casa continuando a tenere le mani sul volante, il suo viso metteva in mostra lineamenti che lo facevano apparire gentile e simpatico. Dagli spazi lasciati dalle sbarre della recinzione metallica vedeva il piccolo parco della casa, alcuni cespugli di rose allietavano la vista. Michela scese in giardino e, aprendo il cancello, gli aveva indicato il percorso; dopo alcuni minuti era arrivato Silver a bordo di una Porche di colore rosso fiammante. La parcheggiò sulla strada senza entrare all’interno e spense il motore, poi raggiunse Michela. Si salutarono sulla porta principale di casa.

    «Ciao» le disse stringendole fortemente la mano e avvicinandosi per baciarla.

    Poi Silver si sbottonò la giacca e diede una sistemata alla cravatta sulla camicia bianca, sorrise e scosse la testa.

    «Finalmente qui» disse con un sospiro.

    Lei lo fissò per un istante, poi sorrise per scacciare la tensione.

    «Andiamo a vedere i quadri».

    Un lungo corridoio conduceva alla grande camera dove erano depositati.

    «Mi raccomando, scegliamo i migliori» disse Michela.

    Silver la guardò con una risatina.

    «Nessuno è da escludere» disse per allentare la tensione.

    Michela aveva disattivato il sistema d’allarme rigirando la chiave nella serratura alcune volte.

    Entrarono sospingendo piano la porta, lei premette l’interruttore e accese la luce, poi corse alla finestra aprendo uno spiraglio di luce naturale spostando le tende. Silver si tuffò subito a esaminare i quadri, alcuni dei quali peraltro aveva già avuto occasione di periziare,

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