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Il ritratto
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E-book182 pagine2 ore

Il ritratto

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Info su questo ebook

Un omicidio misterioso camuffato da incidente, il furto del quadro di un famoso pittore, la strage in un bar frequentato da spacciatori e prostitute dove perde la vita il figlio di un industriale, sono alcuni degli ingredienti di questo noir con connotazioni surreali.
Protagonisti di questa storia sono un medico e una ispettrice di polizia nubile, ma con un figlio preadolescente a carico, preoccupata di trovare urgentemente una abitazione adatta alla madre che ha subito un infarto.
Alla base degli eventi il ritratto di una giovane donna che funge da catalizzatore per gli avvenimenti che, iniziati nel 1955, avranno conseguenze fino ai nostri giorni.
LinguaItaliano
Data di uscita8 gen 2021
ISBN9788855391054
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    Anteprima del libro

    Il ritratto - Antonio Frosina

    tela.

    Prologo

    Marzo 1955

    Livio Gherardi da ragazzo riceveva un’ottima paghetta, se rapportata a quella dei giovani della sua età e condizione sociale, ma in cambio, quando il custode della galleria d’arte dei genitori era assente per malattia o ferie, a lui toccava il compito di sostituirlo e trovava questo impegno particolarmente noioso. Se non c’era affluenza di pubblico rimaneva a leggere o a sonnecchiare nell’ufficio vicino all’ingresso, tanto a svegliarlo per segnalare l’arrivo di visitatori poteva essere sufficiente il cicalino della porta d’entrata. Quando invece arrivavano potenziali clienti, doveva seguirli da presso per comunicare su richiesta il prezzo dei quadri e delle sculture in vendita, nonché segnalare le loro peculiarità.

    Livio era un giovane piuttosto introverso e frequentava il quarto anno di liceo artistico. Aveva per l’arte un vivo interesse trasmessogli dai suoi genitori e una predisposizione per la pittura. Non aveva, tuttavia, ancora raggiunto uno stile personale che lo potesse far distinguere. L’insegnante di disegno apprezzava maggiormente ragazzi meno dotati, ma più fiduciosi nei propri mezzi e capaci di gestire il colore in maniera più audace di quanto non osasse fare lui. Tuttavia, un pomeriggio in cui sulla città imperversava un forte temporale e lui sostituiva il custode della galleria, avvenne un incontro che rivoluzionò il suo modo di dipingere. Mentre seduto alla scrivania dell’ufficio sfogliava un catalogo di pittura, pensando che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di dipingere come quegli artisti di cui stava ammirando le opere, si soffermò sulla pagina in cui veniva mostrato il dipinto di Johann Heinrich Füssli intitolato The Nightmare. Improvvisamente il bagliore di un lampo illuminò la stanza e la luce si spense. Livio fece un salto sulla sedia, non per il boato del tuono che ne era seguito, ma perché, un attimo prima che la corrente elettrica si interrompesse, il mostro accovacciato sul corpo della donna dormiente, che stava guardando in quel momento, gli aveva sorriso, spalancando la grande bocca a mostrare due file di grossi denti spaziati. Pensò che si fosse trattato di un gioco di luci e si sforzò di ridere di se stesso ma, per quanto cercasse di scacciarla, quella strana apparizione continuava a tornargli in mente.

