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Storytelling aziendale: Come fare marketing nel mondo post-pubblicitario
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E-book266 pagine3 ore

Storytelling aziendale: Come fare marketing nel mondo post-pubblicitario

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Info su questo ebook

Molti professionisti del marketing e della comunicazione hanno capito che lo storytelling è il futuro e scelgono di mettere la “storia” al centro delle loro strategie. Scopri come!

Basato sul seminario più richiesto del leggendario maestro dello storytelling, Robert McKee, il libro spiega come LA NARRAZIONE possa PRODURRE SUCCESSI economici e di LEADERSHIP.
McKee ha trasformato con successo il modo di fare marketing di organizzazioni come Nike, IBM, Siemens, Samsung, Marriot International e Microsoft.

Robert McKee è un’autorità a livello internazionale per i suoi seminari di scrittura. E conta tra i suoi studenti numerosi vincitori di Premi Oscar ed Emmy Awards.
Thomas Gerace è esperto in marketing digitale e amministratore delegato di Skyword.

In Storytelling aziendale, gli autori attingono da decine di strategie e casi studio per presentare LA FORZA DELLA STORIA e dimostrare come lo storytelling offra risultati che superano la pubblicità tradizionale.

Il sogno di un commercio basato sulle storie è ancora un sogno.
Con Storytelling aziendale vogliamo trasformarlo in realtà.

La differenza tra dati e storia è questa: i dati elencano ciò che succede, LA STORIA ESPRIME COME E PERCHÉ è successo.

I dati espongono i fatti in base a quantità e frequenza, la storia rivela le casualità dietro le quinte di quei fatti. La storia elimina le causalità dietro le quinte di quei fatti, elimina i dettagli irrilevanti, si concentra sul cambiamento dinamico e poi rimodella i fatti in una struttura che collega gli eventi in catene di causa ed effetto che si dispiega nel tempo.


Scopri tra le pagine di Storytelling aziendale come diventare un marketer in grado di padroneggiare le tecniche di storytelling che semineranno e raccoglieranno frutti senza tempo, perché stanno inventando il futuro!

Il mondo degli affari è diviso in due pianeti diversi: il segmento tradizionale che anela a un passato più semplice e proficuo che non tornerà mai, e il segmento vibrante e imprenditoriale che sta reinventando il commercio davanti ai nostri occhi”.
Justin Smith - CEO di Bloomberg Media Group
LinguaItaliano
Data di uscita11 mar 2021
ISBN9788833621098
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    Anteprima del libro

    Storytelling aziendale - Robert McKee

    futuro.

    Parte I

    La rivoluzione del marketing

    01.

    Pubblicità: una storia di dipendenza

    Tutto iniziò… ingenuamente. Nel 1700, i settimanali con notizie dettagliate sulla vita e la politica locale nelle colonie americane prima spuntarono ovunque, poi diminuirono e scomparirono per due ragioni. In primo luogo per stampare occorreva una licenza della Corona, che proibiva espressamente la satira sui rappresentanti del re. Forse un fumetto che ridicolizzava il governatore reale avrebbe divertito i lettori che acquistavano il giornale, ma avrebbe garantito al fumettista un sacco di frustate. In secondo luogo, erano in difficoltà anche gli editori dei giornali che, politicamente, tenevano la testa bassa, perché la carta e l’inchiostro erano costosi e gli incassi dipendevano dagli abbonamenti, un lusso alla portata di pochi. La riduzione del numero di abbonati fece fallire la maggior parte dei giornali.

    Gli editori, per sopravvivere, avevano bisogno di un nuovo modello di business. La pubblicità era virtualmente sconosciuta, ma ogni nave di immigrati portava coloni ansiosi di avviare un’attività. Gli artigiani che aprivano il proprio negozio (dai bottai ai commercianti di tessuti) cercarono di spargere la voce; iniziarono a comparire inserzioni pubblicitarie sulle ultime pagine dei giornali, e questo rappresentò per gli editori una nuova e importantissima fonte di guadagno.

