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Il meccanismo del tempo
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E-book166 pagine2 ore

Il meccanismo del tempo

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Info su questo ebook

Il fiume ha riflessi verde oro, un gabbiano rimanda il suo grido stridulo. La donna è rivolta verso il fiume e si sporge dal ponte. E David Davies è ossessionato dal desiderio di vedere il suo volto, finché c’è ancora tempo…
di Elisabetta Papakristo
David Davies è uno scrittore di successo. Un giorno vede una fotografia scattata quarant’anni prima, che ritrae l’immagine di una donna appoggiata al parapetto di un ponte, e quest’immagine comincia a ossessionarlo. Nei suoi sogni, la donna appare sempre in procinto di voltarsi, ma David non riesce mai a vederla in viso. Con questa donna si instaura uno strano legame, che persiste nella realtà e rasenta il desiderio, a cui il protagonista riesce a sottrarsi solo tramite la relazione con Alexis. Presto si rende conto di amare due donne: una reale, l’altra un sogno, ma di questo non è del tutto sicuro. I personaggi sono immersi in un’atmosfera a tratti irreale e il Tempo sembra essere il burattinaio che muove ogni ingranaggio della trama. Perché non c’è più tempo: non ce n’è per Alexis, che sa di avere come rivale la Donna del Ponte e deve affrettarsi a sconfiggerla, ma, soprattutto, non c’è più tempo per David.
LinguaItaliano
Data di uscita15 giu 2022
ISBN9788833286754
Il meccanismo del tempo

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    Anteprima del libro

    Il meccanismo del tempo - Elisabetta Papakristo

    Prima parte - La donna del ponte

    Prologo

    Il fiume aveva riflessi verde oro, un gabbiano rimandava il suo grido stridulo.

    La donna guardava il fiume sporgendosi dal ponte. Poi si raddrizzò, staccò la mano destra dal parapetto e l’anello che portava a un dito scintillò al sole.

    Fece perno sull’altra mano, compì mezzo giro su se stessa e si voltò.

    Spalle al sole, aveva il volto in ombra, ma David intuì il suo sorriso.

    Sorride. A chi? pensò.

    L’attenzione di David si focalizzò sul suo viso, che non riusciva a distinguere bene ma che lo incantava, lo seduceva, lo stregava.

    Da un momento all’altro lei si sarebbe mossa e i suoi lineamenti si sarebbero svelati.

    All’improvviso la luce cambiò, ma lui non riuscì a cogliere l’attimo e lei aveva già abbassato il capo.

    Il volto continuava a essere in ombra e il suo sorriso sembrava scivolare sul fiume, diventava tutt’uno con l’acqua e con il grido del gabbiano.

    David si svegliò, la fronte madida di sudore.

    Ancora lo stesso sogno, da mesi.

    Tornò con la mente a quando tutto era cominciato.

    Un anno? No, non era ancora trascorso un anno.

    Capitolo I

    Il libro era l’ultimo sullo scaffale a ridosso della parete. David Davies lo aveva preso e aveva iniziato a sfogliarlo.

    Vecchie fotografie, niente di interessante, aveva pensato. Nulla che potesse servirgli per ciò che stava scrivendo.

    I libri gli erano sempre stati utili per scegliere i luoghi e gli eventi nei quali far muovere i suoi personaggi. Per documentarsi, invece, di solito usava un sistema rigoroso e razionale: il computer, un mezzo non contaminato da sensazioni emotive.

    Per il testo che in quel momento stava scrivendo – in pratica quasi una biografia – voleva però che le sue mani, i suoi occhi e la sua mente fossero protagonisti, che non si limitassero a ricevere informazioni in maniera passiva e a recepirle alla stregua di un vaso vuoto da riempire. Voleva toccare con mano e scegliere con cura da quella inesauribile fonte di sapere che sono i libri.

    Così, era stato l’istinto – o il caso o il fato – a farlo entrare nella sala Documentazione fotografica del XX secolo e a far sì che si soffermasse proprio davanti a quello scaffale.

    Aveva sorriso: caso e fato erano parole che da pragmatico qual era non poteva accettare, se non come dissertazione salottiera.

    Eppure no, non c’era nulla che potesse interessargli in quel libro di vecchie fotografie, e per scrupolo, solo per scrupolo, aveva voltato l’ultima pagina.

    L’immagine lo aveva colpito come uno schiaffo. Ripensando a quella prima impressione, doveva ammettere che non c’era motivo per una simile reazione, nulla di violento in quella fotografia, che invece lo attraeva, lo intrigava, senza un perché.

    Non sapeva nemmeno se avesse un valore, dal punto di vista professionale. Doveva averlo, naturalmente, visto che era stata scelta per quella raccolta di Immagini rare, capolavori in bianco e nero.