    Pensò che distrarsi fosse l’unico modo per togliersi dalla testa l’immagine del mostro sorridente e decise di tornare a casa, tanto per quel giorno non c’erano potenziali clienti in lista ed era convinto che nessuno, con il brutto tempo, sarebbe andato in visita alla galleria. Dopo aver fatto il consueto giro di controllo partendo dall’ultima sala, munito per l’occasione di una torcia a batterie, stava per entrare in ufficio a prendere le chiavi che teneva nella scrivania, quando scorse all’ingresso, nella penombra, una vecchia signora che non aveva sentito entrare, giacché il cicalino della porta non aveva suonato per mancanza di corrente. Livio pensò che la donna si fosse fermata solo per ripararsi dalla pioggia, in attesa che il temporale si calmasse, e si chiese come farle capire, senza essere scortese, che avrebbe dovuto andarsene, dato che stava per chiudere. Ma l’anziana signora, prima che lui aprisse bocca, asserì di essere venuta specificamente a vedere il ritratto di una giovane che sapeva essere esposto in quella galleria. Livio inarcò le sopracciglia perplesso, convinto che la donna si sbagliasse. Non potendo, tuttavia, controllare sul catalogo al computer l’effettiva presenza del dipinto, l’accompagnò nelle varie stanze alla sua ricerca, illuminando con la torcia i quadri appesi alle pareti. La signora si arrestò davanti al ritratto di una bellissima ragazza dall’espressione sognante e Livio si meravigliò di non essersi mai accorto della presenza di quell’opera, che surclassava per qualità le altre. Ritenne, pertanto, che il quadro fosse stato appeso a sua insaputa molto di recente. Lo trovò straordinario per l’espressività che l’autore era riuscito a dare al soggetto e segnalò la propria ammirazione alla visitatrice che, invece, sembrava conoscerlo benissimo e gli fece notare che la ragazza cambiava espressione e direzione dello sguardo a seconda del lato dal quale la si guardava. Gli spiegò che l’artista, dotato di una tecnica eccezionale, aveva impiegato un’infinità di tempo perché il ritratto potesse presentare quelle caratteristiche. Aveva dovuto utilizzare una enorme quantità di colore, in modo che la figura fosse in rilievo, aumentando nell’osservatore la sensazione che si staccasse dalla tela. Inoltre, nelle pieghe di questo eccesso di colore, era riuscito a conferire espressioni diverse alla ragazza, a seconda dell’angolazione da cui veniva osservata. Livio rimase talmente impressionato dall’abilità dell’artista che decise che da quel momento avrebbe cercato di dipingere come lui. Quando però chiese alla donna altre informazioni sul suo conto, lei rispose che alla sua età era facile dimenticare i nomi e che il pittore, per quanto fosse tenuto in grande considerazione nei ristretti circoli degli intenditori, non era ancora famoso presso il grande pubblico, anche se sicuramente lo sarebbe diventato.

    La signora rimase a studiare il ritratto per diverso tempo, aggiungendo che, ogni volta che lo guardava, trovava ulteriori geniali peculiarità che non aveva notato in precedenza e che rendevano il dipinto unico nel suo genere. Infine, disse che era arrivato il momento di andarsene e ringraziò Livio per la sua disponibilità. Il ragazzo, sfoggiando una certa galanteria, rispose che era lui a esserle grato per quanto gli aveva fatto notare e sperava di poterla incontrare di nuovo. Lei rise e disse che la cosa non sarebbe stata possibile ma poi, guardandolo con serietà dritto negli occhi, aggiunse che l’incontro con Sara, la ragazza ritratta, sarebbe stato il momento determinante della sua carriera di pittore. Livio non comprese il significato di quelle parole e avrebbe voluto chiedere spiegazioni, se non fosse rimasto interdetto alla vista dei suoi occhi. Erano i più strani che avesse mai visto, di un colore grigio così chiaro da sembrare quelli di un cieco. Dato che l’anziana stava per lasciare l’edificio mentre ancora imperversava il temporale, il giovane le chiese se poteva darle un passaggio sotto l’ombrello, ma lei rifiutò decisamente e si affrettò a uscire. Ripensando alle parole pronunciate dalla donna, Livio ritenne che non valesse la pena rincorrerla per avere una spiegazione. Anche suo nonno, che doveva avere pressappoco la stessa età, faceva discorsi spesso incomprensibili, confondendo l’identità delle persone con cui parlava. Pertanto, alzate le spalle, si diresse allo studio per recuperare le chiavi della porta d’ingresso. Per riuscire a prenderle, dato che erano finite in fondo al cassetto della scrivania, si sedette sulla poltroncina che aveva occupato mentre guardava il libro di pittura. Proprio in quell’attimo tornò la luce e si ritrovò nella stessa posizione che aveva nel momento in cui era mancata la corrente, con davanti agli occhi l’immagine del quadro di Füssli.