    I giornali che ospitavano pubblicità utilizzavano i nuovi incassi per abbassare le quote di abbonamento, aumentando in tal modo le vendite. Raggiungere più persone significava avere maggiore influenza e questo, a sua volta, permetteva agli editori di aumentare il prezzo delle inserzioni pubblicitarie. Man mano che la clientela aumentava, i commercianti acquistavano più spazi pubblicitari, i giornali andavano a gonfie vele e il commercio arricchiva le colonie in costante espansione. In poco tempo la pubblicità trasformò sia il settore editoriale che le imprese di cui era al servizio, finché i due divennero interdipendenti.

    Benjamin Franklin, uno degli editori di maggior successo di quell’epoca, sfruttò tale modello con particolare abilità, e insegnò personalmente ai leader aziendali i segreti del marketing su carta stampata. Le ultime pagine della sua Pennsylvania Gazette si riempirono di inserzioni, e il giornale divenne presto il più gettonato a Philadelphia. Sulla scia di questo successo economico Franklin creò un network intercoloniale di giornali dalla Carolina del Sud al Connecticut, cosa che gli fece guadagnare il titolo di Santo Patrono della Pubblicità¹.

    In quell’epoca i commercianti capirono che più l’inserzione era visibile più aveva impatto, ma per la maggior parte le pratiche standard dei giornali consistevano nell’appiccicare le pubblicità le une alle altre nelle ultime pagine, con qualche articolo in mezzo. Le imprese sperimentarono con dimensioni, design, font e posizionamento della pubblicità sulla pagina, cercando nuovi modi di colpire i lettori con il proprio messaggio e, con il tempo, scoprirono che la strategia pubblicitaria più efficace era l’interruzione, cioè mettere le inserzioni proprio sotto gli occhi di chi sta leggendo una storia. Tale tecnica cattura l’interesse del lettore con il racconto di una notizia, poi lo interrompe a metà con un messaggio pubblicitario. L’improvvisa intrusione nel processo di lettura e di pensiero spinge forzatamente il messaggio nella coscienza del consumatore.

    Inizialmente gli editori, temendo di irritare i propri abbonati, rifiutarono questa tattica, ma erano talmente dipendenti dagli incassi generati dalla pubblicità che ben presto adottarono regolarmente tale pratica per i propri giornali, costringendo i lettori ad attraversare tutte le inserzioni per finire di leggere una storia iniziata in prima pagina.

    Con il senno di poi, oggi noi capiamo che le intuizioni di quei giornalisti del 19° secolo erano corrette: più interrompiamo i consumatori, meno rendiamo soddisfacente la loro esperienza complessiva. Fin dagli albori della pubblicità, il fatto che quest’ultima interrompesse dei contenuti (che fossero notizie, narrativa, sportivi o altri eventi dal vivo) ha sempre suscitato un certo fastidio; il pubblico ha semplicemente imparato a tollerarlo.

    Alla fine del 19° secolo le città erano collegate da ferrovie, che permettevano ai produttori di andare ben oltre i limiti delle consegne locali tramite furgone. Le imprese si lanciarono alla conquista di mercati in rapida espansione, adattando le proprie campagne da locali a regionali e, infine, nazionali. Ivory Soap fu uno dei primi brand a lanciare una campagna veramente a livello nazionale, con un investimento pubblicitario iniziale di undicimila dollari.

    Nel 1897 il grande successo aumentò il budget di Ivory a trecentomila dollari e gli fece guadagnare un 20% stimato di quota di mercato nazionale al suo apice. Presto molte altre rinomate aziende fecero altrettanto.

    I giornali non erano che l’inizio. Nei primi anni del 20° secolo l’inventore e imprenditore Guglielmo Marconi sperava di usare i propri brevetti per controllare tutte le comunicazioni senza fili e creare un modello di abbonamento per la radio. Ma nel 1906 un trattato internazionale firmato a Berlino decretò che nessun individuo, azienda o paese avrebbe potuto monopolizzare le onde radio. Pertanto, le prime emittenti furono costrette a istituire i primi media completamente supportati dagli annunci pubblicitari².

    Quando negli anni Quaranta iniziò la televisione commerciale, le emittenti televisive adottarono i metodi di interruzione pubblicitaria della radio, e la TV divenne presto il mezzo di comunicazione predominante: le tre principali reti (ABC, NBC e CBS) raggiunsero, al loro culmine, un totale di cinquanta milioni di telespettatori ogni giorno in prima serata. Per sessant’anni la pubblicità televisiva fu il principale mezzo tramite cui gli americani venivano a conoscenza di nuovi prodotti.