    In ogni caso, non era la qualità dello scatto ad aver attirato la sua attenzione, quanto ciò che rappresentava: una donna che si sporgeva da un ponte e guardava un fiume impetuoso e alcune barche inseguite da un gabbiano. Era la figura della donna ad attrarlo: alta e slanciata, l’abito che sfiorava le caviglie e le fasciava i fianchi, le mani lunghe e sottili, un anello al dito medio della mano destra.

    Quasi soprappensiero, David aveva voltato pagina. La didascalia recitava: La donna del ponte, marzo 1967.

    Anno e mese della mia nascita, aveva considerato, quasi senza stupirsi.

    Era tornato a guardare l’immagine e aveva avuto un brivido. Nell’atto di voltare la pagina, aveva avvertito una strana sensazione.

    Uno scherzo della luce? si era chiesto.

    Era come se la figura della donna si fosse mossa, avesse staccato una mano – quella con l’anello – dal parapetto del ponte nell’atto di voltarsi e offrire le spalle al fiume.

    Aveva rifatto il gesto e voltato la pagina di nuovo. Dapprima lentamente, poi più in fretta, ma il movimento non si era ripetuto.

    Gli era rimasta l’impressione del sorriso di lei, che gli si era insinuato nella mente. Da quel momento in poi, molte volte lo avrebbe avvertito.

    Quel giorno, però, lo aveva attributo alla sua fervida immaginazione di scrittore, allenato a recepire qualsiasi sensazione gli derivasse dalle cose.

    Aveva osservato ancora per un attimo la fotografia, imponendosi di non pensare. Poi di scatto aveva chiuso il libro e lo aveva riposto.

    Nei giorni che seguirono, si era ritrovato ossessionato dalla donna del ponte; poi, però, con il passare del tempo, il ricordo era stato chiuso nello schedario della sua memoria, dove si agitavano i personaggi dei suoi libri, e non ci aveva pensato più, o almeno, così credeva.

    Quella donna dal volto in ombra non si era invece comportata come un semplice ricordo: aveva preso dimora stabile nella sua mente, si era accovacciata tra i pensieri e viveva nel suo inconscio. E quando si era affacciata alla soglia della sua coscienza, lo aveva fatto con la precisione e la concretezza di una vera presenza.

    Questo, però, David non poteva ancora saperlo.

    Capitolo II

    Nell’atto di alzarsi, David rimase per qualche istante disteso con il gomito puntato contro il materasso.

    Guardò il piccolo orologio sul comodino: segnava le sei e mezza del mattino. Ormai il sonno se ne era andato, ma non l’impressione di quel sogno. Si alzò.

    Sir Rupert, il Flat-coated retriever steso sul pavimento della camera, si spostò appena per lasciarlo passare. Lo specchio alla sua sinistra gli rimandò l’immagine di un uomo dalla fronte alta, lo sguardo acuto, naso diritto e aspetto provato. Gli indirizzò una boccaccia e proseguì per andare in cucina. Dal frigorifero prese un cartone di latte, se ne versò un bicchiere e accese la macchina del caffè. Quando fu pronto, si portò il tutto nello studio: tanto valeva lavorare.

    Si sedette davanti al computer e, mentre il sistema operativo si caricava, bevve il latte. Aprì il programma di posta elettronica, digitò la password – il nome del suo cane – e lesse l’ultima e-mail arrivata. Era del suo amico d’infanzia, Edward Wright, un tempo ricercato modello, poi architetto, diventato infine stimato fotografo di moda.

    Ti aspetto nel mio studio domani alle diciannove, lesse. Siamo invitati da Evelyn, ricordi? È il compleanno di George.

    Domani, pensò David, quindi oggi.

    Il cicalino della macchina del caffè si attivò e David si alzò. Tornò davanti al computer con una tazza di caffè fumante e aprì la cartella Enigma.

    Aveva iniziato ad annotare le sensazioni che gli rimanevano di quel sogno ricorrente per cercare di spiegare ciò che gli sfuggiva.

    Prima di cliccare sul file Sogno si lasciò andare a una riflessione. Da quando ho visto per la prima volta la donna del ponte è passato quasi un anno. Davvero l’ho vista muoversi, anche se in maniera quasi impercettibile?

    Sì, ne era sicuro. Dopo diversi giorni di turbamento, durante i quali lei lo aveva perseguitato come un incubo a occhi aperti, non ci aveva più pensato. Fino a qualche mese prima, quando erano cominciati i sogni ricorrenti.

    Perché? Ancora non riusciva a darsi una risposta.