    Prima di andarsene, volle accendere il computer per trovare nel catalogo della galleria il nome dell’autore del ritratto che gli aveva indicato la signora, ma dovette constatare che, stranamente, non figurava nell’elenco. Tornò allora nella sala per provare a leggerlo sulla tela, ma al suo posto trovò un dipinto diverso. Comprese, con sconcerto, che ciò che credeva di avere visto era stato solo un sogno, per quanto estremamente realistico. Ripensandoci, ne era conferma anche il fatto di non aver visto impronte bagnate sul pavimento, cosa impossibile se l’anziana signora fosse arrivata alla galleria mentre sulla città imperversava il temporale. Quel pomeriggio tornò a casa piuttosto turbato, chiedendosi se non soffrisse di allucinazioni.

    Fino al giorno dell’apparizione Livio aveva mostrato solo un discreto talento nella pittura, ma in seguito la sua arte migliorò talmente che lui per primo, e poi i suoi insegnanti, si meravigliarono dei suoi progressi. Suscitò anche l’interesse dei compagni di scuola che prima avevano sempre giudicato il suo modo di dipingere piuttosto manieristico. Fu per questo che gli accadde di ripensare spesso alle parole che gli erano state dette dall’anziana signora, durante quello che riteneva fosse stato un sogno.

    I progressi di Livio non si limitarono alla pittura. Quando, durante le lezioni, guardava verso la lavagna, veniva sempre attratto dal profilo della ragazza al primo banco che, se si era accorta delle sue occhiate, non l’aveva mai dato a vedere. A seguito, però, della sua nuova popolarità, lei iniziò a sorridergli incrociando il suo sguardo, tanto che lui, divenuto più sicuro in se stesso, si decise a chiederle se fosse disponibile a farsi fare il ritratto. Lei rimase lusingata dalla proposta e si mise a frequentare quello che lui chiamava pomposamente il mio atelier. Alla seconda seduta di posa finirono a letto insieme.

    «Non pensavo che sarebbe successo» mormorò lei più tardi, tenendo stretto il lenzuolo a coprire il seno acerbo, «e non vorrei che i nostri compagni lo venissero a sapere» aggiunse in tono di supplica. Lui si mise una mano sul cuore e giurò che non l’avrebbe detto a nessuno. Lei, rassicurata dal tono sincero delle parole, abbandonò la protezione del lenzuolo, lo abbracciò, inspirò l’odore della pelle di Livio e fu presa nuovamente dal desiderio. Fecero l’amore per la seconda volta e poi per la terza. A quel punto, per quanto lei continuasse a fiutare l’aria, si accorse che l’effluvio scemava.

    «Perché continui ad annusarmi?» chiese lui un po’ imbarazzato, temendo di avere una traspirazione maleodorante.

    «Hai questo odore che non avevo mai sentito addosso a nessuno.»

    Livio arrossì. «Ti dà fastidio?»

    «No, tutt’altro!» rise lei «È un profumo che fa perdere la testa!»

    Per motivi facilmente immaginabili, Livio impiegò parecchio tempo a terminare il ritratto ma, quando la ragazza lo mostrò in classe, venne molto ammirato da tutti, insegnanti compresi. Forse la loro relazione sarebbe continuata, se non si fossero messe di mezzo molte ragazze a fare la corte a Livio perché ritraesse anche loro.

