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Il paladino dell'ombra: Il ciclo di excalibur
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E-book112 pagine1 ora

Il paladino dell'ombra: Il ciclo di excalibur

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Info su questo ebook

Il malvagio Paladino dell'Ombra Samhain vuole conquistare il mondo per trasformarlo in una landa desolata. Solo un essere umano può sconfiggerlo ed è così che il giovane stregone Merlino entrerà in un mondo abitato da Elfi, Fate, Orchi, Demoni e Draghi dove potrà trovare delle risposte sulle sue oscure origini.
LinguaItaliano
Data di uscita13 lug 2018
ISBN9788828350217
Il paladino dell'ombra: Il ciclo di excalibur

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    Anteprima del libro

    Il paladino dell'ombra - Nicolò Zanon

    17

    Prologo

    La luna risplendeva di una luce spettrale. Il silenzio circondava il castello di Merlot o come lo chiamavano i Romani Merlotus. Neanche una stella brillava nel cielo e non si vedeva neppure il vecchio accattone che viveva vicino alle mura della fortezza. Solo il giovane frate Fulvus e il suo fedele ronzino erano nelle vicinanze del castello e cercavano di muoversi il meno possibile per non attirare le sinistre creature che popolavano la foresta di notte. Raggiunto il ponte levatoio, il frate aspettò che l’armigero di guardia si avvicinasse.

    Chi va là? esclamò l’armigero.

    Avete chiamato un prete e sono subito giunto rispose Fulvus.

    Entri presto! La principessa la sta aspettando. In quel momento un terrificante urlo di dolore si levò dal maschio, seguito da un vagito di neonato. Questo però era diverso: esprimeva rabbia e odio e, soprattutto, non sembrava appartenere a un umano, bensì a qualche fiera dell’Africa di cui Fulvus aveva sentito parlare durante il suo noviziato ad Aquileia. Affidato il ronzino a uno stalliere, lo spaventato frate si avviò all’interno del maschio guidato dall’armigero. Passarono per il salone, presero un corridoio sulla sinistra e salirono delle tortuose e anguste scale. Raggiunsero quindi un salottino dove alcune giovani donne si occupavano di una loro coetanea ansimante distesa su un divano. Sul lato destro del salotto si apriva una porta da cui provenivano inquietanti rumori. Una delle donne, probabilmente un’ancella, si accorse della presenza dei due uomini.

    Finalmente è arrivato - disse - deve assolutamente battezzare il bambino della principessa.

    Sono venuto proprio per questo! - rispose il giovane prete - a proposito del bambino, dove si trova?

    L’ancella gli indicò la porta. Fulvus impallidì. Si avvicinò tremando all’uscio seguito dall’armigero. Questi aprì la porta e l’immagine che si parò loro davanti agli occhi si palesò in tutto il suo terrore. Una piccola creatura, grande come un neonato, strillava e ruggiva. Era di aspetto abominevole con la pelle rossa, le orecchie a punta, zanne al posto dei denti, artigli invece di dita, zoccoli al posto dei piedi, gambe storte, il corpo ricoperto da una folta pelliccia, una coda a punta e due lunghe corna. Fulvus si ricordò le descrizioni che gli avevano fatto alcuni vecchi maestri sui diavoli dell’Inferno. Allora aveva pensato che fossero solo sciocche superstizioni. La creatura volse lo sguardo verso di lui e gli si avventò contro. Il prete, colto dal terrore, estrasse la boccetta d’acqua santa che aveva con sé e gettò il liquido sulla creatura, sperando che il gesto la spaventasse. Successe, invece, una cosa incredibile: la creatura si fermò e all’improvviso le corna, gli artigli, il pelo, le zanne, la coda e le orecchie a punta erano spariti. Al posto di quell’essere immondo ora si trovava un piccolo bambino addormentato. Fulvus lo prese in braccio e tornò nel salotto. Si rivolse allora alla dama ancora ansimante sul divano: Chi diavolo è il padre di vostro figlio? La dama, che altri non era che la principessa, si sedette, guardò negli occhi il ragazzo e gli disse: Avete detto bene: il padre di mio figlio era un diavolo. Il prete, stupito da quell’enigmatica risposta, rimase a fissare la principessa senza capire. Nella stanza apparve in quel momento un altro armigero che informò la principessa e il suo commilitone che un viaggiatore con un mantello nero, in groppa ad un cavallo nero, chiedeva di poter entrare. La principessa emise un gemito, dopo di che, rivolta a Fulvus, disse: Padre, se ne vada lontano da qui e porti con sé il bambino: lui non lo deve trovare! Gli armigeri accompagnarono frate Fulvus alla stalla e gli mostrarono un passaggio segreto per uscire. Il frate con il bambino e il suo ronzino uscì dal castello, quindi prese la strada verso Ovest. Stava per entrare nella foresta quando sentì un grido di dolore lacerare il silenzio della notte. Nello stesso istante una nube coprì la luna rendendo la notte più buia che mai. Spaventato, Fulvus spronò il ronzino ed entrò nel folto degli alberi.