    Sospirò e cliccò sul file. Digitò la data "16 maggio" poi, sotto, "Considerazioni: l’immagine è sempre la stessa. Stesse modalità: il movimento, il viso in ombra, il sorriso non visto ma intuito. E la sensazione di conoscerla. Particolari: l’anello. Il pensiero vi si è soffermato un attimo più del solito, ma ancora non riesco a distinguerlo perfettamente. Forse c’è una pietra incastonata, ma non ne sono sicuro."

    Si arrestò. Chiuse gli occhi e cercò di ricordare, ma fu inutile.

    Salvò, chiuse il file e spense il computer.

    Dopo una doccia veloce, chiamò Sir Rupert per la consueta passeggiata. In un attimo, il Retriever gli fu accanto, fremente e con la coda in movimento.

    ***

    Rosalind Baker, l’assistente di Edward, gli aprì la porta.

    «David», lo salutò con un lieve cenno del capo. «Dobbiamo fare ancora qualche scatto, non ci vorrà molto, ma tu sai come è pignolo Edward!» Fece seguire alle parole un gesto eloquente e continuò: «Aspetta nel suo studio, leggi, fuma... Anzi no! Non fumare. Serviti da bere. Insomma, fai quello che vuoi.»

    Lo squadrò da cima a fondo: abito scuro, camicia azzurra, cravatta Hermès. «Davvero elegante», aggiunse, e se ne andò.

    David percorse il corridoio dall’ampia vetrata e sbirciò nella sala di posa. Zaphire e Tatoo, in costume da bagno, ammiccarono senza muoversi di un millimetro, Lola-Denise agitò una mano, Andrea alzò gli occhi al cielo, Jasmine gli mandò un bacio, ma Isabel non resistette e corse ad abbracciarlo.

    «Isabel», ringhiò Edward. «David, sparisci!»

    Rosalind atteggiò le labbra in un muto Vai, vai, accompagnato da un gesto.

    Vado, vado, mimò David allo stesso modo.

    È incredibile come Edward riesca a mantenere i rapporti tra lui e le ragazze, senza attriti ed evitando gelosie, pensò. Certo, è un ottimo fotografo, e la maggior parte delle modelle sogna di lavorare con lui, ma è anche un uomo affascinante.

    Entrò nello studio. Ciò che colpiva di quella grande stanza era la luce, che filtrava da due grandi vetrate e che si rifletteva sulle pareti, illuminava gli scaffali, zeppi di libri e di riviste di fotografia, e la grande scrivania di vetro che si trovava al centro. Il mio sguardo a trecentosessanta gradi, così la definiva Edward.

    In quel momento, la luce del tardo pomeriggio sfiorava il divano di pelle nera e il basso tavolino, dove erano appoggiati una bottiglia di whisky single malt e un secchiello per il ghiaccio.

    David si versò da bere; poi, con il bicchiere in mano, si avvicinò a uno degli scaffali. Le dita scivolarono sui dorsi finché trovò il libro che cercava: Immagini rare, capolavori in bianco e nero. Era certo che Edward lo avesse.

    Lo prese e si accomodò sul divano. Cominciò a sfogliarlo, una pagina dopo l’altra, lentamente, quasi pregustando il momento in cui avrebbe visto l’immagine che aveva scolpita nella mente, fino all’ultima pagina, che voltò a occhi chiusi.

    Quando li riaprì, lo stupore gli fece spalancare la bocca. La fotografia era la stessa, identica a quella che aveva sempre davanti agli occhi – ne aveva una copia incorniciata sopra la sua scrivania – però mancava qualcosa, qualcosa di essenziale: la donna non c’era. Il ponte era vuoto.

    Guardò con attenzione. Le ombre erano allungate, le barche forse un po’ più vicine alla sponda opposta di come ricordava. La luce era diversa. La fotografia doveva essere stata scattata in un momento diverso.

    David voltò la pagina. Il mese e l’anno indicati nella didascalia erano gli stessi; il titolo mancava.

    Perché quella sostituzione?

    C’era un senso di attesa in quell’immagine. Il paesaggio sembrava come aspettare di venire completato, come se l’assenza della donna non lo rendesse vero, come se da lei aspettasse la vita.

    Si passò una mano sulla fronte; gli sembrava di essere il personaggio di un romanzo i cui fili erano tessuti da un abile scrittore.

    «David!» La voce di Edward lo riportò alla realtà.

    «Conosci il fotografo che ha scattato questa?» La domanda gli uscì dalle labbra quasi senza emozione.

    Edward guardò l’immagine e lesse il nome dell’autore: Vasiliy Nowakowsk.

    «Certo, chi non lo conosce? Nel nostro ambiente è una leggenda. Madre romena, pare fosse una principessa rom.»

    «Una zingara...»

    «Principessa», lo corresse Edward. «Il padre era russo, architetto o ingegnere. Ha fatto di tutto per poterla sposare, ma non è stato facile; ha dovuto dimostrare di esserne

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