    Fu quasi quindici anni dopo che si imbatté nella giovane del ritratto che pensava di aver sognato nel lontano marzo del 1955 e l’incontro avvenne in circostanze quantomeno drammatiche. Da quel momento Livio rimase sempre convinto di avere avuto un’esperienza extrasensoriale e il senso del surreale lo accompagnò per tutto il resto della vita.

    Capitolo I

    Maggio 2019

    La vite americana avvolgeva la casetta a tre piani come un sudario. I viticci, così uniti fra loro da sembrare tronchi d’albero, ne circondavano la base e svettavano verso quella che una volta era stata una terrazza, ma che ora era diventata un intrico di vegetali pieno di nidi di piccoli animali. Un enorme bulldozer era pronto ad abbattere la casa, appena gli operai avessero terminato di tagliare alla base la vite americana e a eliminare almeno una parte delle innumerevoli ramificazioni che vi si dipartivano. Il capomastro, un uomo massiccio dal ventre prominente e un sigaro in bocca, controllava l’operazione stando in piedi, torvo in viso, contrariato dal fatto che il taglio richiedesse più tempo di quanto avesse preventivato. Dato che la giornata era particolarmente afosa, ogni tanto si asciugava il sudore dal collo con un ampio fazzoletto a losanghe bianche, rosse e blu, curiosamente simile all’Union Jack. Dietro di lui, al riparo delle transenne, c’erano diversi sfaccendati, specialmente pensionati che non sapevano come impiegare il loro tempo e vedevano nell’operazione di demolizione un piacevole diversivo alla routine quotidiana.

    «Finalmente vi siete decisi a radere al suolo quella casa maledetta!» commentò un anziano rivolgendosi al capomastro. Questi fece finta di non avere udito, perché se c’era una cosa che gli dava fastidio erano le chiacchiere inutili.

    «Lo sa quante persone sono morte là dentro?» continuò il vecchietto e, dato che il capomastro non rispondeva, continuò a beneficio dei presenti: «Se ne contano decine. Con il buio la gente ha paura a passarci vicino e si dice che sia abitata dai fantasmi. Lei crede ai fantasmi?» chiese rivolto al capomastro. «No, probabilmente no» aggiunse, dato che quello non mostrava di voler rispondere. «Ma, se fosse passato da queste parti di notte, si sarebbe ricreduto. Si sentivano fruscii, scricchiolii, lamenti e ti attanagliava il cuore una sensazione di angoscia da far venire i brividi.»

    Il capomastro, cui l’esperienza non mancava, affinché la parete laterale non franasse tutta in una volta, aveva disposto che non tutti i viticci venissero tagliati prima di iniziare a segare il tronco principale della vite americana. Ma quando quello cedette, una parte del muro cadde improvvisamente addosso a uno degli operai intenti al taglio, non avendo fatto in tempo a scostarsi. I lavori furono momentaneamente sospesi per prestare soccorso allo sfortunato ma, in previsione di qualche incidente, per quanto ritenuto improbabile, era già posteggiata poco distante una autoambulanza. Un paramedico provvide a disinfettare e fasciare la spalla ferita del malcapitato, che aveva in testa il casco protettivo obbligatorio, in caso contrario difficilmente se la sarebbe cavata senza traumi di maggiore gravità.

    «Cosa vi dicevo» bofonchiò il vecchio rivolto agli altri spettatori «fino all’ultimo la casa dei fantasmi cerca di succhiare qualche vita.»

    Il capomastro sputò a terra un pezzo del sigaro che stava masticando e diede l’ordine al bulldozer di iniziare l’opera di demolizione.

    La casa, non più sostenuta dalla vite americana, crollò con facilità. Una ruspa iniziò a spostare le macerie mentre, poco discosto, un bulldozer sradicava i ceppi degli alberi che il giorno precedente gli operai avevano provveduto a tagliare. Quando però venne estratto il tronco più vicino alla casa, il capomastro, che stava guardando proprio in quella direzione, aggrottò la fronte e fece segno al guidatore di fermare il mezzo. Si avvicinò al bordo del

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