    La televisione sovrastò tutti gli altri media, perché abbinava la capacità di raggiungere le masse, la ricchezza visiva del messaggio e la garanzia di ottenere l’attenzione degli spettatori. Nel tempo i marketer investirono sempre più denaro nella pubblicità televisiva, facendo crescere la domanda di spazi pubblicitari.

    E con quell’investimento aumentò anche la dipendenza pubblicitaria: le media company non erano mai sazie, e iniziarono a stipare sempre più annunci in ciascuna ora di trasmissione per aumentare i propri incassi e profitti. Negli anni Cinquanta le pubblicità occupavano quattro minuti per ogni ora di televisione; negli anni Settanta questo tempo era raddoppiato. Ma con la crescita della TV via cavo negli anni Ottanta, e l’avvento di Internet negli anni Novanta, il pubblico si frammentò e i tempi pubblicitari per ciascuna trasmissione iniziarono a diminuire. Le reti e i canali via cavo supportati dalla pubblicità si affannarono per mantenere i guadagni imponendo ancora più pubblicità a un pubblico in costante calo. Nel 2011 le reti via cavo trasmettevano quasi un minuto di pubblicità ogni tre.

    La resistenza dei consumatori

    Nel 2006, però, ai consumatori arrivarono in aiuto nuove tecnologie per saltare gli annunci pubblicitari. TiVo, dispositivo per la registrazione di video, lanciò sul mercato la possibilità di saltare 30 secondi come principale vantaggio. Presto le emittenti via cavo lanciarono il servizio di Video on Demand (VOD), che permetteva agli abbonati di evitare le pubblicità più agevolmente che mai. Uno studio dell’Association of National Advertisers and Forrester Research mostrò che i marketer guardavano all’adozione di tali servizi con nervoso pessimismo: il 70% degli inserzionisti intervistati pensava che i DVR [Videoregistratori Digitali] e i VOD avrebbero ridotto o annullato l’efficacia dei tradizionali trenta secondi di pubblicità³.

    Nel 2006 la rivista Advertising Age pronosticò: Quasi il 60% degli inserzionisti afferma che, nel momento in cui i DVR saranno presenti in trenta milioni di case negli USA (come previsto entro tre anni), spenderà meno in pubblicità televisiva convenzionale; di questi, il 24% taglierà il proprio budget televisivo almeno del 25%.

    La rivista Time riportò che dal 2009 al 2013 il costo medio di una pubblicità televisiva di trenta secondi in prima serata era crollata del 12,5%. Quando il calo dei costi degli annunci fece diminuire gli incassi delle reti finanziate dalla pubblicità, queste ne infilarono ancora di più nelle loro trasmissioni, anche se a minor prezzo. Nel febbraio 2015 il Wall Street Journal riferì che le reti via cavo stavano leggermente velocizzando l’azione per ricavare più tempo per le pubblicità in ciascuna ora di trasmissione. Secondo il Journal, un responsabile di studio televisivo affermò: «La cosa sta sfuggendo di mano. Le performance degli attori vengono seriamente danneggiate trasmettendo gli spettacoli in questo modo».

    Per continuare a incassare le media company sperimentarono nuove opzioni, spostando i contenuti a servizi come YouTube in modo da poter anteporre le pubblicità trasmettendole prima di brevi video⁴. Hulu [servizio internet di video su richiesta operante nella distribuzione di film, serie televisive e altri contenuti d’intrattenimento] non abbandonò le vecchie abitudini, e riciclò lo stesso vecchio modello di interruzione pubblicitaria che un tempo funzionava per le trasmissioni televisive. In ogni caso, i marketer poterono almeno garantire che gli spettatori vedessero i loro annunci, perché i loro media partner impedivano l’avanti veloce per saltarli.

    Tuttavia, queste nuove possibilità avevano un prezzo. Nel 2013 il costo degli annunci mirati in video online aveva superato quello della pubblicità televisiva, perché le pubblicità prima dei video su YouTube e le interruzioni su Hulu garantivano di essere viste e la visibilità online permetteva un targeting più efficace⁵.