    Il frate proseguì al galoppo, uscendo dal sentiero ed entrando sempre di più nel cuore della foresta. ‘Da lui sarà al sicuro’, pensò il giovane. Il suo compito sembrava facile, ma a quanto pare la foresta e il buio si erano alleati per impedirgli di compiere il suo dovere. Il frate sbuffò, più per allontanare possibili inseguitori che per la noia o la stizza. Fu allora che lo vide: nel cielo pareva che ci fosse un grosso uccello rosso fosforescente. Il bambino emise un vagito. L’uccello cominciò a scendere in picchiata. Fulvus dimenticò la sua paura per il bosco e spronò il cavallo senza badare alla direzione, con un unico pensiero in testa: seminare l’uccello rosso. Finalmente vide all’orizzonte una casupola col tetto di paglia. Da essa uscì un vecchio con un bastone e un cappello a punta. Presto! Entra! gli urlò. Il frate non se lo fece ripetere due volte e, spronato il ronzino, varcò la soglia della capanna. Il vecchio alzò il bastone e lo puntò contro l’uccello.

    Ypsis! gridò il vecchio. Una sfera luminosa partì dal bastone e si diresse verso l’uccello che però schivò il pericolo e fuggì via. Il vecchio rientrò nella casupola, appoggiò il bastone sul muro e si rivolse a Fulvus: Ti sei salvato per un pelo! Se il tuo cavallo fosse stato più lento, ora saresti pappa per demoni!

    Un momento: quello era un demone?

    Sì ragazzo mio, e della peggior specie, ma ora non parliamo di questo: perché sei venuto qui nel bosco, ti sei perso?

    Niente affatto. Stavo cercando proprio te. Ti devo affidare qualcosa che dovrai difendere a ogni costo e soprattutto dovrai farla crescere finché non sarà capace di badare a se stessa.

    Da come ne parli sembra un essere vivente. Non è che per caso sia un bambino e per giunta figlio di una principessa? Non guardarmi così, sai bene che ho la capacità di leggere la mente oltre che di fare spettacoli con sfere infuocate come mi hai visto fare poco fa. Ho un dubbio però: perché proprio io e non qualche baldanzoso soldato o un erudito precettore o un vecchio abate? Perché hai scelto me, un vecchio pazzo che vive da solo nella foresta?

    Perché so come sei fatto e so anche che non rifiuteresti un favore ad un amico in difficoltà, tanto più se ti porta un bambino da accudire. Andiamo Myrddin, hai combattuto contro i Sassoni sotto Ambrosio Aureliano e hai paura di un infante?

    Fammi vedere il bambino poi deciderò.

    Fulvus sollevò il mantello, mostrando il povero neonato che nonostante tutto non aveva mai pianto e dormiva tranquillo. Faceva così tenerezza. Ma non fu la tenerezza a far accettare Myrddin, bensì quello che lesse nella mente del fanciullo. Anche se un po’ infantili i pensieri e i sogni del piccolo erano molto sviluppati per la sua età. Si ricordò di come Giulio, un servo del padre di Aureliano, aveva accudito lui, un piccolo figlio di una barbara famiglia gallese, abbandonato al suo destino. Decise che lui avrebbe fatto la stessa cosa, per la memoria di quello che aveva considerato come un padre.

    Va bene - disse al frate - mi prenderò cura di lui. Tu però non puoi più tornare al tuo monastero: quelli che vogliono il bambino ormai ti conoscono. Ti consiglio di andare dove ti avevo suggerito molto tempo fa. Lì sarai al sicuro. Detto questo porse una logora mappa al giovane amico e lo accompagnò fin dove i suoi inseguitori non avrebbero più potuto ritrovarlo.

    Addio Fulvus. Che la fortuna sia sempre a tuo favore.

    Addio anche a te, Myrddin. Che la Provvidenza del Signore aiuti te e il tuo nuovo compare nei momenti più difficili.

    Il frate e il suo ronzino si allontanarono mentre l’alba dalle rosee dita spuntava da sopra le chiome degli alberi. Myrddin sorrise. Nonostante le differenze di opinione lui e frate Fulvus rimanevano ottimi amici. Rimase ancora alcuni minuti a osservare il sole sorgere, simbolo di una nuova speranza per il futuro.

    Tornato nella sua capanna, Myrddin trovò il piccolo ancora addormentato. La scena gli provocò un

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