    Si stima che nel 2016 i marketer abbiano speso la cifra di 605 miliardi di dollari in pubblicità in tutto il mondo. Per la prima volta la spesa per le inserzioni online ha superato quella per gli annunci televisivi, con budget riservati sempre più a Facebook e YouTube⁶. E si prevede che nel 2017 la pubblicità continui a crescere, anche se a ritmo più lento, e che le media company vecchie e nuove continuino a cercare nuovi modi di interrompere i consumatori per conto di brand marketer, tutto ciò negando agli spettatori la migliore esperienza possibile⁷.

    Ma una cosa importante è cambiata.

    La rivolta dei consumatori

    Sebbene ai suoi albori Internet mettesse in comunicazione il mondo, e offrisse agli utenti una velocità sufficiente a navigare e leggere articoli, le connessioni non erano abbastanza veloci per trasmissioni video accettabili: su YouTube anche brevi video necessitavano di tempo per caricarsi, altrimenti si bloccavano durante la riproduzione.

    Ma nel 2005 negli Stati Uniti l’adozione della banda larga nella case superò l’analogico, e questa connessione più veloce rappresentò una rivoluzione per gli utenti: la possibilità di scegliere.

    Pensate a Netflix, inizialmente lanciato come servizio di abbonamento DVD nel 1999 in competizione con Blockbuster e altri negozi di videonoleggio⁸. In seguito alla diffusione della banda larga, nel 2007 Netflix lanciò un servizio basilare di streaming che offriva ai consumatori la possibilità di guardare una ristretta selezione di film della libreria di Netflix sul proprio computer portatile. Un anno dopo l’azienda lanciò il servizio su console di gioco e set-top box che permettevano di guardare comodamente Netflix dalla TV del soggiorno.

    I primi utenti di Netflix apprezzavano il fatto di poter accedere istantaneamente ai loro film preferiti e, successivamente, alle loro serie televisive preferite e goderseli completamente senza pubblicità; pagavano volentieri una semplice quota di abbonamento di circa dieci dollari mensili in cambio dell’accesso illimitato. Netflix utilizzò i nuovi incassi degli abbonamenti per ampliare la propria biblioteca, aggiungendo costantemente film e poi spettacoli televisivi, di cui l’azienda acquisiva la licenza da media partner tradizionali.

    Gli abbonamenti crebbero a dismisura. Nel quarto trimestre del 2016 Netflix superò i 93,8 milioni di abbonati, sovrastando la portata delle emittenti televisive e delle reti via cavo⁹. L’azienda si sta espandendo sempre più velocemente, con oltre due milioni di abbonati in più ogni mese nei paesi di tutto il mondo.

    Gli incassi dei sempre più numerosi abbonamenti rappresentano un’arma competitiva potente per Netflix. Per ampliare e mantenere il numero di abbonati, Netflix ha adottato il modus operandi di HBO [emittente televisiva statunitense a pagamento via cavo e satellitare di proprietà di Home Box Office, sussidiaria di WarnerMedia] e ha iniziato a investire in una programmazione originale. Serie di Netflix come House of Cards e Orange Is the New Black hanno creato un’avida schiera di fan che spargono la voce parlando di Netflix online e offline. Nel gennaio 2016 il Wall Street Journal riferì: Con […] un budget di contenuti di 5 miliardi di dollari per quest’anno, Netflix vuole superare l’offerta di quasi tutte le reti televisive locali o servizi di streaming¹⁰.

    Ripensandoci sembra semplice: Netflix è tornato allo stesso modello di abbonamento ai media su cui si basavano i primi giornali. Ma anziché cedere alla tentazione della pubblicità, che avrebbe messo in conflitto le motivazioni economiche dell’azienda e i desideri degli utenti, Netflix ha tenuto in armonia le due cose: l’azienda si è impegnata a offrire ai propri clienti la migliore esperienza di intrattenimento possibile, e questo significava non interromperla con annunci pubblicitari.

    La clientela ha risposto scegliendo Netflix per i propri momenti davanti alla TV. Nel febbraio 2017 CNBC [Canale televisivo a pagamento americano] riferì che gli utenti Netflix guardano 116 milioni di ore di programmazione ogni giorno, completamente senza pubblicità. Dal punto di vista di un marketer si tratta di 116 milioni di ore ogni giorno in cui i propri clienti spariscono, esclusivamente a causa di Netflix.

    Netflix ha ispirato un intero settore. HBO NOW e HBO GO, servizi over-the-top¹¹ lanciati da HBO nel 2015, hanno richiamato un pubblico di oltre 25 milioni di persone solo per Game of Thrones nel 2016¹². Nel marzo 2017 Spotify aveva 50 milioni di abbonati al servizio di musica premium senza pubblicità, e l’anno precedente aveva guadagnato 20 milioni di abbonati in più¹³. Apple ha registrato 27 milioni di abbonati al proprio servizio di musica senza pubblicità nei primi due anni di attività, aggiungendone mensilmente oltre un milione¹⁴. YouTube ha introdotto un’opzione senza pubblicità nel settembre 2015.

    Persino Hulu, rivale di Netflix, che ha lanciato un competitivo servizio di streaming un anno dopo Netflix, alla fine ha capito. Hulu fu creato come joint venture tra 21st Century Fox, NBC Universal e Walt Disney Co. con lo scopo, a differenza di Netflix, di portare online il tradizionale modello di pubblicità delle reti televisive. Hulu faceva pagare una quota di abbonamento inferiore a quella di Netflix, e mostrava annunci pubblicitari prima e durante la programmazione.

    Ma nel giugno 2015 il messaggio del mercato era chiaro: il pubblico di Hulu era di nove milioni di utenti, solo il 14% di quello totale di Netflix in quel momento. Hulu annunciò di prendere in considerazione altre opzioni.

    Tre mesi dopo Hulu capitolò e lanciò un servizio senza pubblicità per soli due dollari in più al mese. L’azienda inviò un messaggio agli ex abbonati, ringraziandoli per aver indicato la strada da percorrere e invitandoli a tornare con Hulu questa volta per un’esperienza senza pubblicità.

    CSB imparò una lezione simile. Nel novembre 2014 lanciò All Access, un servizio over-the-top in abbonamento che comprendeva interruzioni pubblicitarie; nell’agosto 2016 cedette alla richiesta degli utenti e iniziò a offrire una versione senza pubblicità per soli quattro dollari in più al mese¹⁵.

    Toccare il fondo: il declino dei media tradizionali

    Il 22 gennaio 1996 il New York Times lanciò la sua versione online, offrendo ai propri lettori di tutto il mondo l’accesso alle notizie la notte stessa della pubblicazione. Con lo spostamento dei lettori su Internet, la circolazione dei giornali statunitensi crollò del 37% dal 1990 al 2015; il calo più rapido degli abbonamenti si verificò nel 2005¹⁶.

    Nel 2006 i marketer riconobbero la tendenza: nei quattro anni successivi dimezzarono la spesa per le pubblicità sui giornali, e continuarono a ridurla anno dopo anno. I giornali risposero abbassando i costi, sacrificando gran parte del contenuto amato dai propri abbonati.

    Per un certo periodo di tempo la bassa velocità di connessione protesse le emittenti, e gli spettatori erano costretti a rimanere davanti allo schermo se volevano vedere programmi di lunga durata. Ma oggi l’influenza del fenomeno Netflix fa sentire il suo peso. Nel 2010 la tradizionale audience della pubblicità televisiva iniziò a declinare rapidamente¹⁷.

    Con i marketer che si adattano al calo di pubblico televisivo, la pubblicità in TV sta iniziando a seguire le orme dei giornali¹⁸. La riduzione di investimenti in pubblicità su carta stampata, verificatasi nel 2007, iniziò a colpire la televisione nel 2015¹⁹.

    Banner blindness e ad-blocker

    Ma la rivolta dei consumatori contro la pubblicità non si limita all’adozione di servizi di streaming per video e musica. Dal 2008 i marketer si trovano di fronte a un fenomeno chiamato banner blindness (letteralmente, cecità ai banner): i lettori, scorrendo una pagina internet, evitano letteralmente di guardare le pubblicità. Il fenomeno è stato inizialmente identificato da studi con eye-tracking [tracciamento dello sguardo del lettore], che utilizzano la tecnologia per monitorare quali parti di una pagina internet gli utenti guardano veramente²⁰.

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